ODDINO MORGARI (1865-1944). BIOGRAFIA POLITICA DI UN “CITTADINO DEL MONDO”

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO

Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani

 

1. Il personaggio
2. Nel socialismo torinese del decennio 1890-1900
3. L’elezione nel 1897 e il Novantotto
4. L’ostruzionismo (1899)
5. L’attività all’inizio del Novecento (1900-1905)
6. Il” propagandista” Morgari e il “ciarlatano” Frizzi
7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)
8. Segreteria della Camera del lavoro e lotte del 1906
9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900
10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)
11. La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo “dialogo” coi cattolici
12. Attività in Parlamento e nel Paese (1907-11)
13. Con Salvemini per la questione Meridionale
14. Viaggio in Oriente e congresso di Ancona (1911-14)
15. Lo scoppio della guerra
16. L’incontro di Lugano (1915)
17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna
18. Nel Paese in guerra (1915-16)
19. Da Zimmerwald a Kienthal
20. La Missione Ford
21. Nel Paese in guerra (1917-18)
22. La Commissione di informazione e di azione internazionale (1918)
23. La Comune di Budapest (1919)
24. I viaggi in Russia e la ricostruzione economica in Russia (1922 e1936)
25. Nell’antifascismo in Italia e in Francia (1922-44)

 

Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14)

Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue dimissioni da segretario del gruppo parlamentare[1].  In una lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse: ”Sono un po’ sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l’azione diretta del socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l’azione parlamentare narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati penso che giovi rinvigorire l’azione nel paese con una propaganda orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista dei movimenti che la destra si adopera a cancellare senza strepiti».

Nell’agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine parlamentare socialista», accettò l’invito di Alfredo Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà Bissolati e nel 1915 aderirà al fronte patriottico) e fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema locale di lavorazione del truciolo, che si voleva introdurre in Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912 l’ “Avanti!” pubblicava una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna elettorale già iniziata, era ancora all’estero e il 29 agosto il giornale cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive.

Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi dalla vita pubblica. L’incarico del deputato, ora che il Gruppo parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a piacermi. Ma si tratta di ben altro, si tratta dell’interesse del partito danneggiato dalla mia lunga assenza… dalla parvenza che io avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente per raccattare un’indennità”

Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato la campagna elettorale sul suo nome e ne attendeva con impazienza l’arrivo. Egli giunse a Torino il 15 agosto  accolto trionfalmente. Nel discorso di saluto disse: “C’è stata nel passato una deviazione verso destra, perciò è bene che il partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di un proletariato il quale comprende che il fine del socialismo è al di là delle riforme e delle stesse battaglie, anche grandiose, delle organizzazioni operaie”. Nell’ottobre venne rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la XXIV legislatura.

Morgari era partito dall’Italia poco prima dell’inizio dell’impresa libica, restando quindi estraneo alla lotta politica interna al PSI che travolse la dirigenza riformista coinvolta dal rapporto con Giolitti e portò, al Congresso di Reggio Emilia del 1912,  alla direzione degli “intransigenti” Giovanni Lerda, Costantino Lazzari, Giacinto Serrati, Benito Mussolini.

Salvemini così gli scrisse rievocando le cause della sua uscita dal PSI “Per la primavera e l’estate del 1911 io feci la Cassandra inascoltata, cercando di eccitare i dormienti per Tripoli. Mentre ferveva la campagna nazionalista l’ “Avanti!” taceva. Quando l’inerzia del Partito, i cui capi dormivano sulle ginocchia di Giolitti, ebbe preparato via libera all’impresa e la guerra parve ineluttabile, solo allora l’Avanti! cominciò a protestare disordinatamente e incoerentemente. E fu inscenato uno sciopero generale buffonesco, che si sapeva non sarebbe riuscito. Questa commedia mi tolse il velo dagli occhi. Sentii l’abisso morale di  uomini in cui avrei voluto sempre vedere non solo maestri di idee, ma modelli di carattere. E feci fagotto[2]

Dieci anni prima, nell’aprile 1902, Morgari era stato a Tripoli in missione esplorativa e alla partenza aveva confidato al console generale Scaniglia “il concetto complessivo che mi sono formato della Tripolitania è che è di molto superiore all’Eritrea; che è parzialmente colonizzabile, ma non è tale da offrire larghissimo sbocco alla nostra emigrazione; salva la pregiudiziale delle terre incolte d’Italia che aspettano braccia e capitali, ed ammessa per un momento l’utilità di un’occupazione, bisognerebbe limitarla alla costa”[3]

I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo, e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta del 28 aprile relazionò sull’attività del GPS. La relazione scritta era divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche parlamentari) e la seconda alla sua operosità (nella quale veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il contributo del Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all’attività parlamentare).

Sulla sua relazione presero la parola ”… tra gli altri: ”Niccolini che dichiarò degna di elogi l’attività del Gruppo parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a non limitarsi ad una cura assidua degli interessi locali, ma ad assumere la cura collettiva dei collegi …, Franco sulla necessità di frequenti viaggi dei deputati socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle quali i pubblici poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti dall’immunità parlamentare … Ercole che accusò il Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione di ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del Sindacato, ecc.” Rispose ai vari interventi trattando in particolare della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse l’augurio. che i lavoratori della categoria in primo luogo si unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi col resto del proletariato». Furono votati all’unanimità quattro OdG di approvazione in vario grado  dell’operato del GPS [4]

Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era membro di diritto  della direzione – unico a non  far parte della maggioranza intransigente – con Lazzari segretario e Mussolini direttore dell’ “Avanti!”.

Con quest’ultimo iniziarono a incrinarsi i rapporti all’interno della direzione: in occasione della Settimana Rossa Mussolini aveva assunto posizioni personali non concordate col segretario e con la direzione che avevano dato luogo a critiche, ma nella Direzione del 28-30 giugno, con le sole astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata la fiducia, in considerazione del successo dell’Avanti e del suo aumentato peso politico.

Lo scoppio della guerra

Ai congressi dell’Internazionale il dibattito sulle misure da prendere per impedire la guerra diveniva sempre più frequente in corrispondenza all’aggravarsi della situazione internazionale e vedeva impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès, Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per chiusura provinciale partecipò marginalmente al dibattito sull’imperialismo (se si esclude qualche intervento di Lerda[5] e di pochi altri) e i leaders preferivano non recarsi personalmente ai congressi ma inviavano generalmente Morgari, che finì per assumere la funzione di “ministro degli esteri”

Al congresso di Copenaghen del 1910 Morgari aveva presentato una mozione che invitava i partiti socialisti aventi rappresentanza parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da dimostrazioni popolari. Tale mozione era stata respinta e nè al congresso di Basilea del 1912, né a quello straordinario del 1914 vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla riunione tenuta il 23-24 ottobre 1911 a Zurigo, intervenne dicendo che “l’aggressione italiana alla Turchia sarebbe stata fronteggiata dalla classe operaia con lo sciopero generale[6]

Nel 1914 il congresso dell’Internazionale era previsto per l’ultima settimana di agosto; ma quando il 23 luglio l’Austria rivolse l’ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International (BSI) convocò  la riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio quando già le truppe austro-ungariche avevano passato il confine serbo.

Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al Cirque Royal parlò anche Morgari, facendo appello ai valori comuni, alla classe operaia, alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte tensione del momento le parole furono patetiche, commoventi, ma la riunione si concluse con un nulla di fatto. Poi Jaurès venne ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono. I deputati socialisti francesi votarono per i crediti di guerra e  altrettanto, quando già era in atto l’invasione del Belgio, fece la socialdemocrazia tedesca.

Il 27 luglio si era tenuta a Milano presso l “’Avanti!” una riunione del gruppo parlamentare con l’intervento di 28 deputati (poco più della metà) presieduta da Morgari con la partecipazione di Mussolini e Ratti per la Direzione, che si chiuse con una mozione che oltre a reclamare la “immediata convocazione della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni impegnative…di neutralità assoluta” e a reclamare la rapida riunione dell’IOS, invitava i lavoratori a “manifestare la loro ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più energiche misure che il partito intendesse adottare in vista degli avvenimenti[7]

La Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro, Federterra, Sindacati Gente di mare e Ferrovieri si riunì nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e Balabanoff che riferirono sulla riunione dell’Internazionale (BSI) a Bruxelles cui avevano partecipato. La sera del 4 agosto ad un comizio a Milano cui erano accorse 40.000 persone, prese la parola con Lazzari, Della Seta, e De Ambris (per l’USI). All’assemblea del 9 e del 19 settembre della sezione socialista milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per la tesi della neutralità assoluta[8]

Alla Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre si aprì un contenzioso con Mussolini che proponeva la formula della “neutralità attiva e operante” invece della neutralità  assoluta che era la posizione assunta dal Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi, Lazzari, Bacci, Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare un manifesto che conciliasse le posizioni, ma Mussolini rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari rilasciò un’intervista[9], cui rispose Mussolini con una lettera pubblicata due giorni dopo.

L’incontro di Lugano (1914)

Il Partito Socialista Italiano e la socialdemocrazia svizzera, pur tra incertezze, rimasero le sole organizzazioni socialiste a battersi per la rinascita dell’Internazionale e a mantenere fino in fondo una decisa opposizione alla guerra.

Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una delegazione del PSI incontrò a Lugano alcuni socialisti svizzeri. Erano presenti per l’Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari, Modigliani, Morgari, Ratti, Musatti, Serrati, Turati.

I convenuti esaminarono la situazione creata dalla guerra e valutarono ciò che si poteva fare per abbreviarne il corso. In quella sede venne decisa la convocazione di un congresso da tenersi in Svizzera entro breve tempo: su questo punto tutti furono d’ac­cordo. I problemi sorsero invece sull’ampiezza da assegnare alla conferenza.

I congressisti desideravano infatti farvi partecipare anche i membri dei paesi belligeranti: Grimm propose un incontro dei vari partiti socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca con il Partito Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e  Modigliani approvarono, Morgari ebbe dei dubbi: riteneva i due punti di vista troppo divergenti perché potessero giungere ad un accordo

Venne anche presa in esame la situazione del BSI ormai paralizzato dalla guerra: si propose di trasportarne la sede in Svizzera o di affidare al comi­tato direttivo del partito socialista svizzero i compiti del Bureau stesso. Ci si rese però conto che la conferenza di Lugano era priva di poteri, soprat­tutto in merito a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il BSI potesse credersi illegalmente spogliato delle sue funzioni. Grimm sug­gerì la costituzione di una «Centrale d’Information Mutuelle», una specie di agenzia  destinata a durare quanto la guerra, con il compito di provvedere agli affari correnti, e di preparare il terreno per una futura riconciliazione. Morgari propose di costituire un bureau provvisorio dell’Internazionale la cui costituzione, sempre per non urtare il BSI, avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.

Alla fine la proposta di Modigliani, approvata contro quella di Morgari che proponeva di rompere definitivamente con l’ormai inefficiente Bureau residente in Belgio e di istituire un nuovo Ufficio internazionale provvisorio con sede in Svizzera, incaricava il Partito socialdemocratico svizzero e il Partito Socialista Italiano di riprendere i contatti con il B.S.I. onde ristabilire le funzioni

I partecipanti alla riunione si separarono con l’impegno di coordinare i loro sforzi e di non rivelare nulla di ciò che vi era stato dibat­tuto. Poiché la riunione, che doveva rimanere segreta, era divenuta di dominio pubblico, al termine della giornata venne elaborato un comunicato in forma di appello, che fu poi largamente diffuso dalla stampa socialista europea.

Le ini­ziative auspicate dalla mozione Modigliani si svilupparono pochi mesi dopo. Per l’esecuzione del mandato di Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo parlamentare socialista, nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al 18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino Morgari, nonostante questi nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la soppressione del vecchio B.S.I., di prendere contatti con i partiti socialisti dei paesi europei belligeranti e neutrali.

Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen una conferenza dei partiti socialisti scandinavi e olandesi. Egli annunciò la sua partecipazione appro­fittando di una tournée europea che doveva compiere come collaboratore dell’«Avanti!». Parti quindi per la Danimarca ma non vi partecipò, affermando di non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio, dirà al Comitato Direttivo del Partito socialista svizzero di non aver preso parte alla Conferenza di Copenaghen sia perché aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia perché Grimm lo aveva informato che vi potevano essere sospetti di influenze tedesche sulla conferenza.

L’incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I partecipanti non furono numerosi e, forse per timore di creare attriti, trattarono solo argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la convocazione di una conferenza non appena possibile e comunque prima dell’inizio delle trattative di pace.

La «Missione Morgari». Parigi e Berna

Il suo compito era di raccogliere informazioni, effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi conto delle reali loro disposizioni verso la promozione della pace e il risveglio dell’Internazionale. Il mandato era abbastanza elastico e anche l’itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale, era quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano, e cioè: trasferimento del Bureau in un paese neutro (di preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una conferenza dei partiti socialisti dei paesi non belligeranti. Prima di partire, in febbraio, Morgari si recò in Svizzera ad esporre gli obiettivi del suo viaggio e chiese di essere accompagnato nella sua missione da un delegato del locale Partito socialista.   Gli svizzeri decisero di affidargli invece un messaggio scritto, copia del quale venne inviata al BSI e ai partiti affiliati prima ancora della sua partenza. Ma per una serie di circostanze egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi varie situazioni erano evolute o cambiate.

In una serie di articoli dal titolo Che cosa fare?, apparsi sull’ “Avanti!” dal 20 al 22 aprile 1915, Morgari espresse il suo punto di vista sulla necessità improrogabile della convocazione di una conferenza internazionale socialista. Dopo aver giustificato i socialisti che avevano aderito alla guerra in quanto «l’opinione che il proletariato debba associarsi alla difesa della patria circola da tempo nelle file socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici occasioni, nella stampa e nei parlamenti, e non fu mai sconfessata esplicitamente dai congressi», si rivolgeva all’Esecutivo dell’Internazionale: «A questo BSI noi rivolgiamo un caldo appello ad uscire dal suo presente stato di aspettazione ed a riunire senz’altro l’Internazionale».

A Parigi chiese la convocazione di una conferenza internazionale al  presidente del B.S.I.  Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma dichiarò che avrebbe impedito agli stessi svizzeri ed italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di tenere in ostaggio l’Internazionale, e il colloquio ebbe toni drammatici. L’ “Avanti!” pubblicò la relazione di Morgari sul viaggio a Parigi e Vandervelde reagì cercando di modificare la propria posizione: ma Morgari replicò che se le parole potevano non essere esatte, la sostanza era quella da lui indicata: francesi e belgi non volevano venire in contatto con i tedeschi ed erano per la, guerra a  fondo contro il militarismo germanico

Naturalmente i gruppi socialisti dissidenti che vedevano nell’iniziativa italo-svizzera una rinascita dello spirito internazionalistico accolsero Morgari a braccia aperte. A Parigi strinse rapporti con Martov e Trotskij , il quale con la sua penna satirica ne traccia questo pungente ritratto: “Morgari ha una natura d’artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo viso giovanile recano il segno di un carattere bonario ed indulgente … rimprovera al marxismo la mancanza di realismo, riconosce nella Storia la “molteplicità” dei fattori e tenta di arrivare ad una concezione “integrale”, sia nella pratica che nella teoria. L’integralismo significa, in realtà, uno sforzo per giungere ad un eclettismo “armonioso” … Sulla terrazza di un caffè di uno dei grandi boulevards, avemmo una conversazione con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non molto chiare si consideravano di sinistra. Sinché il colloquio non andò al di là delle proclamazioni pacifiste e della ripetizione di luoghi comuni sulla necessità di ristabilire le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza bene. Ma quando Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò a parlare della necessità di procurarci falsi passaporti per andare in Svizzera (era evidente che l’aspetto “carbonaro” della faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno di loro si affrettò a chiamare il cameriere e a pagare le consumazioni. Sulla terrazza aleggiava il fantasma di Molière, forse anche quello di Rabelais;  la cosa non andò oltre.[10]

Tuttavia, se il programma di Lugano era inaccettabile per il socialismo ufficiale, per i dissidenti risultava insuffi­ciente. Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra una conferenza di neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si dovevano invece adunare i dissidenti, gli elementi di opposizione che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e contro la politica di union sacrée. Al termine dei colloqui parigini Morgari aderì a quest’idea e, tornato in Italia, la espose alla Direzione tenuta a Bologna il 15 e 16 maggio 1915 che la adottò; i socialisti italiani decisero così, ignorando gli organi ufficiali dei partiti, di convocare singoli o gruppi socialisti e sindacali di qualsiasi natura, scelti secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi neutri, sia a paesi belligeranti.

Pochi giorni dopo si recò a Berna per elaborare con Grimm la realizzazione del progetto all’insaputa del Partito socialista sviz­zero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a Bologna la decisione, assai più avanzata rispetto alle posizioni di Lugano, di convocare le minoranze, il Partito svizzero rimase legato all’idea di convocare soltanto i neutri.

Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo non già il comitato centrale del Partito socialista svizzero, ma Grimm, che aveva assunto una posizione analoga a quella italiana. E solo più tardi, in novembre, al Congresso di Aarau il Partito socialista svizzero approverà l’operato di Grimm.

L’11 luglio Morgari e la Balabanoff incontrarono a Berna in una riunione preliminare: Zinoviev (per i boscevichi), Aksel’rod (per i menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti, però, solo Morgari e la Balabanoff erano venuti dall’estero con un mandato ufficiale; tutti gli altri erano già in Svizzera come rifugiati.  Fu a questa conferenza che si fissò lo scopo e il carattere del convegno da tenersi in settembre. Esso «non avrebbe avuto per nulla come scopo la creazione di una nuova Internazionale, ma il suo scopo sarebbe stato piuttosto di richiamare il proletariato a un’azione comune per la pace, di creare un centro d’azione e di cercare di ricondurre la classe operaia alla sua missione storica».

Nel Paese in guerra (1915-16)

In occasione delle “radiose  giornate” del maggio 1915 a Torino la pressione della base operaia spinse la sezione cittadina, assai dubbiosa  pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare lo sciopero per il 15. Nell’occasione Morgari non era presente perchè a Bologna con Buozzi e Pastore. La tensione cresceva da settimane e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14 feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa del popolo da parte dell’esercito, arresto di esponenti sindacali e politici, che caratterizzano la situazione più grave verificatasi in Italia alla vigilia dell’entrata in guerra. Rientrato a Torino, con Casalini e Quaglino girò “4 o 5 ore per tutta la città per persuadere gli scioperanti a riprendere il lavoro”. Mentre i componenti della Commissione Esecutiva della Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di tre mesi, funziona una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche Morgari, che a luglio viene sostituita con elezioni che vedono contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis, Boero, ecc., si colloca Morgari.

Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni sincere che espresse in articoli, manifestazioni, comizi e nei due discorsi che tenne alla Camera, ma non poteva dimenticare che molti in Italia, tra i quali gli irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano voluto la guerra per motivi patriottici e ideali. Né poteva dimenticare la «Lettera aperta» che Cesare Battisti aveva inviato un anno prima[11]

Una crisi lo colpirà alcuni mesi più tardi, quando il sentimento mazziniano e risorgimentale prenderà il sopravvento sulle convinzioni antimilitariste. E’ del mese di dicembre 1915, infatti, la polemica sorta intorno alla frase «ti invidio» scritta da Morgari al suo amico Plinio Gherardini, arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo prossimo arruolamento tra i garibaldini di Francia. La notizia, smentita dall’ “Avanti!” e dal “Grido”, fu poi confermata dallo stesso interessato in una lettera a Lazzari del 25 dicembre, mettendo­lo in connessione con il particolare momento: «un periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose opposte: l’antimilitarismo e il fucile, quando cioè procuravo di convincermi che – dopo fatto ogni sforzo per impedire lo scoppio della guerra, dal punto di vista degli interessi generali e dei nostri principi – un socialista potesse, senza contraddizione seguire il proprio temperamento appena scoppiata la guerra, in base al motto: “cosa fatta capo ha”».

Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato alla Camera il 1 luglio 1916, che si apriva con la confessione della propria crisi: «persino chi parla ebbe negli inizi un momento di esitanza e pregò un collega, che è su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»[12] La guerra non era considerata unilateralmente come un «portato degli interessi economici delle classi dirigenti», ma anche come esigenza di «cause ideali, sdegni generosi, fedi sincere». Fu anche profetico: “se abbattiamo la Germania essa coverà la sua rivincita, la coverà 20 anni ma la farà” e insiste sullo scarso interesse a “annettere rupi trentine e caverne del Carso“,[13].

Il discorso gli procurò i feroci attacchi  dell’«Idea Nazionale» e gli elogi dei giovani socialisti tra cui quello di  Gramsci. Serrati, nell’introduzione alla pubblicazione sull’Avanti,  pur dissentendo «sia per ciò che si riferisce alle origini e alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la condotta della guerra e sia anche e soprattutto quanto ha tratto ai rimedi democratici contro la guerra», lo elogiò in quanto «coraggiosissimo».

Da Zimmerwald a Kienthal

Il 5 settembre 1915 la conferenza venne finalmente convocata, nonostante la tenace opposizione del presidente dell’Internazionale e l’ostilità dei socialpatrioti. Fu scelta Zimmerwald, un paesino della Svizzera. L’”Avanti!”  scrisse: «Gli sforzi entusiastici del nostro Morgari – che gli scettici deridevano e i cattivi calunniavano  – sono stati coronati da pieno successo»

Le convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la Conferenza si svolse all’insaputa di tutti, governo svizzero compreso.

A Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni ufficiali dei partiti socialisti di Polonia, Italia, Bulgaria, Romania e Sviz­zera e i rappresentanti dei gruppi di opposizione di Germania, Francia, Olanda, Svezia e Norvegia. Il partito socialdemocratico serbo, che pure aveva dichiarato la propria neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante per la mancata concessione del passaporto al delegato. Dei russi in esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod e Trotzki. Per l’Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS, composta da Costantino Lazzari, Angelica Balabanof, Modigliani, Serrati e  Morgari.

Trotsky nella sua autobiografia descrive così la partenza dei congressisti da Berna per Zimmerwald:« Noi ci pigiammo in quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente guardava con curiosità quella strana carovana. I delegati scherzavano sul fatto che mezzo secolo dopo la costituzione della prima Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in quattro carrozze. Ma nello scherzo non c’era alcuno scetticismo. Accade molte volte che il filo della storia si strappi. Allora bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a Zimmerwald».

Fin dalle prime battute i delegati si divisero in «destra» e «sinistra». La prima, composta dalla maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna della guerra, confessava ancora fiducia nella Internazionale. La sinistra, invece, riteneva che l’unione sacra e la politica dilatoria del B.S.I. l’avessero definitivamente squalificata, e poneva il problema della trasforma­zione della guerra militare in guerra civile sviluppando le deliberazioni del congresso di Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la 2. Internazionale ma cercava di mutarne la direzione e si pronunciava contro la guerra addossandone la responsabilità alla cupidigia imperialistica di tutti i paesi belligeranti, in Italia fu stampato alla macchia e l’«Avanti!» lo pubblicò a dispetto della censura il 14 ottobre  grazie a un’abile manovra del direttore Serrati.

A Zimmerwald, nella firma del manifesto conclusivo, Morgari rivelò non poche perplessità, in quanto non si sentiva di avallare le affermazioni unilaterali sulle cause della guerra[14] persuaso che la sua impostazione oscurasse le ragioni di coloro che avevano combattuto la guerra non per interessi economici ma unicamente per motivi morali

Morgari sintetizzò la portata de convegno in un’intervista rilasciata al giornale “La Sera”, in cui affermava che «l’atto pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro dovere di socialisti, che era di riunirci internazionalmente ed esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra. Ma nello stesso tempo pur volendo sfuggire alle responsabilità di questa guerra, noi non diciamo ai soldati o di fuggire o di non sparare

La Conferenza costituì anche una «Commissione socialista internazionale» con il compito di «facilitare le relazioni fra i partiti socialisti» e di «informare le organizzazioni aderenti sugli avvenimenti e lo svolgimento della lotta per la pace». A farne parte furono chiamati Grimm, Naine, Morgari e la Balabanoff (in veste di traduttrice). La commissione lavorò attivamente nonostante l’entrata in guerra dell’Italia, ma i risultati furono scarsi. Ciò non impedì ai giornali borghesi di sviluppare una vasta campagna di stampa contro i socialisti italiani accusati di svolgere, all’interno della Commissione di Berna, attività antimilitare e antipatriottica.

Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale tenutasi a Berna e promossa dal PSI, venne decisa una nuova conferenza che si tenne poi a Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti all’ordine del giorno della conferenza erano: la battaglia per la fine della guerra, l’attitudine del proletariato verso i problemi della pace, la questione della convocazione del BSI a l’Aja.

Per l’Italia, con Lazzari, Prampolini, Modigliani, Musatti, Dugoni e Serrati vi partecipò anche Morgari. In essa vennero riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmer­wald, pur apparendo i termini del nuovo manifesto più decisi. Nel testo programmatico che ad esso si accompagna, venne stabilita, in 14 punti, la condotta che il proletariato doveva adottare di fronte alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu iden­tificata con la lotta rivoluzionaria per il socialismo. I testi di Kienthal furono votati all’unanimità dai partecipanti alla conferenza. Anche se i gruppi presenti a Kienthal erano sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto più numerosi e ciò nonostante le autorità di alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la partecipazione non rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un netto sposta­mento a sinistra. Lenin non si trovò più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di Kienthal non parlarono più di «pace senza annessioni e senza indennità” ma di «conquista dei governi e della proprietà capitalistica per parte dei popoli” e aggiunsero: «la pace duratura sarà il frutto del socia­lismo trionfante».

Il manifesto di Kienthal venne giudicato non sufficientemente rivoluzionario dalla sinistra, mentre la destra ritenne troppo assolute e pessimistiche alcune affermazioni. In questa «destra » si inquadra anche Morgari che formulò un emendamento votato anche da Modigliani, Prampolini, Dugoni, Musatti.  Votarono le tesi senza riserve Serrati e Balabanoff.

Benché la condanna della guerra risultasse molto più dura e circostan­ziata rispetto a Zimmerwald, il rapporto ufficiale concluse con un generico invito all’azione delle masse.

La Missione Ford. Stoccolma

È nella mancanza di linearità con le tesi di Zimmerwald e di Kienthal che va inquadrata la sua singolare partecipazione alla Missione Ford. L’industriale americano Henry Ford[15]  aveva intrapreso una campagna per il ritorno della pace in Europa fondando una istituzione che, abbondantemente finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua sede a  Stoccolma. Ford intendeva mostrare la superiorità morale del capitalismo americano che non era costretto favorire le guerre per realizzare profitti ma poteva legittimarsi moralmente e politicamente attraverso il coinvolgimento nei consumi delle masse popolari. Non su cannoni, ma su automobili e su oggetti di con­sumo era in grado di puntare l’industria americana.

Morgari fu colpito da questo capitalismo che sapeva coniugare le esigenze del profitto con quelle della socialità e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di imprenditoria ebbe sviluppi nell’immediato dopoguerra con la collaborazione con Giovanni Agnelli e l’industriale tessile Franco Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con la Russia sovietica.

Ford aveva inviato il proprio segretario a Berna per scegliere una commissione svizzera per il parlamentino pacifista che avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoc­colma. Fu a Berna che agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio internazionalista Enrico Bignami, il segretario di Ford. Invitato da quest’ultimo a far parte della commissione permanente della Missione, si consigliò con Grimm, Balabanoff, Serrati, Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli altri considerarono  possibile  l’opera  di   Morgari   purché svolta  a  titolo personale, senza alcun mandato.

Nel resoconto del viaggio di Morgari, l’“Avanti!” insiste nel presentare la sua  partecipazione alla Missione come un’ iniziativa personale,  escludendo  ogni  copertura  diretta  del  partito,  che ufficialmente non poteva essere data, basandosi la Missione Ford esclusivamente sul contributo finanziario di un capitalista. L’autonomia della iniziativa è riconosciuta dallo stesso Morgari in una lettera a Serrati del 15 giugno 1917: «Più volte mi scrivesti per invitarmi ad inviare articoli, notizie. Ma sai come la penso. Invadere l’Avanti! con quelle tesi – posto pure che tu lo concedessi – sarebbe un abusare dell’ospitalità politica, e un tentar di scuotere la discreta e sufficiente concordia odierna del partito. Scrivere senza avanzare tesi non vorrei. Notizie non ne ho; ne ho meno di te, che leggi o fai leggere giornali in più lingue »[16] In una nota editoriale da attribuire a Serrati premessa al suo articolo Le due Vittorie apparso su “Scintilla” e poi sull’”Avanti!”, si legge: «Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio di forze operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella questa utopia che quando noi abbiamo visto Morgari tutto preso da questo nobile sogno, non ci siamo sentiti di dissuaderlo e, pur dissentendo, lo abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo alla ricerca degli uomini buoni……Mentre il pacifismo largamente umanitario di Morgari conduce logicamente alla cessazione o, quanto meno, alla attenuazione della lotta di classe, il nostro determinismo economico ci chiama invece ad accentuare l’azione indipendente ed autonoma del proletariato nei confronti di tutti i dominanti »[17]. Morgari quindi accettò l’offerta del segretario di Ford tacitamente confortato dal consenso dei compagni e nel maggio del 1916 intraprese il viaggio per Stoccolma. Della Missione Ford faceva parte anche Hermann Greulich, che il 17 maggio 1915 aveva presentato alla direzione del PSI il sig. Nathan, latore da parte di pacifisti americani di offerte finanziarie categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari, a nome della direzione del partito, in un colloquio avuto a Bologna con il pacifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e interventista vide nelle offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco e identificò in Greulich un agente del governo imperiale. Memore di tale polemica, Morgari invitò Greulich a dimettersi da membro della commissione permanente della Missione Ford, per fugare ogni possibile equivoco sulle reali intenzioni della Missione.

Il parlamentino costituito da Ford a Stoccolma rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i numerosi tentativi falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche suscitato sulla stampa italiana, egli divenne uno dei maggiori attori della iniziativa pacifista. A suo giudizio il problema essenziale per il momento, al di fuori di ogni problematica rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la pace, anche se tutto ciò comportava collaborazione con un capitalista. Ai delegati della Missione Ford Morgari presentò un Plan d’une grande campagne mondiale pour la paix prochaine et definitive, preventivamente discusso dal gruppo scandinavo della Missione il 24 settembre 1916 e presentato nel novembre a tutti i componenti. Stilato con la meticolosità che gli era propria, si articolava in 78 punti ed era basato sul contributo finanziario di cinquanta milioni di dollari da parte di Ford. Prevedeva una campagna mondiale per la pace, della durata di 5 anni, sostenuta da quotidiani, cartelloni, cinema, propagandisti distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre fasi di sviluppo: 1) «Avant l’armistice», per avvicinarlo e influenzare i negoziati preparatori; 2) «Pendant l’armistice», per influire sulle condizioni del trattato di pace; 3) «Après la paix», per vincere quelle forze che si opponevano a una completa instaurazione dei diritti delle genti. Il piano prevedeva anche la fondazione di un quotidiano mondiale, pubblicato in tre lingue, e l’adozione di una lingua mondiale, l’Esperanto[18] – di cui Morgari fu un discreto conoscitore e attivo divulgatore – per influire più facilmente e uniformemente sull’educazione dei popoli al pacifismo. Ma non se ne fece nulla: Ford  in armonia con l’atteggiamento del governo americano che aveva deciso l’intervento a favore dell’Intesa,  annunciò che non aveva più fiducia nella buona volontà di pace dei dirigenti tedeschi e sciolse definitivamente la sua missione il giorno della rottura dei rapporti diplomatici tra Germania e Stati Uniti (2 febbraio 1917).

Il viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse di ingenuità se non di  connivenza col nemico.  Iniziò l’ “Idea nazionale” il 13 ottobre 1916, seguita dal “Corriere della Sera” del 3 giugno 1917 che così commentava: ”L’importante è che l’affare si concluda subito per merito suo, così il socialismo intasca in moneta elettorale il prezzo della mediazione. Sua Eccellenza Morgari ha l’anima di un viceplenipotenziario di Federico II o di Maria Teresa», e dal “Giornale d’Italia” del 7 luglio. Morgari esprimerà la sua delusione per il fallimento della Missione in un’intervista rilasciata alla stampa pochi giorni dopo il suo rientro in Italia. “L’Avanti!” non commentò: a giustificazione riportò una relazione letta a suo tempo da Morgari alla sezione di Torino. Il carattere borghese dell’iniziativa di Stoccolma è sottolineato dalle dure parole di critica che “Il Grido del Popolo” scrisse sull’iniziativa di Morgari: «Noi che abbiamo solo fiducia nella lotta di classe e non crediamo né alla efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo borghese, saremmo mortificatissimi di aver perso tre mesi di tempo in collaborazione con un qualsiasi Ford, presso qualsiasi governo, presso una qualsiasi conferenza che non fosse stata una conferenza di socialisti internazionalisti” .

Rimase tutto l’inverno in Svezia; fallita la Missione Ford, in primavera partì per l’Olanda. All’Aja si fermò per circa due mesi cercando di mettersi in contatto con Huysmans, per spingerlo a convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu irremovibile, e qui era stato raggiunto da un telegramma di Lazzari che lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con i rivoluzionari russi e inviare notizie precise all’ “Avanti!”.

Tentò di recarsi in Russia attraverso la Scandinavia, ma inutilmente, a causa delle restrizioni degli imbarchi per la guerra in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a Serrati, in data 15 giugno 1917, dall’Aja: «Rimpatrio. Dopo quasi due mesi di pratiche per ottenere il rimpatrio traverso il territorio anglo­francese, ottenutolo infine il 21 aprile, ricevo il telegramma di Lazzari incaricantemi di recarmi in Russia. Pensa quanto siffatto incarico mi lu­singasse e corrispondesse al mio sentimento. Non profittai del permesso con pericolo di vederlo decadere e insieme a un compagno esiliato russo e ad un organizzatore che conosce i porti olandesi come tu l’Avanti!, feci ricerche per trovare imbarco alla volta della Scandinavia. Dopo oltre un mese di vane pratiche, rinuncio »[19] . Così nel luglio 1917 rientrò in Italia.

Morgari non potè partecipare alla conferenza di Stoccolma. L’avvento al potere dei bolscevichi determinò il ritiro della delegazione russa dal comitato di Stoccolma e contribuì alla disgregazione del movimento zimmerwaldista, la cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917. Morgari, costretto in Olanda dalla guerra, non parte­cipò ai lavori preparatori né alle sedute della terza conferenza di Zimmerwald.

Nel Paese in guerra (1917-18)

Rientrato in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla Casa del popolo di Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano compiendo un giro di propaganda noi paesi dell’Intesa. Si tenne anche un comizio affollatissimo, il primo dall’inizio della guerra.

Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato dalla carenza di generi alimentari, che assunse subito carattere politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra. La sera stessa la sezione di Torino telefonò a Morgari chiedendogli di precipitarsi a Torino. Dalla testimonianza resa al processo per i moti dell’agosto dal segretario della CdL Dalberto, egli si mise in contatto prima con Rigola a Biella che rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini in vacanza e Morgari a Roma, perchè rientrassero. II giorno dopo giungeva nella città trasformata in un campo di battaglia. Queste iniziative saranno considerate dal Tribunale Militare conferme dell’ipotesi che Morgari era uno dei promotori dell’insurrezione.

Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della sezione socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e parecchi altri compagni tra i più noti, che decisero di affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni, Morgari) il compito di funzionare da direttivo provvisorio. La sera del  23 con Romita e il corrispondente dell’ “Avanti!” Leo Galetto ebbe un colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma telefonicamente che Morgari “pare animato da buone intenzioni”. Il 26 presenta­rono per il visto al Comando del Corpo d’Armata, che aveva assunto la tutela dell’ordine pubblico, il seguente manifesto:”Lavoratori Torinesi: l’inefficienza del Governo Centrale, l’igna­via dell’ Amministrazione cittadina, le provoca­zioni indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare unanimi in un movimento di sciopero generale, meraviglioso, forte, ammo­nitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del pane, esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione contro la guerra, che tanti lutti ha seminato e tanto sdegno suscita in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello stato borghese, la incoscienza da parte dei proletari vestiti in divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organiz­zazione ad una azione risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare lunedì al lavoro. Non è consiglio di viltà quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che non solo questo gran­dioso movimento proletario torinese sia avverti­mento serio e definitivo al governo monarchico borghese, perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi anche a tutti i proletari d’Italia ed all’Internazionale il dovere di una più intensa e definitiva preparazione. Torniamo al lavoro, o compagni, ma tor­niamo colla coscienza di aver compiuto un atto coraggioso degno e fecondo senza dedizioni e senza rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non invano. Salutiamo le vittime con una promessa di prossima, preparata rivincita. Salutiamole al grido: “Viva lo sciopero generale. Viva la pace. Abbasso la guerra!”

E poichè il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al generale Sartirana il testo di un nuovo manifesto assai più moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo accettato di rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti eventi non possono regolarmente funzionare….crediamo nostro dovere avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di invitarvi a riprendere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un riverente saluto alle vittime cadute con quella fede che rimarrà intatta nei nostri cuori”.

Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una più  vigorosa opposizione alla guerra e anche alcuni atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare di bolscevizzazione e di «pericolo di un sabotamento proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista internazionalista e pacifista ve­niva distribuito clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le truppe al fronte grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si nascondono dei manifesti sediziosi» Le autorità militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui andavano ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.

“noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da trent’anni combattiamo la guerra….c’è il patriottismo dei signori che crede possa la gloria e il benessere della patria realizzarsi solo nell’espansionismo e vi è il patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e la gloria della patria nello sviluppo interno delle risorse interne,. La guerra è il vero sabotaggio della guerra. Voi sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi che imperversa”.[20]

Il 21 dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G : «La Camera invita il Governo a rivolgere alle potenze alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di riordinamento della convivenza internazionale basata sull’abolizione del diritto di dichiarare Ia guerra, finora  riconosciuto negli stati dal costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo il suo discorso alla Camera, come già nel 1916, Morgari fu sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da militari al fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci[21] e Serrati scrissero a Morgari per congratularsi con lui. Discorso che passa per “vergognosamete leninista” e contro il quale protesteranno numerosi professori, da Mosca a Loria. Nell’esaltazione della rivoluzione russa “che innalza la più grande bandiera che abbia mai sventolato sulla faccia della terra” “Lenin non tiene abbastanza conto della difficoltà di trasformare bruscamente una società individualista in una collettivista, sebbene tale trasformazione sia facilitata in Russia dal fondo mistico della razza slava e ancor più dal fatto che quel paese è uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ….Lenin ha fretta, vuole trasformare il suo Paese in una enorme società cooperativa di produzione e di consumo…”.

Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il 24 gennaio il governo ordinò l’arresto del segretario politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il loro atteggiamento «in evidente contrasto con le necessità della difesa nazionale». Già nel 1915 Lazzari aveva chiesto a Morgari di sostituirlo qualora fosse stato arrestato. Lo sostituì ma tenne la carica per poco: il 18 giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche segretario del gruppo parlamentare e il dissidio fra questo e la direzione rendeva difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo pensiero in una circolare.[22]

La Commissione di informazione e di azione internazionale

Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari ri­prese la sua attività, come incaricato del partito all’estero, partecipando al congresso del Partito socialista francese. Nella riunione del 30 settembre 1918 la direzione del PSI aveva de­liberato che Morgari e Alessandri portassero il saluto e la solidarietà dei socialisti italiani al congresso del Partito socialista francese, che si tenne a Parigi dal 6 al 9 ottobre 1918.

In tale occasione, approfittando della presenza di molti delegati stranieri e della vittoria al Congresso dei “minoritari” fu composta una «Commissione socialista di informazioni e di azione internazionale». La Commissione, dopo alcune sedute preparatorie tenute da Morgari con il bolscevico Kemerer e con altri delegati francesi e serbi nelle giornate dell’11-13 ottobre, venne ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici del Populaire, cui parteciparono il segretario Frossard, Longuet, Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli italiani Morgari, Alessandri e Rubino, segretario della sezione socialista italiana in Parigi, oltre a russi, serbi e greci

La nuova Commissione aveva il compito di creare un centro d’in­formazione e di azione a disposizione delle correnti di sinistra (internazio­nalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei paesi dell’Europa occidentale e dell’America, in considerazione del fatto che «la censura dell’Intesa era riuscita ad innalzare un’insuperabile ‘muraglia cinese’ fra l’Europa occidentale (Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo) e il rimanente d’Europa (Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia), mu­raglia che durerà ancora a lungo per impedire il propagarsi del bolscevismo dall’Est d’Europa all’ovest».

La Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione socialista internazionale costituita a Zimmerwald – trasferitasi, nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente inef­ficiente – e al Bureau della II Internazionale «le cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si agitano nel socialismo mondiale, non potevano essere che neutrali, e limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso internazionale sarà possibile».[23]

A Parigi patrocinò la proposta di convo­care una conferenza zimmerwaldista a Roma, da contrapporre alla confe­renza interalleata di Londra alla quale la direzione del partito socialista italiano aveva rifiutato di inviare propri rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni membri della nuova direzione (ex minoritaria) del Partito socialista francese e della nuova Commissione internazionale (tra i quali Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto rifiuto e gli mossero il rimprovero di non aver partecipato alla conferenza di Londra, dove i socialisti italiani neu­trali avrebbero potuto collaborare con i “minoritari”.

La Comune di Budapest

Dopo la sconfitta degli imperi centrali e l’abdicazione di Carlo d’Asburgo, il presidente provvisorio dell’Ungheria Karolyi, di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza di attenuare l’ostilità delle potenze vincitrici, aveva rassegnato le dimissioni affidando il potere al partito socialista nato dalla fusione dei socialdemo­cratici col piccolo partito comu­nista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo del 1919 veniva proclamata a Budapest la Repubblica Ungherese dei Consigli.

In effetti l’Intesa mandò a Budapest  un suo rappresentante col compito di trattare l’accordo di pace. Fu un successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria (dove  l’opinione pubblica lo appoggiò in uno spirito di solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando l’interesse intorno alla seconda rivoluzione socialista, attuata nel cuore dell’Europa.

Il successo e i consensi dei primi giorni di vita permisero al governo rivoluzionario di lavorare per l’edificazione anche pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo del paese, esprimendosi con misure più massimaliste di quelle attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la nazionalizzazione di tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con più di venti operai, di tutti i beni immobili e gli istituti finanziari; il 3 aprile si dichiarò il passaggio di tutte le proprietà fondiarie a «proprietà dello Stato proletario senza alcuna indennità di riscatto». Quest’atto, sebbene  in linea con la dottrina marxista e soprattutto dettato dalla necessità di garantire la continuità dei rifornimenti alimentari alla capitale e al fronte, rappresentava una delusione per quei contadini poveri che avevano sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della terra. Il sistema delle «cooperative di produzione» , spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto accettato.

Frattanto l’Intesa favorì la creazione di governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari della Romania e Cecoslovacchia. La sorte della repubblica dei Consigli sembrava già segnata quando alla metà di aprile le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non fosse stato per la mobilitazione popolare messa in atto dal governo rivolu­zionario  con la creazione di un’ Armata rossa a cui affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed ele­menti della “intellighenzia”.

I mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni perdute aprendo  possibilità per la sopravvivenza della repubblica dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo scoppio di una rivoluzione in tutto il bacino centro-europeo confortata dalle  notizie provenienti dalla Baviera e dalla ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con l’Armata rossa sul fronte ucraino.

L’avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari: la rivoluzione sembrava estendersi a macchia d’olio In Italia, la Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un ordine del giorno di adesione all’Internazionale Comunista; ora, dopo le novità provenienti dall’Ungheria e dalla Baviera, il PSI nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri destini, che è pronta a raccogliere e seguire gli insegnamenti della Russia, dell’Ungheria, della Baviera dove il potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani di chi produce, di chi lavora».

In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la stampa socialista era costretta ora ad accogliere ora a smentire le più clamorose invenzioni giornalistiche come quella della occupazione della capitale o della morte di Bela Kun.[24]

L’incertezza delle informazioni, l’esigenza di una presa di contatto diretta, il desiderio di manifestare la solidarietà dei socialisti italiani stanno alle origini della missione affidata dalla Direzione del Partito a Morgari che si trovava allora a Monaco di Baviera; vi si era recato dopo aver inutilmente tentato di raggiungere Pietroburgo da Zurigo e da lì il 1. aprile aveva inviato un messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione del PSI all’Internazionale Comunista  e la solidarietà dei socialisti italiani al governo dei Soviet.[25]

Il 19 maggio giungeva [26] a Budapest  pieno di curiosità e di interesse, disponibile all’entusiasmo, ma insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla base d’un rigoroso me­todo «scientifico»  e «sperimentale»  quanto avrebbe visto. La tattica consi­stente «nel registrare colle luci le ombre, le lamentele, le deficienze, gli errori», spiegandone beninteso le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad aprire una scuola pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro rivoluzione. Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del calvario, salito dai fratelli che li  precedettero  nella fatica gloriosa,  apprenderanno  ad imitare  le cose buone, a prevedere difficoltà, a prepararsi a vincerle e a non ripetere gli errori, almeno nella misura che le circostanze permetteranno»

Il 25 maggio l’ “Avanti!” con un servizio da Budapest dava notizia dell’arrivo del Morgari, della sua visita al più grande com­plesso industriale della capitale, la Landmaschinen Fabrik, del suo incontro con le truppe combattenti sul fronte  nonché dei colloqui da lui avuti con Bela Kun, con Vilmos Bòhm e con Gyula Alpàry.

La corrispondenza, negando le esagerazioni delle agenzie bor­ghesi (la morte di Kun, l’occu­pazione di Budapest, lo sciopero generale, la fame, il terrore), tendeva a dare un quadro ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con Morgari  il fronte a nord-est di Budapest, arrivando a un chilometro di distanza dalle posizioni ceche di Miskolcz, ove strisciammo a terra per osservare le posizioni sotto il fi­schio delle cannonate. Miskolcz, fu presa nella notte stessa dagli ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si impossessarono di trenta mitragliatrici… Dovunque visitammo truppe riscontrammo grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti, sventolando bandiere rosse,can­tando la Marsigliese e l’Internazionale, adornando cannoni, automobili e treni con simboli rivoluzionari e accogliendo la nostra automobile con grida di evviva all’Internazionale…Ad Harszay venne assalito dai soldati l’automobile dello Stato maggiore, improvvisando una dimostrazione di simpa­tia. Un soldato parlò a nome del suo reggimento, pregan­do i capi dell’esercito di salutare in loro nome il proleta­riato rimasto nelle fabbriche, nelle officine e nei campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente all’interno, che essi, proletari in divisa, faranno il proprio dovere alle frontiere» [27].

A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere un’inchiesta sull’allon­tanamento della compagnia  italiana del 2. Battaglione balcanico. I 71 volontari italiani dell’esercito rosso erano stati accusati dal comandante di depredazioni e internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al Commissario del Popolo per la guerra, affermò infondate le accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese l’immediata liberazione. Fece visita anche alla missione militare italiana, l’unica dell’Intesa rimasta a Budapest, comandata dal maggiore Romanelli[28].

Questi giunse a chiedere i “buoni uffici” di Morgari per convincere Bela Kun a cedere il potere, sotto la garanzia dell’Italia, in considerazione della tragica situazione in cui versava l’Ungheria, in guerra con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di un probabile intervento dell’Intesa. Sembrò, in un primo momento, che Kun si manifestasse disposto ad accedere alle proposte del Romanelli. Ne dà notizia un telegramma, spedito per corriere diplomatico il 26 maggio: «Delegazione di Budapest informa che l’on. Morgari ora Budapest per seguire movimento bolscevico, avvisa nostra Missione essere Bela Kun disposto cedere potere attuale e chiedere intervento Italia per garantire ordine. Bela Kun domanda come Italia ricostituirebbe potere in Ungheria e se intervento Italia a Budapest porterebbe conseguenza intervento altre truppe Intesa……se si potesse in qualche modo profittare a vantaggio del nostro paese di questo… e prepararci ad una seria influenza nostra per dopo, sarebbe certamente op­portuno non perdere tempo»

Ma dopo il 24 giugno, in seguito all’opera di difensore dei contro-rivoluzionari da Romanelli svolta, Morgari ruppe le relazioni con la Missione italiana tanto da rifiutare nei momenti della crisi della «Comune» l’ospitalità e la protezione offertagli. Una polemica si sviluppò successivamente: il “Corriere della Sera”, in po­lemica con l’ “Avanti!” che aveva attaccato la Missione italiana accusandola di correità con i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari doveva la sua liberazione dai soldati bianchi a Romanelli, circostanza smentita dall’interessato. .

In una lettera a Kun  scritta all’indomani del tentativo controrivoluzionario del 24 giugno quando alcuni militari del­l’Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo, con­sigliava di non ricorrere alla pena di morte sia per non dare motivo alla Francia, cui era stato affidato il compito di polizia dal trattato di armistizio, di intervenire, sia perché metodi feroci di repressione avrebbero influito “sul  buon nome della rivoluzione proletaria in occidente”, e soprattutto perchè «…se anche fosse vero che col rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni di destra, questa sarebbe una ragione in più per rinunciarvi, perché così cementereste quell’unione fra le due correnti del proletariato ungherese che è tanto necessaria e che è una delle ragioni di superiorità della rivoluzione ungherese sulla russa …L’obiezione più grave pare questa, che la controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il frutto di un regime dittatoria­le non severo” . Concludeva suggerendo che “imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi equivale, come efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore l’intimidazione, ma in compenso maggiore la paralizzazione. Non crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore possi­bile.”

Davanti all’ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di cessare le operazioni militari contro i cechi e i romeni, Kun dovette cedere e far ritirare le truppe schierate su posizioni avanzate. Questo gettò lo scompiglio nelle file dell’esercito rosso ungherese, facendone precipitare il morale e la compattezza.

Il 1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare su Budapest, con la capitale accerchiata e con una controrivoluzione sempre più attiva all’interno, il Consiglio del governo rivoluzionario si dimette, e il 18 novembre entrava in Budapest l’ammiraglio Horty instaurando un regime controrivoluzionario.[29]  Entrati i romeni a Budapest  tra il 7 e l’8 agosto, dopo aver assistito «ad una atroce caccia all’uomo», era stato arrestato. Liberato, poi di nuovo arrestato altre due volte, infine definitivamente liberato aveva lasciato l’Ungheria il 15 agosto.

Dopo due mesi  trascorsi a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso la via dell’Italia. Ora ci si attendeva che parlasse, che raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo di lasciar nascere supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico, quanto all’Ungheria si manteneva sulle generali e sorvolava sui punti più controversi [30]

Da quanto possiamo desumere dalla lettera “ai Cari compagni della direzione del partito”, l’esperimento comunista ungherese deluse fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso voltafaccia della maggior parte dei lavoratori». La lettera è un documento che ha un notevole valore politico e biografico. Dopo aver premesso che «se il viaggio compiuto per vostro incarico e l’aver visto vivere e tragicamente perire ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e temperato le mie antiche prevenzioni contro la tattica bolscevica, non le hanno però annullate», riferendosi esplicitamente alle possibilità rivoluzionarie che alcuni socialisti itaiani ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi d’Europa nel 1919

Morgari scriveva: «Non ho fede nelle energie insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto d’Europa, la Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel presente stato storico, né d’altra parte credo che la situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è catastrofica da condurre gli istituti borghesi, a cominciare da quello militare, ad uno sfasciamento che dia il potere al proletariato non per la forza di questo, ma per il crollo avversario». Per quanto concerneva specificamente l’Italia, egli riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la verità nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non è ancora in grado di rovesciare le istituzioni capitalistiche».

Le perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare nella base socialista erano sui metodi che avevano caratterizzato la gestione del potere nel periodo di dittatura del proletariato. Per le tradizioni pacifiste e non violente del socialismo ita­liano, l’argomento aveva una sua indubbia consistenza e non lo si poteva accantonare tanto agevolmente. Il «socialismo» non poteva essere costruito col «terrore»[31]: naturalmente si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa borghese peccassero per eccesso e fossero viziate dalla precisa volontà di stravolgere fatti e situazioni per spirito di parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente successo, ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.

Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche altro compagno fra cui Serrati, che finalmente ruppe il silenzio tenendo una lunga relazione di quel che aveva veduto e appreso in Ungheria. Riferendone due giorni dopo l’«Avanti!»[32] negò che le conclusioni fossero cosi disastrose per i massimalisti da consigliare una sorta di censura. Morgari, al contrario, era stato invitato a sten­dere una relazione scritta che sarebbe stata certamente diffusa «a meno che non vi si oppongano ragioni di opportunità politica». Certo aveva sottolineato anche gli aspetti negativi e il sug­gerimento che si poteva ricavare da quanto aveva detto era «la necessità d’una più stretta intesa, onde gli avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia sorpassato e sommerso da altri elementi, i quali, mossi solo da inte­ressi o personali o di gruppo, non vedendo le supreme necessità del movimento d’insieme, potrebbero compromettere cogli eccessi, il successo di quella rivolu­zione sociale, che è la finalità stessa del Partito socialista» .

Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una intonazione ben più dura. A stare al «Messaggero» Morgari avrebbe addirittura dichiarato che «la dittatura proletaria era passata come una rapida devastazione, che l’attività dei comunisti di Ungheria era stata distruttiva e la produzione nelle fabbriche era diminuita dal cinquanta al settantacinque per cento», che i contadini s’erano rifiutati di approvvigionare le città, che la burocrazia, «nonostante il regime comunista, era estremamente corrotta», che i funzionari bolscevichi «si arricchivano, compiendo, in nome del governo, requisizioni a proprio vantaggio», che si erano commessi «atti di brutalità» senza risparmiare «atti atroci di repressione»

All’assemblea del 17 feb­braio 1920 della Sezione socialista milanese, Serrati sostenne che «noi non abbiamo alcuna ragione per tenere nascosto quanto è avvenuto in Ungheria  La rivoluzione è quello che è, non si fa allegramente, è irta di difficoltà, di incognite, di aspri doveri». Proprio per questo si poteva analizzare senza paura la rivoluzione ungherese, ben sapendo che al di là degli errori o dei difetti essa sarebbe rimasta «una grande e gloriosa pagina di storia dell’Internazionale comunista»

Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria della SFIO sollecitava l’invio d’una copia della sua ormai mitica relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva fatto bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le esortazioni a farlo erano state numeroso, «ma – eccettuato per parte di Serrati – sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei socialisti francesi aveva un analogo retroterra. «Vuol dire che si cercano armi contro il massimalismo dei Loriot ecc». Morgari  non voleva servire da arma di scissione. «Ora, né io potrei scrivere in un rapporto la metà sola­mente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte, ciò che varrebbe fornire argo­menti taglienti ai nemici del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla cui fiducia dovetti l’incarico del viaggio in Ungheria».

Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di là del dissenso, che pure aveva preso forma, c’era un impegno di solidarietà al quale non si poteva mancare nei confronti di  «quei compagni di fede, ora tutti dispersi per il mondo o tragicamente periti» che avevano generosamente dato vita all’esperi­mento d’Ungheria. Anche per questo il silenzio rimaneva, nono­stante tutto, la migliore consegna.

I viaggi in Russia e la sua ricostruzione conomica

Nel luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le iniziative italo-russe», costi­tuito tra alcuni dei maggiori rappresen­tanti della grande industria ed esponenti autorevoli del socialismo riformista, cui aveva­no dato la loro adesione  tecnici come Alberto Beneduce.

Con Turati, Buozzi e D’Aragona si erano impegnati anche Baldesi. Morgari, Colombino, la Cgl e i direttivi di federazioni operaie e di leghe coope­rative che tentarono di stabilire un terreno di intesa con gli industriali per contrastarne l’allineamen­to al movimento fascista e per ricostituire il blocco di interessi del periodo giolittiano.

La carta era quella di favorire un’apertura alla penetrazione commerciale italiana sul mercato sovietico che consentisse di alleviare il blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali di rifornimento di materie prime svincolati dal monopolio dell’Inghilterra e degli Stati Uniti.

In complesso, una grossa rappresentanza degli interessi del settore meccanico, della navigazione, tessile e chimi­co dell’Italia settentrionale aveva raccolto l’invito. Mai come in quel momento era parsa consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra industriali e sindacati. Ma questa politica aveva degli antefatti: i riformisti avevano puntato le loro car­te su Agnelli come l’uni­co in grado di trascinare altri esponen­ti economici e di avere l’appoggio di Giolitti e che soprattutto era andato inseguendo l’obiettivo di ripristinare i rap­porti commerciali con la Russia fin dal 1920 quando emis­sari della Fiat avevano compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si potesse avere con noi. È sicuramente il gran­de industriale lungimirante capace di procedere per tre­-quattro anni per raggiungere uno scopo. Anche se collo­casse in Russia migliaia di auto e  camion senza un cente­simo di profitto, avrebbe convenienza ad alimentare l’industria. È un esportatore, unico a vendere  nel mondo, ad essere il più grande fabbricante di macchine»[33]

Finita la fase ascendente dell’ondata rivoluzionaria in Europa, il governo sovietico aveva espresso agli ambienti economici occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle esportazioni, secondo lo spirito della Nep di recente inaugurata.

Morgari all’arrivo  nel marzo 1921 di una missione commerciale rus­sa conclusasi con la sotto­scrizione di un trattato commerciale provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della Fiat e poi, con il presiden­te del Consorzio operai metallurgici Colombino, era stato a Genova, a sondare il terreno presso la delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.

Le forti riserve sollevate da destra e l’in­tervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei ministri erano valsi a rimettere in discussione la ratifica del trattato con la Russia già sottoscritto a Genova il 24 maggio che comportava il riconoscimento dello stato sovietico cosicchè nell’estate si era creato un vuoto politico, sebbene i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si fossero infittiti: l’Italia aveva risposto con grande slancio all’«appello contro la fame» lanciato da Maksim Gor’kij per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine del 1921 aveva colpito molte regioni della Russia. Il partito socialista aveva costituito il Comitato pro-Russia che all’inizio del 1922 aveva inviato nel Mar Nero l’«Amilcare Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali.

Paradossalmente il rifiuto al riconoscimento della Russia  finiva per rivalutare la presenza di Morgari e dei suoi compagni nel Comitato perchè rimanevano valide le  prospettive di natura economica e commerciale. Proprio su questa base il presidente della Fiat aveva ritenuto oppor­tuno mantenere in vita il Comitato.

In queste condizioni però l’attività dei rappresentanti socialisti era destinata a scade­re in un’opera di pura e semplice mediazione commercia­le in un momento in cui   era mutato profondamente il clima  del Paese e si era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di collaborazione fra costituzionali e riformi­sti, cui non era servita nemmeno la scissio­ne del partito socialista.

Morgari nel corso dell’estate aveva intessuto una fitta rete di corrispondenza con industriali, cooperatori, autorità governative, per far decollare un progetto di colonizzazione agricola  che espose al primo congresso italo-orientale e coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre 1922, gettando un ponte fra la politica dei «grandi» e dei «piccoli» affari, invitando a considerare il commercio italo-russo in funzione dell’importazione delle materie prime. Egli si riferì alla Russia come all’unico paese che potesse salvare l’Italia dall’isolamento e dall’accerchiamento economico e si propose per andare in Russia come ambasciatore di questa poli­tica.

La sua perseveranza verrà pre­miata: alla fine del 1922. Agnelli e l’industriale milanese Marinotti [34] lo inviarono a Mosca, con l’incarico  di essere il loro osservatore commerciale; anche se non era ciò che Morgari aveva desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi seriamente sul mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo alla «lotta contro il mono­polio delle grandi potenze industriali».

Egisto Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo aveva seguito per studiare la realizzazione di un progetto di colonizzazione italiana nella Russia meridionale. “Mussolini in persona si espresse favorevolmente all’impresa col Baldini” scrisse Morgari[35] a Pavirani prima che questi, insieme a un compagno comunista delegato dal PcdI si recasse nella Russia meridionale per ispezionare la concessione.

In sostanza, dileguatosi l’ottimismo iniziale cir­ca un proficuo intervento in Russia di  cooperative agricole socialiste, del lungo lavoro portato avanti da Buozzi, D’Aragona e Turati, rimarrà in piedi semplice­mente il rapporto personale stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta rispondenza alle volenterose aperture verso la grande industria per un rovesciamento dei suoi orientamenti politici di fondo.

Le sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli anni: nell’opuscolo “Che cosa vogliono i socialisti unitari”,  pubblicato  nel 1923  condannò il   regime   russo,   ponendolo  sullo  stesso  piano di quello fascista  “oggigiorno in Russia, grazie al terrore, dominano ancora i comunisti ma di socialismo non c’è quasi più niente… Con la tattica della fretta non si ottiene altro che di diffamare il socialismo».

Quando nel 1934, dopo il patto d’unità d’azione con i comunisti, s’ac­cenderà il dibattito sul pacifismo socialista, fu il primo a far sua la parola d’ordine della difesa dell’URSS che, riteneva, per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d’aggressione.

Nel 1936-37 soggiornò nell’URSS e in particolare in Crimea nel periodo delle “grandi purghe” e di queste dette all’inizio un’interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che gli venissero confiscati al momento del rientro in Francia[36] i materiali di studio costituiti da note e appunti che, come sua consuetudine, egli diligentemente compilava  e che erano custoditi in due valigie, per cui non ci restano documenti su questo soggiorno.

Nel movimento antifascista in Italia e in Francia (1922-44)

Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di non essere più candidato, come segretario del gruppo parlamentare prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione della linea di condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci, Zannerini, Musatti per il Gruppo Parlamentare e la Direzione del PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto di pacificazione con Mussolini, De Vecchi, Giuriati nello studio del presidente della Camera De Nicola.

Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del partito risuona sempre meno: non interviene ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel corso di quest’ultimo vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l’eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri.

Scrive nel 1923 l’opuscolo II Partito socialista unitario per illustrarne i princìpi; durante le elezioni del 1924 raccoglie le prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il terrore delle camicie nere nel pamphlet “La libertà di voto sotto il regime fascista”. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all’indomani dell’attentato Zaniboni.

Nel 1926 ripara in Francia dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collabora alla ricostruzione dell’organizzazione che prende il nome di Partito socialista unitario del lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione), mentre i massimalisti, più numerosi,  ne avevano sette. L’impegno maggiore è quello di fondarne altre nei più importanti centri dell’emigrazione e di far uscire l’organo di stampa “Rinascita socialista”, come si desume dalla Circolare sull’organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio 1927

Il PSULI pur avendo un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti, poteva contare su dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell’appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni dell’Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL.

Collabora al «Corriere degli Italia­ni», fondato da “popolare” Luigi Donati, risiedendo presso la redazione del giornale [37].

Il “Corriere degli Italia­ni”, sposando posizioni alquanto critiche ver­so gli ambienti del fuoruscitismo offrì il fianco alla pro­vocazione fascista, ricevendo finanziamenti addirittura dall’Ambasciata italiana: è questo, della eccessiva credulità, un aspetto della personalità del Morgari che si rivelò pericoloso in un ambiente  infiltrato di spie e provocatori quale quello dell’emigrazione antifascista in Francia[38].

Fece parte del “Comitato per l’azione in Italia” costituito nel 1928, e nel 1929 della “Commissione per la propaganda in Italia”, presiedute entrambe da De Ambris.

Nel 1930 al 21. Congresso (primo dell’esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l’ala guidata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) è nominato segretario amministrativo (segretario politico Ugo Coccia).[39]

Non risulta aver partecipato invece al 22. Congresso, tenuto Marsiglia nell’aprile 1933. Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un’accelerazione cresente: in Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d’azione con i comunisti e dell’impegno in Spagna.

Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione: quando nel 1934, dopo il patto d’unità d’azione con i comunisti, si accenderà il dibattito sul pacifismo socialista, è il primo a far sua la parola d’ordine della difesa dell’URSS che riteneva per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d’aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.

E’ Morgari a  iniziare la discussione con due articoli sul “Fattore bellico nella politica dell’antifascismo” pubblicati dal “Nuovo Avanti!” dell’aprile 1938, cui  rispose  Modigliani richiamandosi  alla tradizionale agitazione socialista, che con la politica del non intervento di Leon Blum strappa alla borghesia la bandiera del pacifismo integrale, che in Fran­cia è un fatto di massa, con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana contro la distruzione bestiale e la morte a co­mando”

Ma e poi? chiede Morgari, che non rinnega il suo precedente pacifismo, ma ritiene antistorico riproporre il cliché di un marxismo ” unilaterale e sem­plicista”, quando l’esperienza insegna che “talune guerre hanno portato non reazione, ma libertà (…) La stessa guerra mondiale del 1914-1918 partorì la rivoluzione d’Ottobre e ben dieci repubbliche democratiche”

Gli interrogativi si affollano. E se la guerra scoppias­se mentre noi stiamo svolgendo il nostro apostolato per la pace, cosa dovremmo fare? Continuare la nostra missione, come se nien­te fosse, per l’emancipazione del proletariato e rifiutare di allinear­ci al blocco antifascista? Ma se questo malauguratamente perdesse la partita e quindi di conseguenza il proletariato fosse inabissato nella dittatura reazionaria per una o due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze progressive del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è destino che si produca, prepariamoci spiritualmente, tatticamente e organizzativamente a far si che questo nuovo spaventoso delitto del fascismo si converta in una tomba per le camice nere, brune, verdi e di ogni colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso!”

Al 23. Congresso (terzo dell’esilio) svoltosi a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937, un anno dopo la vittoria del Fronte Popolare, è delegato della Federazione parigina. Nel corso del 1938 interviene in comizi “unitari”: parla, con Emilio Lussu per Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI, il 5 aprile a Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per il PCI, a Lione. Collabora al periodico repubblicano “Problemi della rivoluzione italiana” [40]

Nell’estate del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi l’alleanza fra PSI e PCI e la segreteria di Nenni che ne era stata fautrice. In un’assemblea convocata nella sala di rue Meslay nell’ottobre 1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di Nenni, che viene sostituito da un Comitato composto da Morgari, Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del giornale[41]

Morgari in due articoli del marzo 1940 pubblicati dal “Nuovo Avanti!” dichiara di non aver rimorsi per “aver stretta la mano pentita” che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell’unità d’azione, perché quella politica corrispondeva alle esperienze e agli ideali socialisti: difendere l’Urss, mantenere la pace, impedire la fascistizzazione dell’Europa. Ma ora che Mosca con il “turpe abbraccio” con Hitler non lascia più dubbi sulle sue intenzioni di scegliere la guerra per bolscevizzare l’Europa, egli non ha remore «a cancellare risoluta­mente Stalin ed i suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto «”pregiudizialmente”, per un motivo di incompatibilità morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce Stalin “truffatore” e “giuda”, chiama «il paese di Stalin, non più Urss, come finora, ma bensì Russia quanto all’aspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico”

Fu questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione politica; il  Comitato venne integrato da Buozzi e Faravelli e quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si trasferivano nel Sud, dove poi elaborarono le “Tesi di Tolosa”, si trovava ricoverato in un ospedale. Verso la fine del 1940 all’aggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, accompagnato dalla moglie Sofia Fasano, dove rivide amici e parenti che avevano persuaso le autorità a concedergli di tornare e di potersi recare a Sanremo, dove si spense nel novembre del 1944  in una modesta pensione.

L’11 novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e presso la sede provinciale del PSIUP fu commemorato dal socialista alessandrino Paolo De Michelis.

Un sentito ringraziamento a Giovanni Artero per averci offerto la possibilità di pubblicare on line la sua opera.

 

 

[1]  Questo il testo integrale: “Non posso adempiere ad un incarico senza passione, senza fede. Orbene io mi sono andato accorgendo che la maggioranza del gruppo ha bisogno di un segretario abile  Un uomo di carattere, che resta un socialista è ormai di impaccio alla maggioranza suddetta, fattasi definitivamente incapace di tenere alla Camera l’atteggiamento e il linguaggio che a socialisti convengono. E  non  alludo con ciò  all’ appoggio  che si è dato e che si  continuerà a dare al  Ministero Luzzatti. Al contrario io penso che si potrebbe appoggiare un gabinetto per molto meno quando però il Gruppo mantenesse ad un tempo quella fierezza politica e ripetesse quelle affermazioni programmatiche con cui soltanto – nel contatto con uomini d’ altri partiti, specie se cinici e bacati in larga parte – si può impedire che l’involuzione delle dottrine, l’addomesticamento progressivo, l’arrivismo lo scetticismo penetrino in noi e nelle masse che ci guardano operare. A più riprese, ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell’animo di molti colleghi.e d’altro canto mi domando se a un segretario compete questa funzione di mentore o se non piuttosto ha l’obbligo di seguire l’ indirizzo della maggioranza od altrimenti di andarsene.  Io me ne vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire le energie  fattive e il prestigio politico del Gruppo che spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio: intendo dire in un non lontano ministerialismo coi giolittiani anche più sporchi, ciò toglierà al gruppo la rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e non nella forma fanciullesca  del Ferri, la partecipazione dei socialisti al governo; e nel tagliare un dopo l’altro i ponti col passato, accentuando per gradi il proprio rinsavimento dalle utopie originarie, vuoi col fare su di esse il silenzio sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici nazionalisti e militaristi sebbene di scartamento ridotto, vuoi col porre a riposo l’ultima caratteristica di un partito che voglia conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la lotta di classe, per limitarsi a domandare in tono melenso amichevolmente le riforme alla benigna condiscendenza delle classi dirigenti e del governo”.

[2] Lettera del 1.9.1913, in G.Salvemini, Carteggio 1912-14, Bari, 1984, pag. 392

[3] Documenti Diplomatici Italiani, 3. serie, vol. iv, doc.419; nel 1905 sul “Sempre Avanti!” aveva auspicato un intervento dell’Italia in Libia, che gli fu poi rinfacciato.

[4] F.Pedone “Il PSI attreverso i suoi congressi”, vol.2, cit

[5]  G.Are “La scoperta dell’imperialismo. Il dibattito nella cultura italiana del primo novecento”, Roma, 1985 M.Degli Innocenti “Il socialismo italiano e la guerra di Libia”, Roma, 1976

[6] C.Pinzani “Jaurès, l’internazionale e la guerra”, Bari, 1970

[7]  “Avanti!” 28.7.1914 e Ambrosoli, cit , pag. 323

[8]  L.Valiani “Il PSI nel periodo della neutralità. 1914-15”, Milano, 1963, pag. 40

[9]  O.M., “Avanti!”  25.10.1914: “Mussolini parve a tutti noi che fosse venuto a Bologna con la ferma intenzione di non andare d’accordo con la Direzione: perché un uomo della sua intelligenza non poteva supporre che 13 persone che sono a dirigere un partito di quasi 60.000 uomini, avessero potuto da un momento all’altro cambiare opinione…solo perchè uno solo, per quanto apprezzabilissimo, era in un nuovo ordine d’idee”

[10] L.Trotskij “La mia vita”

[11]  “La Stampa” 27.9.1914. La lettera è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e sociali,  Firenze, 1966, p. 470-476. In essa Battisti in risposta all’affermazione dell’indifferenza delle masse operaie italiane d’Austria per l’irredentismo sottolineava lo stato d’oppressione in cui l’Austria-Ungheria teneva le sue nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato lo sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e morale del  Trentino, e il fatto che gli italiani d’Austria già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una causa che detestavano, e scriveva: «Invano io ho cercato sino ad ora sull’Avanti! ” e negli altri periodici socialisti le ragioni pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta di classe, disquisizioni che mi hanno fatto l’effetto di un predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo fame, chiede pane e lavoro».

[12] Atti parlamentari, Camera del deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il repubblicano Eugenio Chiesa

[13] «non parlo dal punto di vista socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda, ma unilaterale. La interpretazione materialista della storia spiega sempre ad un modo il  fenomeno della guerra. Per essa la guerra è sempre il portato degli interessi economici delle classi dirigenti. Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa manovra del capitalismo. Vi è del vero in questa tesi, ma non vi è tutta la verità».

[14]  A. Balabanoff: “Ricordi di una socialista”,  Roma, 1946, p. 104 «Tutto ad un tratto dallo scanno occupato dalla delegazione italiana, si sentì un ” non posso votare “. Era il delegato italiano Morgari, che già all’esordio della lettura del manifesto aveva fatto segni di diniego.

[15] Così l’ “Avanti!” del 23.7.1917:“Nel marzo  de1 1916 a Berna l’on.  Morgari conobbe per  il  tramite del vecchio  internazionalista  Enrico Bignami il segretario del pacifista Enrico Ford ……Ford è un uomo speciale, entusiasta, ingenuo, che in un convegno con Wilson aveva dichiarato di  essere disposto a dare tutto il suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare   d’un giorno la guerra. Aveva qualificato la guerra degli Stati Uniti contro il Messico  come un episodio di pirateria  capitalistica, usando, inconsapevolmente, un linguaggio quasi marxista. Invitato da una pacifista ungherese,  si decide a fare una spedizione in Europa  per  determinare una pressione dei neutri per por fine alla guerra. Morgari pensa che sarà possibile dare un contenuto concreto a questa attività ideologica e sterile di per sé  . Zimmerwald  disponendo di sole  tremila lire ha fatto un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se disponesse di maggiori mezzi? ……Egli voleva proporre a Ford di assegnare 50 milioni per fare attraverso 10 quotidiani opera antibellica, per rafforzare le minoranze antiguerraiole, per spezzare l’anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto attorno a Zimmerwald….” 

[16] Istituto Gramsci, Archivio Serrati, viii/83-83 bis

[17] O.Morgari Le due Vittorie ”Avanti!”,  6.11.1917

[18] Morgari scrisse l’opuscolo La più internazionale delle internazionali,  pubblicato nel 1915, apparso a puntate anche sull’ “Avanti!” dal 19 al 26 agosto. La «questione esperantista» suscitò polemiche vivaci  in campo socialista, con Gramsci avverso alla diffusione di una lingua unica internazionale come mezzo per facilitare i rapporti internazionali e far comunicare gli operai dei diversi paesi. «Le spinte linguistiche avvengono solo dal basso in alto; i libri poco influiscono sui cambiamenti delle parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione delle forme linguistiche più diffuse e più antiche».  Di conseguenza i socialisti dovevano opporsi ai sostenitori dell’esperanto, preoccupandosi soltanto dell’«avvento del collettivismo e dell’Internazionale» i quali soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento delle lingue ario-europee».

[19] Questo il resto della lettera «Mi trovo ‘imbottigliato’ in Olanda. Quale italiano non posso traversare la Germania. Quale zimmerwaldiano e pacifista, non l’Inghilterra e la Francia. Una pratica avviata da questo nostro R° Ministro con i due ambasciatori dell’Aja attraverso Sonnino non ha dato ancora alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro lungo, per la Spagna o… per New York ma dal 1° febbraio, cioè dall’inizio della guerra sottomarina rinforzata, nessun piroscafo per passeggeri è più partito dall’Olanda. La Germania pretende che non tocchino l’In­ghilterra, questa pretende di visitarli in un porto inglese e le negozia­zioni durano da due mesi, né se ne vede la fine.  Resta libero – per modo di dire – un ‘ canale ‘ che dall’Olanda, teoricamente, conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di mine inglese a destra e tedesco a sinistra, qualche cannonata per sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano la nave che mi porta … mi portano prigioniero in Germania. Non è tutto. Occorre essere accettato a bordo, e di regola i cit­tadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma supponiamo che io sia riuscito a sbarcare in Scandinavia. Mi si permetterà l’ingresso in Rus­sia? Il governo provvisorio è … interventista quanto l’inglese e il francese. Non si esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo mi sarà concesso? Vero è che io mi recherei laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata. Mai la chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un miserabile ritirarsi d’uno dei combat­tenti che, tradendo gli alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa que­ste cose? Noi tutti passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi che una pace separata russo-tedesca porterebbe a questo, che gli Imperi Centrali, vittoriosi, accetterebbero più tardi l’invito che la borghesia russa loro farebbe di accorrere a salvarla dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo schiacciamento dei nostri, la sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo moderatamente costituzionale e una nuova Santa Alleanza, a parte poi il trionfo del militarismo e dell’imperialismo nelle loro forme più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la proposta Wilson senza cessar di combattere. Tornando a noi tenterò questo viaggio…»

[20]  “Avanti!”, 10.11.1917

[21]   A nome della sezione socialista torinese, in una lettera datata Torino 29.12.1917

[22]   “Mi  nominaste segretario del  partito  nello scorso febbraio per   plausibili motivi:

                1.Motivi tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato vacante da Lazzari con persona sperimentata, ed io ero in quanto segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale membro della direzione de! Partito pure da anni;

                 2.Motivi politici, perchè la situazione faceva credere che una sola forma d’azione fosse rimasta al partito, quella parlamentare, cosicché appariva utile che i due segretariati fossero, fin quando quella situazione durava, riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due gruppi, a loro volta in quell’epoca sufficientemente d’accordo nell’unico programma di far fronte alla guerra e alla reazione. L’unicità del segretariato permetteva alla Direzione di trasmettere nel Gruppo, più direttamente ed efficacemente il proprio consiglio di energica tenace ed intransigente battaglia .

  1. Motivi di sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di arresto ne! partito e nella direzione suggerivano l’espediente di garantire la continuazione di vita di quegli organismi con l’usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a segretario un deputato e nominando un comitato di nove deputati a prendere le redini del partito nel caso che la direzione fosse arrestata.  Senonché i rapporti tra il gruppo e la  Direzione dopo d’allora mutarono, la mia posizione di segretario unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito di due vertenze: quella per la partecipazione alle Commissioni governative pel dopo guerra e quella per una tattica parlamentare per volgere verso la pace nella qua!e io stesso non mi trovai d’accordo con la direzione. Come potevo continuare ad  essere il portavoce della direzione nel gruppo o anche solo il trait-d’union, ugualmente dai due lati benvisto, se in queste questioni di capitale importanza parteggiavo per il gruppo  direzionale? Avrei dovuto già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero varie ragioni: l’imminenza del congresso, l’arresto di Serrati, e quello probabile di Bombacci. La  neutralità dei rapporti personali il timore   che  a  molti  le  mie   dimissioni  apparissero  come   un   ritirarsi   da   una   carica   pericolosa,   l’inizio  di   un   preoccupante spassionamento, la coscienza di contribuire  ad attutire i contrasti   in un periodo in cui tutti auspicano che il  partito resti uno». Dichiarato che la situazione era tale da dimostrare l’impossibilità di un  segretario  unico, proseguì: mi era parso da principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d’accordo con voi e non col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho spiegato che non mi sarei sentito l’animo di sostenere il pensiero della direzione fino a scindere il gruppo e  dimettermi anche da suo segretario se il voto non fosse stato quello che fu. Se prima non mi fossi liberato dal sospetto che su tanto mio attaccamento alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le spalle nel collegio..”. In altro parole sono venute a cessare le condizioni che resero possibile la mia nomina nello scorso febbraio. Anche il pericolo  è cessato, non   per le singole   persone   ma   per   gli eventi. Resta   la   difficoltà   di   sostituirmi   nel   posto,  ma  si   può   risolvere. In primo luogo io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento, stanchezza irrimediabili, ormai lo vedo. Inoltre Bombacci ha dato prova di possedere tutte le doti di esperienza ingegno e carattere necessarie per degnamente tenere le redini di un partito di proletari. Si risparmierebbe spesa e si otterrebbe maggiore e più snella produzione affiancando il Bombacci con un giovane socialista intelligente e svelto, messo a sua disposizioneSe poi Bombacci fosse arrestato la Direzione esaminerebbe la nuova situazione nata»

[23]  In alcuni suoi appunti scrisse al riguardo:  “Questa commissione fu costituita per principale spinta dello scrivente… dopo riunioni preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra Io scrivenite, Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva costituita in un’adunanza negli uffici del Populair.

                Criteri:  Attivita  modesta ma immediatamente iniziata. La Commissione sarà composta di personalità e non di delegati ufficiali per risparmiare tempo ma sopratutto per non mettere nell’imbarazzo certi partiti (ad es. Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si chiederanno   successivamente le  ratifiche dei diversi  partiti. Roma 8 gennaio 1919.

[24]  Il 5 maggio l’ “Avanti!” pubblicava una nota d’agenzia col titolo:«La fine del Governo sovietista ungherese?». Il 9 mag­gio Genosse (Gustavo Sacerdote) informava sulle trattative di armistizio con la Romania e smentiva recisamente l’occupazione di Budapest: «La no­tizia, evidentemente, è falsa. Noi stiamo ancora in diretta comu­nicazione con Budapest … L’esercito rosso continua a battersi con accanimento».

[25] La breve lettera di solidarietà  “scritta su piccoli ritagli di carta come si faceva ai tempi zaristi” fu citata da Lenin in un discorso tenuto a Mosca il 17 aprile: Lenin Sul movimento operaio italiano, pag. 109

[26]  Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione ungherese re­siste, “Avanti!”, 20.5.1919.

[27]  «Le menzogne della borghesia», siglato I. S., l’Avanti!’,  26.5.1919

[28]  G.Romanelli,”Nell’Ungheria di Bela Kun e durante l’occupazione militare romena”. Udine, 1964, p. 69-73.; nuova edizione dell’Ufficio Storico Militare, Roma,  2002. “…sforzandoci di essere quanto più possibile obiettivi ci avvenne che pur vedendo i fatti da un punto di vista completamente opposto sovente ci trovavamo d’accordo nelle deduzioni…la mia impressione [è] che egli perseguiva una finalità per convinzione, in buona fede ed onestamente, cercando o credendo di giovare alle classi diseredate senza nascosti ed inconfessati scopi di lucro od ambizione personale…”

[29]  Pezzi di colore ricavati da appunti scritti nel mese di maggio furono pubblicati dall’ “Avanti!” il 4,5,10,15  agosto. Gli appunti autografi del  ”Diario ungherese” (in ACS, Mostra Rivoluzione Fascista, b. 130) vanno dal 10 giugno al 15 agosto ed alcuni estratti sono stati pubblicati da G. Calciano, Appunti e documenti sull’attività internazionale di Oddino Morgari,  “Rivista storica del socialismo”, 1967, n. 32

[30] Resoconto del comizio tenuto alla Casa del popolo nell’«Avanti!» edizione torinese, 19.11.1919, “Morgari parla in Borgo Vittoria

[31] Il deputato socialista Osvaldo Maffioli si trovava in Ungheria allo scoppio della rivo­luzione. Nel giugno  aveva avuto un colloquio con Kun, cui non aveva risparmiato riserve sull’esperimento di dittatura del proletariato realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande rilievo sul «Secolo» del 22 giugno, a firma del giornalista Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle confidenze. La pubblicità data da tutta la stampa provocò le ire disciplinari dell’«Avanti!», alle quali Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio della sezione milanese e rinunciando alle cariche che ricopriva. Morgari era presente al colloquio

[32] “Avanti!”, 24 .12.1919,  “Gli insegnamenti di una rivoluzione”.

[33]  Nota del 22.2.1921, Fondo  Morgari, busta 3413, in ACS

[34]  Franco Marinotti, 1891-1966, industriale tessile legato a Riccardo Gualino

[35] “Diario di Mosca” Fondo  Morgari, busta 3413, 16 nov.1922

[36]  Episodio che rievocò anni dopo con toni molto critici sul “Nuovo Avanti”, 5.8.1939 ”Alla ricerca della città del sole”, significativamente dopo la crisi con l’Urss e i partiti comunisti provocata dal patto con Hitler

[37]  Così lo ricorderà Marzo (G.B.Canepa), in “Le cronache di una vita”, Genova, 1983, che, costretto ad espatriare, era stato indiriz­zato a Morgari: “abitava con la moglie Sofia in una specie di «dépendance» del giornale: un ammezzato composto di una cucina-soggiorno, e una camera da letto attigua a un bugigattolo ricavato dal sottoscala che serviva da ripostiglio. Mi ac­colse con grande affabilità…..Non solo, ma quando gli dissi ch’ero stato espulso dalla Francia e dunque che sarebbe stato impru­dente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi in quel sottoscala, e io subito accettai, senza preoccuparmi degli inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi a causa della coabitazione in un ambiente tanto ristretto…..I compiti che mi vennero assegnati erano fin troppo mode­sti: di buon mattino m’affrettavo a compilare la rassegna stampa per i due direttori; quindi dovevo riordinare gli ap­punti che Morgari aveva lasciato sul tavolo e ricopiarli per benino perché poi, al suo arrivo, potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo lavoro di copiatura dovevo ripeterlo più d’una volta, fino alla stesura finale dell’articolo: un lavoro manuale, dunque, da semplice scrivano, ma lo fa­cevo con grande scrupolo, pago della fiducia che m’era stata accordata. Ed era una fiducia piena, perché quando Morgari doveva comunicare agli altri membri della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a me soltanto ve­niva affidato il compito di recapitarli. Mi si presentò così l’occasione di intrattenermi con personaggi politici famosi: ad esempio con Gaetano Salvemini…..Nenni, Modigliani, Claudio Treves… Più spesso però, e regolarmente, dovevo recarmi da Francesco Saverio Nitti, che …..m’incuteva un rispetto pieno di defe­renza. Cosicché ogni qual volta sosteneva una caduta del regime fascista, in conse­guenza dell’inevitabile crisi economica che ben presto avrebbe costretto Mussolini a dimettersi, mi guardavo bene dal sol­levare dei dubbi, ma l’ascoltavo come se fosse un oracolo. I dubbi li sollevava poi Morgari che, quando gli riferivo quelle previsioni, si affrettava a smorzare il mio entusiasmo dicendo che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle leggi economiche, era opinabile, essendo le previsioni in tale materia il più delle volte destinate a restare un pio desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon senso, e l’espe­rienza che feci nel periodo in cui rimasi al suo fianco con­tribuì non poco a costituire il sustrato ideologico della mia futura vita politica. E’ dal suo insegnamento infatti che ap­presi a considerare l’anticlericalismo che mi animava, e ch’era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un atteggiamento destinato a ostacolare il conseguimento della pace sociale; e così pure il settarismo che avevo riscontrato in tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che mi­litavano in altri partiti…Anche per questo suo insegnamento conservo il suo ri­cordo con particolare riconoscenza e affetto.”

[38] A.Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari, 1953, pag. 18 “.il buon Oddino Morari il quale viveva poveramente dormendo in una branda alla sede del “Corriere” era rimasto così candidamente fanciullesco da condurre, ignaro, a visitare il giornale e gli archivi il viceconsole di Nizza, Spetia, che era anche commissario di polizia”

[39]  Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo frequentò negli anni ’30, in “Esili”, Milano, 1946 “Una grossa testa calva: appena una corona di capelli ancora scuri gl’incorniciava il basso della nuca e discendeva sul collo forte. Aveva gli occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando, raramente, li sollevava sull’interlocutore. Ma li teneva di preferenza abbassati, quasi a guardarsi dentro, nell’anima, in quel lavorio d’introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo ab­bandonava mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un contraddittore di se stesso. Ho visto a volte quegli occhi accendersi nell’ira e nello sdegno, ed al­lora anche la voce, che era di solito piana, quasi som­messa, si levava in uno scatto, e le parole si rincorre­vano affannose. Ed anche, ma di rado, li ho visti il­luminati da un sorriso. Un grosso naso dava a quel viso, che avrebbe po­tuto sembrar severo, un’impronta di bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il mento. Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, corte­si e improntati a un. desiderio di non mettersi in mo­stra. Eppure non era modesto. Aveva precisa in sé la nozione del proprio valore, e quel suo fare riserva­to, quasi ritroso, era dovuto forse al desiderio di ve­der chiaro in se stesso, di districarsi nel numero infi­nito dei «pro e contro». L’ho visto, per ore e ore, assistere ai dibattiti delle riunioni, quasi mai partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un immobilità di Bud­da, l’eterna pipa nell’angolo delle labbra, sempre cogli occhi abbassati, prendendo instancabilmente, su ri­tagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta calligrafia di uomo che predilige il dettaglio…).  era un’anima mistica di un santo, ma un santo cosciente della propria santità….. Da giovane  doveva esser stato robusto e tarchia­to: conservava ancora un po’ quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e trasandati gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi sempre al fianco la sua Sofia, più giovane di lui, ma anzi tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso discernimento; lei, però, sentiva la grandezza morale del suo Oddino e gli tributava un’assistenza se non sempre riposante, sempre devota e premurosa.”

[40] O.M. “Il trionfo del fascismo. Di chi la colpa?”, in   “Problemi della rivoluzione italiana” , 2. serie, n.6, settembre 1938

[41] S.Merli “I socialisti, la guerra, la nuova Europa : dalla Spagna alla Resistenza, 1936-1942”, Milano, 1994