ALLA SINISTRA SERVE RITROVARE UNA FORZA SOCIALISTA

di Umberto Uccella*

Concordo con una serie di considerazioni fatte da Egidio Zacheo, nell’articolo ieri su Quotidiano, circa lo stato confusionale della sinistra italiana. La prima attiene alla qualità della sconfitta del 4 marzo. E una sconfitta culturale prima ancora che politica ed elettorale. Prova ne sia che la retorica sociale dei 5Stelle e quella securitaria della Lega siano entrate come coltello nel burro anche in parti cospicue di elettorato di sinistra.

Al Sud come nel Centro-Nord del paese. E questo richiama l’impianto di valori e di idealità su cui la sinistra ha poggiato le basi, ma, soprattutto, la sua concreta politica di questi anni. La sconfitta della sinistra viene da lontano. Certo. Altrimenti non avrebbe quel carattere così devastante che reclama una rivisitazione di fondo delle sue coordinate ideali e culturali. Riguarda l’Europa e la dimensione internazionale. E viene dalla sua impreparazione ad affrontare una globalizzazione che, affacciatasi come una liberazione di grandi paesi e di grandi masse che facevano irruzione sulla scena mondiale, sui mercati con nuovi consumi e nuovi stili di vita, si è rapidamente risolta in un dominio pressocché incontrastato delle grandi concentrazioni finanziarie. Persino l’economia reale ha pagato dazio ad un sistema in cui si rompeva la relazione tra ricchezza e valore delle merci e dei servizi. Di qui, quel vuoto di protezione avvertito dalle fasce più deboli e da una parte consistente di ceto medio che è l’altra faccia della medaglia della subordinazione della sinistra alle politiche neoliberiste e agli establishment economici e finanziari.

Ma la sconfitta, in Italia, ha una torsione peculiare. Il renzismo ha declinato quel contesto rimasticando un blairismo residuale con l’obiettivo di trasformare al Pd in una formazione sovrapponibile a Forza Italia. Un partito-centrista, di ispirazione liberaldemocratica, che annettesse la sinistra in una posizione di mera subalternità allo sfondamento verso altri lidi. E, così, la politica dei suoi governi, dalla scuola al mercato del lavoro, dalle disposizioni sul fisco alla riforma della pubblica amministrazione, fino a quella costituzionale, ha scosso in profondità la sostanza dell’insediamento sociale su cui la sinistra si era storicamente fondata. Ecco perché l’Italia, oggi, è l’unico grande paese europeo con un governo che combina tutti e due i populismi che sono penetrati anche -e in profondità- nel varco che essa ha lasciato aperto.

Se così è, il compito è di quelli che fanno tremare le vene nei polsi. E non lo risolve il Pd, come non lo risolve il percorso di LeU verso la formazione del nuovo partito. Intanto, perché il Pd resta molto al di qua di un’analisi delle ragioni di fondo della sconfitta e prefigura il solito cammino congressuale fatto di tempi lunghi e di stanche chiamate ai gazebo. E, poi, perché il percorso di Liberi e Uguali può incagliarsi in una prospettiva minoritaria, che attesti definitivamente il suo carattere di puro cartello elettorale di flebile testimonianza.

Che cosa significa?

Che la sinistra, per riprendersi, non abbia bisogno né del Pd, né di un nuovo partito? E che le sue opportunità risiedano, ormai, fuori dai tradizionali soggetti politici? E che siano, dunque, affidate a movimenti esterni o all’ausilio di una robusta ripresa di relazioni culturali, associative, civiche? Certo, anche questo. E credo, soprattutto, occorra un ricorso ampio ad una intellettualità da troppo tempo, a torto o a ragione, in silenzio. Perché in dissenso o perché anch’essa spiazzata dall’incalzare di un altro tempo che scandisce nuove priorità e nuove pulsioni che capovolgono la tradizionale scala di valori della sinistra: libertà, democrazia, eguaglianza, solidarietà.

Ma serve il soggetto politico. Che è condizione perché la stessa cultura torni a mobilitarsi. E perchè quella stessa intellettualità torni ad elaborare idee che innovino l’asse dei valori e che rispondano alla domanda che attiene all’utilità stessa della sinistra, della sua identità, della sua funzione, del suo insediamento sociale profondo. All’indomani della più grande crisi dell’ultimo secolo e di uno sconvolgimento di fondo dei parametri economici, sociali e civili su cui si è retto gran parte del Novecento. E, allora, quale soggetto politico? Non basta il Pd e non basta un cartello elettorale alla sua sinistra. Deve ritornare in campo una forza socialista.

Un partito che abbia l’ambizione di rappresentare il lavoro e i lavori. Che solleciti anche un profondo rinnovamento del sindacato. Un’alleanza dei produttori contro rendite e parassitismo. Che scommetta sull’Europa e su un suo più spinto processo di integrazione politica come il paradigma di ogni progetto di contenimento della grande finanza e di nuova governance dell’economia. A questa altezza si dimostra consapevolezza di ciò che è avvenuto in questi anni e delle conseguenze del risultato del 4 marzo. Occorre dare vigore a quella consapevolezza anche a costo di nuove scomposizioni. Che richiamano nuove e più avanzate ricomposizioni.

La sinistra non serve agli occhi di grandi masse di popolo se non rimette in moto una prospettiva di governo. Che parta da un’opposizione intelligente, non cieca e ottusa, all’attuale compagine ministeriale, e che, per cultura politica, programmi e indirizzi, sappia indicare la strada di un nuovo centrosinistra in grado di competere per vincere. L’interrogativo, dunque, torna al Pd. Che è ad un bivio drammatico. Renzi e i suoi continuano ad indicare in una sorta di macronismo all’italiana la prospettiva del partito. Curiosamente, proprio nella fase calante di Macron nel suo paese. Chi, però, vuole ricostruire sinistra e centrosinistra, quella scelta non può condividerla. E queste due cose non si tengono in due contrapposte mozioni congressuali dello stesso partito.

*Umberto Uccella già segretario provinciale di Lecce dei Democratici di Sinistra