di Pierfranco Pellizzetti
E’ l’dea “manchesteriana” dell’alleanza fra salario e profitto contro la rendita. Una parola d’ordine lanciata nel ’72 da Agnelli, propagandata da Scalfari, accarezzata da Amendola, sepolta il 20 giugno 1976
La storiografia analizza e ricostruisce le origini intellettuali, l’elaborazione ideologica e la cultura dei vincitori. Oggi si comincia a prestare attenzione anche ai sistemi intellettuali degli sconfitti. E’ possibile e utile andare ancora un poco più in là e tentare di portare alla luce il filo di elaborazione di un’idea che neppure è riuscita ad arrivare allo scoperto del dibattito ufficiale? Possibile e utile non sappiamo, certo difficile e con sempre dietro l’angolo il rischio di fare un processo alle intenzioni o, peggio ancora, della fantapolitica a-ritroso.
Eppure, negli anni passati, c’è stato un focolaio di elaborazione, singolare ed autonoma rispetto alle altre elaborazioni che in quel periodo muovevano i propri passi verso la luce della cronaca e del dibattito pubblico, un'”utopia perduta” che in vari rivoli scorreva come un fiume carsico sotto la pelle della società culturale e politica italiana e che, se pure talvolta è comparsa alla superficie, non è riuscita a trovare un vero e proprio alveo esterno in cui fluire stabilmente. Segnali repentini ci avvertono della presenza di questa “utopia perduta” di cui non ricostruiamo i connotati e le tappe se non azzardando ipotesi non suffragabili con pezze d’appoggio sicure e con prove men che sommarie. La tesi è che nel corso degli ultimi tre lustri sia venuta articolandosi una meditazione che analizzava la società secondo categorie produttivistiche, discriminando i gruppi sociali in parassitari e non, per ipotizzare un’alleanza tra i ceti produttivi finalizzata alla razionalizzazione del modello socio-economico.
Quando l’avvocato Gianni Agnelli alla fine del ’72 lancia lo slogan del «profitto e salario contro la rendita» la sensazione che si riceve non è di trovarsi davanti a un’improvvisazione, ma all’apparire temporaneo e repentino di uno sbocco all’esterno del fiume sotterraneo cui facevamo riferimento, Agnelli e il suo entourage: ecco già una prima posta da cui tentare di centrare la nostra fata Morgana. Scrive Valerio Castronovo che «nell’ultimo decennio, fra il 1961 e il 1971, era andato riducendosi progressivamente il peso quantitativo dei ceti produttivi… di qui la proposta di un’”alleanza”- fra grande industria e sindacalismo operaio da opporre ai settori improduttivi (…) insomma una sorta di “lega di Manchester” contro la rendita» (1). Dove nascono, e con quale percorso le tesi manchesteriane raggiungono l’ambito Fiat?
E’ un caso che Luigi Spaventa, quando recentemente osservava che – dapprima i salari erodono i profitti essi poi subiscono la stessa sorte per colpa delle rendite, chiamasse a padre nobile del proprio discorso Claudio Napoleoni? (2)
Napoleoni dopo Agnelli. Forse, questi due autorevoli personaggi sono i capi del filo che tentiamo di dipanare. Il punto di partenza potrebbe fornircelo Manin Carabba quando ricorda l’opposizione teorica alla proposta di “politica dei redditi”, che già nel lontano ’63 Ugo La Malfa tentava di far adottare alla prima coalizione di centro-sinistra, si raccoglieva attorno alla Rivista trimestrale diretta appunto da Claudio Napoleoni insieme a Franco Rodano: «In un paese come l’Italia, caratterizzato dalla presenza di “rendite” speculative e di una distorta struttura dei consumi, una concezione meccanica della “politica dei redditi” avrebbe contribuito a rendere non modificabili tali caratteristiche» (3).
Nascerebbe qui, certo ad un livello ancora magmatico, un primo utilizzo politico della distinzione tra produzione di risorse e consumo improduttivo delle stesse che poi, in modi più articolati e finalizzati politicamente, vi ritroviamo in ambito Fiat. Quale può essere stato il tramite?
La Rivista trimestrale raccoglie cattolici-comunisti, il tramite potrebbe ben esserlo un cattolico ex comunista, il direttore della Fondazione Agnelli Ubaldo Scassellati. La faccenda continua ad essere enigmatica, e ne parliamo con un personaggio enigmatico: Gianni Baget Bozzo. Effettivamente, attorno ai primi anni ’50, si era costituito a Roma un gruppo informale di studio con lo stesso Baget Bozzo, Napoleoni e Scassellati attorno al filosofo Felice Balbo (esperienza di cui i rotocalchi parleranno nei toni esoterico-scandalistici del “cinque per cinque”) e che poté fungere da centro di coagulo intellettuale, centro di collegamento, tra personaggi diversi nelle loro vicende successive.
E’ la Fondazione Agnelli del cattolico Scassellati l’incubatrice delle elaborazioni manchesteriane? Le singolari teorizzazioni di Balbo, in particolare la sua visione “dell’autonomia dell’economico” potrebbero essere l’elemento ideologico di partenza per chi lavorava all’elaborazione di un’ideologia industriale. Certo è che una linea di ricerca che divide piuttosto che unificare e che enfatizza l’aspetto produttivistico sembra in distonia con il tradizionale pensiero cattolico difficilmente omogeneizzabile ad una visione efficientistico-quantitativa neo-capitalistica. Del resto, le testimonianze di chi visse l’esperienza della Fondazione Agnelli di quegli anni parlano di “grande confusione“.
Tratto da Critica Sociale del 25 luglio 1978
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