Dodici vigili urbani e postini, insieme ad alcuni militari italiani sono fucilati in piazza
Il Colonnello Grasso un eroe che preferì il lager all’adesione ai fascisti e fu incriminato dai generali
La battaglia di Barletta è rimasta per tanto tempo un episodio rimasto tra gli episodi minori della lotta di liberazione dal nazifascismo anche perché i generali di Badoglio, quelli che se la squagliarono senza dare ordini ai propri uomini come difendere il nostro paese e se stessi dalla ferocia nazisti, cercarono di gettare fango proprio su quegli ufficiali e soldati che invece sin dal primo momento si schierarono in armi contro nazisti e fascisti collaborazionisti. Così fu per Bellomo che pagò con la morte la liberazione di Bari, così cercarono di fare col colonnello Grasso che condusse la battaglia di Barletta contro i paracadutisti tedeschi, della “Goering” l’elite di Hitler e che solo quando rimase senza munizioni e con il paese minacciato di esser messo a fuoco dai nazisti decise di arrendersi.
Dal diario del colonnello Grasso:
“31 dicembre – fine dell’anno 43 – Tristezza infinita. Sappiamo che un’altra settantina di Ufficiali Superiori hanno aderito alla Repubblica Fascista. Sono da biasimarsi o da condannarsi, dato che nessuna vera fede ha potutomuoverli, ma solamente un senso di opportunismo e la fame? Quando degli uomini come noi sono stati ridotti, senza alcuna loro colpa, allo stato di esseri inferiori e sottoposti ad ogni specie di umiliazione e di privazione; quando da quattro mesi soffrono la fame i cui stimoli diventano sempre più tormentosi; quando essi hanno dovuto prima recuperare le briciole di patate rimaste attaccate alle bucce e poi divorare le bucce stesse; quando sono stati messi nelle condizioni di frugare nelle immondizie come cani randagi e di precipitarsi sui mastelli del rancio per raccogliere, con le mani o col cucchiaio gli avanzi melmosi della “sbobba”; quando, dopo aver tutto ingerito, sono ancora portati a masticare e ad ingoiare saliva; quando neppure nel sonno possono trovare sollievo; quando a loro testa è permanentemente vuota e la loro mente torpida sì che difficile riesce formulare un pensiero ed esprimerlo in parole; quando ogni minimo loro atto diventa fatica; quando questa miseria, morale e fisica, potrà perpetuarsi ed aggravarsi senza limite di tempo e di misura; quando essi si sentono da tutti abbandonanti e sul loro animo e sul loro cuore premono particolari situazioni di famiglia, un giudizio veramente sereno sulla grave decisione da loro presa, non può essere formulato. Solo chi ha sofferto, soffre e sopporta queste cose può comprendere. Ed io penso che, per questi uomini, indeboliti nel fisico, nel morale e nella volontà, l’accettare il ricatto loro proposto, sia stato solamente considerato come mezzo di liberazione. Ad essi è venuta a mancare la facoltà di discernere gli altri aspetti della cosa. Dio mi conceda la forza per resistere”.
LA BATTAGLIA DI BARLETTA
Riportiamo quanto descrive la ricercatrice Tarantino in suo interessante lavoro di inchiesta storica.
A Barletta si ebbe il primo tentativo di resistenza organizzata, contro l’invasore tedesco, da parte di un Presidio Militare che riuscì a tenere in scacco ed a fermare i mezzi corazzati della Divisione Goering. Con un cannoncino anticarro da 47/32 dotato di un numero limitato di munizioni, ben piazzato ed abilmente manovrato dal tiratore scelto, Sergente Guido Giandiletti, agli ordini delComandante della Compagnia, Tenente Vasco Ventavoli, fu sbarrata la strada all’avanguardia della Divisione Corazzata tedesca proveniente da Andria. Barletta sperimentò per prima, in Italia, la feroce durezza della legge di guerra germanica in fatto di rappresaglia in caso di cruenta offesa, ai suoi soldati, da parte di civili. Durante i vari scontri verificatisi nei giorni 11 e 12, prima che la preponderanza dei mezzi tedeschi avesse il sopravvento, i nostri “soldatini”, armati di moschetto e di qualche mitragliatore, catturarono ed imprigionarono nel Castello un centinaio di soldati germanici. La rabbia teutonica, per lo smacco subito il giorno precedente, si sfogò il 12 settembre, barbaramente, non solo bombardando e sparando alla cieca contro inermi cittadini, ma sfregiando, a cannonate, palazzi, chiese, monumenti e, persino, l’ospedale.
ATTACCO ED OCCUPAZIONE DELLA CITTA’
Alle prime luci dell’alba del 12 settembre 1943 il Capo della Stazione FF.SS. di Barletta, Sig. Carrozzini, telefonò al Comando del Presidio per comunicare che un consistente nucleo di tedeschi, aggirandosi lungo la linea ferroviaria per Bari, aveva occupato il casello ferroviario al passaggio a livello di Via Andria e, cioè, alle spalle delle truppe messe a sbarramento di tale strada nella zona delle Casermette. Venne dato immediatamente l’allarme alle truppe di Via Trani, di Via Andria e di Via Canosa. Comunicata la notizia al Comandante delle truppe, Colonnello Aiello, questi inviò immediatamente il Plotone Ciclisti del Comando 546° Battaglione Costiero a sua disposizione, nella zona segnalata. Dopo una breve scaramuccia, vennero catturati una ventina di soldati tedeschi che furono condotti al Castello. Verso le ore 7,30 il Colonnello Aiello comunicò al Comando del Presidio che una colonna tedesca, bene armata, con carri armati, cannoni ed una quarantina di autocarri carichi di truppe, aveva attaccato il caposaldo al Ponte sull’Ofanto e, dopo un aspro combattimento, aveva sopraffatto le truppe colà dislocate. Oltrepassato il Ponte sull’Ofanto che, contrariamente a quanto previsto e disposto, non era stato fatto saltare, la colonna continuava a sua avanzata su Barletta, contrastata solo dalla Compagnia collocata all’altezza del Cimitero. Si vedrà in seguito perché, contrariamente a quanto previsto e disposto, il ponte non era stato fatto saltare al momento opportuno.
Contemporaneamente nel cielo di Barletta comparvero tre Stukas che sganciarono sulla città bombe e spezzoni incendiari e mitragliarono il Porto e le Casermette di Via Andria. La contraerea, che entrò in funzione con un certo ritardo, fu debole ed imprecisa nonostante i tre Stukas volassero a quota bassa e le condizioni di visibilità fossero ottimali. Alle ore 8,00 il Comandante delle truppe comunicò al Comando di Presidio che la Compagnia di Via Canosa, attaccata frontalmente ed aggirata sul fianco destro, era stata sopraffatta e che i Tedeschi erano, ormai, in Città. Nello stesso tempo giunse al Comando del Presidio un Sottufficiale italiano che comunicò al Colonnello Grasso di aver ricevuto l’incarico dal Comandante della colonna tedesca di intimare la resa entro le ore 8,30 con la minaccia, in caso di rifiuto, di mettere a ferro e fuoco la città. Il Sottufficiale precisò, inoltre, che i Tedeschi, in grande numero, erano alla periferia della Città e bloccavano le strade di accesso alla stessa. Il Colonnello Grasso, sorpreso per il modo irrituale in cui gli veniva intimata la resa, decise di guadagnare tempo, rimandando il Sottufficiale dal Comandante tedesco con l’incarico di riferire che attendeva un suo incaricato. Intanto al Comando di Presidio, si ebbe la netta e precisa sensazione di ciò che stava avvenendo: il crepitio della fucileria e delle mitragliatrici ed i colpi di cannone erano sempre più vicini al centro cittadino. Venne rapidamente esaminata la situazione alla luce degli
avvenimenti che convulsamente si succedevano:
– il nucleo principale e più efficiente delle forze addette alla difesa (il Battaglione Costiero) non esisteva più;
– i Tedeschi, con schiacciante superiorità di mezzi e di armamenti, erano padroni della Città;
– le truppe di Via Trani e di Via Andria erano, per tale fatto, virtualmente tagliate fuori; una massa di circa quattromila uomini (militari a servizio sedentario richiamati nell’agosto del ’43), non ancora completamente vestita ed equipaggiata, disarmata e, quindi, alla completa mercè del nemico, si trovava nelle Casermette funzionali di Via Andria;
– nessuna possibilità di un ordinato e regolare ripiegamento di dette truppe in Città o fuori di essa, dato che le strade erano bloccate dai Tedeschi;
– nessuna speranza, ormai, di aiuti tempestivi dall’esterno e nessuna possibilità di nuove richieste per la mancanza di collegamenti con i Comandi Superiori;
– sempre incombenti, sulla Città e sulla popolazione civile, le minacce già formulate dal Comandante tedesco;
– nessuna possibilità di una ulteriore, utile resistenza dato che la sproporzione dei mezzi già esistente, era ormai diventata enorme. Erano, infatti, rimasti a disposizione, nel Castello, solo un centinaio di Militari scritturali del
Reparto distrettuale, in gran parte inabili, non addestrati militarmente e non impiegabili in combattimento, armati di moschetto e con sole due mitragliatrici in dotazione.
In tale critica e dolorosa situazione il Colonnello Grasso ritenne non esservi altra scelta che evitare, con la cessazione della resistenza, ogni ulteriore, inutile spargimento di sangue e distruzioni, soprattutto perché correva un gravissimo rischio la popolazione civile. Egli diede, pertanto, ordine in tal senso ai Comandi dipendenti alle ore 9,00 mentre carri armati, cannoni e truppe tedesche, giungevano in Piazza Castello. Subito dopo i Tedeschi irruppero nel Castello, catturando gli Ufficiali del Distretto e la truppa del relativo Reparto con il Colonnello Grasso che fu vilmente aggredito e colpito da due teppisti tedeschi. In quel mentre si presentò al Castello, accompagnato da due tedeschi, il Comandante Militare della Stazione Ferroviaria di Barletta (Capitano Donato Latella) per imporre al Colonnello Grasso, a nome di altro Ufficiale tedesco, nuovamente la resa, pena la fucilazione del Picchetto Armato catturato alla Stazione Ferroviaria e la distruzione della Città. Il Colonnello Grasso gli rispose che, come poteva constatare, non vi era ormai più nulla da fare. Egli, ferito e sanguinante, fu portato via su un motocarrozzetta.
Dai suoi ufficiali in seguito viene a conoscenza che i Tedeschi hanno, in Barletta, fucilato, per rappresaglia, 12 Vigili Urbani e diversi militari trovati in abitazioni civili. Incendio della Stazione Ferroviaria e che, nell’interrogatorio loro rivolto, hanno tentato di far passare per cartucce dum-dum, quelle di mitraglia che erano in distribuzione alla Truppa.
Dal Diario del col Grasso:
Giungo il 23 settembre al Campo di Concentramento di Harmenstein (Pomerania) dove, dopo una nuova minuta perquisizione, vengo, con gli altri, buttato in una lurida baracca.
Invitato ad arruolarmi nelle SS, rifiuto.
Il 27 settembre 1943 sono condotto a Tschenstockau (Polonia), dove giungo il successivo giorno 29. Invitato ad arruolarmi nell’Esercito Repubblicano Fascista, non aderisco.
Il 4 novembre 1943, giunge al Campo di Tschenstockau il Generale Renato Coturri, già Comandante della Difesa di Treviso, che tiene a tutti gli Ufficiali, rinchiusi nel Campo e per vari giorni, discorsi di propaganda per ottenere adesione all’idea repubblicana (Repubblica Sociale di Salò – N.d.A.).
In uno di essi, mentre promette trattamenti di favore agli aderenti, avverte che, contro gli “ostinati”, si sarà implacabili.
La formula di adesione presentata è la seguente:
«Aderisco all’idea repubblicana dell’Italia Repubblicana Fascista e mi di chiaro
volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo nuovo Esercito Italiano
del Duce, senza riserve, anche sotto il comando supremo tedesco, contro il comune nemico
dell’Italia Repubblicana Fa scista del Duce, e del Grande Reich Germanico».
Si fa affidamento sulla fame che, da tempo, ci tormenta.
Rifiuto ancora, come resisto sempre alle pressioni che dal Novembre ’43 e, periodicamente nel ’44, sono fatte per l’adesione al Fronte del Lavoro” (richiesta di collaborazione, in varie forme, con i Tedeschi – N.d.A.).
Ebbene cosa fa lo staff di generali vigliacchi di Badoglio lo incrimina… e dobbiamo pensare che la sua fortuna fu quella di esser prigioniero dei tedeschi altrimenti magari avrebbe fatto la fine del generale Bellomo: FUCILATO!!
RIPRENDIAMO LA LETTURA DELLO STUDIO DELLA Tarantino:
La relazione venne trasmessa il 31 marzo 1944, dal Generale Roberto Lerici, colui che pensò bene di “ripiegare” su Brindisi già dal giorno 10 settembre, alla Procura Militare del re Imperatore presso il Tribunale Militare di Guerra di Bari “con preghiera di esaminare i fatti alla stregua delle responsabilità e di procedere a carico dei singoli”.
Il 4 ottobre 1943, il Procuratore Militare del Regno, tenente Colonnello Giovanni Grilli, così provvide:
Tribunale Militare di Guerra – Bari
“Il P.M. letti gli atti, vista la delega da parte dell’Eccellenza, il Comandante del IX Corpo d’Armata in data 28/10/1941 e la lettera della stessa Eccellenza in data 31/03/1944 n. 7274/1 di Protocollo, ordina che si registri e si proceda, con rito formale, a carico di:
1) Grasso Francesco, Colonnello, per resa (Art. 103 C.P.M.G.)
2) Aiello Tommaso, Colonnello, per omessa esecuzione di incarico (Art. 100 capoverso 1° C.P.M.G.)
E si chiede la cattura del primo, la comparizione del secondo.
Con riserva di altre imputazioni”.
Solo alla fine della guerra e con il colonnello Grasso ritornato vivo dal lager giunse la richiesta del Giudice Istruttore, dello stesso P.M. Generale G. Grilli, formulata dopo lunghe ed approfondite indagini, il 4 ottobre 1947, che chiedeva “non doversi procedere”.
Fonte: Archivio storico Benedetto Petrone
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