FIGURE DEL SOCIALISMO RIFORMISTA TRA LOMBARDIA E PIEMONTE

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO

La tradizione del socialismo riformista, corrente che occupa nel Partito socialista italiano, dalla fondazione nel 1892 al 1912, un posto centrale che ne fissa i caratteri fondamentali [1] è il filo che lega questi personaggi[2] che appartengono a generazioni diverse.

All’accusa di “opportunismo”, di “trascurare la propaganda e la formazione della coscienza socialista“, di caratterizzarsi solo in iniziative imbevute di spirito utilitario, i riformisti contrappongono esperienze come quella  reggiano-emiliana[3] e quella genovese[4], presentate come un modello, dove i dibattiti ideologici, “ampolle di alchimia politica così cara agli anarcoidi senza oriente“, non intaccavano l’attività di organizzazione e l’incremento costante delle istituzioni di classe, un modello di crescita civile non faziosa o turbolenta a cui si opponevano le teorie velleitarie di “quello scarso socialismo catastrofico” che trova la sua origine nel “mezzogiorno feudale..dove non resta che giocare un terno al lotto della rivoluzione e aspettare[5]..

 

Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica

Nato a Cremona nel 1877, si forma negli ambienti della democrazia positivista lombarda; laureatosi in scienze economiche alla scuola superiore di commercio Ca’ Foscari di Venezia, si perfeziona a Vienna e nel 1902 Giovanni Montemartini[1] lo chiama a Milano  a collaborare all’Ufficio del lavoro della Società Umanitaria[2].

Nel 1905 vi costituisce l’Ufficio d’informazioni e traduzioni, poi cura gli Uffici di collocamento e la Cassa di sussidio alla disoccupazione, infine ne diventa Segretario nel 1911.  Quasi giornalmente interviene con articoli,  rubriche fisse, recensioni su “Critica Sociale” e la “Confederazione del Lavoro”. E’ questa imponente opera di documentazione sugli eventi e problemi del movimento operaio internazionale e italiano compiuta sulle riviste e i libri che pervenivano all’ Umanitaria, l’asse centrale della sua attività.

 

La Società Umanitaria e le riforme nella società industriale

A cavallo tra XIX e XX secolo riformismo socialista, “scuole” universitarie di economia[3] e alcuni innesti della burocrazia giolittiana convergono nello sforzo di trasformare le istituzioni liberali in modo da farle convivere con la struttura conflittuale della società industriale, elaborando una teoria «aperta» del movimento operaio aperta ad una politica di riforme che includeva un certo tasso di conflittualità operaia.

Attilio Cabiati[4] era stato il primo direttore dell’Ufficio del Lavoro dell’ Umanitaria e uno degli intellettuali della «Riforma Sociale»  mentre Montemartini negli anni ’90, tenutosi ai margini dell’eclettismo metodologico dell’«economia sociale» italiana di Achilli Loria[5]aveva tentato il recupero della «lotta di classe» nella sfera delle «precondizioni» dell’equilibrio economico generale: «Far progredire la scienza con ricerche che delineano con sempre maggior precisione le ‘leggi’ dell’economica ed insieme agire politicamente per ridurre ed eliminare progressivamente gli squilibri causati dalle coalizioni d’interessi che stanno dietro ai diversi fattori di produzione, questo, secondo il giovane professore di Pavia, il compito per chi volesse essere, nella pienezza di tutti e due i termini, economista e socialista».[6]

Si instaurò una fattiva collaborazione tra Cabiati, Riccardo Bachi[7]  e Montemartini (che lo affiancò alla direzione dell’ Ufficio del Lavoro del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio)  anche sulla questione delle municipalizzazioni dei sevizi pubblici comunali[8]

Alessandro Schiavi[9], che sostituì Cabiati alla direzione dell’Ufficio del Lavoro, curava una rubrica sindacale  per «La Riforma Sociale» che come motivo portante aveva la regolamentazione legislativa dei conflitti tra capitale e lavoro.[10]

Nel progetto del 1902 per l’Ufficio del Lavoro dell’Umanitaria si prevedeva il coinvolgimento diretto delle organizzazioni operaie nel processo decisionale della ricerca, che avrebbe dovuto svilupparsi seguendo la linea della «modernizzazione» delle relazioni industriali. Lo sforzo per la penetrazione dell’elemento «lavoro» nell’amministrazione dello Stato, per la professionalizzazione degli strumenti di analisi del movimento operaio, per la creazione di una rete di rapporti ed istituzioni in grado di mettere il fattore lavoro su un piede di parità col fattore capitale, accomunarono ancora a lungo economisti liberali e socialisti.

 

 Il salotto della signora Anna e il sindacato di Rigola

Apprezzato da Anna Kuliscioff [11] si inserisce rapidamente nell’ambiente riformista milanese. Da Turati deriva la concezione del socialismo come umanità che si riscatta dalle tare della società borghese e come riorganizzazione della società sulla base della superiore capacità tecnica, politica e morale dei lavoratori.

Nella Confederazione del Lavoro (CGdL) diffuse le idee e le esperienze del laburismo e del fabianesimo e si adoperò perché la CGdL intervenisse anche sul piano politico, diventando ispiratore tra il 1907 e il 1910 del progetto di un «partito del lavoro»[12].

Si richiamava a Bernstein, ai laburisti inglesi e anche a Sorel, rivendicando al sindacato il compito di socializzare la fabbrica e di democratizzare lo Stato e la società e di preparare quella aristocrazia operaia che, per capacità tecnico-professionali, fosse in gradö di dirigere il movimento socialista. Un sindacalismo che «ricostruisce la società su basi tecniche; sostituisce alla democrazia politica la democrazia professionale».[13] Questo progetto testimoniava il carattere trasversale tra le tendenze revisionistiche di destra e di sinistra.

All’inizio del 1907 si accese la polemica sul localismo delle Camere del lavoro, considerate frutto della «propaganda socialista» più che dello sviluppo industriale di un paese avanzato, organismi non riconducibili a funzioni economico-sociali e quindi passibili di far «degenerare degli organi del movimento di resistenza in organismi prevalentemente politici» [14].

Da seguire era il modello tedesco che proprio quell’anno era riuscito a battere il sindacalismo rivoluzionario restringendo gli spazi del localismo camerale, in quanto anche autorevoli membri della SPD (Bebel) avevano appoggiato le posizioni dej sindacati, isolando l’ala intransigente (Kautsky). In Italia invece «la frazione intransigente del Partito guardò fino a ieri cotesti sindacalisti con occhio di profonda simpatia e li guarda ancora oggi come figli ribelli per esuberanza e generosa giovinezza. Sono tutt’al più, una esagerazione del movimento operaio e socialista. Ma la«Confederazione del Lavoro » però anch’essa – secondo quegli intransigenti – una esagerazione nel senso del trade unionismo »[15]. Perciò é difficile battere il sindacalismo in Italia, perciò la CGdL deve usare tutti i mezzi a sua disposizione per rendere sterile il terreno ove può svilupparsi la pianta del rivoluzionarismo, perciò la centralizzazione deve essere integrale .[16]

La proposta del partito del lavoro nasceva da una analisi severa del PSI, considerato responsabile di sacrificare ai problemi del parlamentarismo e del ministerialismo la tutela e il consolidamento dell’organizzazione di classe, sempre più «un movimento di bisogni incomposti, indisciplinati, mal definiti, di sentimentalità generose, di ribellioni violente e di vaghe ispirazioni messianiche[17]» e in una lettera a Salvemini del novembre 1909 lo giudicava «senza bussola ed ammalato di asineria e di mancanza assoluta di idee generali e speciali».

Soprattutto il partito gli pareva inquinato da «intellettuali capi-popolo» viziati di «rivoluzionarismo acchiappanovole», incapaci di salvaguardare l’organizzazione di classe dai pericoli dell’individualismo anarchico e dalla tentazione del «grande colpo» insurrezionale.

Nel 1909 In polemica con Angiolo Cabrini[18] si accostò a Salvemini, dichiarandosi contrario all’appoggio concesso dai deputati socialisti al ministero Luzzatti e polemizzò contro «le tendenze egoistiche» del cooperativismo in nome di un riformismo che facesse «opere reali, concrete, solide».

Collocava i problemi in un’ottica rigidamente economicistica, ritenendoli risolvibili attraverso l’organizzazione economica e all’interno delle strutture sindacali, ma fu tra i più solleciti a denunciare i pericoli di una trasformazione del sindacalismo riformista in senso democratico-radicale, con conseguente corporativismo, opportunismo, subordinazione alla politica governativa del movimento operaio italiano, proprio nel momento in cui si accantonavano le riforme sociali per l’avventura libica.

 

Gli impiegati delle organizzazioni operaie

Il riferimento teorico della sua dissertazione di laurea a Ca’ Foscari e poi all’Ufficio del Lavoro della Società Umanitaria era «La Produzione Capitalistica»[19] di Antonio Graziadei[20], un libro di rigorosa teoria a-marxista che proveniva dall’interno del socialismo italiano.

Rielabora alcuni aspetti dell’analisi di Graziadei applicandoli alla funzione impiegatizia all’interno delle organizzazioni operaie: la «professionalizzazione» dei funzionari diventa condizione necessaria per la crescita e l’incidenza di un movimento operaio altrimenti condannato alla subalternità nei confronti della professionalità borghese e perciò indotto alla deriva rivoluzionaria.

Personale specializzato per una lotta di classe che, superate le fasi primitive, avrebbe assunto aspetti sempre più tecnici e meno politici. La «produttività» dal personale impiegatizio doveva anche essere stimolata con una politica retributiva ispirata alla teoria degli «alti salari».[21]

Progettò di utilizzare nel processo di professionalizzazione del sindacato la struttura dell’«Umanitaria»[22] e, pur scontando i mezzi limitati e le incomprensioni interne, l’Ufficio del Lavoro e poi quello di Informazioni e Traduzioni, costituito e diretto da Pagliari nel 1905, funzionarono come uffici «tecnici» della C.G.d.L. dalla sua fondazione.

Nel 1907 la C.G.d.L. chiese a Turati, che appoggiò la proposta indicando Pagliari per l’attuazione, di poter contare su alcune strutture dell’ Umanitaria,[23] cosa essenziale nell’economia della Confederazione in quei suoi primi anni di esistenza data la pochezza di mezzi.

Infatti su Rinaldo Rigola,[24] a lungo funzionario centrale unico della C.G.d.L., ricadeva l’onere della direzione politica e organizzativa della Confederazione e la redazione del suo organo settimanale. In una lettera a D’Aragona, Rigola precisa i compiti del segretario-aggiunto: «il trait d’union, tra la nostra sede e le sezioni,  tra noi e gli altri gruppi, l’uomo dej sopraluoghi, dell’intervento nej congressi e nei convegni e l’ispettore incaricato di invigilare e tenere in redini le organizzazioni. In media metà del tempo in viaggio e metà in ufficio dove mi coadiuveresti nel lavoro di concetto, nello studio delle leggi, nella redazione del giornale e mi sostituiresti in caso do assenza”[25]

All’evidente debolezza della Confederazione, rivelata da queste frasi, non si poteva che contrapporre una forte determinazione:  l’organizzazione é fine a sé finché non é riuscita a diventare una forza», e per diventare una forza occorreva che il processo di centralizzazione fosse sostenuto da una cassa alimentata da «alte quote» utilizzate per la creazione di una stabile burocrazia di tecnici ed esperti.

Il rafforzamento dell’organizzazione è vista anche in funzione della sua autonomia, intesa come via maestra per la fondazione di un sindacalismo modellato sulle più avanzate esperienze europee: la fondazione della C.G.d.L. è vissuta a lungo come fatto precario, uscito quasi occasionalmente dal rivoluzionarismo del movimento operaio italiano e sempre passibile di essere rimessa in discussione.

L’Umanitaria s’impegnò ad istituire corsi (che prevedevano nozioni di statistica, economia politica, legislazione sociale, storia del movimento operaio) destinati ad organizzatori sindacali, nella prospettiva della fondazione di una  «università del lavoro» sul tipo del Ruskin College di Oxford. I corsi sul movimento operaio con particolare riferimento ad un’analisi comparata dell’organizzazione in Europa vennero curati da Pagliari che riunì poi le lezioni in un volume.[26]

Disponeva di informazioni di prima mano conoscendo molte lingue straniere e coltivava interessi non provinciali: ciò fece di questo volume un utile strumento di conoscenza della realtà e delle radici del movimento operaio europeo.

Intendeva però anche dimostrare che una sola ed obbligata era la via dello sviluppo per un moderno movimento operaio indipendentemente dal vari modelli sindacali: «Anzitutto il movimento sindacale dei lavoratori dell’industria, per quanto in tutti i paesi, all’infuori dell’Inghilterra, sia state promosso dalla propaganda socialista, non é il frutto di un’ideologia, ma bensì dell’evoluzione industriale  …  Le organizzazioni operano, quindi, completamente all’unisono colle tendenze evolutive dell’economia quando, come fanno dappertutto, senza curarsi della frase fatta: abolizione del salariato, agiscono nel senso di conservare la forma salario, perfezionandola nella sua purezza e opponendosi al tentativi, diretti o meno, della partecipazione agli utili ecc., a cancellare i rapporti di salario. L’organizzazione operaia non deve maj dimenticare che essa é solo un ingranaggio nel grande organismo dell’economia generale, che il progresso é legato all’incremento della produzione, all’elevamento della produttività, al miglioramento del gusto».[27]

Nel 1911 un congresso confederale riconobbe ufficialmente il ruolo svolto da Pagliari e dagli uffici dell’Umanitaria e un paragrafo della relazione di apertura fu dedicato al problema dej funzionari delle organizzazioni operaie secondo le linee da lui elaborate[28].

 

“Beneficenza rossa”

Nel 1906 con tre articoli pubblicati sul giornale «Il Tempo»,[29]  apre un’aspra polemica con alcune istituzioni filantropiche milanesi,  che non cita esplicitamente ma che sono  l’Unione femminile[30], l’Asilo Mariuccia[31] e il Comitato contro la tratta delle bianche.

Nel primo articolo accusa di bigottismo vetero-cattolico quella che definisce la «beneficenza rossa»,  accusa il «femminismo filantropico laico» che con la sua carica moralista conduce «una guerra di sterminio a tutte le cose illegittime, mogli illegittime, figli illegittimi», contraddistinto da «una concezione fosca, malinconica, piagnona, noiosa della vita; una caccia furibonda alle gioie … Questo bigottismo rosso, bacchettone, intransigente, fanatico, ridicolo, spesso anche cattivo, questa ingiuria continua alla personalità e dignità umana; questa propaganda francescana che invigliacchisce; questa prepotenza prepotente e cattolica nelle cose altrui; questa furia di Walkirie, sempre in cerca di nuove imprese benefiche, di nuove vittime da tormentare, di nuovi allori da mietere; questo esercito laico della salute! Chi ce ne libera? Chi beatifica queste sante laiche? Chi le pensiona e le rimanda alle oneste penombre, a biascicar rosarii e a far la calza, come le benefattrici nere? … Niente donne benefiche. Via, all’inferno! al diavolo questa beneficenza rossa! Somiglia troppo a quella nera, che noi socialisti abbiamo mandato al diavolo da un pezzo ».[32]

Due giorni dopo ribadisce le sue accuse di «bigottismo» utile solo alle «annoiate della vita», centrando l’attenzione sul trattamento del personale delle organizzazioni benefiche «scelto per la sua gratuità o per il suo basso costo, e non per le sue attitudini specifiche ad attendere all’opera alla quale è preposto» anzi «il personale è addirittura sfruttato, sottopagato in forme che non sarebbero mai tollerate – per altri lavoratori che non fossero propri dipendenti, beninteso – dagli stessi imprenditori delle “aziende benefiche”»[33]

Le istituzioni sotto accusa erano nate con un orientamento radical-socialista e laico-progressista e le osservazioni rivolte alle emanci-pazioniste avrebbero potuto esserlo alla stessa Società Umanitaria e in genere all’intero movimento socialista. La nuova morale socialista[34]«risulta in definitiva piuttosto povera: come sistema teorico essa mostra non poche incertezze e lacune, costruita.com’é con prestiti dal sistema kantiano degli imperativi morali cui si aggiungono dosi massicce di evoluzionismo di marca darwiniana e spenceriana »[35]

Gli interventi di Pagliari, col loro fondo di misoginia «di sinistra»,   non tenevano conto del valore del tentativo di costruire una identità della donna, in un processo di superamento dei condizionamenti culturali, psicologici, politici di cui le emancipazioniste stesse erano in larga misura portatrici.

Nel 1907 un’ispezione degli Uffici Indicazioni e Assistenza, formato da Società umanitaria e Unione femminile, compiuta dalla delegata per l’Umanitaria Santa Volonteri[36] (che nel 1910 lo sposerà) rimuove Pagliari dal Consorzio.

L’isolamento in cui i socialisti lasciarono l’Asilo Mariuccia fu una delle cause della sua deviazione dalle premesse teoriche: la ricerca di  consensi portò ad accentuare i caratteri più specifici dell’assistenzialismo accantonando il lavoro di sperimentazione politico-pedagogica che in origine I’Asilo si era proposto.

Dal canto suo Ersilia Majno[37] interpretò l’attacco, che in una lettera definì ,”una coltellata in mezzo al cuore”,[38] come una sconfessione dell’Unione femminile da parte di tutto il Partito socialista e cercò i consensi della borghesia progressista, disposta a dare in beneficenza il proprio denaro.

Un altro episodio delle frizioni tra emancipazioniste e movimento socialista ebbe protagonista Alessandrina Ravizza[39] che nel 1906 aveva avuto dall’Umanitaria l’incarico di direttrice della Casa di lavoro (un istituto che offriva a bisognosi e disoccupati la possibilità di reinserirsi attraverso l’istruzione e il lavoro).

La Ravizza dovette difendersi dagli attacchi di chi avrebbe voluto chiudere la Casa dimostrando [40] che era stato un investimento in attivo, valutando l’utilità sociale e non solo il profitto immediato, ma i dirigenti dell’Umanitaria e della Camera del lavoro seguivano una logica differente e nel 1913 la Casa di lavoro chiuse.

 

Il bolscevismo e i problemi del dopoguerra

La guerra aveva generato una gigantesca “economia regolata”  in tutti i paesi coinvolti  e sottoposto la società civile e le strutture economiche a una tremenda tensione, non ultima la disciplina di tipo militare a cui erano sottoposti i lavoratori impiegati nelle fabbriche di interesse strategico.

La fine della guerra causò la smobilitazione dell’industria bellica con i licenziamenti e i conseguenti problemi politico-organizzativi che ebbero pesanti conseguenze per il movimento operaio.

Pagliari concentrò il suo interesse sui problemi occupazionali e salariali della smobilitazione industriale e sulla salvaguardia della legislazione sociale. Sul modello delle Trade Unions  propose l’introduzione di forme di controllo operaio,  di «governo della produzione», che la guerra aveva messo all’ordine del giorno e che erano state alla base della proposta del partito del lavoro e del «concretismo riformista».

Nel 1926 pensava che la crisi postbellica poteva essere risolta con «la solidarietà europea come l’elemento di un futuro ordine economico internazionale».

Nella serie di articoli sulla rivoluzione russa, che erano basati su una   documentazione originale e inconsueta nel giornalismo italiano, dedicò particolare  attenzione alle conseguenze economiche e sociali determinate dalla rivoluzione, ma sostanzialmente guardò ad essa come tradizionalmente i riformisti avevano fatto nei confronti degli anarco-sindacalisti e dei fautori della «grande ora». Sostanzialmente a loro  si riferiva quando parlava del bolscevismo come dell’espressione del «governo giacobino» e del «socialismo dall’alto».

 

Bibliotecario all’Università Bocconi

Nel 1924 l’Umanitaria è commissariata dal fascismo e Pagliari è licenziato. Allora l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, (fondata dall’imprenditore milanese Ferdinando Bocconi nel 1902) per interessamento di Carlo Rosselli e Piero Sraffa  lo nomina direttore della Biblioteca universitaria. Questa, oggi con più di 600.000 volumi tra le più importanti d’Europa nel suo campo disciplinare, era nata per rispondere alle esigenze didattiche, ma anche per dotare l’Italia di un Centro che raccogliesse i documenti della attività scientifica nel campo delle dottrine economiche. Alla costituzione del patrimonio bibliografico, che comprende anche collezioni di pubblicazioni periodiche e statistiche internazionali, contribuirono con donazioni e suggerimenti studiosi come Luigi Einaudi. Al primo responsabile della Biblioteca, l’economista Ulisse Gobbi, subentrò Fausto Pagliari che mise a frutto l’esperienza maturata all’Umanitaria riorganizzando gli spazi e formando raccolte specializzate.

Riportiamo la testimonianza di studiosi che ebbero occasione di conoscerlo nel contesto della biblioteca: “Da quando, a fine 1949, divenni assistente sedevo nella mensa, a un tavolo con gli amici e i colleghi più cari; fra di essi era presente anche Fausto Pagliari …..L’oretta trascorsa al tavolo era meravigliosa. era anche un godimento intellettuale.  Pagliari, che conosceva tutte le principali lingue, ma che eleggeva il milanese-cremonese a “lingua per gli amici”, quando si ricordava di un libro che avrei dovuto consultare, cominciava: «Ti te düvereset vardà …» (“Dovresti guardare …”).

Un sentito ringraziamento a Giovanni Artero per averci offerto la possibilità di pubblicare on line la sua opera.

 

[1] F. Manzotti Il socialismo riformista in Italia, Firenze, 1965; O. Pugliese (a c.) Il riformismo socialista italiano Venezia, 1981-1982 8 volumi; T. Detti Il socialismo riformista in Italia Milano, 1981; A. Riosa (a c.) Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo / Milano, 1981; Scuola e societa nel socialismo riformista (1891-1926) : Battaglie per l’istruzione popolare e dibattito sulla “questione femminile” Firenze, 1982; P. Favilli Riformismo e sindacalismo : una teoria economica del movimento operaio: tra Turati e Graziadei Milano, 1984; N. Dell’Erba Storiografia e socialismo riformista in Il socialismo riformista tra politica e cultura, Milano, 1990; P. Favilli Marxismo e riformismo nell’Italia del primo ’90 in “Alessandro Schiavi : indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo ‘900”, 1994; G. B. Furiozzi Il partito del lavoro : un progetto laburista nell’Italia giolittiana, 1997; M. Salvitti (a c.), Il socialismo riformista: atti del convegno, 2002; M. Gervasoni (a c.) Riformismo socialista e Italia repubblicana Milano, 2005: P. Mattera Le radici del riformismo sindacale : società di massa e proletariato alle origini della CGdL, 1901-1914,  Roma, 2007; F. Colucci (a c.) Nella democrazia con il riformismo socialista : antologia del riformismo socialista 2005 e 2010

[2] Due biografie sono già pubblicate: Dino Rondani “commesso  viaggiatore” del socialismo in “Apostoli del socialismo nell’Italia nordoccidentale”, 2009 Fausto Pagliari  tracce per una biografia politica, in “L’albero e le fronde”, 2013

[3] Si veda: Prampolini e il socialismo riformista : atti del Convegno di Reggio Emilia, ottobre 1978; F. Casadei  Socialisti e social riformisti nell’area mantovano-reggiana “Rassegna di storia” dell’Istituto di storia del movimen-to di liberazione di Modena,  nov. 1991; M. Vaini, L’azione politica di Ivanoe Bonomi nel Mantovano dal 1912 a1 1921, “Movimento operaio e socialista”, apr.-set. 1963; F. Montella Confucio Basaglia e il socialismo riformista modenese, Modena, 2012; F. Achilli, Socialismo riformista e movimento operaio a Piacenza : 1890-1905, Venezia, 1982; L. Gualtieri, Romeo Romei fra democrazia, socialismo riformista ed associazionismo operaio, 1998

[4] M.Degl’Innocenti Alcune considerazioni sulla cooperazione nell’età giolittiana: cultura di lotta e impresa nell’ associazionismo ligure, in L. Borzani  “Tra solidarietà e impresa: aspetti del movimento cooperativo in Liguria 1893-1914”Genova, 1993″Nell’abito della svolta liberale…prese corpo un modello riformista socialista ligure che ebbe larga fortuna non solo localmente…..esso trovò ampia sperimentazione in forme di interrelazione tra l’istanza mutualistica, cooperativa e sindacale. Fu dato vita a un sistema riformista che per la sua rilevanza ebbe analogie con il polo riformista reggiano diretto da Camillo Prampolini e di cui massimi rappresentanti furono in sede parlamentare Giuseppe Canepa e Pietro Chiesa, nel movimento associativo Ludovico Calda e Gino Murialdi. Tra il 1903 e il 1904 tale sistema si strutturò organizzativamente dando vita all’Unione regionale ligure fra le associazioni di resistenza, mutualità e cooperazione, formula che anticipò la creazione su scala nazionale della cosiddetta Triplice del lavoro, all’indomani della fondazione della CGdL (1906)“. Anche M. Bettinotti, “Vent’anni di movimento operaio genovese : Pietro Chiesa, Giuseppe Canepa, Lodovico Calda”, Milano, 1932

[5] Ma c’e qui anche un pregiudizio antimeridionale esistendo anche esperienze riformiste nel Mezzogiorno: L. Nieddu Le origini del socialismo riformista in provincia di Sassari; Sassari, 1992; F. Manconi , Angelo Corsi: L’esperienza del socialismo riformista in Sardegna e in Abruzzo “Rivista abruzzese di studi storici dal fascismo alla Resistenza” 1986, n. 3; D. Sacco. Socialismo riformista e Mezzogiorno : questione agraria, istruzione e sviluppo urbano in Basilicata in età giolittiana, Manduria 1987; G. de Gennaro, S. Merli Una scelta storica : Eugenio Laricchiuta e il socialismo riformista in terra di Bari; Bari, 1993; P. Amato, M. D’Angelo Radici del socialismo riformista a Messina,  Messina, 1982

Qualche volta, il sabato, quando lo vedevo avviarsi verso casa,  con un fagottello di libri legati con una funicella a tracolla (da catalogare nel fine settimana: questo era il suo weekend), mi offrivo di accompagnarlo, per sollevarlo dal peso….»[41].

“Il secondo che incontrai [alla Bocconi] fu Fausto Pagliari. Anche la biblioteca vive per lui, il bibliotecario, che padrone di tutte le materie, scorre la bibliografia, dai cataloghi di antiquariato alle notizie delle riviste in tutte le lingue, e segnala volumi e articoli a ciascun insegnante. Con Pagliari, poi, chi abbia l’abbonamento con quell’agenzia di informazioni che procura tutti i ritagli delle recensioni delle opere, può risparmiare la spesa. Sa tutto, e quando capiti da lui ti fa trovare tutto pronto e magari copiato a macchina o a mano con la sua calligrafia netta e intelligente. Se sei in vacanza ti manda copie e riassunti fino a domicilio, e li accompagna con lettere piene di gusto umanistico, a parte la grande dottrina. È cremonese, parla in dialetto, e inciampa, direi meglio, accavalla le parole perché le idee si affollano troppo rapide … Memoria di ferro, per lui le schede sono un di più, e se si cerca qualche cosa si fa prima a chiedergliela che ad andare agli schedari: ti porta sul posto e ti trova anche il punto che ti fa comodo. Con me ha fatto lega forse più che con ogni altro, perché nato archivista, sono anche un po’ bibliotecario: nel senso che sento il valore e la funzione della biblioteca e il rispetto per il libro… »[42]

“l’Universitå Bocconi …[era] una specie d’oasi nella Milano del consenso, un’oasi dove, grazie a Fausto Pagliari, prevaleva invece il dissenso. Lo vedo ancora, come se fosse adesso, spuntare dietro una barricata di libri, mettersi con le gambe larghe e le mani in tasca, ed intrattenerci con il suo inconfondibile linguaggio, insieme dotto e popolaresco, fatto d’italiano e di cremonese, ma sostenuto da citazioni in tutte le lingue del mondo…. Da tempo l’esperienza l’aveva indotto ad annacquare l’austro-marxismo della sua giovinezza, quando studiava a Vienna, con abbondanti dosi di liberalismo. “[43]

Nel 1940 è arrestato e confinato ad Istonio, l’attuale Vasto.[44]

Dopo la liberazione aderisce all’appello per la ricostituzione della “Critica sociale” entrando a far parte del comitato di redazione e riprendendovi soprattutto i temi sulla rivoluzione russa trattati nel primo dopoguerra. Muore nell’estate 1960.

Concludiamo con questo ricordo: “con quel suo acume che, persino nelle semplificazioni dialettali, sembrava confessarsi estemporaneo e accidentale, personificava le più severe meditazioni e gli scrupoli di una superiore responsabilità, di quella responsabilità tipica del maestro socialista, che non tanto vuol essere il mentore dei propri discepoli quanto la coscienza[45]

Parole che fanno sorgere spontaneo un parallelo con un grande maestro socialista e bibliotecario francese: Lucien Herr [46]

 

Bibliografia: R. Conte Contributo alla biografia di Fausto Pagliari. Tesi di Laurea.  Univ.Mi 1986-87; F. Brambilla, A. Pagani Elementi per una bibliografia di Fausto Pagliari Bollettino del Centro per la ricerca operativa, Serie sociologica, 1960; F. Attore, Sindacato e Riformismo : un profilo biografico di Fausto Pagliari; tesi di laurea; Univ. Milano; Uno studioso del movimento proletario : Fausto Pagliari La Critica sociale 1958