SI PUO’ FARE A MENO DELL’UOMO?

di Paolo MastrolilliNew York per La Stampa |

«Quindi la sua soluzione preferita sarebbe fare a meno degli esseri umani?».

Quando gli faccio questa domanda, il premio Nobel Daniel Kahneman resta un momento interdetto. Sorride, perché capisce che si tratta di una provocazione, ma poi l’accetta: «Sì, in un certo senso, sì. Naturalmente gli esseri umani restano al centro del nostro universo, e hanno ruoli insostituibili da svolgere. Però non c’è dubbio che gli algoritmi siano più saggi e più bravi di noi quando si tratta di prendere delle decisioni». Kahneman è una delle menti più brillanti in circolazione, incaricato di illuminare il futuro e la strada da seguire per favorire l’innovazione. 

Siamo al Lincoln Center di New York, invitati a partecipare al World Business Forum. Poi Kahneman sale sul palco ed esordisce: «Ho conosciuto una ragazza che sapeva leggere in maniera fluente a 4 anni, E ora è all’ultimo anno del corso di laurea ad Harvard. Secondo voi qual e il suo grade point average?» (ossia lo strumento con cui si misura quanto va bene in media uno studente nei suoi corsi). Dopo qualche secondo arrivano le prime risposte dalla platea, e Kahneman si mette a ridere: «Avete sbagliato tutti. E sapete perché? Avete espresso un giudizio istintivo, senza possedere o usare alcun dato. Nessuno di voi, ad esempio, sa quale incidenza statistica abbia sul rendimento universitario di una persona it fatto che sapesse leggere già a 4 anni. E’ un errore molto comune, che noi esseri umani commettiamo in continuazione. Forse un marito può capire l’umore della moglie dopo la prima frase di una conversazione telefonica, questo ve lo concedo. Ma per il resto le nostre intuizioni sono quasi sempre sbagliate, anche se ci piace credere il contrario». 

La platea dei manager rumoreggia, ma sotto sotto si consola nella certezza che se fosse stata provvista dei dati necessari, avrebbe scelto la risposta giusta. Allora Kahneman infierisce: «Abbiamo studiato anche questa ipotesi, che aveste i dati a disposizione. Ebbene, quando fornisci gli stessi dati a un algoritmo e a un essere umano, nel 70% dei casi l’algoritmo dà la risposta giusta, negli altri c’è il pareggio, e in rarissime occasioni l’essere umano prevale. La verità scientifica oggettiva è che l’algoritmo è più saggio e più bravo di noi nel prendere le decisioni.  Naturalmente ci sono scelte che competeranno sempre agli umani, ma sono destinate a diminuire con l’avanzare dell’intelligenza artificiale. E sarà un bene per tutti». Andate a spiegarlo a chi oggi mette in discussione il ruolo degli esperti, e quindi della conoscenza, affidandosi invece al proprio istinto. Anche perché la ragione di questa carenza nel giudizio da parte degli esseri umani, oltre all’incapacità di elaborare i dati, è sorprendente. «Sapete perché la gente non cambia idea su cose fondamentali come la politica o la religione?». 

La platea risponde sicura: «Per la solidità degli argomenti su cui basa le proprie convinzioni». Allora Kahneman sferra il colpo finale: «No, gli argomenti non c’entrano nulla. Lo abbiamo studiato. In genere prima prendiamo le nostre posizioni, e poi andiamo a cercare i motivi per giustificarle. Ciò accade perché le nostre convinzioni non sono radicate nella logica degli argomenti, ma nella nostra comunità, la nostra storia, i nostri affetti e le persone di cui ci siamo sempre fidati. Non riusciamo mai a liberarci da questo rumore di fondo. Perciò noi sbagliamo, e l’algoritmo invece ha sempre ragione. Dobbiamo mantenere il controllo, ma in futuro diventerà sempre più difficile non ascoltarlo».