Irma Marchiani nasce in Toscana, a Firenze, il 6 febbraio del 1911. Il padre Adamberto lavora in ferrovia, la madre Assunta si occupa della casa e dei figli: Irma e Pietro. La famiglia è costretta spesso a cambiare residenza: il padre deve spostarsi per trasferimenti, imposti soprattutto da atteggiamenti “punitivi” dell’Amministrazione ferroviaria nei suoi confronti. Adamberto esprime infatti un dichiarato impegno politico e sociale e animato da forti sentimenti di giustizia, partecipa in quegli anni alle lotte che i ferrovieri e altre categorie di lavoratori conducono per conquistare migliori condizioni di vita e più ampi spazi di libertà politica e civile. Egli aderisce così agli scioperi del 1914 e alle manifestazioni di lotta tese a impedire il coinvolgimento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1915 il ferroviere Marchiani viene trasferito per punizione da Firenze alla Spezia e la famiglia lo segue. Nel 1916 in casa Marchiani nasce Palmira, l’ultima figlia, quella che Irma chiama affettuosamente “Pally” e verso la quale continuerà negli anni ad avere un affetto particolare. Ed è proprio alla “adorata Pally” che, pochi minuti prima della fucilazione, indirizza l’ultima lettera, affidandole il suo estremo saluto e ricordo.
Gli anni in cui Irma frequenta la scuola sono quelli della violenza fascista: nel corso di tale periodo impera lo squadrismo, complici e conniventi monarchia e forze dello Stato. Fascisti armati assaltano, incendiano, distruggono le Camere del lavoro, le Cooperative, i Municipi socialisti, conquista e baluardo di difesa sociale e di emancipazione civile e culturale.
Nel 1922 c’è la marcia su Roma, il Fascismo si insedia al governo dello Stato e nel corso di pochi anni vengono soppressi i Sindacati, sciolti e proibiti i Partiti politici, svuotato di funzioni il Parlamento, imbavagliata la stampa e istituito il Tribunale speciale per giudicare e condannare chi è considerato oppositore del regime. Irma, ormai adolescente, vive quel clima, ed è facile intuire come cominci a manifestarsi in lei un sentimento di profonda avversione contro il sopruso, l’attacco e l’offesa ai valori umani e civili in cui, ancora bambina, ha cominciato a credere. Ciò anche nel ricordo del nonno garibaldino, tanto che fin dalla fanciullezza, spesso Irma porta sul petto la stella a cinque punte dei volontari garibaldini. In questo pesante clima il licenziamento del padre costringe Irma, nel 1924, dopo aver conseguito la promozione alla classe VII, a lasciare la scuola e a cercare un’occupazione per contribuire al bilancio familiare.
Si impiega presso una modista e impara il lavoro con rapidità. Abilità manuale, fantasia, buon gusto e grande volontà di aiutare la famiglia la spingono a disegnare e confezionare a casa, oltre le ore di impiego, modelli di sua creazione. Licenziata, Irma troverà successivamente lavoro come vetrinista in un grande magazzino di confezioni. Di carattere dolce ed equilibrato, rivela un animo aperto alla bellezza che cerca di cogliere e di tradurre in ogni sfumatura, con l’amore dell’autodidatta. Negli anni Trenta frequenta anche un corso di disegno anatomico all’Accademia di Belle Arti di Carrara.
Forte di intelligenza e di animo, Irma non lo è però altrettanto nel fisico. A tale proposito, per motivi di salute, frequenta annualmente Sestola, sull’Appennino modenese, dove si svolge l’ultima, drammatica parte della sua vita. Dopo l’8 settembre 1943 Irma si trova appunto sull’Appennino modenese e in questo periodo, assai importante per la sua maturazione personale, Irma compie una riflessione sugli ideali da perseguire, definiti in una sua lettera «alti e belli», decidendo di essere parte della Resistenza, con il nome di battaglia di Anty.
Diventa dapprima staffetta informatrice, poi, distinguendosi e suscitando la fiducia del suo comandante, il quale crede che ella celi nel suo sguardo le doti di un buon comandante, diventa vice comandante del battaglione Matteotti, Brigata Roveda, Divisione Modena. Partecipa alla battaglia di Montefiorino e, mentre tenta di far ricoverare in ospedale un partigiano ferito, viene catturata. Condotta nel campo di concentramento di Corticelli a Bologna, subisce qui tortura e sevizie. Dopo il processo, in cui prima è emessa contro di lei una condanna a morte, poi commutata nella deportazione in Germania, nonostante la difficile situazione, riesce a reagire e fugge per ricongiungersi al proprio battaglione. In questa seconda fase della sua vita partigiana opera in qualità di commissario politico, infermiera e combattente. Infine, l’11 novembre del 1944, nel tentativo di attraversare le linee con i suoi compagni di lotta, senza avere più a disposizione munizioni, è sorpresa, insieme alla staffetta Gaetano Ruggeri, presso Benedello da una pattuglia tedesca. Condotta a Pavullo nel Frignano (Modena), è processata il 26 novembre del ’44 da ufficiali del comando tedesco di Bologna, i quali la condannano a morte. Viene così fucilata alle 17 dello stesso giorno vicino alle carceri di Pavullo con Gaetano Ruggieri, Renzo Costi e Domenico Guidoni.
Dopo la Liberazione viene concessa a Irma Marchiani la Medaglia d’oro al V.M. alla memoria. La medaglia è appuntata sul petto del fratello di Irma in una pubblica cerimonia tenuta alla Spezia il 2 giugno 1952.
Nella motivazione della Medaglia d’oro, pubblicata il 3 settembre 1951 sulla Gazzetta Ufficiale, sta scritto:
«Valorosa partigiana, animata da ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo del pericolo nella battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel generoso tentativo di far ricoverare in un luogo di cura un compagno gravemente ferito. Condannata alla deportazione e riuscita audacemente ad evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava al combattimento di Benedello, battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nell’amorosa assistenza ai feriti. Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava impavida la morte offrendo fieramente il petto al piombo che troncava la sua bella esistenza».
*Ebbene, compagne, nel nome di questa nostra compagna sino ad oggi stranamente ignorata; nel nome di tutti i caduti nella guerra di liberazione, voi dovete continuare la lotta che non è terminata il 25 aprile 1945. Dovete continuare questa lotta, perché diventino realtà le finalità della Resistenza. Noi non ci battemmo, allora, solo per cacciare i tedeschi e spazzare via i resti del fascismo; ma anche e soprattutto perché divenissero realtà la libertà, la giustizia sociale, la pace.
*Dal discorso pronunciato da Pertini a Roma il 14 maggio 1954 al IV Convegno Nazionale delle donne socialiste – Tratto dal libro: Sandro Pertini L’autunno del centrismo e l’alternativa socialista Scritti e discorsi: 1953-1958 a cura di Stefano Caretti
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.