PARTIGIANI ED EMIGRANTI QUANTI PUGLIESI UCCISI

di Vito Antonio Leuzzi

Riemergono le storie dei coraggiosi 1266 che lottarono in Piemonte contro fascismo. Anche donne: le «primule»

Puglia è da scoprire, voglio dire che vi sono cose da noi che meriterebbero maggiore attenzione da parte del resto d’Italia». Era il 1965.

Con queste parole Tommaso Fiore, in una conferenza a Torino, in occasione delle celebrazioni nazionali della Resistenza e della fine della guerra, su invito della «Unione meridionale degli immigrati» e del «Centro Gobetti», ricordava ad un folto pubblico di immigrati l’emancipazione culturale e sociale della Puglia al contempo un aspetto meno conosciuto, «l’apporto del Sud alla lotta antifascista ed alla Resistenza».

L’«Istoreto» (Istituto storico della resistenza in Piemonte) e il Comitato della Regione Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e della Costituzione, presenta i risultati di una ricerca sul contributo del Sud alla resistenza in Piemonte. Migliaia di pugliesi si distinsero nella lotta di liberazione, in particolare militari di tutte le armi che, dopo l’armistizio del settembre del 1943, opposero un netto rifiuto al nazi-fascista, schierandosi con il movimento partigiano. Quest’ultimo s i caratterizzò anche per una nutrita presenza di giovani esponenti di famiglie emigrate dalla Puglia a Torino negli anni Venti. Gli storici dell’«Istoreto» hanno censito 1266 pugliesi, su oltre 6000, provenienti da tutto il Mezzogiorno e direttamente coinvolti nell’attività resistenziale, tra il settembre del 1943 e il maggio del 1945.

La Puglia, subito dopo la Sicilia, fu la regione del Sud con il maggior numero di partigiani caduti in combattimento, fucilati e deportati. Gli aderenti alla lotta di liberazione, originari della Provincia di Bari furono 505 (il numero più alto tra le provincie meridionali), subito dopo ritroviamo Foggia con 338, Brindisi con 146, Lecce con 134 ed infine Taranto con 111. Tra i resistenti della Terra di Bari si contarono circa venti donne operaie, impiegate, casalinghe provenienti da famiglie emigranti tra le due guerre mondiali da Barletta.

Santeramo in Colle, Conversano, Canosa, Molfetta. Tra queste ultime tre sorelle: Arcangela De Palma (nome di battaglia Emily), Antonietta (Nucci) e Luisa (Primula), la prima insegnate e le altre impiegate, tutte residenti a Torino, che collaborarono con la «3 divisione Alpi Servizio X». Un gruppo consistente di immigrati ebbe un ruolo rilevante nelle iniziative più rischiose, tra cui, Dante Di Nanni, eroe nazionale e medaglia d’oro al valore militare (nato a Torino nel 1925 subito dopo il trasferimento della sua famiglia da Andria), che dopo una serie di azioni coraggiose nel cuore della capitale piemontese fu sopraffatto ed ucciso il 18 maggio del 1944 nell’alloggio di via S. Berardino (Borgo San paolo): i fratelli Vincenzo ed Antonio Biscotti originari di Peschici, il primo medaglia d’argento al valore militare (nome di battaglia «Mitra 1»).

Immigrati nel Biellese che al comando di una brigata «Matteotti» dopo un rastrellamento messo in atto da tedeschi e fascisti furono uccisi in combattimento nel febbraio 1945 presso Pollone (Biella). Molti altri pugliesi, soprattutto militari caddero in combattimento o furono deportati per rappresaglia in Germania, tra cui Giovanni Barbarossa originario di Canosa di Puglia deceduto in campo di concentramento nel marzo del 1944. Tra i giovani immigrati assunti alla Fiat negli anni della guerra e molto attivi negli scioperi del 1943, ritroviamo Vito Damico (Douglas), nato a Barletta il 28 ottobre 1925, ed inquadrato nelle file della Brigata SAP «Eugenio Curiel».

Questo coraggioso combattente nel dopoguerra fu responsabile sindacale di fabbrica e deputato in parlamento nelle file del Pci. Nomi, storie, lotte finite nel sangue. In base ai risultati di questa corposa indagine iniziata vent’anni fa, la valutazione complessiva delle vicende della lotta resistenziale assume un nuovo volto sul piano storiografico e politico-civile, rappresentando un notevole contributo al consolidamento dell’identità nazionale.

Tra le tante vicende della Resistenza in Piemonte balza all’attenzione il Diario di Michele D’Aniello, nato a Terlizzi il 10 gennaio 1924 che all’età di 19 anni fu assegnato come soldato di leva all’ 84 Reggimento dislocato ad Ivrea nell’Alto canavese. Michele, dopo l’armistizio, con l’aiuto di un terlizzese in servizio nella Guardia di finanza trovò rifugio da alcuni parenti emigrati a Torino ed in seguito assunse la decisione di partecipare alla lotta di liberazione nella 47 Brigata d’assalto «Garibaldi».

D’Aniello, descrive con precisione l’attacco nazi-fascista condotto con mezzi pesanti in località «Voira» ed al comune di Pont Canavese, «Il primo carro armato che si avvicinò al paese, a distanza di circa 500 metri in linea diretta, lanciò una sola cannonata che colpì la facciata di una abitazione, come esempio di saluto alla cittadinanza e poi con l’entrata dei nazifascisti s’iniziò l’incendio di una scuola, mentre la popolazione terrorizzata fu sottoposta al coprifuoco». Il reparto del giovane di Terlizzi si spostò più in alto, a Ronco Canavese, dove l’intera popolazione fraternizzò con i partigiani. Durante l’insurrezione di Torino il suo reparto si trovò nella zona di Rivarossa per vigilare e salvaguardare la popolazione per eventuali rappresaglie da parte di repubblichini e nazisti.

Michele D’Aniello, nonostante la salute malferma, è uno dei più attivi difensori nel suo paese natale dei valori della democrazia e della Costituzione repubblicana.

La Resistenza continua.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno