di Walter Galbusera
La Lidl, leader in Italia nella grande distribuzione e non aderente a nessuna organizzazione imprenditoriale, ha firmato per la prima volta un contratto collettivo integrativo che risconosce al sindacato il ruolo di autorità salariale – La novità può avere effetti di grande rilievo soprattutto sulle imprese della Federdistribuzione, da Esselunga a Ikea, da Carrefour a Auchan e a Zara
La multinazionale tedesca Lidl, leader in Italia nella grande distribuzione per la tipologia del discount (600 filiali in ciascuna delle quali lavorano tra 20 e 25 addetti per un totale complessivo di circa 14.000 dipendenti), non associata ad alcuna organizzazione imprenditoriale, ha firmato il 5 marzo scorso per la prima volta un contratto collettivo integrativo riconoscendo al sindacato il ruolo di autorità salariale.
L’intesa è stata sottoscritta per il momento solo dai sindacati di categoria Uil e Cisl che insieme rappresentano la grande maggioranza degli iscritti. Non è peraltro escluso che nei prossimi giorni si aggiunga la firma della Cgil. Un’alternativa procedurale politicamente forte, su cui non c è un’intesa unitaria, potrebbe essere quella di indire un referendum, affidando in ultima istanza la decisione ai lavoratori che la eserciterebbero in piena libertà e responsabilità.
L’accordo è considerato un successo per i firmatari, tanto più se si tiene conto del fatto che il testo richiama esplicitamente il contratto collettivo nazionale già sottoscritto dalle tre organizzazioni con la Confcommercio, integrato oggi dal nuovo accordo integrativo, particolarmente interessante in materia di welfare. Per inciso non vi è stata contrattazione integrativa di salario diretto (come ad esempio il premio di produzione) in quanto nel modello contrattuale tedesco questa materia è affidata al contratto nazional-aziendale.
Sotto il profilo formale la Lidl, non essendone associata, non era vincolata all’accordo Confcommercio ma lo applicava come decisione unilaterale mantenendo la propria autonomia contrattuale. La società tedesca non ha adottato organicamente il modello Fiat-Chrysler, (un vero e proprio contratto nazionale ex novo applicato ad una singola impresa), ma ha concordato l’applicazione del CCNL Confcommercio con il sindacato che, da parte sua ha raggiunto anche l’obiettivo di dare un contratto integrativo a lavoratori che ne erano sprovvisti. Altre aziende del settore, non aderenti ad alcuna associazione datoriale, potrebbero seguire un percorso analogo a quello della Lidl.
Le potenziali conseguenze più interessanti riguardano però le aziende aderenti a Federdistribuzione. L’associazione della grande distribuzione, uscita alcuni anni fa dalla Confcommercio, non riconosce il CCNL Terziario da quest’ultima sottoscritto il 31 marzo 2015 e continua ad applicare il vecchio CCNL 2011. La posizione di Federdistribuzione era fondata sulla volontà di ottenere condizioni contrattuali più aderenti alle caratteristiche del comparto; dopo quattro anni, senza alcuna intesa con il sindacato, questo obiettivo non è stato raggiunto ma le imprese hanno comunque dovuto erogare aumenti salariali (pur inferiori a quelli del nuovo contratto Confcommercio), per evitare l’accusa di non rispettare l’art. 36 della Costituzione”.
Seguendo la strategia degli accordi nazional-aziendali i sindacati potrebbero avviare nei confronti delle singole imprese aderenti a Federdistribuzione (ne fanno parte tra le altre Esselunga, Finiper, Carrefour e Auchan, Ikea, Zara) una mobilitazione per ottenere lo sblocco dell’impasse contrattuale.
Lo stesso modello potrebbe essere adottato nei confronti della grande cooperazione. E’ una vecchia tattica del sindacato che, di fronte ad una trattativa con le associazioni imprenditoriali che non dà risultati, apre una vertenza con le singole imprese. In passato, particolarmente nei settori industriali, ha ottenuto discreti successi. Se si aprisse questa prospettiva (su cui il sindacato sta riflettendo), saremmo di fronte, in termini di strategie contrattuali, ad un elemento di grande novità che avvicinerebbe le relazioni industriali nel terziario al modello contrattuale tedesco, nel quale coesistono contratti collettivi nazionali firmati dal sindacato con le associazioni imprenditoriali e contratti collettivi nazional-aziendali sottoscritti con le singole imprese.
L’aspetto più interessante per il sindacato sarebbe quello di garantire a tutti i lavoratori del comparto una base minima garantita, che nelle fattispecie oggi viene individuata nel contratto Confcommercio, applicato prevalentemente nelle medie e piccole imprese (ma che interessa 2 milioni di lavoratori), lasciando alla contrattazione integrativa nelle aziende di maggiori dimensioni la possibilità di distribuire, anche attraverso prestazioni di welfare, parte delle risorse generate dalla produttività e dalla redditività aziendale. Non mancano peraltro difficoltà oggettive, costituite dalle criticità che nel momento attuale attraversano molte aziende della grande distribuzione. Ma l’assetto a “geometria variabile“della contrattazione, lungi dall’essere un disegno astratto di architettura sociale, risponde alla necessità di garantire il massimo risultato possibile a una platea di lavoratori occupati in aziende che hanno tra loro caratteristiche e margini di profitto differenti. Il risultato di questo approccio pragmatico, trasferendo al fattore lavoro un monte salari complessivo più elevato, costituisce un modello più efficace di redistribuzione del reddito.
Fonte: firstonline.info
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