ALDA COSTA: LA VITA E L’AZIONE POLITICA

di Gherardo Pagnoni

Alda Costa nacque a Ferrara il 26 gennaio 1876 da Vincenzo e Caterina Zaballi. Studiò fino a conseguire il diploma di maestra elementare e iniziò la sua attività lavorativa nel 1895 con supplenze temporanee a Marrara, Boara, Fondo Reno, Quacchio, Spinazzino. Il 20 marzo 1897 partecipò al concorso magistrale consistente in una prova scritta, una lezione e un esperimento di pratica nei lavori femminili di cucito e ottenne l’idoneità.

Il 2 giugno 1899 il Consiglio Comunale di Ferrara la nominò insegnante elementare con effetto dal 1° settembre 1899 e con uno stipendio iniziale di 1.000 lire annue. Alda Costa partecipò intensamente e soffrì per la miseria e la generale denutrizione delle sue prime scolaresche percependo con grande chiarezza che tali miserabili condizioni di vita non potevano non influire negativamente sul profitto degli scolari. Da tale lucida analisi la Costa trasse le conseguenze di impartire da parte sua un insegnamento rigoroso ma anche la necessità di un impegno politico e sindacale a favore delle classi sociali più povere. Fu così che Alda arrivò, nel 1907, ad aderire alla Federazione di Ferrara del Partito socialista italiano e ad impegnarsi nella sua componente riformista.

L’attività politica di Alda, oltre a quanto sopra ricordato, fu particolarmente intensa tra le donne, tramite la fondazione di circoli femminili socialisti nelle campagne e la continuazione della lotta femminista-classista iniziata a Ferrara per iniziativa della concittadina Rina Melli, che si era avvalsa del periodico Eva.

Nel novembre del 1905 i sindacalisti rivoluzionari diventano maggioranza nella Federazione provinciale di Ferrara e i riformisti reagiscono con una scissione (Ahimè una delle tante che tormenteranno la storia del Partito Socialista italiano) cui aderiscono circoli socialisti e la stessa Costa che fino al riassorbimento della scissione (novembre 1906) collaborò al “Pensiero socialista”, organo ufficiale dell’ala riformista. Nel novembre 1913 i riformisti riconquistarono la maggioranza del movimento sindacale e politico del socialismo ferrarese. Da allora la Costa divenne l’animatrice del nuovo organo socialista ferrarese, fondato da lei con l’avvocato Francesco Baraldi, lo studente universitario Fabio Petrucci e un impiegato postale, “Bandiera socialista”.

Nel 1914 la direzione politica e sindacale del movimento socialista fu assunta da Gaetano Zirardini, chiamato da Ravenna dai riformisti ferraresi. I comuni ideali furono alla base di una lunga e sincera amicizia tra Alda e Zirardini.

Durante la prima guerra mondiale si rifiutò di accompagnare i suoi scolari alle manifestazioni patriottiche, rifiuto spiegato sulle colonne di “Bandiera socialista”  formulato in nome di una scuola umana e universale. Il 26 novembre 1916 il Congresso regionale del partito tenutosi a Bologna la nominò responsabile, per la provincia di Ferrara, della propaganda per la pace e dell’organizzazione femminile del partito. Nel dicembre 1916, al Congresso delle Amministrazioni socialiste, affermò che la scuola rappresenta il mezzo più adatto per formare le coscienze delle classi lavoratrici, pertanto le amministrazioni comunali devono sviluppare congrue condizioni di vita intorno alla scuola per sottrarla all’influenza dei partiti e conservarla al più assoluto indirizzo laico (quanta attualità in questa presa di posizione!).

Al Congresso straordinario provinciale socialista del 23 settembre 1917  l’ ordine del giorno finale, contenente un appello contro la guerra e a favore dell’unità proletaria internazionale, fu presentato dalla Costa e da Zirardini. Nel dopoguerra Alda si sforzò, purtroppo con poco successo, di mettere in guardia i militanti dalle facili illusioni rivoluzionarie e dall’esagerato ottimismo dei massimalisti.

Attenta lettrice dell’ “Ordine nuovo”, il 31 luglio 1920 osservò sulla “Scintilla” (organo della Federazione di Ferrara) :”L’unico tentativo, quello di Torino, per la costituzione dei Consigli di fabbrica, ha naufragato fra l’indifferenza dei più e lo scetticismo della stessa direzione del partito”.

Intanto il fascismo conquistava proseliti, molti dei quali già assertori di un altro tipo di violenza, quella rivoluzionaria. Lo squadrismo fascista non le risparmiò molestie e umiliazioni. Tra l’altro, per umiliare la sua femminilità, le dipinsero di nerofumo la zona pelvica.

In vista del XVIII° Congresso nazionale del Partito che si tenne a Milano dal 10 al 15 ottobre del 1921, coerente  con le sue posizioni di sempre, si schierò con la frazione unitaria di C. Alessandri e E. Musatti. Anche dopo la marcia su Roma continuò la sua battaglia contro il fascismo e, dopo la seconda scissione, quella del 1922, lavorò per entrambi i partiti socialisti organizzando riunioni clandestine e cercando di aiutare i detenuti. Purtroppo, delle divisioni dei socialisti approfittarono i fascisti che in soli tre mesi, nel 1921, distrussero le istituzioni democratiche con la violenza e la demagogia.

Le persecuzioni nei confronti della maestra ferrarese aumentano. Viene richiamata dai superiori perché si rifiuta di salutare romanamente, ma si difende scrivendo al Sindaco di Ferrara.

Accusata di antipatriottismo perché si era rifiutata di condurre i suoi scolari ad assistere all’esaltazione di episodi sanguinosi della guerra 1915/1918,  Alda risponde all’attacco scrivendo una lettera alla Gazzetta Ferrarese che non la pubblica per cui  deve accontentarsi di farla pubblicare su “Bandiera socialista”, accompagnata da una nota di Zirardini.

“Ma proprio che non si possa parlare di Patria senza parlare di guerra? Che ai fanciulli non si possa insegnare ad amare la propria terra, ad apprezzarne le bellezze, a volerla civile e stimata, senza far balenare loro davanti agli occhi, immagini di rovina, di ferocia e di morte? L’amor di Patria dunque sta tutto nell’esaltazione della guerra…Questa povera anima di fanciullo è ormai troppo insidiata da immagini di violenza e di sangue…Dall’articolo del giornale al racconto udito dalla viva voce, dai giochi al cinematografo, dalla cartolina illustrata all’incisione della “Domenica del Corriere”, è un’insidia persistente, che turba la coscienza del fanciullo e ne inclina l’animo alla violenza.

C’è, nell’atto da me compiuto, la reazione a tutto questo indirizzo educativo e c’è l’affermazione che la scuola deve essere umana e universale, non suscitatrice di odi e di desideri di vendetta…”

Certo, il momento non era il più adatto per sperare che i pescicani arricchiti dalla guerra smettessero di seminare a piene mani il seme della violenza.

Un periodo felice per il socialismo ferrarese si registrò dopo il primo dopoguerra, quando il Partito conquistò  le amministrazioni comunali e quella provinciale.

Ma le sofferenze della nostra compagna sono terribili: mentre passeggia per le strade di Bologna, viene riconosciuta e segnalata da un ferrarese; si rifiuta di inneggiare al fascismo. Tanto basta perché trecento fascisti la insultino e bastonino.

Nel 1926, Alda rifiuta di giurare fedeltà al regime; le perquisiscono la casa e vi trovano il ritratto di Matteotti (assassinato due anni prima). I due episodi forniscono alla giunta comunale la scusa per licenziarla ma l’ avvocato Mario Cavallari ne assume il gratuito patrocinio e ottiene l’annullamento del provvedimento dal Consiglio di Stato.

Trasferitasi a Milano, viene arrestata e confinata prima alle isole Tremiti e poi in un piccolo paese della Basilicata.

Rientrata a Ferrara stanca e sofferente dopo il confino, si dedica all’insegnamento privato, per lo più a favore dei poveri che non possono pagarla. Riesce ad avere solo episodici contatti con i compagni. Pochi vanno a trovarla: Archilinio Aleotti, Carletti, Canella, Zanzi, il tipografo Ugo Saletti che, incurante del pericolo, stamperà di nascosto tutta la propaganda antifascista,  Gigetto Calderoni.

Ma l’indomita organizzatrice riesce a riannodare le fila degli antifascisti, finché un agente dell’ Ovra arresta lei e un gruppo di compagni e la sottopone ad estenuanti interrogatori nel tentativo di farla parlare della rinnovata organizzazione socialista; la tiene anche a pane e acqua per un mese, la insulta, la minaccia. Tutto inutile, dalle labbra di Alda non esce né un nome né un particolare.

Il 25 luglio 1943 la Costa viene liberata, ma gli amici non la riconoscono: i patimenti l’hanno ridotta a uno spettro. Ma quanta vitalità c’è ancora in lei! L’ 8 settembre ha nelle sue mani la trama di tutta l’organizzazione socialista della provincia. Nella “lunga notte” del 15 dicembre 1943 venne arrestata e tradotta alle carceri di Copparo ma poi ricoverata nel localo ospedale dove morirà, il 30 aprile 1944, a causa di una strana “leucemia linfatica cronica”, in realtà sfinita per il crudele trattamento e le percosse subite in carcere. Prima di morire riesce a comunicare questo messaggio al pretore di Copparo: “Dica ai miei compagni che sono rimasta fedele al mio ideale”.

Molto opportunamente sono state intitolate ad Alda Costa due scuole, una a Vigarano Mainarda e l’altra in città; in quest’ultima ha studiato anche l’estensore di queste note.
In occasione del 43° anniversario della morte, una delegazione dell’ Istituto di Studi Storici dell’ Emilia – Romagna “Alda Costa”, composta dal Presidente A. M. Virgili, dal componente del Comitato scientifico G. Pagnoni e dal Direttore S. Soffiatti, ha deposto una corona di fiori nell’atrio dell’ Ospedale di Copparo.

Fonte: istitutoaldacosta.org