CONFERENZA PROGRAMMATICA RIMINI 2019. APPUNTI PER UNA DISCUSSIONE

Proposte:

1) Europa

2) Costituzione e assetti istituzionali

3) Economia e occupazione

4) Fisco e redistribuzione della ricchezza

5) Legislazione del lavoro

6) Questione meridionale

 

Europa

Premessa:
Si propone la promozione dell’Unione Europea in una federazione di Stati dotata di una moneta unica l’Euro.
I paesi non appartenenti alla moneta unica, dovrebbero far parte del mercato unico, perdendo tutti i diritti di decisione che riguarderebbero unicamente i Paesi aderenti alla moneta unica.
Ovviamente ciò comporta la rivisitazione dei Trattati e degli assetti istituzionali per renderli coerenti al disegno dell’Europa federale.

Riguardo ai trattati europei e più in generale ai trattati transnazionali, come è noto la Costituzione vigente non consente referendum confermativi. Si potrebbe introdurre l’obbligo di indire referendum consultivi.

Opporsi alla trasformazione del fiscal compact in trattato.

Rilanciare un quadro politico di “legittimazione” dell’Europa che è priva di una Costituzione;

Il Parlamento di Strasburgo ha conquistato nuove competenze, ma rimane un organismo molto diverso dai Parlamenti nazionali, attribuire funzioni simili ai Parlamenti nazionali?

Il Consiglio europeo che ha poteri decisionali e conferisce alla Commissione le competenze delle norme che stabilisce. Nell’ipotesi di un Parlamento con funzioni legislative, si ritiene che possa essere trasformato in seconda Camera sul modello del Senato USA.

La Commissione ha molti poteri, ma rimane un organo lontano dalla legittimazione popolare, quale destino in una Europa federale?

Riforma della BCE superando il modello attuale che le attribuisce il compito di controllo dell’inflazione, per riconoscerle il ruolo di banca di ultima istanza.

Separare le banche commerciali dalle banche d’affari.

Prevedere la sospensione della quotazione di titoli con un valore di borsa eccedente un tot volte il ratio price/earning.

Eurobond e fondi di riscatto del debito come proposto da Martin Schulz in occasione del suo libro a sostegno della candidatura a presidente del Parlamento Europeo, mutualizzare le quote del debito pubblico eccedenti l’80% dei debiti pubblici nazionali con emissione di titoli europei.

Coordinamento delle politiche fiscali e mettere fine al dumping fiscale tra i Paesi europei.

Istituzione di una Agenzia di Rating europea.

Applicare la golden rule di Delors, ovvero tenere gli investimenti fuori dal calcolo del deficit.

Costituzione ed assetti istituzionali

Premessa:

Con il NO espresso al referendum confermativo non si è voluto escludere la necessità di un aggiornamento della nostra Costituzione, ma si è voluto sconfiggere un disegno che modificava in senso oligarchico la nostra Costituzione, che in verità ha subito diverse manomissioni senza un disegno organico che ne ispirasse le modifiche.

Si propone che l’idea FEDERALISTA non vada accantonata, ma rivalutata in un quadro complessivo delle funzioni delle Istituzioni rappresentative.

Si propone un intervento che consenta un iter legislativo più snello a decreti e leggi e una legge elettorale proporzionale con uno sbarramento del 3% insieme alla sfiducia costruttiva.

Appare necessario valutare l’opportunità di superare i vecchi confini delle regioni affrontando la questione delle macroregioni, magari attraverso referendum che coinvolgano i cittadini interessati.

Sia nel caso di un diverso assetto delle Regioni, sia che nulla venga cambiato è indispensabile, nel primo caso rivalutare il ruolo amministrativo delle Province, nel secondo occorre ridefinirne il ruolo.

E’ indispensabile rivalutare il ruolo dei Consigli comunali e regionali ridotti a ratificare o poco più le decisioni delle rispettive Giunte.

Particolare impegno è necessario affinché sia approvata una legge per l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione imponendo che sia garantita la partecipazione democratica degli iscritti alla attività del partito, la rigorosa incompatibilità dei responsabili di partito a ricoprire cariche istituzionali e la definizione di uno statuto delle minoranze. Inoltre la esclusione, per chi non rispetta le disposizioni della legge, da ogni forma di finanziamento pubblico all’attività del partito e dei suoi rappresentanti.

L’art. 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio deve essere riferito alle sole spese correnti.

Per quanto riguarda gli investimenti, invece, si possono seguire due strade:

  • ogni anno si risparmia qualcosa per poterlo investire nel momento in cui i fondi accantonati sono sufficienti a fare l’investimento; ci si indebita e si fanno da subito gli investimenti necessari;
  • ci si indebita e si fanno da subito gli investimenti necessari; con i frutti generati dagli investimenti fatti si ripagano interessi e quote capitali degli investimenti fatti.

Non è chi non veda da subito tre elementi:

  • l’investimento a debito è fatto molti anni prima di quello fatto accantonando i necessari fondi;
  • l’investimento fatto deve essere supportato nei progetti e nell’attuazione da una redditività sociale (aumento del PIL) verificabile e testabile in modo continuo, tale da giustificare l’investimento stesso e la sua sopportabilità finanziaria;
  • esiste una solidarietà generazionale nei tempi dei sacrifici connessi all’accantonamento dei fondi ed al godimento dei frutti dell’investimento fatto; nel primo caso la generazione A farebbe i sacrifici e la generazione B ne godrebbe i frutti; nel secondo caso sacrifici e godimento dei frutti gravano e beneficiano i cittadini senza discriminazioni generazionali.

Questo obiettivo, condiviso dalla maggioranza degli economisti, serve ad uscire da una miope politica di austerity, responsabilizzare le gestioni dei singoli paesi, avviare una metodologia di accountability responsabilizzante, introdurre in europa una filosofia programmatoria oggi deludente.
Deve essere inoltre preambolo ad una funzione dell’Europa quale organo programmatore degli interventi finalizzati alla convergenza dei fondamentali economici dei vari paesi membri.

Economia e occupazione

Ricordo che nel documento conclusivo dell’incontro livornese si è fatta esplicito riferimento alle conseguenze del tutto prevedibili della economia 4.0.

In particolare si è sottolineato che accanto alle nuove opportunità che si schiudono in questa nuova fase dello sviluppo dell’economia vi sono alcune questioni che aprono scenari inquietanti: la grande concentrazione di capitali necessari e la fine del paradigma che ha attraversato gli ultimi due secoli per cui al crescere degli investimenti cresceva l’occupazione.

Oggi tutto fa pensare che non sarà più così e l’innovazione che seguirà espellerà gran parte della forza lavoro dal ciclo produttivo investendo anche le strutture di servizio.
Tutto ciò comporta una attenta ricerca su come assicurare una stabile occupazione e un reddito adeguato ai cittadini.

NB.
Su questo argomento, come anche in altre parti del documento, ci aiuta un contributo dell’economista Renato Gatti:

Le tematiche che la rivoluzione 4.0 pone all’attenzione di chi voglia governare questo processo sono:
1. La liberazione dal lavoro rendendo il processo produttivo più consono alla libertà dell’uomo. Essa perciò va promossa e incentivata.
2. Si richiede, in un primo tempo, un profondo arricchimento della qualità del residuo lavoro incentivando la professionalizzazione della mano d’opera e, preliminarmente, la riqualificazione delle professionalità esistenti. Corsi di riqualificazione e formazione professionale sono quindi da promuovere, prendendo in considerazione anche tutto il percorso della formazione scolastica.
3. (In un tempo più avanzato) la rivoluzione 4.0 comporterà una ristrutturazione del modo di lavorare, modo nel quale la robotizzazione e la digitalizzazione sostituiranno il lavoro umano fino a portare in uno scenario futuribile, ma non così lontano, alla scomparsa del lavoro come fattore della produzione.
4. In un mondo in cui tutto sarà prodotto dalle macchine nelle stesse quantità, o anche maggiori, e anche meglio; in un mondo in cui finisce il capitalismo fondato sul lavoro salariato, si pone come elemento primario trovare un nuovo modello redistributivo che non consideri più come parametro redistributivo il tempo di lavoro.

La proprietà dei mezzi di produzione in mano al capitale può trasformare il vecchio capitalismo in una nuova forma di schiavismo dove tutto viene deciso dal capitale. Oppure (come già anticipava il Nobel James Meade nel suo libro “EFFICIENCY, EQUALITY AND OWNERSHIP OF PROPERTY” del 1964) la socializzazione dei mezzi di produzione può rappresentare un percorso razionale per l’umanizzazione del processo e il prodotto sociale potrà essere redistribuito assumendo come parametro il contributo volontario che ciascuno vorrà dare alla comunità per raggiungere obiettivi sociali democraticamente scelti.

Come impostare concretamente questo percorso avendo come principio primario la liberazione del lavoro?

Incentivare e promuovere la rivoluzione 4.0

L’incentivazione data dal ministro Calenda alle imprese che investono in tecnologie 4.0, è un’operazione che va nel giusto verso. Il 12%, imprese che hanno investito in nuove tecnologie, anche grazie al super-ammortamento e all’iper-ammortamento, contribuiscono all’incremento del PIL e portano la bilancia commerciale in attivo, rilanciando, anche se in misura insufficiente, l’economia del nostro Paese.
Va sottolineato che se la bilancia commerciale è attiva ed il target 2 è invece negativo, sono i movimenti di capitale (le fughe dei capitali) a rovesciare il saldo.
Investendo con intelligenza nella rivoluzione 4.0 i 10 miliardi annui che sprechiamo con gli 80 euro in: miglioramenti alle infrastrutture informatiche, nella banda larga, nella hubizzazione della logistica energetica; insomma se invece di investire in una politica da “helicopter money” si fosse adottata una politica di investimenti pubblici con la visione di uno “stato innovatore” la politica economica ed i risultati sarebbero ben diversi.

La riqualificazione professionale

Indispensabile è l’incentivazione alla formazione del personale rivolta ad una riconversione verso una professionalità 4.0. Anche quì gli incentivi di Calenda che contribuiscono per il 40% ai costi di formazione e riqualificazione, vanno nel verso giusto.
Meno apprezzabile quanto si fa nella scuola; in Italia frequentano gli ITS 9.000 ragazzi, in Francia pare siano 250.000, in Germania 800.000. Con queste cifre si capisce perchè le imprese sono alla ricerca di personale digitalizzato da assumere e in un paese con la disoccupazione all’11% (quella giovanile sopra al 30%) non trovi risposte adeguate.

La redistribuzione del prodotto sociale

Su questo fronte, invece, non ci sono proposte, non solo da parte del governo, ma anche da parte di partiti, sindacati o intellettuali (salvo sporadiche eccezioni, in primis il prof. De Masi).
Qualcosa potrebbe scorgersi nella proposta di reddito di cittadinanza, anche se non si può fare a meno di osservare che la logica retrostante a quella proposta non nasce da una risposta alla rivoluzione 4.0, mentre è una evidente ricerca di consenso vuota di concreto substrato argomentativo.
Non parliamo poi della pioggia di bonuses che sono stati varati in questi ultimi anni. Sono interventi erogati senza progettualità e senza capacità di incidere positivamente sulla ripresa economica ispirati da una filosofia assistenzialistico-paternalistica di un’era ormai estinta.
Eppure, tra non molti anni, gli effetti della rivoluzione 4.0 in termini di liberazione dal lavoro, in termini di posti di lavoro distrutti e non sostituiti, in termini di scomparsa sempre più estesa del lavoro si porranno e potrebbe essere troppo tardi per affrontarli senza sconvolgenti uragani sociali.

La socializzazione dei mezzi di produzione

La socializzazione dei mezzi di produzione, facile a pronunciarsi, è invece molto difficile a realizzarsi in termini pratici. La proposta che segue nasce da alcune semplici considerazioni:

  • gli incentivi dati alle imprese non possono essere considerati come aiuti che lo Stato dà alle imprese affinché queste diventino più competitive a favore della redditività del capitale;
  • gli incentivi vanno invece considerati come un investimento che la comunità tutta fa nelle imprese che investono a beneficio di una crescita del sistema produttivo del Paese;
  • quegli incentivi non possono essere tradotti in minori imposte che le imprese debbono pagare e quindi in maggiori dividendi che possono essere distribuiti al capitale senza nessun meccanismo che garantisca che quegli utili siano reinvestiti in attività produttive anziché essere attratti dalle sirene della finanza;
  • quegli incentivi vanno invece considerati come apporto di capitale fatto dalla comunità che vanno accantonati in un fondo socializzazione che va ad incrementare il capitale sociale e come tale comporta tutti i diritti che una quota parte del capitale sociale ha, ovvero: partecipazione agli utili e presenza nella gestione aziendale come previsto nel titolo terzo della parte seconda della nostra Costituzione.
  • Tanto per essere pratici, ragionieristicamente, si procederà come segue: il calcolo delle imposte verrà calcolato come se non ci fossero gli incentivi “Calenda” ma la contropartita sarà: la cassa (o i debiti verso l’erario) per il minor importo dovuto grazie agli incentivi e il fondo di socializzazione per l’importo risparmiato grazie agli incentivi stessi.
  • Si possono prevedere altre forme di finanziamento di questi fondi di “socializzazione”; ad esempio ad aumenti salariali non monetizzati, ma destinati all’incremento di questi fondi o altre formule contrattualisticamente o legislativamente adottate.
  • Gli utili spettanti a questi “fondi socializzazione” gestiti da rappresentanti del mondo del lavoro e della comunità tutta, saranno statutariamente non distribuibili, ma saranno vincolati al reinvestimento essendo il loro scopo quello di aumentare il potenziale produttivo del sistema Paese.

Nel tempo, come prevedeva il piano Meidner, la proprietà sociale dei fondi di socializzazione si rafforzerà ed estenderà, diventando organo della comunità per la socializzazione dei mezzi di produzione.

Per l’occupazione è opportuno lanciare l’idea di un piano nazionale delle piccole opere.

Ricordo che in Italia siamo bravissimi nella realizzazione delle grandi opere, pessimi nel compito della manutenzione.

A titolo puramente esemplificativo sarebbe interessante un piano nazionale per:

– la manutenzione e la ristrutturazione degli edifici scolastici;
– il recupero, secondo un piano di rivitalizzazione dei centri storici, degli edifici esistenti;
– la manutenzione delle infrastrutture esistenti almeno per evitare i gravissimi incidenti recentemente accaduti come il cedimento dei ponti.
– la salvaguardia del territorio, dell’ambiente e il mantenimento e consolidamento del nostro patrimonio artistico-culturale anche in funzione delle grandi opportunità di sviluppo dell’economia e dell’occupazione offerte dal turismo.

Ovviamente, come già ricordato, dovremmo batterci per l’eliminazione dalla Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio che deve essere osservato solo per le spese correnti e in Europa perché non sia considerato nel vincolo del 3% la spesa per gli investimenti.

– un approccio antioligarchico e anti oligopolistico della finanza, che preveda un sistema con una pluralità di soggetti nel mercato con la presenza riequilibratrice dello Stato;

– un modello capace di coinvolgere in via prioritaria il risparmio e l’attività finanziaria verso la crescita della rivoluzione verde, attaverso una finanza sottoposta a disciplina e responsabilità nella funzione di alimento dell’innovazione e sviluppo;

– una nuova e responsabile presenza del capitale pubblico per stimolare gli investimenti tecnologici;

– la separazione tra credito commerciale e altre funzioni finanziarie.

Revisione del bail in: ciò in coerenza con l’art. 47 della Costituzione. Si propone di trasformarlo in bail out. Cioè la cauzione interna (dei correntisti) diventa cauzione esterna (cioè del fondo interbancario di garanzia, con le opportune modifiche normative, onde responsabilizzare le banche, tutte, a rilasciare affidamenti ragionevolmente puliti e a controllarsi a vicenda).
Cartolarizzazione dei crediti: obbligare chi vuol vendere sul mercato un credito finanziario a trattenere presso di sé una percentuale significativa del rischio. Si evita così l’incuria delle banche nel compito di analizzare il merito del credito dei diversi clienti poiché sanno di non poter più sbarazzarsi della totalità dei crediti stessi.

Mettere sotto controllo i mercati dei derivati in particolare i credit default swap (Cds).

– Per quanto possa apparire illusorio o di difficile attuazione, si dovrebbe prevedere il totale o almeno un consistente parziale rimborso degli aiuti statali assicurati alle banche per i salvataggi dopo l’uscita dalla crisi finanziaria.

E’ sempre più urgente una riorganizzazione internazionale che armonizzi le politiche monetarie e macro-finanziarie in particolare sono auspicabili le seguenti riforme:
L’eliminazione dei vincoli e delle condizioni che accompagnano i prestiti: esse sono restrittive dal punto di vista fiscale, aggravano le difficoltà del ciclo e allontanano il recupero dei Paesi in difficoltà;
Il FMI deve incoraggiare la reintroduzione del controllo dei movimenti di capitali da parte di tutti i Paesi;
Vanno realizzate emissioni regolari di Diritti speciali di prelievo per i paesi a basso reddito e più in difficoltà che possano essere utilizzati a costo zero con copertura degli interessi, grazie alla vendita di una parte delle riserve auree del Fondo stesso e per l’attuazione di politiche anti-cicliche e di sviluppo nel lungo termine.

Privatizzazioni. E’ opportuno schierarci contro ulteriori privatizzazioni che rischiano di indebolire ulteriormente sia i centri di ricerca ed innovazione che ancora abbiamo, sia ogni altra residua possibilità di svolgere una credibile politica industriale, senza ottenere nemmeno, come i fatti dimostrano, una ricaduta positiva sulla riduzione del debito pubblico.

Un argomento che riguarda il rapporto fra lavoro e impresa sono i consigli di sorveglianza. La questione, con una denominazione diversa, allora si chiamavano consigli di gestione, è sempre stata all’ordine del giorno dei socialisti sia con la legge D’Aragona, sia con il progetto Morandi elaborato da Massimo Severo Giannini.
Oggi i tempi sono maturi per rilanciare un progetto simile in modo che sia possibile coinvolgere il modo del lavoro e l’impresa in un convergente impegno a sostegno dell’economia italiana e a difesa del principio della responsabilità sociale dell’impresa.

Fisco e redistribuzione della ricchezza

Il sistema fiscale è da sempre una potente leva per la redistribuzione della ricchezza, occorre definire in quale direzione si intende operare. Se l’obiettivo è un sistema fiscale equo ogni riforma non può prescindere da un’Imposta sulle persone fisiche che tenga conto della progressività delle Imposte.
Il sistema Italiano odierno è frutto di un gravissimo errore fatto nel 2006, anno in cui dalla curva delle aliquote IRPEF venne tolta l’aliquota del 33%, generando un balzo tra il secondo e il terzo scaglione di ben 11 punti, dal 27 al 38%. Sul piano politico questo atto ha significato accollare al ceto medio il pagamento degli effetti della crisi.
Cos’è necessario fare per ricostruire un minimo di equità?
Innanzitutto occorre essere consapevoli che le Imposte si suddividono in tre grandi aggregati:
1-      sui redditi di persone fisiche o giuridiche (aziende)
2-      sui consumi
3-      sui patrimoni (prevalentemente immobiliari)
La tassazione prevalente oggi grava sui redditi delle persone fisiche e sui consumi.
La prospettiva è quella di aggravare ancora di più l’imposizione sui consumi, tendenza demenziale promossa dal Fondo Monetario Internazionale (e non solo per l’Italia), al fine di non toccare la sostanziale assenza di imposte sulle transazioni finanziarie e sul web trading.
A questo si aggiunge per l’Italia un’evasione calcolata in circa 120 miliardi l’anno.
Quali possono essere le parole d’ordine su cui noi socialisti dobbiamo assestarci?
1-      NO all’aumento dell’IVA prevista dalla clausola di salvaguardia della Legge di Bilancio che prevede l’aumento sino al 25% dell’attuale aliquota del 22% e fino al 13% dell’aliquota del 10%
2-      Sostegno convinto alla proposta della Unione Europea di imposizione sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax) e sulle attività commerciali in rete (Web tax)
3-      Ristabilire la vecchia curva delle aliquote con la reintroduzione dell’aliquota del 33%;
4-      Approvazione definitiva della riforma del Catasto con il passaggio dalla rendita immobiliare stabilita sui vani a quella basata sulle superfici;
5-      Riduzione delle attuali due imposte sulle attività delle aziende, riformando l’imposta sui redditi delle persone giuridiche basandola non più sugli utili, facilmente eludibili soprattutto per le grandi aziende, bensì sul fatturato con deduzione del costo del lavoro, sulla base del modello dell’IRAP;
6-      Inseverimento della politica fiscale per la riduzione delle aree di elusione e di evasione fiscale.

CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA
Nel 2019 sarà necessario reperire oltre 12 miliardi di euro e nel 2020 quasi 20 miliardi. In base a quanto previsto dalla legge di Bilancio 2018, a partire dal primo gennaio 2019 l’aliquota Iva agevolata del 10% salirà all’11,5% a partire dal 2019 e al 13% a partire dal 2020. L’aliquota Iva ordinaria del 22% passerà, invece al 24,2% a partire dal primo gennaio 2019, al 24,9% a partire dal primo gennaio 2020 e al 25% a partire dal primo gennaio 2021.

Disuguaglianza

L’analisi dell’indice Gini sia dei redditi che delle ricchezze ci rivela che tale indice è in incremento nel tempo e in tutti i paesi, ivi inclusa la “egualitaria” Svezia.
Tanto per avere un’idea dell’indice Gini relativo ai redditi, ecco alcuni dati relativi al 2016 (Fonte McGuinness) Si ricorda che l’indice 0 rappresenta la perfetta equaglianza mentre l’indice 1 rappresenta la massima disuguaglianza:

Cile .465
U.S.A. .394
U.K. .358
Spagna .346
Australia .337
Giappone .330
Italia .325
Canada .322
Svizzera .295
Francia .294
Germania .292
Svezia .281
Austria .280
Belgio .268
Danimarca .254
Norvegia .252
Islanda .244

Si osserva che tra i paesi più sviluppati quelli anglosassoni hanno l’indice più alto, mentre quelli europei sono intermedi e più alti di quelli dei paesi “socialdemocratici”.
Se la disuguaglianza, è un frutto sistemico, si può combattere con i vari bonuses, che intervengono sugli effetti, ma si può anche combattrere intervenendo sulle cause ovvero sul sistema. Con la differenza che con i bonuses l’ineguaglianza continuerà a riprodursi e fors’anche a livelli sempre più accentuati, mentre con l’intervento sistemico la disuguaglianza cesserà di generarsi.

L’altro elemento è quello dell’ascensore sociale. Scrive L’INKIESTA che l’Istat, nella sua pubblicazione, rileva come la nuova divisione in classi sociali fotografi la cristallizzazione di una società immobile. Meglio ancora, in cui l’ascensore sociale si muove solo verso i piani bassi.
I dati: il 68% dei giovani sotto i 34 anni di età – quasi nove milioni di anime – vive ancora coi genitori. Tra loro, probabilmente, ci sono ancora quei sei milioni di ragazzi e ragazze – giovani blue collar, li chiama l’Istat – alle prese con contratti atipici e lavori sottopagati. Che, probabilmente, vivono sulle spalle dei quasi altrettanti pensionati d’argento – i retributivi, li chiamerebbe qualcuno – cui spesso tocca mantenere due famiglie. Di sicuro pure quel 24,3% dei giovani tra i 14 e i 29 anni – dieci punti sopra la media europea – che non studiano né lavorano. Un’emergenza, peraltro, che nel Mezzogiorno diventa da codice rosso.
Non ci convince il ragionamento di chi si chiede:
“Se, a sinistra soprattutto, si debba esser ciechi innanzi alla possibilità di riattivare il più potente motore dell’ascensore sociale: la voglia di migliorare le proprie condizioni.” Quasi che l’ascensore sociale sia bloccato a causa dell’ignavia di chi ne è vittima, e che un sistema fiscale basato sulla flat tax sarebbe in grado di risvegliare “la voglia di migliorare le proprie condizioni”.

Legislazione del lavoro

Si propone un nuovo STATUTO DEI LAVORATORI insieme alla riforma degli ammortizzatori sociali e l’introduzione del salario minimo orario per quei lavoratori che non usufruiscono della tutela del contratto nazionale.

Il reddito minimo si propone che sia un sostegno temporaneo esclusivamente finalizzato alla ricerca dell’occupazione.

Appare necessario semplificare drasticamente le varie tipologie di lavori per sconfiggere le finte partite IVA.

Trasformare in legge l’accordo interconfederale e la certificazione degli iscritti alle OO.SS.. Su questa base vanno rinnovati i contratti nazionali di settore e “messi al bando” i contratti spuri, concordati con Organizzazioni fantasma che non rappresentano nessuno

La rivalutazione dell’apprendistato quale condizione formativa dovrebbe essere sostenuta con incentivi legati alla certezza del futuro rapporto di lavoro stabile.

Si propone, inoltre, di adottare nuove pratiche nei luoghi di lavoro con una triplice funzione: sviluppo del capitale umano, sviluppo delle conoscenze utile ad affrontare i cambiamenti tecnologici che comportano nuove conoscenze, coordinamento del lavoro;

– riformare la legislazione del lavoro.

– ai sensi dei principi costituzionali di tutela del lavoro sanciti negli art. 1, 3, 4, 35 e 36 è doveroso ripristinare per i lavoratori il regime di gratuità del processo del lavoro, che è stato una delle migliori espressioni di civiltà giuridica e di tutela sociale dal 1973 al 2011.

Si ritiene che il reddito minimo non sia un sussidio di cittadinanza indiscriminato, ma venga utilizzato come forma di tutela del lavoratore assieme a politiche attive di reinserimento al lavoro.

Favorire il rientro in Italia dei ricercatori espatriati : stanziamenti; creazione e/o possibilità di creazione di collegamenti permanenti tra ricercatori, università, centri di ricerca e imprese con l’obiettivo di rendere efficiente la ricerca, fuori da vincoli opprimenti (modeste risorse, procedure pubbliche burocratiche).

Azione plurisettoriale per la famiglia, una legislazione che organizzi e realizzi interventi per la ripresa demografica, la tutela dell’infanzia, la tutela della neomadre che lavora, investendo i vari livelli di potere, nazionale, comunale, municipale (ove sono i municipi) : es. : bonus per la gravidanza, socio-assistenza per i primi due/tre anni di vita (visite specialistiche, supporti medicali, pannolini, ecc.), assegni familiari significativi, detrazioni fiscali ragionate, abbonamenti gratuiti ai mezzi pubblici, e così via.

Questione Meridionale

In questi anni recenti la bandiera del meridionalismo, issata da Gaetano Salvemini, da Giacomo Mancini e da tanti altri compagni, ha sventolato come mero rivendicazionismo verso un potere centrale o come mancato soddisfacimento di aspirazioni personali di leader locali. Questi ultimi hanno cavalcato il tema del meridionalismo facendo leva su uno stato d’insoddisfazione collettiva delle popolazioni del Sud e delle isole.
Lo scenario che si sta sviluppando attorno al Mediterraneo, come nuovo epicentro dello sviluppo del commercio internazionale e centro di scambio del mercato mondiale, è unico e ad esso bisogna prestare la massima attenzione per manifestare un protagonismo attivo.
In questo nuovo scenario dell’economia mondiale va riscritta una nuova politica meridionalista per il Mezzogiorno, per la prima volta assente dall’agenda politica di tutti i partiti nazionale.
Occorre essere consapevoli che la realtà oggi è mutata e risulta trasformata rispetto all’analisi e alla concezione del vecchio meridionalismo.
Il meridionalismo odierno, quindi, va orientato in questo nuovo scenario, come opportunità offerta al Paese per sviluppare tutto il sistema dell’economia nazionale ed europea.
La questione meridionale non è più un fatto di rivendicazionismo o di richiesta di risorse aggiuntive, ma una questione di strategia politica, che coinvolge il sistema Italia e diviene una reale opportunità per inserirsi nello sviluppo dell’economia mondiale rappresentato dalla centralità della produzione dei paesi orientali.
Se l’analisi è corretta una seria riflessione della politica e di tutti i soggetti sociali ed economici del Paese va fatta per dotare il Meridione di tutte quelle infrastrutture e asset territoriali che ne favoriscono l’attrattività degli investimenti e quindi la crescita dell’economia e dell’occupazione. Questo nuovo modo di intendere il Meridionalismo accantona lo stereotipo di un Mezzogiorno povero e accattone e anzi consente di fare un salto culturale enorme agganciandosi alla modernità del divenire socio-economico.
In questo nuovo concetto di meridionalismo, considerato come opportunità di sviluppo, va innestato un nuovo progetto politico strategico complessivo in termini di proposte operative e di disponibilità di risorse.