Cento anni fa, nella Sala dei garibaldini genovesi, nasce a Genova il Partito Socialista Italiano. E il quattrocentesimo anniversario della scoperta dell’America e i viaggi in treno per Genova, sede delle celebrazioni colombiane, sono a tariffa ridotta. La Liguria era stata il cuore della lotta popolare e democratica del Risorgimento: la terra di Garibaldi e di Mazzini. Qui, e nelle regioni più sviluppate del Nord, le prime Leghe di Mutuo Soccorso tra i lavoratori e gli artigiani, i primi sindacati, le prime cooperative, avevano costruito le radici del movimento socialista. Un movimento internazionalista ma patriota, proprio come Garibaldi, l’eroe dei due mondi, il grande combattente per la libertà dei popoli.
Difensore della democrazia parlamentare conquistata dalla borghesia, ma con l’obiettivo del suffragio universale della emancipazione dei lavoratori, come Mazzini. Rispettoso della religione, ma anche della libertà dei cattolici, come Camillo Prampolini, l’apostolo cristiano dei poveri, che vedeva in Gesù il primo socialista. L’internazionale Socialista ha anche in Italia le sue radici. Le prime lotte confuse e disordinate dei lavoratori hanno le gambe dell’organizzazione. I delegati, insegnanti ed artigiani, cooperatori e protagonisti del volontariato, operai, contadini, medici e professionisti rappresentano centinaia di associazioni. Eleggono la direzione, dopo la separazione da un’anima della sinistra che sarebbe sempre stata inconciliabile: quella dei rappresentanti anarchici e rivoluzionari, fautori di una sovversione violenta, anziché della paziente e graduale costruzione progettata dal riformismo. Inizia un lungo cammino.
Un secolo di sacrifici e di lotte. Al termine del quale si può dire, senza forzature retoriche: tutte le conquiste sociali, di libertà, di progresso, assolutamente tutte, sono state raggiunte in Italia, come in Europa, con il contributo decisivo del movimento socialista.
Nel Natale del 1896 viene fondato l’Avanti!, il primo quotidiano veramente nazionale.
Difende la libertà contro la reazione della destra e dei militari, sempre più preoccupati della rapida diffusione delle idee progressiste e della forza organizzata dei lavoratori.
- Sicilia. La reazione tenta di schiacciare i fasci operai e contadini, centinaia sono i morti, migliaia gli arresti giudicati con processi sommari. 1899. Milano. Mentre il governo, con le leggi eccezionali, arresta i democratici, il generale Bava-Beccaris spara con i cannoni contro i lavoratori. Un massacro. Una medaglia del Re per ringraziarlo.
Ma i socialisti non sono più soli, perché anche tra le classi dirigenti si vanno diffondendo le nuove idee sociali. La democrazia parlamentare regge, progredisce, allarga il suo consenso.
Il nuovo secolo nasce con le grandi speranze aperte della rivoluzione industriale trionfante ed al progresso scientifico. E in questa rivoluzione industriale, che fa progredire e trasformare il Paese, il riformismo socialista trova il terreno favorevole per far progredire e far avanzare il movimento dei lavoratori. Dirigenti socialisti libertari, marxisti, cattolici, trasformano le plebi in una classe sociale cosciente di sé, impegnata a spezzare davvero le catene dell’ignoranza e della sottomissione. L’Avanti viene letto la sera, da chi sa leggere, ai compagni che ancora non sanno. Il Partito “insegna”, con lo spirito dei maestri di scuola socialisti, dei grandi scrittori ed educatori socialisti da Edmondo De Amicis a Giovanni Pascoli. Le pazienti, quotidiane campagne per l’alfabetizzazione, contro l’alcolismo, la prostituzione e la bestemmia. Per l’igiene, l’uso dei contraccettivi, per il rispetto dei deboli, delle donne e dei bambini, per la protezione degli animali.
E le grandi campagne politiche che prefigurano conquiste che oggi sembrano ovvie. Per il diritto allo sciopero. Per il suffragio universale. Per la scuola elementare obbligatoria aperta a tutti. Per l’abolizione della censura sulla stampa. Per la settimana lavorativa non oltre le 48 ore. Per la salute dei fanciulli e delle donne lavoratrici. Per il superamento delle differenze abissali tra Nord e Sud. Per la tutela degli emigrati. Per la libertà religiosa e la non ingerenza del clero nella politica. Contro gli scandali della grande borghesia imprenditoriale e finanziaria. Contro le guerre coloniali dell’Italia; Per l’emancipazione femminile, la parità in famiglia e sui luoghi di lavoro. Per il voto alle donne. “Perché il voto — dice Anna Kuliscioff — è la difesa del lavoro. E il lavoro non ha sesso”.
Passo dopo passo, il Partito cresce. Conquista i comuni di Milano e di Genova. Dopo il suffragio universale, dopo il 1912, ottiene 57 deputati. Nel 1919 saranno 152: il 35% dei voti. Ma c’è nel Partito anche un’anima rivoluzionaria e massimalista; Cova nel mondo una esplosione di violenza e irrazionalità.
Mussolini, leader della sinistra intransigente del Partito, direttore dell’Avanti. ‘Chi ha ferro ha pane”, “la rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette”. Nel 1914, spera nella guerra levatrice della storia. Si scontra con il pacifismo dei socialisti. Fonda il Popolo d’Italia. Diventerà il capo del fascismo. La guerra è levatrice di una storia orrenda. Dieci milioni di morti. Il demone dell’irrazionalità e della violenza. Lo scatenamento di tutti gli estremismi. La fine della democrazia in mezza Europa. La rivoluzione bolscevica. Una grande speranza, un mito che durerà decenni, ma anche una grande e tragica illusione per tanta parte della sinistra, l’origine di una scissione dalla quale il movimento socialista non si riprenderà più. L’ala rivoluzionaria del Partito ubbidisce ai bolscevichi russi, vuole fare come in Russia. Al Congresso di Livorno, rompe con i socialisti e fonda- il Partito Comunista. Turati vede il pericolo delle velleità rivoluzionarie in presenza della reazione fascista.
Il fascismo spazza via decenni di lotta per la democrazia e il riformismo. Le case del popolo sono incendiate, i sindacati sciolti, le cooperative cancellate. La sede dell’Avanti è devastata. Il giornale è censurato e incendiato per le strade. Il Re e la classe dirigente economica preferiscono consegnare il Paese ai fascisti piuttosto che difendere la democrazia. Mussolini prende il potere. Nel Parlamento ormai svuotato, Matteotti, capo dei socialisti riformisti pronuncia la sua ultima requisitoria contro la dittatura. “Voi ucciderete me, ma non l’idea che è in me”. I fascisti lo sequestrano e con il ritrovamento del suo cadavere non vendicato finisce la libertà in Italia. Viene ucciso anche Gobetti. Verrà ucciso Rosselli, teorico del socialismo liberale. E tanti, tanti altri.
Ma, come aveva detto Matteotti, l’idea socialista non verrà uccisa. Una nuova generazione di dirigenti si salda con la vecchia. Pietro Nenni, redattore capo dell’Avanti nel 1923, trasforma il quotidiano del Partito nello strumento vincente contro la fusione ordinata di Lenin tra socialisti e comunisti. “Una bandiera non si getta in un canto come una cosa inutile”, Sarà, nell’esilio di Parigi, il leader dei socialisti. Sandro Pertini, un giovane avvocato di Savona, anche simbolicamente, si salda alla vecchia generazione: porta infatti al sicuro per mare, in Corsica, il suo maestro- Filippo Turati. Resterà in carcere sino al 1943. Sarà capo della resistenza, deputato socialista, il Presidente della Repubblica più amato dagli italiani. Giuseppe Saragat, sarà anche lui Presidente della Repubblica, coerente sostenitore di un socialismo europeo, democratico e riformista. La lunga notte della dittatura e dell’irrazionalità si espande sull’Europa. E anche, sulla sinistra. Dove i comunisti (1929) sostengono l’equazione imposta da Stalin. “Socialismo uguale fascismo”. Persino in Germania, favorendo in tal modo la vittoria dei nazisti.
La libertà viene schiacciata, insieme alla Repubblica democraticamente eletta, anche in Spagna. Dove i volontari, venuti da tutto il mondo, e tra essi anche garibaldini italiani a cominciare a Pietro Nenni, nulla possono contro i caccia nazisti e gli eserciti regolari.
Il buio della lunga notte è rotto dall’incendio della guerra. La libertà torna a farsi strada in Italia soltanto attraverso le macerie e l’umiliazione della sconfitta. Si fa strada insieme al risveglio della dignità nazionale per mano degli Italiani. Come nel Risorgimento, per mano dei democratici, dei libertari, delle sinistre. Si prendono le armi contro l’occupazione tedesca. Gli antifascisti tornano dal carcere o dall’esilio a guidare la Resistenza. Tornano i partiti, le loro bandiere.
Nel 1945 l’Italia è libera. Pietro Nenni riprende il suo posto. Ed è il protagonista della battaglia per la Repubblica, anche contro le incertezze comuniste e le resistenze democristiane. Il vento del Nord, della Resistenza e delle lotte popolari nelle grandi fabbriche deve spazzare la monarchia e il conservatorismo. La Repubblica “vince grazie a Nenni” più che a chiunque altro. Ma così come l’Italia unita aveva deluso i garibaldini che l’avevano fatta, anche la Repubblica delude i repubblicani. Ancora una volta conservatori e trasformisti prevalgono. E prevalgono anche per gli errori delle sinistre, dove il Partito Comunista propone il mito di Stalin. Dove i socialisti, il primo partito alle elezioni del 1946, si dividono a Palazzo Barberini nel 1947. Una parte, con Nenni, Basso e Pertini, troppo preoccupata dalla unità tra le forze popolari e compie il tragico errore della collaborazione frontista con il PCI. Una parte con Saragat, che ha visto prima degli altri la natura illiberale e la subalternità a Mosca del comunismo di Togliatti come di quello originario e che affronta a viso aperto le più assurde scomuniche.
Il grigio dell’immobilismo centrista è spezzato dai lampi di un tragico momento della verità, il cruciale 1956. Krusciov denuncia i crimini di Stalin. L’Armata Rossa affoga la libertà dell’Ungheria in un bagno di sangue. I comunisti si schierano con i carri armati, i socialisti con gli insorti. Nagy viene giustiziato. Dovranno passare più di trent’anni prima che quel crimine trovi giustizia e Nagy venga riabilitato. PSI e PSDI si riavvicinano. L’autonomia socialista diventa il motore del rinnovamento possibile in un Paese dove i voti prevalenti nella sinistra restano congelati. Congelati intorno a un Partito Comunista che mantiene il suo legame di fondo con l’URSS.
La ritrovata autonomia socialista avvicina una generazione di nuovi dirigenti. Il rinnovamento possibile è il centro-sinistra. Ed è appunto il ritrovato incontro tra socialisti e democristiani, con il sostegno di Saragat e di La Malfa, che nel 1963, per la prima volta, porta con il governo Moro-Nenni, i socialisti al governo.
Con il centro-sinistra, una Italia arretrata, in molte aree più vicina alla Spagna franchista che all’Europa democratica, cresce. Cambia il costume con le battaglie libertarie, per il divorzio e l’aborto. Cambiano i rapporti di forza nelle fabbriche, con lo statuto dei lavoratori, il rafforzamento del sindacato e la crescita economica. Cambia il decentramento, la vecchia Italia autoritaria dei prefetti.
Proprio per bloccare le riforme si sente un rumore di sciabole intorno al Presidente della Repubblica Segni. Il Piano. Solo del 1964 allarma i democratici.
Gli opposti conservatorismi schiacciano il rinnovamento. Il conservatorismo tradizionale, con il volto ben conosciuto, il conservatorismo sedicente di estrema sinistra, con i suoi miti sempre nuovi e sempre altrettanto deludenti; Ieri Lenin, poi Stalin, poi Mao, Fidel Castro, Ho-Chi-Min. Le bombe di Piazza Fontana. E le tante che seguirono. Le deviazioni degli apparati dello Stato. li terrorismo delle Brigate Rosse. Gli anni di piombo. Gli anni delle intimidazioni nelle redazioni dei giornali, di cui sarà vittima anche il giovane giornalista socialista Walter Tobagi. Gli anni del pessimismo. Gli anni della crisi socialista seguita dalla fallita unificazione tra PSI e PSDI nel 1969.
Abbattendo con le spallate del massimalismo lo sforzo riformista degli anni sessanta, il PCI riesce a dimostrare che senza i comunisti non si governa, riesce dove fallirà con il referendum sulla scala mobile nel 1985. La classe dirigente economica è rassegnata a cooptare i comunisti nella maggioranza di governo per garantire la pace sociale, combattere l’inflazione e il terrorismo.
Nenni alla nascita del centrosinistra, scriveva che i comunisti lo avrebbero attaccato senza quartiere perché loro stessi volevano — da sempre — allearsi con la DC in un governo di unità nazionale e non volevano che i socialisti gli tagliassero la strada. La vecchia aspirazione di Togliatti è realizzata da Berlinguer. Nasce il compromesso storico. Il terrorismo si espande, recluta nuove leve con l’argomento che il PCI ha tradito la rivoluzione leninista. Le brigate rosse uccidono il presidente dela DC Aldo Moro. Le aziende italiane sono in vendita alle multinazionali. Ed alla Fiat entra il capitale libico. L’Italia sta fuoriuscendo dal sistema delle economie di mercato più avanzate. L’inflazione raggiunge il 24%.
Il Partito Socialista non è più protagonista. Ma una nuova generazione di dirigenti, quella che si era avvicinata al Partito dopo il 1956, si salda ancora una volta con la vecchia generazione. Raccoglie la bandiera dell’autonomia socialista Craxi, che è nelle fila socialiste sin da giovanissimo, diventa nel 1976 il nuovo segretario del Partito.
Craxi insiste sul fatto che il socialismo non ha nulla in comune con il marxismo leninismo e inizia una lunga battaglia ideale per i valori del socialismo democratico e liberale, nella tradizione dei fratelli Rosselli. Sprona i comunisti di Berlinguer a rinnovarsi, ma persino una parte importante della stampa e della cultura democratica dà per scontato che il PCI abbia già concluso il processo di revisione e lo sostiene preferendolo di gran lunga al Partito Socialista autonomista di Craxi.
Il nuovo corso socialista coglie il primo grande risultato con l’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica. Pertini riavvicina le istituzioni logorate al popolo. Interpreta il collegamento diretto tra il Risorgimento e la Resistenza. E’ il simbolo del socialismo tricolore, un socialismo cioè che contribuisce a far riscoprire agli italiani il valore di patria, avvilito dalla retorica fascista e dalla fedeltà a Mosca della tradizione comunista.
Nell’83, per la prima volta, un Presidente dei Consiglio socialista. Se Nenni era riuscito dove non riuscì Turati (a portare i socialisti al governo) Craxi riesce dove non riuscì Nenni; a portarli alla guida del governo. Nessuno può ormai accusare i socialisti, come ai tempi del centrosinistra, di subordinazione alla DC.
E’ il governo più lungo e stabile del dopoguerra. I cortei criminalizzano l’installazione in Europa dei missili NATO che controbilanciano gli SS2O puntati da Mosca, contro l’Europa e contro l’Italia. E’ una chiara scelta occidentale che dimostra ai sovietici che l’intimidazione militare non paga mentre apre invece la strada alla sconfitta del breznevismo. I manifestanti hanno sempre creduto di sfilare per la pace. Ma sono sfilati in verità sempre contro le democrazie occidentali: per Stalin, per Breznev, persino per Saddamn Hussein. I cortei prevedono che la riforma della scala mobile porterà miseria e invece porta sviluppo. I comunisti perdono il referendum popolare contro la decisione del governo Craxi. E perdono anche un diritto di veto silenziosamente conquistato negli anni settanta, con la politica dell’unanimismo e della consociazione.
L’inflazione, dall’83 all’87 scende dal 16% al 4%, senza la retorica dei sacrifici, delle “lacrime e sangue” cara alla destra. Il deficit pubblico scende di un terzo, dal 15%al 10%.
Lo sviluppo dell’economia italiana conquista un record europeo, ed è secondo soltanto a quello del Giappone. I salari crescono, in quattro anni, di quasi due punti al di sopra dell’inflazione.
L’Italia si accorge di essere un grande Paese, di avere sorpassato il reddito nazionale e quello pro-capite della Gran Bretagna, diventando il quinto paese industriale avanzato del mondo. Il calcio, il design e la moda, lo spettacolo, la tecnologia, portano il nome dell’Italia nel mondo.
L’Italia sa ritrovare con maggior prestigio il suo posto nella comunità dei paesi guida dell’Occidente, insieme agli Stati Uniti, ma sa anche dire di no quando si tenta di violare, a Sigonella, durante la tragedia del’Achille Lauro, la sovranità nazionale.
Il terrorismo viene sconfitto definitivamente.
Nel centenario del Partito, dopo anni grigi, nei quali si è persa l’occasione per risanare definitivamente il Paese, il messaggio socialista è ancora di fiducia. Si può, così come si è potuto durante il governo Craxi, riprendere il progresso economico. Si può difendere da una trincea realistica lo Stato Sociale.
Quando i socialisti inglesi nel dopoguerra, e poi tutti i paesi dell’Europa occidentale, e anche l’Italia, hanno tutelato dalla malattia e dalla vecchiaia i cittadini, hanno realizzato la più straordinaria rivoluzione pacifica della storia, ancora inattuata persino negli Stati Uniti. Ma sanità e pensioni vanno sottratte a sprechi, inefficienze, diseguaglianze, discriminazioni. Si può sconfiggere la criminalità, ricordando che la giustizia italiana non è il medico, ma la malattia. 22.000 delinquenti sono infatti in libertà perché i processi tardano anni, 2.300 omicidi sono stati compiuti da criminali che già avevano ucciso.
Si può restare nella serie A dell’Europa perché, se l’Italia ha un record nel deficit pubblico, ha anche un record nel risparmio privato. E lo Stato è indebitato con i suoi stessi cittadini. Si può arrivare finalmente alle riforme istituzionali, che diano efficienza in Italia non soltanto alla società civile, che ce l’ha da tempo, ma anche al sistema politico e allo stato. Craxi chiese infatti una Grande Riforma delle istituzioni per la prima volta nel 1979, circondato da un muro di ostilità. E se non si faranno le riforme vere, si faranno le riforme finte, o si distruggerà il sistema senza averne costruito uno nuovo, magari disgregando l’Italia in tre repubblichette come pretende il leghismo estremista. O lasciando rafforzarsi il vento di destra che sta soffiando in Occidente. Si possono percorrere, in Europa e nel mondo, le nuove frontiere del socialismo democratico e liberale.
Le nuove frontiere della democrazia, per proteggere non più una maggioranza, ma una minoranza di cittadini povera o emarginata. Le nuove frontiere della libertà, perché i cittadini siano soggetti e non oggetti sempre, non soltanto al momento del voto, nella moderna società di massa dove tutti rischiano di diventare un numero.
Le nuove frontiere della giustizia sociale. Perché un tempo la lotta di classe era tra poveri e ricchi, a livello provinciale e nazionale. Oggi è universale, tra poveri e ricchi del mondo, come i socialisti democratici hanno ridotto le diseguaglianze nei paesi europei, con politiche di solidarietà e progresso, così oggi sono chiamati ad attuare le stesse politiche a livello internazionale. Non a caso proprio Craxi è stato chiamato dalle Nazioni Unite ad occuparsi dei problemi del Terzo Mondo: perché i socialisti europei sanno parlare con la stessa credibilità il linguaggio del realismo ai ricchi e quello della solidarietà ai poveri del mondo.
Ma tutto è stato, è, sarà più difficile perché l’Italia è l’unico paese moderno dove è mancata una grande forza socialista democratica, dove nella sinistra un partito comunista è stato una forza numericamente prevalente. Oggi, nel centenario socialista, l’unicità italiana può essere cancellata. Nel 1921, Il Partito Comunista è uscito dalla vecchia casa socialista “per fare come in Russia”. Togliatti è stato tra i collaboratori e i complici di Stalin.
Responsabile del comunismo internazionale per l’Europa nel momento in cui Mosca ha deciso lo sterminio dei comunisti polacchi e ungheresi. Psicologicamente al di là del muro di Berlino. Vicino al capo della polizia segreta negli anni dell’orrore. Spietato persino con ·i suoi compatrioti che morivano a decine di migliaia. Berlinguer, che pure ha tentato di staccarsene gradualmente, ha fatto parte della nomenclatura comunista internazionale. Fino all’ultimo, nel PCI, si è puntato a un comunismo sovietico rinnovato, non alla fuoriuscita dal comunismo e da quello che — anche se in Italia non lo si voleva vedere — e stato, dopo quello asburgico, ottomano e zarista, l’ultimo impero sovranazionale. Un impero che, unico nella storia dell’umanità, ha causato 20 milioni di morti al suo stesso popolo. Che non ha dato nè libertà, né pace, né pane.
Turati aveva detto che i comunisti sarebbero tornati sulla strada del socialismo, lasciata nel 1921, soltanto caduto il feticcio di Mosca. Oggi, ‘il feticcio è caduto davvero; Il comunismo è finito. La falce e martello, il culto di Lenin, non possono durare in Italia più a lungo che a Mosca. Una Italia dell’Est non può sopravvivere all’Est.
Crollata per sempre la strada sbagliata presa nel 1921 “per fare come in Russia”, nel centenario socialista, gli ex comunisti possono ritornare sulla strada del socialismo democratico e liberale. La politica dell’unità socialista, lanciata da Craxi dopo il crollo del muro di Berlino, non è una tattica elettorale, ma una strategia. Mentre si ammaina la bandiera rossa del comunismo, può essere tenuta alta con orgoglio la bandiera rossa del socialismo che fu di Garibaldi. Questa bandiera può dare una prospettiva d’avvenire a milioni di lavoratori che hanno lottato in Italia con generosità e buona fede per gli ideali giusti, ma sotto un simbolo e una ideologia sbagliata. L’Europa non sarà costruita da qualunquismi antipartitocratici e dai leghisti, ma dai partiti. L’Italia ha bisogno di esserci, con un grande partito socialista democratico, presente con autorità nella grande famiglia dell’internazionale socialista.
Il centenario può chiudere per i socialisti una storia di divisioni e di disgregazione, può aprirne una di unità e di aggregazione, con l’unità socialista. Nel nome di Turati, il padre del socialismo italiano. La sua profezia racchiude la storia di un secolo, maturata nelle sue radici culturali e morali già nel 1892, lanciata a Livorno all’atto della scissione comunista del 1921, si può concretare oggi, nel 1992 riascoltiamolo. Ecco le sue parole ai comunisti Gramsci, Tagliatti che abbandonarono la casa socialista, “Il culto della violenza, violenza fisica o violenza morale (perché vi è una violenza morale, che pretende di sforzare la mentalità) non è nuova nella storia del socialismo. Ma il socialismo in definitiva fu sempre il trionfatore contro tutte le sue deviazioni e caricature. Il mito russo evaporerà e il bolscevismo attuale o sarà caduto o si sarà trasformato. Sotto le lezioni dell’esperienza, le vostre affermazioni d’oggi saranno da voi stessi abbandonate. Avrete allora capito, intelligenti come siete, che la forza del bolscevismo russo è nel peculiare nazionalismo che vi sta sotto. Noi non possiamo seguirlo, perché diventeremmo per l’appunto lo strumento di un imperialismo eminentemente orientale, in opposizione al ricostruirsi della Internazionale più civile e più evoluta”.
Crollata l’ideologia comunista, il socialismo resta. Va avanti con il cuore dell’800 e con le idee del 2000. Con un misto di valori morali e sentimenti da una parte, di pragmatismo e realismo dall’altra. Con le parole pronunciate di Ignazio Silone già nel 1949, al tempo del Leninismo vincente: “La mia fiducia nel socialismo mi è rimasta più viva che mai. Essa è tornata ad essere un bisogno di effettiva fraternità, un’affermazione della superiorità della persona umana su tutti i meccanismi economici e sociali che lo opprimono. Queste verità sono più antiche del marxismo. Non concepisco la politica socialista indissolubilmente legata ad una determinata teoria, però ad una fede sì. Quanto più le teorie pretendono di essere scientifiche, tanto più esse sono transitorie; ma i valori socialisti sono permanenti. Sopra un insieme di teorie si può costituire una scuola e una propaganda. Ma soltanto sopra un insieme di valori si può fondare una cultura, una civiltà, un nuovo tipo di convivenza tra gli uomini”.
Fonte: Critica Sociale
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