GIACOMO MATTEOTTI. L’ITALIA NEL CONTRASTO PER LE RIPARAZIONI

a cura di  Stefano Caretti

L’ITALIA NEL CONTRASTO PER LE RIPARAZIONI

La rottura dell’Intesa, e quindi la separata occupazione della Ruhr, è avvenuta proprio quando le diverse tesi alleate sulla questione delle riparazioni e dei debiti stavano convergendo. Per lo che è da ritenere che essa sia stata determinata da prevalenti scopi politici anziché dal fine economico delle riparazioni. D’altra parte, ogni ritardo nella definizione economica della questione rappresenta per sé stesso un danno per l’Europa, e per l’Italia in particolare, peggiore di qualunque più sfavorevole risoluzione positiva. Anzi la posizione attuale dell’Italia -non aderente all’Inghilterra, verso la quale rimane debitrice di una forte somma in oro; non utilmente partecipante all’avventura della Ruhr, perché la Francia vi può perseguire fini di imperialismo politico-economico, a noi non comuni né convenienti; e non più percipiente dalla Germania mutilata le prime quote di riparazioni – è la più difficile fra tutte.

Per dimostrare le premesse di queste proposizioni, giovano alcune notizie di fatto.

La Commissione delle riparazioni aveva fissato nel 1921 la somma dovuta dalla Germania in 132 miliardi di marchi oro; e quando oggi si parla di ridurre la somma a una cinquantina di miliardi, vi è una parte dell’opinione pubblica che vivamente si allarma del confronto, del salto tra le due quantità. Ma vi è un primo errore da rimuovere. 1132 miliardi sono in valore nominale, non attuale. Una somma dovuta oggi non è eguale ad un’altra, di eguale ammontare, che sia però dovuta tra venti anni.

Dei 132 miliardi, 50 sarebbero in Buoni di serie A e di seria B da emettersi subito, per fruttare un interesse del 5 per cent e per essere ammortizzati in 36 annualità: valgono quindi rea14 mente e attualmente cinquanta miliardi’. Gli altri 82 miliardi, Buoni di serie C, dovrebbero essere emessi quando la Commissione stimi la Germania in condizione di assumersene il servizio. Se si suppone che la Germania non possa pagare più di tre miliardi annui di marchi oro, la emissione non potrebbe attuarsi che dopo ammortizzati i primi cinquanta, cioè nel 1958: ma 82 miliardi da emettersi nel 1958 equivalgono a poco più di 14 emessi oggi; per valer 20 o 30 dovrebbe verificarsi la più ottimista ipotesi, che già tra dieci o vent’anni la Germania possa pagare più di quattro miliardi oro all’anno.

Anche dunque nel primo giudizio della Commissione, e con una valutazione puramente economica estranea a interferenze politiche, i 132 miliardi nominali si riducono a 64 attuali (se non anche a parecchio meno, per la considerazione che l’interesse del 5 per cento è forse insufficiente).

Il computo e la riduzione corrispondono, per fortuna, anche a un più giusto criterio nel merito della questione. 1132 miliardi sono stati calcolati dalla Commissione sui conti presentati dalle diverse nazioni (per oltre 200 miliardi!) e comprendenti le pensioni ai militari e i sussidi alle famiglie, oltre i danni materiali arrecati ai privati nelle zone devastate dalla guerra. Ma il Trattato contemplava propriamente e solo «i danni alle popolazioni civili», non le pensioni e i sussidi; così che la riduzione dei 132 miliardi a 50 corrisponderebbe forse anche alla vera somma dei danni materiali arrecati ai privati nelle zone devastate della Francia, del Belgio e dell’Italia: al fabbisogno per le ricostruzioni.

A codesta riduzione però, purtroppo, i Governi alleati, che avevano illuso le rispettive nazioni con fantastiche indennità tedesche, non arrivarono che dopo alcuni anni e attraverso la resistenza tedesca ai pagamenti che essa doveva fare alla scadenza di ogni rata. Anche più lentamente andava maturando presso i Governi la questione dei debiti interalleati, e anch’essa solamente per la resistenza, anzi per la impossibilità, dei debitori a pagare.

L’Italia doveva quasi 20 miliardi di lire oro all’Inghilterra e America; la Francia 25; il Belgio 4. L’Inghilterra, creditrice di 25 miliardi dai tre alleati, ne doveva a sua volta 21 all’America; la quale così ne aspettava dall’Europa più di 45.

L’impossibilità del pagamento suggerisce ai debitori che si tratta di debiti e di spese fatte nell’interesse comune della stessa guerra; e che chi più ha preso a prestito, forse più ha dato di sangue.

Nel concetto più equo di un consorzio generale di tutti i belligeranti per riparare ai danni della guerra, appare chiaro che ogni Stato, vincitore o vinto, pagherà le proprie spese per le pensioni militari e simili. Francia, Belgio, Italia hanno avuto le proprie terre devastate dalla guerra. L’Inghilterra e l’America, che non hanno sofferto invasioni, contribuiscono condonando i debiti di guerra. La Germania, che ha portato la guerra in casa altrui, contribuisce risarcendo i danni ai privati che hanno sofferto per l’invasione.

Il primo documento nel quale l’unione delle due questioni, riparazioni e debiti, e la riduzione delle riparazioni a somma più reale e corrispondente ai veri danni risarcibili, assumono forma concreta, è il piano esposto da Loucheur nel dicembre 1921 nella conversazione con Lloyd George ai Chequers, in Londra:

«I Buoni A e B, riuniti in una sola categoria (di 50 miliardi di marchi oro), siano versati ai paesi che hanno subito danni materiali.

DEBITI E RIPARAZIONI

La questione dei debiti interalleati e delle riparazioni è una delle più vitali per il nostro bilancio. Si può dire che da essa dipenda la più o meno rapida capacità di assestamento e la possibilità del pareggio.

Il nostro debito verso l’Inghilterra e gli Stati Uniti ascende ormai, con gli accumulati interessi, a 23 miliardi oro; equivale, cioè, all’incirca al nostro debito interno in lire carta; e tutti e due insieme assorbirebbero forse più di un terzo della totale ricchezza nazionale. Se noi dovessimo pagare regolarmente i soli interessi dell’uno e dell’altro, non basterebbero i due terzi di tutte le imposte italiane che gettano circa 11 miliardi all’anno.

Le riparazioni tedesche dovute all’Italia, secondo le conclusioni della Commissione e il concordato di Spa, ammontano nominalmente a poco più di 13 miliardi marchi oro; ma poiché la maggior parte di essi sarebbe da emettere solo tra molti anni, il valore effettivo ed attuale si riduce a poco più di 6 miliardi. Non basta: la Germania ha dichiarato la sua impossibilità a pagare i pretesi 132 miliardi, e ne ha offerti ultimamente 30 (che in valore attuale si riducono però a 20) e gli stessi alleati hanno ridotto tutti i loro progetti al disotto dei 50 miliardi, sui quali la quota italiana rimane sempre del dieci per cento.

UN PIANO PER LE RIPARAZIONI DEL SOCIALISMO INTERNAZIONALE

La delegazione socialista delle nazioni alleate è tornata a Parigi per la riunione plenaria, dopo avere conferito coi compagni della social-democrazia tedesca. Come sapete essa era composta di Matteotti per l’Italia, di Shaw per l’Inghilterra, Huysmans per il Belgio e Auriol3 per la Francia. Che cosa ha portato la Commissione da Berlino? Conforta il dire: un accordo completo. La questione delle «Riparazioni» e la questione della «Sicurezza internazionale» dopo lunghe discussioni, minute fino al dettaglio, tra i socialisti tedeschi e i socialisti dei paesi alleati, trovarono la loro soluzione in un piano concreto, dimostrando come sia possibile di conciliare tutti gli interessi delle diverse nazioni, quando i rappresentanti si siedono attorno a un tavolo avendo di mira la pace, e non le pregiudiziali politiche e militariste nei diversi Governi.

Il piano di cui si tratta determina le Riparazioni in natura, si occupa dei debiti interalleati; accoglie l’idea della smilitarizzazione del Reno con il controllo della Società delle Nazioni, analogamente alla combinazione proposta da lord Cecil.

Il comunicato dato alla stampa dichiara che i delegati sono stati unanimi nel considerare che i partiti socialisti devono concentrare i loro sforzi per mettere fine, il più rapidamente possibile, alla situazione attuale nella Ruhr e per provocare una soluzione definitiva della questione delle riparazioni che contribuisca a salvaguardare la pace europea e che tenga conto della capacità contributiva della Germania.

Le mie informazioni mi permettono di aggiungere che l’accordo è stato abbastanza facile, malgrado sia entrato in vedute concrete, fino al dettaglio. Un certo tentativo di trascurare la posizione dell’Italia nelle «Riparazioni» fu prontamente sventato dagli energici richiami del delegato italiano, Matteotti; onde la formula escogitata ha carattere generale per tutte le nazioni interessate.

Il problema che si mette oggi a Parigi dopo il referto della Commissione reduce da Berlino è quello di concordare l’azione da svolgere nei diversi Paesi presso i diversi Parlamenti e presso l’opinione pubblica almeno in quei Paesi dove un Parlamento ed un’opinione pubblica esistono ancora, non schiacciati dalla oltracotanza nazionalista.

Non bisogna infatti dimenticare come tutti i nazionalisti siano in armi contro i nostri compagni che così fruttuosamente. intendono alla pace tra le nazioni. Dopo il convegno di Parigi, la stampa si scagliò con estrema violenza contro i socialisti francesi, che lavoravano per la Germania, agenti dello straniero, del nemico, traditori ecc. L’attacco ebbe un fronte nutrito che andava dal Temps all’Action Francaise.

Dopo il convegno di Berlino è la stampa tedesca nazionalista e monarchica che si è eccitata fino al furore contro i socialisti tedeschi, rei di essersi trovati d’accordo con quelli del Belgio, di Italia, di Inghilterra e di Francia. Nel passo compiuto dalla Commissione a Berlino i fogli della reazione tedesca hanno voluto vedere una manovra francese per rompere l’unità del fronte della Germania. Taluni sono arrivati al punto di follia stupida da trovare una relazione tra la riunione internazionale dei socialisti e l’offensiva del ministro degli Interni di Prussia, Severing, contro i cospiratori monarchici. Essi aggiungono che i socialisti sviluppano un vasto intrigo contro Cuno, al fine di obbligarlo a intraprendere dei «pour-parler» con la Francia!

La verità è invece molto più semplice: si tratta di rompere il ghiaccio. Lo scopo è che Cuno parli a Poincaré e Poincaré parli a Cuno!

La dichiarazione dei socialisti nella riunione in cui fu deliberato l’invio della Commissione a Berlino accusava l’orgoglio dei Governi che impedisce loro di trattare direttamente e di ammettere (almeno da parte della Francia), degli intermediari. E così mentre sono al punto morto preveduto nella Ruhr, non sanno, non possono districarsene.

Niente di più savio che i partiti socialisti ed operai li aiutino a trarsi dall’imbarazzo che essi fanno scontare ai popoli trascinando ed esasperando la crisi della Ruhr fino alla catastrofe.

L’opinione pubblica europea che mantiene la capacità di giudicare e di ragionare renderà omaggio agli sforzi benemeriti del socialismo internazionale per la soluzione pacifica della crisi internazionale.

I presenti stralci di documenti sono tratti da un’opera del Prof. Stefano Caretti

GIACOMO MATTEOTTI  SOCIALISMO E GUERRA

Sotto il patrocinio della Fondazione di Studi Storici Filippo Turati e dell’Associazione Nazionale Sandro Pertini

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