di Stefano Betti
Dipanare la matassa che si è improvvisamente attorcigliata nella questione Governo della Repubblica non è cosa da poco. Anche perché un vento di follia sembra aver investito i protagonisti e i loro tifosi, lasciando peraltro ampi margini a retro pensieri d’ogni genere. Complottisti, doppiogiochisti. Tutto e il suo esatto contrario. Oscuri Poteri europei e internazionali dietro, ovviamente, gli altri.
Mai, dico mai, fu così Roma Lazio nelle cose politiche d’Italia. Andiamo con ordine. Facendo chiarezza però anche in linea di diritto e proviamo a far funzionare il cervello.
L’art. 92 della Costituzione recita: “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.”
La norma, scarna, è accompagnata da una prassi consolidata da settant’anni che vede il Presidente del Consiglio incaricato mediare col Presidente della Repubblica i nominativi dei ministri. La Costituzione assegna al Presidente la loro nomina, su proposta del Presidente incaricato, perché in questa Repubblica, che è e resta Prima, giacché la seconda non è mai esistita (vi risulta che sia stata cambiata negli ultimi 25 anni la forma di Stato o di governo, a parte il valzer isterico delle leggi elettorali?) la decisione spetta al Presidente. Non è un atto formale, ma sostanziale.
Si può non concordare sulle motivazioni per un eventuale diniego, come è corretto che sia in democrazia, ma alla fine l’arbitro è uno solo, secondo Costituzione.
Di conseguenza, se il Presidente ha delle perplessità su un nome e le motiva, nei colloqui fra il Colle e il Presidente incaricato in questa settantina d’anni la soluzione del problema non usciva che da due ipotesi. O era il Presidente della Repubblica a modificare avviso, magari convinto dalle argomentazioni a contrario o era il Presidente incaricato a sottoporre un nuovo nome e ottenere il consenso del Presidente. D’altro canto, una coalizione che esprime un Presidente incaricato vuole in primo luogo governare per dimostrare la giustezza dei propri intenti tramutati in azioni e se non è il programma di governo concordato il problema, figuriamoci la sostituzione di un ministro pur nel dicastero più importante.
Mai è accaduto che un nominativo proposto fosse senza alternative. Al punto di rimettere l’incarico.
A questo punto iniziano i retro pensieri. Ecco il primo. Che cosa è che non sappiamo?
Nel contratto di Governo non si parla d’uscita dall’Euro. Il Ministro dell’economia, secondo quanto espresso dal Presidente, deve essere necessariamente “un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano… L’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane.”
La motivazione, resa pubblica dal Presidente, può essere, come già detto, non condivisa, ma va comunque presa in considerazione. MI chiedo: possibile che solo Il prof. Savona avrebbe interpretato e realizzato gli obiettivi di politica economica indicati nel contratto di governo? E, a contrario, possibile che l’ottantaduenne prof. Savona da solo sarebbe riuscito a trascinarci fuori dall’euro, in barba al rispetto dei trattati?
Allora, pare logico ritenere che era il contratto di governo messo in pratica a finire per trascinarci fuori dalla moneta unica, figlio di due progettualità estremistiche, più che l’artefice del dicastero economico. Se così fosse, il Presidente avrebbe dovuto interrompere immediatamente il tentativo di formare un governo giallo verde, sciogliendo le Camere. Ma questo non è stato mai eccepito dal Quirinale. Resta soltanto il niet sul prof. Savona.
I tifosi ci dicono che è diventata una questione di principio, che l’Arbitro è dalla parte degli Altri, i Cattivi, l’élite che ha governato da sempre sulla pelle del popolo. Savona o morte. Prendere o lasciare. Se no che democrazia è? E non sono disposti a ascoltare nessuno, né tanto meno l’autogoal d’aver rinunciato a governare.
Ecco l’ipotesi di attivare la messa in stato d’accusa del Presidente per attentato alla Costituzione. Singolare l’intento e privo di fondamento giuridico, visto che il Presidente non ha certo messo un veto a priori sul governo giallo verde, ma solo su un ministro proposto.
Si scatena la gogna mediatica. Insulti e minacce al Capo dello Stato, senza valutare le conseguenze sul piano penale. Giusto, come si fa ogni domenica sera quando si perde e la colpa è sempre dell’arbitro. Assistiamo, forse per la prima volta nel ventunesimo secolo, a una sorta di parossistica e grottesca guerra civile mediatica fatta di tweet, sproloqui su facebook, hastag, raccolte di like pro o contro. Già, perché anche chi è dalla parte del Presidente finisce nel tranello della guerra civile mediatica. Che mi auguro resti solo mediatica e in qualche modo faccia riflettere. La rabbia di molti che speravano in un cambiamento delle cose è forse l’elemento che deve far pensare. Se liquido il populismo come mera orgia di pancia egoica del ceto medio, come si è tentati, non mi rendo conto di quanto sia necessario cambiare le cose nel nostro paese. Che nello scenario politico manca un interlocutore socialista per il corpo elettorale, a sinistra, che i trent’anni dalla caduta del muro di Berlino hanno impedito, anche per responsabilità non solo degli altri, che emergesse. Ma questa è la medicina al male. Oggi dobbiamo fare i conti con la realtà, preparando il domani.
Le televisioni, pubbliche e private, che avevano fatto a gara a evidenziare quanto sarebbero stati naïve e sprovveduti i futuri governanti, nel momento della remissione dell’incarico da parte del prof. Conte, hanno iniziato di colpo a comando (secondo retro pensiero) a cavalcare la Tigre di carta della sovranità limitata, dando spazio agli opinionisti e ai politici privati del legittimo governo che le urne avevano sancito. Dimenticando che in campagna elettorale 5 Stelle e Lega erano andati un contro l’altro armati. Che avevano trovato un accordo di governo mediando i punti di disaccordo e esaltando i punti in comune. E che rispettando le regole del gioco, avrebbero potuto ora tranquillamente governare insieme, pur con obiettive difficoltà nel reperire la copertura finanziaria delle riforme da mettere in piedi nei cinque anni di governo. Se fossi un sostenitore del governo giallo verde sarei anzi arrabbiato coi leader politici della coalizione perché avevano una opportunità unica e se la sono lasciata scappare. Ecco un ulteriore terzo retro pensiero.
Se ti assegnano un calcio di rigore e il regolamento, seppur in modo singolare, prevede che sia l’arbitro a scegliere il rigorista, che fai, rinunci a battere il rigore e conseguentemente a vincere e lasci il campo di gioco minacciando l’arbitro di alto tradimento e attentato al…gioco del calcio?
Una allegoria seppur bislacca talvolta è più efficace di mille dissertazioni.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.