“Barbarossa a Palazzo Marino”. Tale fu il grido d’allarme del Corriere della Sera per la vittoria dei socialisti alle elezioni amministrative del giugno 1914.
Novant’anni fa, infatti, grazie alla legge maggioritaria vigente per le elezioni locali, la lista socialista guidata da Filippo Turati otteneva 64 degli 80 seggi del Consiglio comunale milanese. Gli altri sedici andarono ai cosiddetti “costituzionalisti”: i liberali e i conservatori.
La candidatura, dapprima, fu offerta a Luigi Majno, anziano e autorevole avvocato socialista, il quale, tuttavia, non accettò. Allora, venne proposto Emilio Caldara, avvocato, esperto nelle questioni amministrative, consigliere comunale già nel 1899, fondatore e segretario dell’Associazione dei comuni. La vittoria socialista appariva possibile, dopo il successo che a Milano il Psi aveva riportato alle politiche del ’13. Ma nella campagna elettorale, lo scontro fu duro. Le parole pesanti del Corriere della Sera: “Non si amministrerà per tutti, ma soltanto per il proletariato rigorosamente socialista.” In compenso, Benito Mussolini, ancora direttore dell’Avanti! Proponeva di condannare il Re all’ostracismo dal Comune di Milano: “Si sappia che se S.M. Vittorio Emanuele avesse idea di venire a Milano, troverà il portone di Palazzo Marino solidamente sprangato.” Come ovvio, l’idea mussoliniana fu utilizzata dai conservatori per dipingere i socialisti come faziosi.
Emilio Caldara era un profondo conoscitore delle nonne e dei meccanismi comunali e aveva contribuito, con Filippo Turati, Ugo Guido Mondolfo, Alessandro Schiavi, Luigi Veratti, Paolo Pini, a elaborare un programma che venne accolto senza suscitare critiche anche dalla parte massimalista del Psi, notoriamente più preoccupata nel preparare la rivoluzione che nell’amministrare un comune. Gli obbiettivi più rilevanti erano la politica sociale e il rilancio delle opere pubbliche. Per i socialisti, il Comune doveva garantire sussidi ai disoccupati, ma contemporaneamente procurare ps5ti di lavoro. Doveva calmierare i prezzi dei generi di prima necessità e promuovere l’edilizia popolare. Doveva rendere equa l’imposizione tributaria, con l’imposta sulla proprietà “che dalle opere del Comune ha avuto maggiori vantaggi”. Non erano dimenticate le “municipalizzazioni”: già attuata quella dell’energia elettrica, veniva auspicata quella del gas, che però non si fece, e quella dei trasporti pubblici, che si attuò nel 1916. Infine, la beneficenza doveva trasformarsi in assistenza sociale.
Durante la guerra, la solidarietà.
Il programma dovette subire tuttavia dei cambiamenti, perché alle porte c’era la partecipazione italiana alla guerra. Il Psi, com’è noto, era contro l’ingresso in guerra e Caldara non faceva eccezione. Quando Mussolini, che era stato eletto consigliere comunale, scrisse il suo articolo per la “neutralità attiva” a favore dell’intesa anglo-franco-russa, contro l’Austria e la Germania, si apri un periodo di profonde fratture nella società italiana e all’interno dello stesso Partito. I socialisti della corrente “turatiana” rimasero fedeli alla neutralità, ma non nascosero la loro disponibilità per la difesa dei confini della Patria. Caldara intervenne, nel novembre 1914, per attenuare i provvedimenti disciplinari della direzione del Psi contro Mussolini, che fu espulso e, di lì a poco, diede vita al Popolo d’Italia, ma non si discostò dal neutralismo. Milano divenne l’epicentro delle manifestazioni interventiste, che presero di mira anche il sindaco e la giunta, senza arrivare a particolari forme di violenza. La politica del primo cittadino socialista e della sua amministrazione, dopo l’entrata in guerra, sul piano dell’assistenza fu poi sufficiente da far mutare l’atteggiamento del Corriere e di una parte dell’opposizione. Per esempio, dell’ex sindaco Ettore Ponti. Gli aiuti ai profughi, che arrivavano a Milano, e alle forze armate, furono organizzati da un Comitato di assistenza, che aveva il compito di dare destinazione ai fondi raccolti. Una grande sottoscrizione per i programmi di sistema civile ebbe un successo imprevisto. L’Ufficio per l’assistenza economica, cosiddetto ”Ufficio l”, alle famiglie dei militari era presieduto dal Sindaco stesso. Un altro ufficio (l'”Ufficio II”) per i bambini bisognosi, vide la partecipazione di un gran numero di volontarie e volontari e l’intervento della Società Umanitaria. L ‘”Ufficio III”, per il “collocamento e soccorso dei disoccupati residenti da un anno e ricovero e sussidio a profughi e rimpatriati”, continuò in altra forma l’attività dell’ufficio municipale del lavoro, che era. stato uno dei primi atti della Giunta Caldara, utilizzando la collaborazione di industriali e commercianti, più disponibili di qualche tempo prima nel clima di solidarietà esistente durante la guerra. Vennero create altre sezioni: quella che tutelava gli interessi economici e personali dei militari, con supporto legale gratuito, assistenza morale ai feriti e convalescenti (Addio alle armi di Ernesto Hemingway!); assistenza sanitaria e aiuti ai militari al fronte; assistenza straordinaria ai danneggiati dalla guerra, tra cui i ciechi e gli orfani. Fu un ‘esperienza eccezionale che mise in luce le qualità amministrative, umane e politiche di Caldara e le capacità dei suoi collaboratori (“quasi tutti sconosciuti” al momento dell’elezione) e “incisività del socialismo riformista che si procurò l’apprezzamento di una parte degli avversari e la stima della borghesia produttiva.
Dopo la rotta di Caporetto la Giunta diffuse un manifesto, che senza tradire il neutralismo, si schierava a difesa della patria nel momento difficile: “Se è vero che l’invasore conta sullo scoramento del popolo nostro, voi, cittadini della città generosa, in cui più si urtano i contrasti ideali, mostrate che esso ha fatto un calcolo sbagliato, e date esempio ai fratelli d’Italia di calma, di fiducia perché più facilmente il nemico sia ricacciato, più presto rifulga la pace e la giustizia imperi sui popoli.” L’appello venne accolto favorevolmente da tutte le forze politiche cittadine, con l’eccezione dei “rivoluzionari” della sezione milanese del Psi.
L’amministrazione socialista non si limitò all’assistenza
Se il clima particolare della guerra consentì al “socialismo municipale” di mettere in luce le capacità dei suoi uomini sul terreno della assistenza e di ottenere l’apprezzamento e l’appoggio da settori dell’oppo5izione e dell’establishment, cittadino, l’azione della Giunta Caldara non si fermò a questi risultati. Venne data vita all’ Azienda consorziale dei consumi per “togliere alla speculazione il rifornimento dei generi alimentari di più ampio consumo” (latte, pane, olio, scarpe, vestiti, legna, carbone ecc.) che fu molto gradita dai cittadini di tutte le tendenze, malgrado l’ostilità di una parte degli esercenti. Attuò la municipalizzazione dei tram, approfittando della scadenza, nel 1916, della concessione alla Edison: in quell’epoca il passaggio alla gestione comunale di alcuni servizi significava trasferire gli utili d’impresa dai privati all’ente pubblico. La politica assistenziale, come servizio sociale, continuò oltre la guerra e fu un vanto del Comune di Milano (da questo nasce il detto “Milan col coeur in man”). Venne istituito il servizio farmaceutico comunale. Le intuibili difficoltà di quel periodo storico non portarono alla cancellazione degli impegni nel campo dell’istruzione. Furono costruite molte Scuole elementari e scuole “speciali” per i portatori d’handicap. Attivò a conclusione la pubblicizzazione del Teatro alla Scala, con la costituzione dell’Ente Autonomo, ilcui primo direttore fu Arturo Toscanini. Le grandi opere dovettero subire i rinvii resi inevitabili dalla guerra. Così fu per la nuova Stazione Centrale, per l’Ospedale di Niguarda, per il Tribunale, che peraltro vennero realizzate molti anni dopo, sotto i podestà, durante il regime fascista. Nel cassetto rimasero il progetto di rete metropolitana (che venne concepito allora, ma avviato a metà degli anni ’50) e il “Porto” per un canale di collegamento con il Po (Milano-Cremona-Po-Adriatico). La politica di bilancio della giunta socialista, stretta da leggi che non prevedevano la progressività delle imposte, e dalla diminuzione delle entrate dei dazi di consumo, fu mantenuta in equilibrio dalla “sovrimposta” immobiliare (che fu contestata dai proprietari, che riuscirono a farla ridurre ma non a farla annullare) e da qualche taglio nelle spese, sì da ricevere, anche su questo piano, qualche apprezzamento dell’opposizione liberale.
Alla fine del suo mandato, verso le elezioni del 1921, Caldara benché sapesse che non sarebbe stato riproposto come sindaco dalla maggioranza rivoluzionaria del Psi milanese, accettò di guidare la lista che vinse nuovamente. Diventò sindaco Filippetti alla guida dell’amministrazione sino all’occupazione di Palazzo Marino da parte delle squadre il 3 agosto 1922.
La sezione socialista milanese, a maggioranza massimalista, pur esprimendo aspre riserve sugli atteggiamenti patriottici e pacifisti allo stesso tempo di Caldara, non sollevò la benché minima critica rispetto ai risultati della politica amministrativa della giunta e anzi li approvò.
Un grande sindaco, un capo politico
La grandezza di Caldara fu di essere “il sindaco di tutti i milanesi” come sottolineò Turati, e di mostrare profonda conoscenza delle leggi e della macchina comunale. Fu un ottimo amministratore, ma non fece l’amministratore delegato” dell’azienda Comune di Milano (anche se non fece errori nei bilanci e con un governo ostile seppe trovare le risorse necessarie per la città): andò oltre, dimostrandosi un politico attento, vera guida di una città europea, la seconda capitale d’Italia. All’inizio del 1919 ricevette Woodrow Wilson a Palazzo Marino e gli dedicò un concerto alla Scala, richiamandosi, con un discorso di notevole levatura, ai 14 punti del Presidente americano, tra i quali l’affermazione della democrazia, il riconoscimento della giustezza della rivendicazione dell’eguaglianza economica e l’autodeterminazione dei popoli: si attirò per questo la riprovazione della maggioranza rivoluzionaria” della sezione socialista milanese (protagonista dell’intervento Filippetti!) che lo deferì alla direzione del partito. Andò a Berlino a raccogliere i bambini tedeschi bisognosi che dopo la guerra Milano volle ospitare in nome di un internazionalismo concreto. Fu in missione a Fiume per rendersi conto della situazione di quella città dopo l’occupazione dannunziana. Non rifiutò, come detto sopra, malgrado le perplessità dello stesso Turati, di capeggiare una lista socialista a prevalenza massimalista per le elezioni municipali. Fu un capo politico accorto e coraggioso insieme, un difensore dei lavoratori che seppe essere uomo delle istituzioni senza tradire i principi socialisti cui si ispirava.
Fonteweb
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