LA FUGA DI TURATI IN CORSICA

Nella foto, da sinistra: Da Bove, Turati, Carlo Rosselli, Pertini e Parri.

Novembre 1926 – L’Italia é sotto il pieno controllo del regime fascista. Turati vive nel suo appartamento a Milano, sorvegliato dalla polizia. L’anno precedente é morta la sua amata compagna, Anna Kuliscioff. Medita il suicidio. Tra gli esponenti superstiti dell’Aventino Turati é certamente il più autorevole e quindi il più odiato tra gli squadristi. L’iniziativa di fuggire non nasce da Turati, ridotto all’ombra di se stesso, ma da Carlo Rosselli, brillante intellettuale, membro dell’esecutivo del Partito Socialista Unitario, ormai clandestino.  Rosselli, per eludere la sorvegliatissima frontiera svizzera, decide di farlo espatriare via mare in Francia.

L’11 dicembre 1926 Turati viene condotto in gran segreto a Savona e da lì, con una pericolosa traversata notturna sul motoscafo “Oriens”, viene accompagnato da Riccardo Bauer, Ferruccio Parri, Italo Oxilia, Lorenzo Da Bove, Carlo Rosselli e Sandro Pertini a Calvi, in Corsica.

Il locale circolo repubblicano non appena apprese la notizia dello sbarco di una personalità così autorevole si affrettò a improvvisare una cerimonia di benvenuto. Nonostante la terribile notte appena trascorsa, Turati non si sottrasse, in un impeccabile francese tenne un breve discorso di ringraziamento: descrisse l’Italia in catene, inneggiò alla lotta per la libertà e salutò con riconoscenza la libera terra di Francia.

Il giorno seguente, dopo che il governo francese aveva accolto la loro richiesta di asilo politico, Turati e Pertini si imbarcarono sul postale per Nizza, Rosselli, Parri, e il resto dell’equipaggio dell’”Oriens” fecero invece rotta per l’Italia. Raccontò Sandro Pertini: “Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. E’ l’estremo saluto della Patria per Turati ed anche per me. Turati con gli occhi pieni di lacrime mi disse: ‘Io sono vecchio, non tornerò più vivo in Italia’. Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni. La mattina dopo ci imbarcammo sul traghetto per Nizza e di lì proseguimmo per Parigi dove trovammo Nenni, Modigliani, Treves e tanti altri. Turati mi offrì la sua assistenza economica, ma io rifiutai e decisi di guadagnarmi da vivere facendo i lavori più umili”.

I giornali francesi, al contrario di quelli italiani che relegarono la notizia a un trafiletto nelle pagine più interne, diedero grande risalto alla fuga di Turati. Nei primi tempi del suo soggiorno parigino il grande vecchio del socialismo italiano fu conteso dalla stampa di sinistra. In una intervista rilasciata all’organo radicale “Oeuvre“, negò di aver lasciato Milano perché la sua vita era in pericolo: “Non avrebbero osato toccare il vecchio Turati. Solo che avevo nell’ingresso di casa mia poliziotti in continuazione (…). Alla fine mi sono sentito soffocare. Non ne potevo più di vivere così. È per questo che sono partito”. Alla domanda se prevedesse di poter rientrare in patria in tempi brevi rispose: “Ho lasciato laggiù i miei, la mia casa, i miei libri. È stato uno sradicamento. L’ho fatto, rassegnato a non vederli sicuramente più”.

Lettera di Sandro Pertini a Filippo Turati

Nizza, 23 dicembre 1927

Maestro, domani è l’anniversario sacro della nostra partenza da Savona ed io voglio ricordarlo con Lei! Rammenta, maestro, l’interminabile attesa lungo la stradale di Vado? ‘Mi sembra di essere tornato in trincea’ mi disse Parri. Ricordo che Rosselli, appena usciti dal porto, si chinò a baciarla. lo rimasi sino all’ultimo a contemplare la mia città. Si ricorda maestro, il nostro interrogatorio alla Capitaneria di Calvi ? ‘Chi è il comandante del motoscafo?’. ‘Moi, Filippo Turati’. Ed in quei giorni i nostri grandi amici, come noi, ricorderanno e molto parleranno del Maestro lontano. Li sentirà vicini a Lei e con essi Ella sentirà pure l’ ottimo Da Bove ed anche Pertini ‘il mozzo della imbarcazione Turati’.

Sandro Pertini

 

Turati a Calvi

Le Grandi ConquisteL’11 dicembre 1926, dopo una clamorosa fuga in motoscafo, organizzata da Carlo Rosselli, Pertini e Parri, Turati sbarca nel porto di Calvi, in Corsica. Gli viene concesso immediatamente l’asilo politico dal governo francese.

“Mi si chiede da varie parti perché ho lasciato l’ltalia di soppiatto, come un ladro; mi si chiede se le minacce fasciste mettevano veramente la mia vita in pericolo. La vita? Ma che cosa è la vita per un vecchio combattente quasi settuagenario, che cos’è la vita quando il lavoro di cinquanta anni sembra fuggirsene per sempre, quando non c’è più libertà di pensiero, né libertà di stampa, né tribuna parlamentare.

Ho capito che l’ostaggio doveva liberarsi con i propri mezzi e seguir la strada già percorsa dai suoi amici. Mi sono ricordato  che c’era un vecchio paese di libertà al quale quattro rivoluzioni e il sacrificio di un sangue generoso hanno permesso di diventare padrone di se medesimo e di riservare l’ospitalità repubblicana ai proscritti di ogni altro paese.

Eccomi dunque qui. Abbiamo pietosamente raccolto la nostra bandiera strappandola agli insulti delle camicie nere. Questa bandiera noi vogliamo spiegarla davanti ai moltissimi operai e contadini italiani che vivono in Francia: stendardo di speranza, di ripresa e di rivincita. I lavoratori italiani sanno benissimo quel che essi gli devono: quarant’anni di progresso sociale, lo scambio della servitù economica contro una condizione di libertà e di dignità, l’iniziazione alla vita politica”.

Filippo Turati

da una raccolta di Nicolino Corrado