Nato a Cremona nel 1857 e morto a Roma nel 1920, uomo politico.
Iniziò proprio nella sua città, dopo essersi nel 1877 laureato in legge a Bologna a dedicarsi all’attività politica nelle file della democrazia radicale.
nel 1880 divenne consigliere comunale, nel 1882 assessore all’istruzione. Inizia a collaborare alla rivista “Il Preludio” di Turati e Ghisleri; con entrambi stretta un’amicizia, con loro entra in contatto con le tristi condizioni dei contadini e dei braccianti della sua terra; ed è una partecipazione che lo spinge verso le idee socialiste. Stringe così rapporti con la lega socialista milanese partecipando poi nel 1892 a Genova al congresso di fondazione del Partito Socialista Italiano. Collabora alla rivista turatiana “Critica Sociale”, poi nel 1896 partecipa alla fondazione dell'”Avanti!” e ne diventa il direttore, fino al 1903.
Contemporaneamente nel 1897 era diventato deputato.
Con ottime doti politiche, contribuisce a indirizzare il partito socialista verso l’alleanza con i gruppi dell’estrema sinistra (radicali e repubblicani) per la difesa delle libertà costituzionali. Nei sanguinosi tumulti del maggio ’98 (eccidio di Bava Beccaris, seguito dallo stato d’assedio) benchè i dirigenti del partito e dell’Avanti fossero estranei all’organizzazione dei tumulti e operassero anzi per contenerli, il governo e gran parte della stampa sia filogovernativa e liberale sia cattolica moderata sostennero la tesi opposta, indicando all’opinione pubblica che i tumulti erano stati organizzati da associazioni sovversive di sinistra. Con questi appoggi politici, dei media e della stessa timorata popolazione il governo diede l’avvio a una netta svolta autoritaria, e ad una “legale” durissima repressione che portarono all’arresto migliaia di persone subito condannate a dure pene. La polizia invase anche la sede dell'”Avanti” arrestando i vari collaboratori e lo stesso Bissolati, che finì in carcere per due mesi. Ma la Camera poi non autorizzò a procedere (tanto più che in quei giorni maledetti, Bissolati non era presente a Milano).

Nel clima repressivo, molti leader socialisti dovettero riparare all’estero. Anche Bissolati preferì o fu costretto a un breve esilio, mentre il giornale in qualche modo continuò le sue pubblicazioni sotto la direzione temporanea di Enrico Ferri.
Il 1900 segna un importante mutamento della politica interna italiana. Dopo l’uccisione del re Umberto I, con l’attentato dell’anarchico Gaetano Bresci, sale sul trono il giovane Vittorio Emanuele III, decisamente meno conservatore e soprattutto meno autoritario di suo padre, condizione questa che porta il nuovo governo ad avere un’impronta più liberale, quando a prendere le redini di governo è Giolitti.
Favorevole all’appoggio ai governi liberali, troviamo Bissolati uno dei leader della corrente riformista, mentre all’interno del partito socialista si verificano i primi contrasti e le prime scissioni. Nel 1903 lascia la direzione dell'”Avanti”, Enrico Ferri è confermato direttore.
La guerra coloniale in Libia, e il XII congresso nazionale del PSI nell’ ottobre 1911 a Modena, mettono in evidenza la frattura irreversibile fra i riformisti di sinistra e la destra riformista di Bissolati e Ivanoe Bonomi, che continua a sostenere Giolitti in contrasto con le direttive di partito. Quindi sostenitrice dell’impresa libica e favorevoli a una partecipazione al governo. Ormai approdato a posizioni di democrazia riformatrice e di collaborazione con la borghesia incompatibili con gli orientamenti rivoluzionari prevalenti nel socialismo italiano di quegli anni, Bissolati nel 1912 viene espulso dal partito socialista.

L’incompatibilità viene rimarcata anche da un gesto che assume un chiaro valore politico; il Re uscito illeso da un attentato il 14 marzo 1912, Bissolati con alcuni suoi deputati si erano recati al Quirinale per congratularsi con il re per lo scampato pericolo. Un gesto che suscita polemiche da parte dell’ala rivoluzionaria del PSI, che coglie l’occasione per chiedere – il 7 luglio al XIII congresso di Reggio Emilia, l’espulsione dal partito di Bissolati e altri suoi colleghi (Bonomi, Cabrini ecc.)
Per dovere di cronaca, la mozione di espulsione a nome della corrente rivoluzionaria, poi approvata con una maggioranza limitata, fu presentata da Benito Mussolini, che oltre per il gesto del 14 marzo, li accusa di voler favorire la politica del governo; e riafferma l’importanza del partito come guida del movimento rivoluzionario dei lavoratori. Il 1° dicembre, proprio perchè gradito all’ala rivoluzionaria, Mussolini assumerà la direzione dell’Avanti, fino allora di tenedenza riformista.

Come maggiore esponente dell’ala riformista Bissolati diede allora vita al Partito socialista riformista, che pur ottenendo un buon successo alle elezioni del ‘1913 non fece molta strada.
Allo scoppio del prima guerra mondiale (1914) fu uno dei capi dell’interventismo democratico. Arruolatosi come volontario in un reggimento di alpini, nel giugno del 1916 lo troviano ministro nel governo Boselli e in quello di Orlando nel 1917. Ovvio dire che fu, dopo Caporetto, un sostenitore della necessità di continuare la lotta a oltranza, finchè non fosse stato raggiunto l’obiettivo principale, la dissoluzione dell’impero austro-ungarico. Tuttavia pochi giorni dopo la fine del conflitto, il 27 dicembre del 1918, per avere il governo – in vista della conferenza di pace convocata a Parigi- accettato la rinuncia a Fiume e Zara, in segno di protesta Bissolati si dimette. Nella sua linea politica, Bissolati era pronto a rinunciare ai compensi territoriali in Alto Adige, in Dalmazia e nel Dodecanneso previste dal Patto di Londra, per chiedere invece Fiume e Zara. Uscito di scena, da questo momento Bissolati nel suo ultimo anno di vita avrà un ruolo marginale nella vita pubblica. Anche perchè, grazie alle divisioni esistenti fra i dirigenti del PSI, la scena la sta occupando tutta Benito Mussolini, che tre mesi dopo, il 23 marzo 1919, in un circolo di piazza San Sepolcro a Milano, costituisce il movimento dei Fasci Italiani. Che cosa singolare, inizialmente è incentrato a parte un generico operaismo, e alla non rinuncia del Tirolo e della Dalmazia proprio – come Bissolati- sulla rivendicazione di Fiume.
L’anno dopo, nel 1920, Leonida Bissolati moriva a Roma.

Fonteweb

Avanti n.1 del 25 dicembre 1896