DISCORSO DI FRANÇOIS MITTERAND AL CONGRESSO DI EPINAY – 13 giugno 1971

Traduzione a cura di Maria G. Vitali-Volant |

Cari compagni,
Strutturerò il mio intervento intorno a tre punti: per cominciare: Il perché dell’essere qui. In seguito: che faremo dell’unità? Infine, come realizzarla?

Perchè siamo qui?

Perché siamo socialisti. E’ presto detto! Non voglio sciorinarvi le definizioni. Questo suppone almeno, qualunque sia la scelta di ognuno, un comportamento di rifiuto istintivo o ragionato – istintivo e ragionato, le leggi della ragione sono anche le leggi del socialismo –, il senso della società intorno a tutte le forme di liberazione, di cui sicuramente la prima, che sovrasta tutte le altre, è la liberazione dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo nelle strutture economiche e che questa liberazione si sviluppa attraverso la liberazione culturale.
Ma oggi non siamo qui per tenere dei corsi e ci sarebbero professori migliori di me. Cerco solo di capire perché oggi, in questa sala, sono presenti tante donne e tanti uomini.
Se si tratta di una festa, ci sto con piacere! Se è per una cerimonia, già siamo sul più noioso, ma mi sta bene. Se è per un rito, le cose si guastano. Se è con il sentimento che siamo dei pionieri, i primi, lo sparuto drappello di guida sul resto della truppa, se abbiamo il sentimento che per la prima volta da 65 anni infine ci stiamo riunendo – eccoci è fatta – , unificando – e lo credo –, al di là delle nostre persone e dei nostri gruppi e tendenze di tutte le correnti del Socialismo, allora ne vale la pena!

Le correnti: non voglio neanche di queste fare la lista. Ma per lo meno constato che i Marxisti sono numerosi, i veri e i falsi, che esiste una tradizione prudoniana abbondante, che i personalisti di Emmanuel Mounier sono, colgo l’occasione per dirlo, Dio sia lodato, fra di noi… e che forse per la prima volta quello che succede in seno al mondo cristiano, e particolarmente la Chiesa cattolica, può significare, senza che cadiamo ancora nell’illusione delle grandi masse, l’appuntamento in cui hanno sperato tutti quelli che da almeno 25 anni, e lo hanno detto, sono andati in questa direzione. Quelli che approvo, quelli che disapprovo, quelli che considero anche senza saperlo, o che si chiedono sempre, ignorandolo, se sono loro amico o il loro avversario, tutti hanno auspicato questo momento.
Ebbene, se ci siamo riuniti questa mattina, è la festa per noi tutti, noi tutti che siamo venuti per costruire il socialismo.

Che faremo dell’unità?

Prima di tutto: esistere, semplicemente esistere fisicamente. Esistere significa le strutture, il loro sviluppo, il militantismo – senza parlare di personalità più importanti di altre, perché è sempre molto noioso essere considerati come tali in un congresso di questo tipo – Siamo dei militanti? Non so se io lo sono, quello che so è che passo la mia vita con i miei compagni a cercare di fare esistere fisicamente la nostra organizzazione politica. E questo, non importano le sfumature. Perché noi siamo abbastanza divisi, noi anche, ma siamo tutti dei buoni compagni che stanno cercando di costruire insieme nel nostro piccolo dipartimento, piccolo o medio, non so, il socialismo in azione.
E’ per questo che abbiamo preso delle posizioni favorevoli a un certo numero di temi di decentralizzazione, di collegialità di apertura. L’abbiamo detto abbastanza, non ripeterò quello che è stato detto in due giorni, in maniera eccellente, da questa tribuna.

Però permettetemi di insistere su questo punto, bisogna anche che noi si esista intellettualmente, attraverso un più ricco apporto teorico e, aggiungerei, per l’idea che me ne faccio, spiritualmente, attraverso una migliore conoscenza dell’uomo e forse anche attraverso una più profonda riflessione sul suo destino nel tempo della sua vita.
Questo approfondimento fa che io creda che la mozione B – mi impiccio con le lettere, anche rispetto alla mozione che voto talvolta mi sbaglio – sia la migliore; quella che chiede che la formazione in seno al partito conosca degli sviluppi considerevoli. Esistere, organizzarsi, battersi su ogni tipo di terreno, l’azione del militare politico; mi porto, se volete, volontario per essere il militante che voi chiedete: uno fra 90.000 oggi, uno fra 200.000 domani, uno fra milioni di socialisti che saranno, dopodomani, quelli che conquisteranno la società francese.

Allora, cosa faremo con l’unità? E soprattutto, come lo faremo?

Ebbene, adesso che il nostro partito esiste, vorrei che la sua missione sia prima di tutto quella di intraprendere un’azione di conquista. In termini un pò tecnici, questo si chiama vocazione maggioritaria.
Sono per la vocazione maggioritaria di questo partito. Desidero che esso prenda il potere… Ecco, già presente, il peccato di elettoralismo! Comincio male. Vorrei che fossimo disposti a considerare che la trasformazione della nostra società cominci con la presa di potere, ma essa comincia prima con la presa di coscienza di noi stessi e la presa di coscienza delle masse. Però bisogna anche passare per la conquista del potere. La vocazione “gruppettara”, non è la mia né quella dei compagni che voteranno con me la stessa mozione.
Ma conquistare cosa? Conquistare dove?

Prima di tutto gli altri socialisti, l’abbiamo già detto! Poi, penso, – come tutto questo mi classifica non so ancora – penso che bisogna prima di tutto ragionare del come conquistare o riconquistare il terreno perduto sui comunisti. Penso che non sia normale che oggi ci siano 5 milioni, e forse anche più, di Francesi uomini e donne che scelgono il Partito comunista riguardo alle lotte e anche sul terreno elettorale, perché hanno il sentimento che sia questo partito che difende i loro interessi legittimi, ovvero la loro vita.
Considero che uno dei compiti di conquista del Partito socialista sia di essere, con modestia oggi, lasciando andare le “parole verbali” come dicono i diplomatici, e senza voler fare effetto al congresso, il partito il più rappresentativo di quelli di cui abbiamo parlato prima. Questo non si farà, scusatemi se ve lo dico, se non al prezzo di azioni concrete.
Lussante ha ragione, parlo di lui perché ha parlato poco prima di me, ed è su questo terreno che siamo troppo assenti, è su questo terreno che bisogna ormai essere presenti, per essere sicuri che i Francesi agiscano, che si riuniscano, che si battano. Poi noi dobbiamo proporre un’azione di conquista sul terreno dei Gruppi di estrema Sinistra, e qui si stabilisce già una tragica confusione: si usano indifferentemente, nei discorsi, i termini Estrema sinistra o “I giovani contestatori”. Personalmente non penso che corrisponda al vero. Ma non siamo certi noi che rappresentiamo i giovani.
Esiste un certo numero di valori che è stato espresso dalla rivolta, poi tradotto in un linguaggio e da azioni irrazionali e anche pericolose dal punto di vista della difesa degli interessi dei lavoratori. Ma questi valori esistono talmente tanto e di più del Partito socialista che se non li esprimerà con convinzione, essi tanto resteranno validi: questo bisogno di essere responsabile, questo bisogno di rifiutare di essere soggiacente a degli intermediari che finalmente vi spogliano della vostra dignità di cittadino, di lavoratore, la vostra dignità quotidiana…

Perché esiste una sorta di deviazione della democrazia parlamentare che, al posto di avere delegato al monarca dei tempi andati e a lui solo il diritto di pensare e di agire, la democrazia parlamentare, attraverso i suoi intermediari, ha finito, a causa della sua mancanza di immaginazione per confiscare tutto questo al cittadino, all’individuo: quello che vuole essere lui stesso capace, attraverso l’informazione e la formazione, attraverso il dialogo e anche attraverso l’organizzazione dei partiti di Sinistra, di essere capace di pensare da solo e di decidere.
Questi valori, li qualifichiamo spesso con un brutto termine – ma i brutti termini abbondano nei nostri dibattiti, ne uso io stesso – come “qualitativi” ma questo vuol dire qualche cosa perché assimilando tutta l’eredità storica, quella del Socialismo, allora si vede spuntare la certezza che se noi avessimo, noi, Partito socialista, costruito la società socialista, noi non avremmo finito il nostro compito, perché non avremmo risposto a certe interrogazioni che erano nelle grida di rivolta del maggio 1968.
Poi bisogna recuperare i Liberali. Secondo un’eccellente definizione di Guy Mollet che mi permetterà di prendergliela in prestito nelle classificazioni che ha formulato in un’opera sulla fisionomia della politica francese, i Liberali che in maniera evidente accettano come noi l’eredità democratica in campo politico, ma che rifiutano i nostri metodi e le nostre strutture in campo economico.

Ma ora li vediamo posti davanti una scelta di cui si dice ancora nel linguaggio colto che è bipolare. E’ quindi necessario far capire a quelli che vi sono predisposti che si tratta per loro di scegliere fra la tirannia e la decadenza, quando non si tratta del marciume del capitalismo e il Socialismo, che spesso non piace loro a causa del suo spirito di sistema, o anche per i suoi emblemi e simboli, ma se vogliono la giustizia e il diritto, sono dalla nostra parte.
E poi ce ne sono altri che sono difficili da definire, non so come chiamarli. Non si conoscono loro stessi, d’altra parte se lo sapessero sarebbero qui. Sono quelli che si moltiplicano nei gruppi di ogni tipo che stanno prosperando: i frequentatori delle metropolitane, quelli che usano i trasporti pubblici, i genitori degli allievi, i gruppi di azione municipale, e altri ancora.
Bisogna che tutti questi che hanno scelto le organizzazioni anarchiche, e che si applicano a fare, come dicono, cose concrete, comprendano che non si fa del concreto e che si è schiacciati dalla società capitalista quando non si ammette – è la mia stessa evoluzione, sono portato a capirlo – che è impossibile lottare con efficacia e di trasformare la società con un lavoro individuale, rifiutando una potente organizzazione politica.
Se noi facciamo appello a tutti questi: comunisti, estrema sinistra, liberali, senza etichetta: un mondo di gente in prospettiva, dunque tutto questo ci fornisce un bel numero di nemici. Perché quelli su cui pretendiamo riconquistare il terreno perduto, o conquistare un nuovo campo d’azione, bisogna che lo sappiano che noi siamo i loro concorrenti. E se noi siamo in misura d’essere spesso loro amici o loro alleati, resta il fatto che, nella lotta politica, il Partito socialista, affermandosi in quanto tale, ha l’audacia di voler assumere tutti i compiti in un colpo solo!

E’ qui che il basto ci ferisce. Tanto che mi sono limitato alle petizioni di principio e alle intenzioni generose, come non raccogliere la quasi unanimità dei suffragi? Voglio dire degli appalusi? Ma bisognerà necessariamente distinguere in percentuale la differenza!
Allora che ne facciamo dell’unità? E soprattutto come procediamo?
Ho ascoltato Mauroy adesso. Evidentemente riprendeva certi temi, e sentivo personalmente e profondamente la sua convinzione: strategia globale, strutture…Si potrebbe dire che tutte le correnti l’affermano. E’ stato importante che se lo sia precisato a lui stesso. In fondo io non sono un teorico e cerco di chiarire nel fondo di me stesso quello che penso. Non è sempre facile. Chi si dice esente dalle proprie contraddizioni? Chi è qui tutto d’un pezzo? Forse ce ne sono… vorrei dire che, li compiango!
Riforma o rivoluzione? Ho voglia di dire – che non mi si accusi di demagogia, sarebbe facile in questo congresso – certo: rivoluzione. E vorrei subito precisare, perché non voglio mentire al mio profondo pensiero, che per me, senza giocare con le parole, la lotta di ogni giorno per la riforma categorica delle strutture può essere di natura rivoluzionaria.

Ma quello che sto dicendo potrebbe essere un alibi se non ci aggiungessi una seconda frase: violenta o pacifica, la rivoluzione è prima di tutto una spaccatura dell’ordine stabilito. Colui che non accetta la spaccatura – il metodo verrà dopo – colui che non consente alla frattura dell’ordine stabilito, politico, – va da sé – con la società capitalista, questo qui, dico, non può essere aderente del Partito socialista.
Ora passiamo al dibattito tecnico, dove certi nostri compagni sono veramente imbattibili.
La parola di moda è “strategia”. Con le strategie ci si fà di tutto e di più. Mi sembra che quelli che procedono alla strategia, siano degli strateghi. Bene allora noi siamo un congresso di strateghi! Con delle sfumature. Ce ne sono di terza categoria, altri di seconda e ce ne sono di prima categoria. Se fossimo ancora all’epoca del vettovagliamento si direbbe di categoria A! Non voglio disputare la palma della categoria A al nostro compagno Poperen…

Sono andato per forza a cercare nel Littré (dizionario storico della lingua francese n.d.t.) dove vedo: “strategia, arte di preparare un piano di campagna, di dirigere un’armata su delle posizioni decisive e di riconoscere le posizioni sulle quali, in battaglia, piazzare le più grandi masse di truppe per assicurarsi il successo”.
Dunque, tranne per questo piccolo momento di scuola di guerra, noi cerchiamo il nostro terreno. Ma qual’è il nostro terreno? Su questo punto ritorno ad essere proprio serio.
Il nostro terreno è questo qui: a contare dal momento in cui adottiamo una strategia di spaccatura, bisogna sapere qual’è la definizione al di fuori della quale non esiste un’avanzata possibile verso il socialismo.
Bene allora dico, come chiaramente lo penso dopo qualche riflessione e un po’ di tempo dedicato a questa riflessione, che il nostro terreno è questo qui: non c’è e non ci sarà mai una società socialista senza la proprietà collettiva dei grandi mezzi di produzione, di scambi e di ricerca.
Il nostro terreno, se è questo, ci farà passare ad un’altra frazione di territorio. Quest’altra frazione di territorio ci farà accedere a questa nozione moderna, nell’epoca dell’audiovisuale e dei “mass-média”, che se non si va alle sorgenti della cultura, allora abbiamo fallito l’impresa!
Il nostro terreno è un’analisi economica, non una dottrina, non un’ideologia, ma una scienza…che coniuga il fatto economico e sociale. Si tratta semplicemente di essere onesti e prima di tutto imparare la scienza…E quando abbiamo consolidato bene il nostro primo terreno, quale sarà il nostro avversario?

Vorrei veramente subito liberare il terreno – in primis perché il tempo passa e non bisogna che io resti troppo tempo a questa tribuna – Bisognerà dunque che io elimini subito diciamo gli avversari fantomatici, i fantasmi. Da un certo numero di decenni, l’avversario, chi era? …Ebbene, una certa classe dirigente, sicuramente… altri avrebbero aggiunto la Chiesa che apponeva il sigillo spirituale all’ingiustizia sociale… altri avrebbero aggiunto i militari…Ma è già molto tempo che non organizzano colpi di Stato! Altri ancora avrebbero aggiunto i notabili. Il vero nemico, direi il solo, poiché tutto passa attraverso di esso, il vero nemico, se restiamo ben fermi sul terreno della spaccatura iniziale, delle strutture economiche, è colui che tiene le chiavi…colui che si è insediato proprio su questo terreno, ed è esso che bisogna sloggiare…Si tratta del Monopolio! Termine vasto…per significare tutte le potenze del denaro: il denaro che corrompe, che compra, che schiaccia, che uccide, rovina e il denaro che imputridisce perfino la coscienza degli uomini!
L’altro è la lotta contri i monopoli e quando guardo quello che significa in estenso la parola, penso che tutto prende origine da questo, perché il resto, quelli che governano in politica, non sono che gli esecutori di questi monopoli.
Voler abbattere a tutti i costi il governo Chaban-Delmas, se non si schiaccia la società economica che ce l’ha installato con la sua falsa nuova società…Bisogna farlo, ma questo rischia di disperderci.

Il monopolio, con i suoi esecutori, il partito maggioritario, il governo, la maggioranza dell’Assemblea nazionale e tutti quelli che incontrate nei vostri comuni, nelle vostre città e nelle vostre campagne… e poi i grandi commis, gli agenti, quelli multipli che quando si sono individuati i monopoli, bisogna subito attaccarsi a un’altra fortezza che si chiama lo Stato – o almeno, poiché io non sono un anarchico e sono uno di quelli che pensano che lo Stato sia necessario – ma quando si sa che questo Stato è un mezzo per una società economica creata per consolidare il potere quotidiano su milioni di cittadini che vivono sul nostro suolo, allora bisogna attaccarsi ad una certa nozione, la consolidata natura dello Stato, ancora di più pensando che si tratta di funzionari stipendiati…voglio dire pagati, remunerati dal grande padronato che indistintamente passa ovunque…dai grandi monopoli, che potrei citare, fino alle grandi amministrazioni pubbliche. Questi funzionari rappresentano una classe a parte che esegue per i padroni le decisioni prese nel segreto..dell’Olimpo!
Qual’è il nostro terreno? Chi è il nostro avversario? E ora qual’è la nostra base?

Voglio dire: Chi sono i nostri fratelli? Quali sono i nostri compagni di lotta? E poi quelli che non lo sono ma che sono legati a noi, il mondo dei lavoratori…dagli stessi interessi: e non c’è impianto…non c’è partito politico che prima di tutto non riposi su un impianto economico: un partito ottiene il potere poi governa per tutti i Francesi, ma deve esprimere una verità primaria: l’affermazione della giustizia resa ai milioni di sfruttati, alienati, frustrati, oppressi!
La base è questa e poiché mi sono permesso prima una piccola frase che avrebbe potuto sembrare sgradevole, dirò che la migliore definizione sociologica che trovo di questa nozione di base, la trovo nella mozione firmata da Poperen ed è per questo che a livello della Nièvre abbiamo votato a grande maggioranza la mozione Mermaz-Potillon e ci abbiamo aggiunto sotto forma di emendamento il testo Poperen in questione.
La nostra base, e sono sicuro che ben altri ci si riconosceranno – in effetti si tratta del fronte di classe. Bisognerebbe ancora – avremo il tempo un’altra volta – esaminare bene questa mozione.
Allora, partendo da questo, il campo si restringe…e arrivo alla conclusione. Strategia, tattica…i due termini sono spesso confusi. “Tattica” (sempre riferendomi al Littré): movimenti che sono ordinati da una strategia…Non avanziamo! Ma questo vuol dire che a partire dalla tattica cercheremo di realizzare politicamente le definizioni e le scelte che ho tentato di esporre un minuto fa.

Ed è a questo punto che si presentano numerose tattiche possibili. E’ qui che si trova il nodo del problema. Quando si sentono molti congressisti dire: Bisogna allineare il fare sul dire…o con un linguaggio che ci è proprio: bisogna fare quello che si dice! Bisogna riconoscere che non è che si dimostri granché!
Ci sono tre tattiche possibili. Prima di tutto la tattica della conquista del potere per il potere. Per esempio la tattica di terza forza. Da questo punto di vista non ho bisogno di forzarmi perché tutti la condannano. Ma alla fine tattica di terza forza che vuol dire? Vuol dire l’alleanza con un certo numero di famiglie politiche liberali, considerando che bisogna lottare contro un pericolo fascista e contro un pericolo comunista. E’ questa l’alleanza della terza forza.
Essa non ha ottenuto l’attenzione di nessuna mozione e neanche della nostra. La seconda tattica è già dal suo apparire un po’ più confusa. E’ la tattica che consiste nel considerare che a partire dal momento in cui si fa blocco contro l’avversario principale, all’occorrenza l’UNR e i suoi alleati centristi, abbiamo detto tutto… Non si tratta della terza forza tattica, la quale in fondo cerca ad appoggiarsi sugli elementi moderati, radicali, liberali di ogni sorta, è una tattica che cerca di piazzare il socialismo come mezzo di direzione; come punta di lancia per creare una società socialista.
Non accuso nessuno di quelli che sono qui, praticando questa tecnica che non approvo di aver l’intenzione di tradire il socialismo! D’altra parte non sarei amabile se dicessi questo, se immaginassi il tradimento perché si autorizza questo tipo di alleanza, sarei obbligato a lasciare impietosamente questa tribuna, perché questo mi farebbe condannare la vostra ultima mozione di Bondy! Dico quello che penso, non semplicemente quello che fa piacere!

Esiste una terza tattica ed è quella dell’Unione della sinistra, considerata da molti qui come esclusiva delle altre due: dalla prima per natura, dalla seconda…è evidente.
Ma credo che dobbiamo fare una distinzione, ed è qui che ci stiamo distinguendo completamente da quelli che potrebbero credere che sussiste confusione: la tattica dell’unione della sinistra non è sempre esattamente la stessa. Questa unione come la vediamo?
Essa comporta evidentemente l’alleanza di tutte le forze di sinistra responsabili; essa considera, va da sé, il partito comunista come un partito responsabile.

Questa unione della sinistra deve essere evidentemente aperta. Ho citato cento volte durante le riunioni con voi, la frase di Krasucky (bisogna citare buoni autori) che dice: Dove troviamo i militanti se non fra i civili? Dove troviamo i socialisti se non fra quelli che non lo sono?”
Aggiungo che quando nel mio dipartimento abbiamo fatto una lista unica per il primo turno in una città di più di 30.000 abitanti con il partito comunista – si tratta di una confidenza che la stampa non riporterà- abbiamo sfiorato il litigio. Perché? Oh, a causa di un dettaglio: volevano tutto!
Allora ci hanno detto: Sapete, non vi fidate, se fate due liste non ci asterremo in vostro favore. Noi abbiamo detto: ci abbiamo pensato…allora noi, la nostra lista non avrà che un solo nome: lista socialista! Non avrà che degli aderenti: i partiti socialisti. Allora il piccolo alibi del democratico non proprio sincero, non attecchirà, sarete obbligati a rinunciare in nostro favore!
La vigilia del deposito delle liste, si è arrivati a un accordo. E si è agito così bene che a partire da quel momento i rappresentanti del partito comunista ci hanno detto: ma sapete, la nostra lista é piuttosto risicata…perché non andremmo a cercare qualche personalità in città che non sia considerata come socialista?

Detto in modo diverso, quello che era proibito ai soli socialisti, diventava una benedizione quando eravamo tutti insieme!
Avete dunque capito che per un partigiano Dell’Unione della sinistra e di un accordo con i comunisti, mi sono chiesto dall’inizio di questo congresso con tutto quello che si sente dire, se non sarebbe stato meglio astenermi dal parlare di questo! Ma l’astensione essendo un pessimo argomento, ne farò a meno.
Mi contenterò di dire a quelli che se ne sono preoccupati e in particolare a coloro fra i nostri amici che ne hanno parlato ieri, che durante le campagne presidenziali, vorrei rassicurarli subito, nel 1965 anche se non se ne sono accorti, cosa perfettamente normale, anche io nel ‘65 ero per il candidato unico della sinistra! Anche io nel 1966, con René Billières – e non era facile il primo dicembre 1966 – abbiamo forse fatto il passo decisivo che era ben modesto, un vago accordo elettorale, una vaga prospettiva politica.
Anch’io ero di quelli che hanno firmato la prima “piattaforma comune” dal 1936 e il Consiglio nazionale della Resistenza in Francia, nel febbraio 1968. E continuo a pensare quello che pensavo all’epoca e la lotta da ingaggiare quando voi avete voluto darmi fiducia; non solo non mi sono tirato indietro, ma continuerò a non farlo!

Ma ho spiegato, con il mio piccolo aneddoto nivernese, quali erano i limiti…E ci sono due modi di trattare con i comunisti: la famosa frase “equilibrare la sinistra”, avrei forse fatto meglio ad esitare nel pronunciare questa frase famosa che mi ha valso tutta una serie di polemiche dalla parte di Georges Marchais…Tolto il fatto che essa torna in auge da qualche tempo.
In verità bisogna sapere se il Partito socialista sarà capace, con l’insieme delle forze di sinistra e di tutti quelli che accetteranno le prospettive della sinistra e le prospettive socialiste, si tratta di sapere se il partito socialista è un partito pronto a ricevere quotidianamente la lezione…E quando non ci si intende nel momento di una divergenza, è davvero sempre necessario che noi ci si veda sempre in veste di accusati? Ecco perché, come altri lo hanno chiesto, ecco perché, cari compagni, il dibattito deve essere pubblico e le nostre ragioni devono essere diffuse fra le masse. Non abbiamo complessi da nutrire, anche se abbiamo commesso, ed io in primis, degli errori o delle sviste.
Non è nelle mie intenzioni di accusare nessuno e non l’ho mai fatto, contrariamente a quello che si ripete in giro. Noi siamo tutti solidali e dovremo restarlo, a rischio di regolare in seno al partito le tendenze e le scelte necessarie.

Ma esistono due forme di stato d’animo: ci sono quelli che accettano – e so che quello che sto per dire non piacerà a molti – quello che chiamerò la scelta dei disperati; ci sono quelli che non credono più in loro stessi e in noi e forse non ne sono consapevoli, ma che agiscono come se ne fossero coscienti e che accettano che la finalità sia quella di una “vassallizzazione” del partito socialista! E ci sono quelli che rifiutano!
E dopo aver detto le cose che mi appartenevano e che avro’ l’occasione di mettere in atto in primis votando la mozione “L” sarebbe a dire la mozione Mermaz-Pontillon, ma con gli emendamenti che abbiamo scelto nella Nièvre, se vi sarò ammesso, facendo qualche proposta senza dubbio possibile in seno alla Commissione delle Risoluzioni, nessuno potrà dubitare di questa scelta. Non è vero che un uomo si giudica anche dai suoi atti? Quindi affermo che il partito socialista ha una vocazione, e lo dico con orgoglio a nome di noi tutti, che gli permette di essere alla giunzione dell’eredità democratica alla quale abbiamo consentito e che non ripudiamo. Ma alla quale bisogna rendere la sua verità…I grandi principi dell’89…Certo! Ma si sono svuotati di sostanza. Bisogna rendere loro la sostanza.

E il giorno che lo avremo fatto noi dobbiamo parlare come un partito coerente, che aspira al potere politico e dunque al potere economico; e leale, indirizzandosi ai suoi partners della sinistra, soprattutto al partito comunista che in effetti è il partner principale perché rappresenta – a livello delle lotte concrete – una comunità di fronte di classe, gli stessi che bisogna difendere…e poi ci saranno tutti quelli che verranno a raggiungerci e che verranno dalla nostra destra…Allora bisogna possedere la consapevolezza di noi stessi.
Ho concluso, cari compagni, se non per dire che voi non vi siete pronunciati, in fondo, su un punto sul quale tutto si inceppa e sul quale gli esegeti ammirabili, diciamo che ci aspettano all’angolo…ma specialmente la commissione delle risoluzioni e il Congresso di questo pomeriggio!
Sapete, nel dibattito, siamo d’accordo su tutto! Non vorrei fare la pubblicità dell’essenza, sarebbe a sproposito dopo tutto quello che ho detto.
Ma sapere…il dettaglio che cambia tutto…siamo d’accordo su tutto e poi…c’è giusto un punto di frizione, è lì…l’accordo con il Partito comunista, il dialogo con il Partito comunista, allora fino a quando e per fare cosa? E poi come procediamo? Sempre le stesse domande.
Allora ci sono quelli che dicono: prima di continuare bisognerà riflettere, aspettare certe risposte, è la mozione Defferre-Mauroy; poi ci sono quelli che dicono…questo implica un certo tempo di riflessione…e poi ci sono alcuni che dicono: continuamo il dialogo ideologico.
Io sono per il dialogo e anche per l’ideologia, ma non sono per il dialogo ideologico.

Attenzione! Se bisogna scegliere una modalità d’azione e di dialogo io propendo per quelli che, in questo Congresso, preferiscono le azioni concrete; vogliono definire, nel caso di fallimento di questo progetto, i programmi perché penso che il dialogo ideologico, che pone delle questioni molto importanti, si… chi c’è fra voi, fra noi, che pensa un secondo che noi non saremo gli alleati elettorali dei comunisti nel 1973…o prima? Sapete bene tutti che quello che succederà, e a mia conoscenza non c’è nessuno contro, ce ne sono che vorrebbero aggiungere qualche cosa in maniera orale che risulta eccellente, ma non ce ne sono che vogliano tornare indietro e penso che il Partito, nel suo insieme, accetta l’accordo elettorale con il Partito comunista.
Bene, allora se ci presentiamo insieme con un accordo per il secondo turno, se il sistema di scrutinio si presta, con i comunisti, credete che potrete abbordare le elezioni anche senza dire ai francesi per fare cosa? Anche questo equivale a creare le condizioni della sconfitta permanente!
Ma il dialogo ideologico che pone veramente dei problemi fondamentali, il dialogo ideologico tende a risolvere cosa da qui al 1973? Sapete perché evoco il 1973, che non mi si prenda per storto dicendo: non abbiamo mai detto questo…sono io che lo dico…

Questo dialogo ideologico, è lui che risolverà il problema di due filosofie, dei due modi di pensiero, di due modi di concepire l’uomo nella Società? Allora, non capirei perché si è creato un comunismo e un socialismo! Credete che risolveremo questo da qui a due anni? Due anni è una prospettiva, ma io non perdo di vista la mia idea…Credete che ci arriveremo?
La nostra pressione, ed è in questo senso che io capisco i protagonisti del dialogo ideologico che non appesantisco, cerco soltanto, da Compagno, di dire le nostre preferenze senza ricusare la loro opinione; noi vogliamo soltanto dire che per risolvere il problema di fondo, questa pressione è molto utile ma più utile ancora è il fatto che all’interno del Partito comunista si crei la coscienza che ormai non è più possibile vivere in isolamento protetti dal centralismo burocratico.
Perché questa è la prerogativa dei socialisti: di combattere sul terreno aperto, quindi il Partito comunista anche lui deve aprirsi allo stesso tipo di discussione, su delle lotte concrete.
Ho citato il 1973 e faccio la domanda, bisognerà rispondervi questo pomeriggio, non ora. Ora dialogo ideologico, e questo vuol dire che se non ci intendiamo sull’essenziale non potremo mai allearci alle elezioni?
Poiché nessuno ci pensa, questo potrebbe lasciar pensare che il dialogo ideologico non serve a niente, visto che non si è sentito… ma che si senta almeno quando è utile!

Oppure questo vuol dire che decisamente non ci può essere alleanza a qualunque grado, salvo sul piano delle lotte, sul terreno che sono permanenti e necessarie prima di aver ottenuto lo scopo?
Qui a nostro avviso c’è una contraddizione profonda. Ecco perché, in conclusione, dirò che non ci sarà l’alleanza elettorale se non ci sarà un programma elettorale. Non ci sarà una maggioranza comune se non ci sarà un accordo di maggioranza. Non ci sarà un governo di sinistra se non c’è un programma di governo…Non mi applaudite, quelli che lo fanno rischiano di sbagliarsi, mi sembra onesto dirglielo, perché le tre forme di programma è difficile dissociarle in un regime bipolarizzato nella maniera che voi conoscete…E’ difficile desolidarizzarle…Non potrà inoltre esistere un vero programma annunciato dai vostri leaders dell’epoca che verrà, quella futura, se non possono indirizzarsi ai Francesi dicendo loro: ecco quello che faremo e chi saremo.

Ma per sapere cosa faremo e sapere chi saremo, bisogna discutere, ed è qui che raggiungo quelli che discutono pensando semplicemente sul piano delle loro discussioni, essi si sbagliano di scena, sarebbe molto meglio sapere in maniera precisa se si o no, quello di cui sognamo e tutto quello che vogliamo, sia possibile.
Miei cari compagni, non ho firmato nessuna mozione, ho votato con i miei compagni della Nièvre a grande maggioranza per la mozione Marmaz-Pontillon con emendamenti…consistenti che è scusabile non conoscere. Mi presenterò sulla lista che sarà presentata dalla mozione “L”…Forse andro’, se mi designano per farlo, nella Commissione delle risoluzioni.
Quando ci sarò, se tuttavia abbiamo la percentuale necessaria, con i 5% è possibile, con la proposta Taddei non ci andavamo… (applausi) le nostre preferenze andranno verso l’analisi e verso la conclusione della mozione di cui vi ho parlato.
Voteremo dunque per la mozione “L” ed è normale che io voglia che il più grande numero faccia la stessa scelta. Ma sappiamo anche che molti altri testi esprimono su certe opzioni fondamentali delle posizioni che sono vicine alle nostre…Esse non sono proprio quelle di cui cerchiamo di farne la caricatura. Ecco perché, dopo il voto che farà apparire le divergenze, il primo voto, ho intenzione di fare qualche proposta nella Commissione di politica generale per ritrovare le convergenze.
Non vi preoccupate, non ci sarà confusione, né con quelli che non la pensano come noi, né con quelli che, dicendo che la pensano come noi, agirebbero diversamente.

Ecco perché, miei cari Amici, e queste saranno, Compagni, veramente le mie ultime parole, per l’ultima volta qualcuno si esprimerà da una tribuna politica evocando la sola formazione politica, certo minima ma amichevole; la sola che abbia accettato di sparire nell’insieme politico che formiamo.
Voi avevate già le vostre tendenze, esse si sono affermate, sviluppate: i militanti di Vie nouvelle, di Objectif 72, i loro organismi non spariscono, sono là a titolo individuale…dei missionari, noi, noi abbiamo sacrificato, noi soli abbiamo rotto con un passato che ci era caro…Non ne faccio argomento di merito con voi, semplicemente dovevo questo a quelli, che insieme a me da qualche anno, hanno cercato di ritrovarvi.