2024 ANNO DI ELEZIONI

In questo 2024 quasi tutto il mondo si apprestare ad andare a votare per scegliere chi guiderà i paesi nel preoccupante scenario mondiale che ci si prospetta. Le elezioni più importanti sono naturalmente in Russia, in Europa e negli USA. Non mi occuperò della Russia e affronto il tema dal mio angolo di osservazione: quello economico. Al momento è sicuramente la situazione geopolitica che preoccupa, stante i conflitti in corso, che conoscono solo escalations e tingono di grigio scuro l’orizzonte. Ma l’aspetto economico è poi alla base di ogni conflitto, sia esterno che interno, ed è quello che più conta se si guarda alle elezioni con un orizzonte lontano ma le cui basi si impostano qui ed ora. La situazione degli USA A mio parere Biden si presenta alle elezioni con una situazione economica straordinariamente forte. Le sue aziende raggiungono da sole un livello record di capitalizzazione, che supera quello di tutto il resto del mondo. Le borse mondiali capitalizzano 110 mila miliardi di dollari, gli USA fanno la parte del leone, il New York Stock Exchange (Nyse) capitalizza 25 mila miliardi, il Nasdaq 21.700, ma ciò che va sottolineato è che mentre il Nyse dal 2016 è cresciuto del 35.1%, il Nasdaq è cresciuto del 189.3%. E sappiamo che il Nasdaq quota titoli tecnologici, quelli che grazie all’intelligenza artificiale, stanno conoscendo risultati incredibili. I nomi delle aziende tecnologiche che investono nell’I.A. sono noti: Microsoft, Apple, Amazon, Meta e Alphabet. Microsoft capitalizza 3 mila miliardi di dollari (il PIL italiano nel 2023 è di 2 mila miliardi di dollari), Ndivia, una stella nascente, che produce programmi per istruire i computers per operare con l’I.A., regina nel settore, registra utili incredibili; ha fatturato 60 miliardi di dollari e ha realizzato profitti per 33 miliardi. E’ ovvio che dietro a questi risultati ci siano investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) che sono alla base del successo schumpeteriano dell’economia statunitense. Gli investimenti in R&S in Europa sono un quinto di quelli negli USA e la metà di quelli in Cina. Gli investimenti sull’I.A. negli USA sono 50 volte quelli europei. L’azienda europea che ha investito di più nel 2023 è la Volkswagen (investimenti sull’auto elettrica) con 18.9 miliardi di euro, Google (Alphabet) ha investito il doppio, 37,1 miliardi, Meta 31,5, Microsoft 25,5, Apple 24,6 e, fuori dagli USA, la cinese Huawei ha investito 20,9 miliardi e la coreana Samsung 18,5 miliardi. (Vedasi l’articolo di Eugenio Occorsio su Affari e Finanza di lunedì 11 marzo). Gli USA, smentendo le previsioni di qualche anno fa, hanno una economia che continua a correre grazie alla politica, un tempo europea, di finanziare la crescita a debito. Washington, per affrontare la crisi Covid, ha stanziato 5 trilioni di dollari; ha poi aggiunto altri 2 trilioni di dollari come incentivi pubblici pluriennali agli investimenti con misure quali l’Infrastructure Investment and Jobs Act, il Chips Act e l’Inflation Reduction Act. Quest’ultimo atto, poi, prevedendo incentivi per gli acquisti di merci che fossero prodotte negli USA, ha praticamente introdotto i dazi doganali non con il prelievo fiscale all’importazione ma escludendo i beni importati dagli incentivi concessi alle produzioni USA. Ritorna, ci siamo dimenticati di Mariana Mazzucato?, l’importanza del ruolo del pubblico nel sistema economico statunitense con una preminenza programmatoria determinante. Tema che dovrebbe essere molto presente nel mondo socialista per intervenire in questo colossale trasferimento di fondi dal mondo del lavoro al capitale. Ma conosciamo pure che questa stampa di dollari senza limiti è fonte di inflazione che viene limitata grazie all’ “esorbitante privilegio” derivante dal fatto che i dollari sono tolti dalla circolazione dai paesi che li tengono come riserve valutarie nelle loro casse. Ma il processo di de-dollarizzazione ha raddoppiato, dagli inizi di questo anno, il numero di paesi aderenti, contrastando l’effetto anti-inflazionistico a favore del dollaro. Ecco una variabile che non potrà non incidere sul futuro degli USA. La situazione dell’Europa La situazione europea penso possa essere descritta facendo riferimento a quanto dice Draghi, incaricato dalla Commissione europea di redigere un rapporto sul dossier competitività. Draghi insiste sulla necessità di mobilitare enormi investimenti per consentire all’Europa di poter competere con gli USA e con la Cina i paesi che stanno affrontando da protagonisti la sfida per l’egemonia economica negli anni futuri. Secondo Draghi i soldi necessari per questi investimenti sono solo una parte del problema, occorre rivedere anche le regole che l’Europa ha costruito per il suo funzionamento e che non sono funzionali ad una politica di vitalità ed efficacia nella ricerca di un protagonismo economico. Esiste un problema di estrema evidenza: come può l’Europa essere competitiva se l’energia elettrica ci costa il doppio di quanto costa negli USA e il gas naturale ci costa cinque o sei volte tanto?  Chiaramente la nostra politica estera è chiamata ad affrontare questo tema che ci rimanda al come porci di fronte al tema Ucraina nel caso gli USA, come sta succedendo, si defilino lasciando alla sola Europa la gestione di questa guerra su commissione. Particolare enfasi è posta da Draghi alla rapida accelerazione della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica ed in particolare dello sviluppo dell’I.A. generativa le cui applicazioni pratiche in ambiti quali la sanità e l’istruzione sono di vasta portata. La situazione è molto critica e richiede una riflessione seria sulla riduzione del rischio delle potenziali vulnerabilità. La situazione italiana Le preoccupazioni per il nostro paese non possono ignorare quanto è successo con il superbonus del 110%. Con l’obiettivo di ridurre la emissione di gas serra abbiamo speso, accertati finora, 150 miliardi di euro che hanno sì creato PIL, ma graveranno sui bilanci pubblici per i prossimi 5 anni. Ma investire nell’edilizia non ha comportato nessun effetto positivo sulla competitività del sistema, sono state costituite centinaia di imprese edili senza professionalità con dipendenti a tempo determinato o in nero, i prezzi sono esplosi “tanto poi paga lo stato” ponendo le basi per pressioni inflazionistiche. Nel mondo, come ricerca sull’I.A. siamo al 22esimo posto, abbiamo preferito l’edilizia, potevamo almeno produrre quei pannelli fotovoltaici che importiamo dalla Cina. Nel 2023 l’ISTAT …

IL DECLINO DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA

di Franco Astengo | In un quadro generale di fortissima difficoltà del sistema di relazioni internazionali che si trova ormai sull’orlo del conflitto globale e di vera e propria crisi delle democrazie liberali insidiate da “democrature” e autocrazie di vario tipo la democrazia italiana sembra proprio aver imboccato la strada del declino in uno scenario nel quale potrebbero presentarsi variabili imprevedibili. Così con un declino apripista di possibili avventure potrebbe concludersi la lunga transizione avviata fin dagli anni ’90 del secolo scorso con la fine della “Repubblica dei Partiti”: transizione affrontata dell’establishment politico, economico e culturale semplicisticamente attraverso lo spostamento dell’asse di riferimento dalla rappresentanza politica alla governabilità intesa come potere modificando così – a seconda delle reciproche convenienze – il sistema elettorale in modo da rendere l’esito del voto pressoché impermeabile al giudizio di elettrici ed elettori (con conseguenza di larghe intese, governi tecnici, passaggi immediati da giallo verde a giallo rosso ecc.). Ci si sta interrogando sulle cause profonde di questa difficoltà: potrebbe essere allora possibile individuare due elementi fondativi: 1) Il distacco dalla Costituzione Repubblicana vero fondamento della “democrazia antifascista”, trasformata in “democrazia afascista”. Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati (Democrazia afascista – Feltrinelli) la descrivono come preparatoria di un mondo gerarchico e statico; una società della cieca deferenza, dove c’è chi è in alto e c’è chi è in basso e dove chi è in basso, persuaso che le sconfitte sono solo eventi personali, deve piegare il capo rinnegando un secolo di conquiste democratiche. Il grande nemico della democrazia afascista è infatti l’uguaglianza sociale e politica. Crescono così invidia, risentimento, frustrazione e ci si rivolge al populismo rifiutando l’idea della politica come “motore sociale”. In questo modo si anestetizza lo stesso schema bipolare che si sta consolidando come espressione del sistema politico perchè entrambi gli schieramenti finiscono prigionieri di quelle che sono state definite “concezioni avaloriali”, ipermaggioritarie, notabiliari e aconflittuali limitandosi a gareggiare – appunto – per la gestione del potere; 2) L’altro elemento di declino è stato rappresentato dalla presenza (anche dirompente) delle cosiddette “proposte terziste”, nè di sinistra, nè di destra, che hanno portato ad un analogo effetto anestetizzante omologo a quello provocato dal distacco dalla Costituzione antifascista. Nel suo “Categorie della Politica, dopo destra e sinistra” Vincenzo Costa individua nella crisi di legittimazione della democrazia liberale l’incapacità di intercettare i cambiamenti e le istanze di quello che viene definito, riprendendo Habermas : “il mondo della vita”. Così il nè di destra e il né di sinistra si traduce in un ritrovarsi nel manifestare diffidenza verso i ceti popolari cui è attribuita lo stigma di “sconfitti della globalizzazione”. Se la destra è sempre stata intrisa di uno spirito suprematista e “iper classista” la sinistra sembra adeguarsi in un atteggiamento escludente nei confronti di che dispone di minore capitale economico e culturale. Il punto di contrasto di questo stato di cose risiederebbe allora nel reingresso delle masse popolari nella gestione della politica: elemento questo progressivamente assente con la fine dei grandi partiti a integrazione di massa sostituiti proprio dal polverone populista del “nè di destra, né di sinistra” (che non è stato soltanto appannaggio del M5S). Servirebbe un recupero di identità che potrebbe realizzarsi soltanto convincendo che la politica rimane lo strumento più efficace a cambiare la condizione sociale. La riaffermazione della Costituzione Antifascista, della visione che contiene il suo testo dei rapporti sociali, delle forme di strutturazione istituzionale, di disegno per il futuro rappresenterebbe la chiave di volta per delineare la costruzione di una nuova identità democratica: nel frattempo però ci aspettano prove molte ardue e non pare che ci si stia attrezzando a sufficienza per affrontarle adeguatamente. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FELICE BESOSTRI E LA FORMULA ELETTORALE

di Franco Astengo | “La legge elettorale è uno dei codici primari della Repubblica, un complemento essenziale dell’architettura costituzionale, un bene comune della democrazia, proprio come lo sono l’acqua, l’energia, la casa” Il testo sopra riportato rappresenta l’incipit del capitolo “Rosatellum la madre di tutte le battaglie” che apre il volume di Luca Telese dal titolo “Tabula Rasa, storia del PD e della sinistra da Veltroni a Elly Schlein”. Una (finalmente !) giusta valutazione del valore del sistema elettorale ma del tutto inusuale rispetto al normale atteggiamento dei partiti, abituati a trattare la materia semplicemente dal punto di vista delle convenienze occasionali e soprattutto del potere che la formula in uso concede ai vari “cerchi magici” di nominare i membri del Parlamento, sottraendo la libertà di scelta ad elettrici ed elettori. Non è questo però il punto che intendevo toccare in via esclusiva con questo intervento. Infatti proseguendo nel suo racconto Telese ricorda la bocciatura da parte della Corte Costituzionale di ben due formule elettorali, l’una dietro l’altra: la prima, come si ricorderà, in vigore e definita “Porcellum” (2005: utilizzata per le elezioni del 2006, 2008 e 2013), la seconda Italikum (modello Renzi, così definita da Giovanni Sartori) mai entrata in vigore. Ebbene dal testo in questione viene completamento omesso l’iter (faticoso e difficile) attraverso cui si arrivò al pronunciamento della Corte che parrebbe quasi aver agito di “motu proprio” ed è dimenticato il protagonista di quella stagione: Felice Besostri scomparso all’inizio di quest’ anno e del cui lavoro da più parti (non da tutte per fortuna) sembra ormai essersi smarrita traccia. Siamo di fronte ad una stagione molto complicata per quel che riguarda minacciate riforme costituzionali le cui proposte sembrano segnare da un lato un restringimento dei margini democratici fissati dalla Costituzione Repubblicana con una torsione personalistica e un oggettivo complesso riequilibrio di poteri ai vertici dello Stato e dall’altra parte una proposta di sostanzialmente dissolvimento dell’unità nazionale e di accentuazione delle disuguaglianze territoriali. L’obiettivo della destra proponente è quello di arrivare al plebiscito popolare, vista la difficoltà di raccogliere in Parlamento i 2/3 dei consensi: il conseguente referendum potrebbe davvero rappresentare una di quelle “madri di tutte le battaglie” cui non ci si dovrà sottrarre con incertezze e/o proposte di improbabili mediazioni proprio perché l’argine di frontiera è rappresentato dalla Costituzione Repubblicana. Sarà necessario allora che Felice Besostri, epigono di una schiera di sinceri democratici che lo affiancarono in quelle vicende, non solo non sia dimenticato ma affermato come riferimento morale dell’impegno che ci attende. Per concretizzare questo impegno mi permetto di avanzare una proposta immediata: le forze politiche che intendono opporsi al disegno in atto di deformazione costituzionale elaborino assieme una piattaforma comprendente la stesura di una nuova formula elettorale, quale parte integrante della ipotesi referendaria e impegnandosi successivamente a portare il testo in Parlamento (magari dopo nuove elezioni che potrebbero determinare una maggioranza diversa se si riuscirà a realizzare l’opportuna tensione unitaria). Sul tema si tratta di abbandonare le logiche autoconservative che hanno fin qui accompagnato la visione della materia e affrontare finalmente in termini non ideologici (come del resto si evince nel testo Costituzionale del’48) la questione del rapporto tra governabilità e rappresentanza: perchè è vero che il tema della governabilità (trasformato nella logica del potere) è stato portato avanti, fin dalla sbornia referendaria del 1993, in termini di vera e propria “ideologia”, quasi di culto della “stabilità di governo”, sottraendo ad elettrici ed elettori il massimo possibile di possibilità di scelta. Certo quelli erano tempi in cui si pensava che la “storia fosse finita”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SALE IL DEFICIT, SCENDE IL DEBITO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | I dati pubblicati dall’ISTAT ci dicono che nel 2023, a fronte di un deficit indicato nel NaDef pari al 5.3%, il deficit effettivo è del 7.2%; nel contempo il debito pubblico chiude con un 137.3% sul PIL contro un 140,2 indicato dal governo nello stesso documento. Insomma, rispetto alle previsioni del governo, aumenta il deficit ma diminuisce il debito. La prima osservazione è una poca attendibilità delle cifre e delle previsioni fatte dal governo, ma anche, come sostiene il Foglio, una scarsa attendibilità (o un silenzio complice) della Ragioneria di Stato visto che i dati che stiamo esaminando ce li ha forniti l’Istat. La questione non è semplice: vediamo di esaminarla per singola causa: ● Gli effetti dell’inflazione. Se quando andiamo a fare la spesa, dopo anni di inflazione vicino allo zero, ci accorgiamo di aver comperato quantitativamente di meno ma pagato di più, abbiamo una idea della differenza tra dati reali e dati nominali, ovvero diminuiscono le quantità di merce acquistata ma aumenta la spesa monetaria. Questo effetto si ha anche sul PIL: il PIL reale può diminuire (ma anche aumentare) ma il PIL nominale  aumenta molto di più di quello reale perché sono aumentati i costi, perché l’inflazione ha spinto al rialzo il parametro monetario dei beni prodotti. Si noti però che il debito non è modificato dall’inflazione, esso non viene ricalcolato ai nuovi prezzi inflazionati ma rimane quello che era aumentato solo dal nuovo deficit. Per cui nel calcolo del rapporto debito/PIL, mentre il numeratore non è influenzato dall’inflazione il denominatore aumenta proprio a causa dell’inflazione; come risultato abbiamo una riduzione dell’indice. Va da sé che l’aumento dell’inflazione va, per la stragrande quantità, a pesare sui bilanci familiari stante la gran lotta di classe che si mette in moto in fase inflazionistica; chi può scaricare l’effetto inflattivo (che nel caso attuale proviene dall’aumento dei prezzi di importazione, estranea cioè alla temuta rincorsa prezzi-salari) lo scarica su chi non ha la possibilità di rivalersi su nessun altro. Evidentemente il costo dell’inflazione si scarica sulle famiglie che di riflesso diminuiranno la domanda di beni, creando cioè un effetto negativo sulla produzione. L’unico ente che lotta contro l’inflazione è la BCE che lotta con l’unica arma di cui dispone: aumento del costo del denaro, strumento tutt’altro che positivo nell’economia di una nazione indebitata come la nostra. L’intervento del governo con il trimestre antiinflazione risulta ridicolo specie se pensiamo ai provvedimenti presi dalla Spagna con il governo Sanchez che è riuscito a mantenere l’inflazione su livelli molto più bassi dei nostri. ● Le tax expenditures. E’ diventata ormai strutturale la prassi contabile dello Stato di camuffare le spese sotto forma di crediti di imposta. Mi spiego, se ritengo di fare una certa spesa invece di metterla a bilancio nel capitolo spese, la trasformo in un credito d’imposta. Con tale prassi dico che quel provvedimento di spesa preso non va ad incidere nelle spese dello stato ma si tradurrà in futuro in mancato introito di imposte. “Il pranzo gratis” quello che Veronica De Romanis illustra nel suo libro, consiste nel camuffare come bonus, come regalo ciò che si tradurrà in minor introito dello Stato.  A quanto ammonta questa spesa non contabilizzata ma che si traduce in minor gettito? Bene siamo a livelli di 120 miliardi/anno derivanti da 626 bonus elargiti in questa presa in giro dei contribuenti italiani. E i bonus promessi dal governo A vengono riconfermati dal successivo governo B di qualunque colore essi siano. Una gestione seria del nostro bilancio dovrebbe prevedere il superamento di questa prassi tornando a contabilizzare le spese  come spese e cancellando i crediti di imposta. In questo gioco del camuffamento delle spese come crediti di imposta subentra un elemento temporale dovuto al fatto che nei bilanci pubblici la spesa non è conteggiata quando è effettuata ma quando viene esercitata la compensazione delle imposte dovute con i crediti di imposta, cioè quando si realizza il mancato gettito. La questione se conteggiare in bilancio l’uscita al momento della nascita del credito di imposta o al momento successivo del mancato introito è a lungo dibattuta. Gli effetti sono nei clamorosi errori di previsione della nostra gestione finanziaria. Esempio classico di errori nelle previsioni del NaDef è quello relativo al superbonus; i saldi di finanza pubblica predisposti nel NaDef includevano per il 2023, 37 miliardi di mancato incasso a causa dell superbonus (importo così ricalcolato a ottobre rispetto ai 14 miliardi stimati in aprile), i dati Istat di fine anno portano il mancato introito a 76 miliardi. ● Le norme europee. Negli anni Covid le norme di bilancio, severe o corrette o meno che fossero, sono state sospese e tutti gli stati hanno aggravato la loro posizione debitoria; il famoso parametro del 60% del debito ammesso è ormai obsoleto e inattendibile. Dall’anno prossimo torneranno però le norme su deficit e debito che, comunque rettificate, richiederanno una politica restrittiva da parte del governo di dimensioni non insignificanti. La domanda cui la Meloni non ha mai risposto è stata sul come agiremo: più tasse, meno spese, più sacrifici. Di lì non si scappa. Il PNRR ci finanzia con due tipi di fondi: quelli a debito e quelli cosiddetti a fondo perduto. Chiaramente la gestione del PNRR deve prevedere che gli investimenti fatti generino nel futuro tanto PIL in più sufficiente a ripagare i debiti concessici. L’errore è quello di ritenere che i fondi erogatici a fondo perduto non siano da restituire; è un errore di prospettiva che va segnalato. I finanziamenti a fondo perduto non sono considerati come debito e come tali non vanno contabilizzati nel bilancio dello Stato. Ma quando l’Europa dovrà ripagare i prestiti ottenuti per finanziare il PNRR, dovrà rimborsare anche i fondi concessi a fondo perduto ai paesi beneficiari (e l’Italia ha l’ammontare più alto) e per rimediare i soldi necessari dovrà rivalersi sulle quote annue dovute da ciascun paese. Il dato positivo per l’Italia è che non dovrà ripagare il 100% dei fondi a fondo perduto …

MANIFESTO DEL PSE PER LE ELEZIONI EUROPEE 2024

Congresso Pse – Roma 2 marzo 2024 L’EUROPA CHE VOGLIAMO Sociale, democratica, sostenibile II Partito del Socialismo Europeo, la più grande forza progressista in Europa, va incontro alle elezioni europee del 2024 determinato come sempre a trasformare le nostre società e migliorare le vite delle cittadine e dei cittadini europei.Vogliamo un’Europa democratica libera, giusta e sicura. Crediamo nell’Europa in quanto forza per garantire i diritti per tutte e tutti e con tutte e tutti. Scegliamo di lavorare insieme per mantenere il nostro pianeta vivibile, per realizzare la giustizia sociale e per offrire nuove opportunità a tutte e tutti. Stiamo costruendo un’Europa di sostenibilità e democrazia. Un’Europa femminista. Un’Europa inclusiva fondata sui diritti umani universali. Un’Europa in cui il progresso sociale, economico e ambientale vanno di pari passo. Un’Europa che sostiene le sue giovani e i suoi giovani. Un’Europa che promuove la cultura in tutta la sua diversità. Per noi, l’Europa è sempre stata un progetto di pace e prosperità condivisa. Un progetto di solidarietà che consente ai nostri Paesi di affrontare sfide a cui da soli non potrebbero far fronte. Unendo le forze, stiamo costruendo un’Europa capace di grandi cose di cui possiamo essere orgogliose e orgogliosi. Il periodo intercorso dalle elezioni europee del 2019 è stato segnato dal susseguirsi di crisi e da minacce emergenti. Eppure, in circo-stanze difficili, abbiamo dimostrato che un’Europa che protegge le persone e infonde speranza in un futuro migliore è possibile. Ci siamo impegnate e impegnati a fondo per mettere in campo risposte progressiste all’aumento del costo della vita, all’emergenza climatica, per il passaggio all’energia pulita, alla pandemia da Covid-19 e all’aggressione russa contro l’Ucraina.Oggi, sono ancora molte le sfide che ci attendono. In un contesto di guerra e conflitti nel nostro continente e vicino a noi, nonché di autoritarismo crescente nel mondo, l’Europa dev’essere garante di pace, promuovere il rispetto del diritto internazionale e relazioni internazionali eque, e con al centro la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. L’Europa dev’essere pronta a garantire la propria sicurezza e difesa. L’Unione europea deve anche affrontare le disuguaglianze al proprio interno, la perdita del potere d’acquisto dovuta all’aumento del costo della vita, l’attacco ai diritti delle donne, le difficoltà sempre maggiori con cui si scontrano le giovani e i giovani, e l’indebolimento della democrazia e dello stato di diritto. Vogliamo un’Europa più unita che protegga la nostra sovranità, i nostri sistemi di welfare e investa in posti di lavoro verdi di qualità, nel benessere sostenibile e in un’economia dinamica. L’estrema destra è una minaccia per le cittadine e i cittadini e per il progetto europeo. Avvelena la democrazia. I nostri valori sono inconciliabili con i loro. L’estrema destra vuole mettere le persone le une contro le altre, mentre noi vogliamo unirle. La nostra famiglia politica ha una chiara linea: non coopereremo mai e non formeremo mai coalizioni con l’estrema destra. Un più forte Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo significa più forza per assicurare rispetto, giustizia e un futuro migliore. Più forza per garantire alle cittadine e ai cittadini pari opportunità, senso di sicurezza e quella qualità della vita che tutte e tutti meritano. Siamo il principale attore progressista ed europeista, che combatte l’estrema destra, mobilitando le forze sociali, ambientali e progressiste per governare cambiamento.In questo Manifesto, definiamo 20 impegni per il nostro candidato comune e i nostri partiti, per un’Europa basata su: ● Il diritto al lavoro di qualità e alla giusta retribuzione, garantendo i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, rafforzando la contrattazione collettiva, la democrazia sul lavoro e sostenendo le lavoratrici e i lavoratori autonomi. ● Un nuovo patto verde e sociale per una transizione giusta, attraverso energia pulita, sicura ed economicamente accessibile, nuovi posti di lavoro di qualità in un’economia circolare verde a emissioni zero, e un pianeta vivibile. ● Una democrazia forte, dove lo Stato di diritto viene da tutte e tutti rispettato e difeso. ● Un’economia europea forte e competitiva che prepara le proprie industrie e piccole e medie imprese al futuro. ● Un’Europa protettiva che difende le persone dal carovita, difende i loro posti di lavoro dalla concorrenza sleale e difende la loro salute e il loro ambiente. ● Un’Europa femminista che promuove la parità dei diritti, il controllo delle donne sulle proprie vite e i propri corpi, e la fine della violenza e della discriminazione di genere. ● Un’Europa per le giovani e i giovani che garantisce progresso, autonomia, opportunità e sradica la precarietà nel lavoro. ● Il diritto a un alloggio adeguato ed economicamente accessibile per tutte e tutti. ● Un’Europa strategicamente indipendente che difende la propria libertà, sicurezza e integrità territoriale. ● Un’Europa forte nel mondo che promuove la pace, la sicurezza, la cooperazione, i diritti umani e lo sviluppo sostenibile. 1. ASSICURARE POSTI DI LAVORO DI QUALITÀ PER TUTTE E TUTTI Con i tassi occupazionali in crescita in Europa, più posti di lavoro deve significare posti di lavoro migliori e retribuzioni giuste. I salari devono crescere e sostenere il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori per contrastare l’inflazione e il maggiore costo della vita. Ci siamo battuti al fianco dei sindacati per salari minimi dignitosi, per la trasparenza retributiva, per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori delle piattaforme e la contrattazione collettiva. Il mondo del lavoro sta cambiando. Il malessere e lo scontento crescono, sull’onda dell’insicurezza occupazionale, dell’aumento del lavoro precario, dei salari bassi e dell’imprevedibilità dell’orario lavorativo. ● Agiremo con un programma che ha per obiettivo il lavoro di qualità e ben retribuito. ● Le nostre battaglie vertono sul contrasto alla povertà lavorativa, sul superamento dei divari di genere entro il 2030, sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, sul contenimento del divario salariale tra lavoratrici e lavoratori, sul raggiungimento dell’obiettivo zero morti sul lavoro, sulla garanzia del diritto alla disconnessione, sulla riduzione dell’orario di lavoro, sulla fine dello sfruttamento sul lavoro e dell’illegalità nella sfera occupazionale, sullo sviluppo di garanzie occupazionali a livello locale e sull’introduzione di un Protocollo sul progresso sociale nei Trattati. ● Continuiamo …

TASSARE I ROBOT

(ma di chi sono i robot?) “Per Bill Gates il passaggio dalla situazione attuale a quella futura, in cui avremo solo operai robot e autisti robot, avverrà praticamente tutto in una volta: per questo i governi – e non le aziende – devono cominciare a pensare a come affrontare la situazione per evitare che si formino nuovi tipi di ineguaglianze e disoccupazione di massa. Tra le molte strade possibili Gates ne cita una, che non esclude le altre: introdurre una tassa sui robot, e siamo nel 2017.(,,,) Gates non è il primo a proporre di tassare il lavoro dei robot o qualcosa del genere, ma quest’idea è anche molto criticata. Il 16 febbraio il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che invita la Commissione europea a stabilire delle regole su varie questioni che riguardano i robot, tra cui quelle relative alla responsabilità civile in caso di incidenti. Sempre su questo tema, però, ha votato contro la proposta di inserire in una risoluzione l’obbligo per le aziende che scelgono di automatizzare la propria produzione di pagare dei corsi di formazione per i lavoratori che perdono il posto. La proposta – contenuta in una relazione dell’europarlamentare lussemburghese Mady Delvaux, del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici – è stata osteggiata dall’International Federation of Robotics, un’organizzazione internazionale che rappresenta l’industria robotica, secondo cui tassare il lavoro delle macchine danneggerebbe il settore. Già solo questo fatto ha confutato una delle cose dette da Bill Gates nell’intervista a Quartz, e cioè che le aziende che producono i robot non dovrebbero scandalizzarsi troppo all’idea che siano tassati. Una persona che invece è favorevole a prendere precauzioni contro la progressiva automazione dell’industria è il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali francesi, Benoît Hamon, anche se la sua proposta non è proprio uguale a quella di Bill Gates. Hamon propone come soluzione alle perdite di lavoro un reddito minimo di cittadinanza in parte finanziato da una tassa sui robot. Una posizione simile è anche quella dell’imprenditore Elon Musk, amministratore delegato di SpaceX e Tesla. Su Forbes il giornalista economico britannico Tim Worstall – sostenitore dello UKIP, il partito indipendentista del Regno Unito – ha contestato duramente l’idea di Gates. Secondo lui la proposta del fondatore di Microsoft si basa su un errore, e cioè che la tassa sui robot sarebbe l’equivalente delle imposte sul reddito dei lavoratori. Dato che i robot non hanno un reddito, spiega Worstall, quello che propone Gates è di fatto un’altra tassa sulle imprese. Poiché tassando qualcosa se ne ottiene una riduzione, tassare la produzione la farebbe diminuire causando un danno all’economia. Secondo Worstall, per risolvere il problema dell’aumento dell’automazione bisognerà semplicemente continuare a tassare redditi e consumi delle persone, perché questi aumenteranno con l’aumento della produzione. La tesi sposata da Gates assomiglia a quella annunciata, a settembre, da un interlocutore un po’ diverso: Jeremy Corbyn, il segretario del Labour Party britannico. Corbyn, in una conferenza del partito a settembre, ha annunciato che il ruolo della politica è di «riprendere il controllo» sulla tecnologia e soprattutto sulla robotica, il segmento più sensibile per impatto sociale. La via di massima sarebbe appunto una robot tax, un’imposta ad hoc, per evitare che i benefici dell’automazione si concentrino nelle mani «di chi estrae ricchezza senza generare ricchezza». È il come che va ancora chiarito. Ad oggi non ci sono «risposte certe», vale a dire programmi, ma Corbyn ha assicurato che i labour sono inclini a «ripensare radicalmente» il problema. L’ipotesi di un’aliquota speciale per l’automazione è emersa più volte anche all’Europarlamento, senza trasformarsi comunque in una proposta di legge specifica.” (DA WIKIPEDIA) MA DI CHI SONO I ROBOT? Le interessanti discussioni sulla tassazione dei robot, recentemente riportate alla nostra attenzione dall’intervento di Aldo Potenza, partono da un momento successivo al quello che, a mio parere, è il nodo della discussione; partono dall’interrogativo chiave alla base del ragionamento socialista, ovvero “Ma di chi sono i robot?” Partiamo dall’inizio: il capitale che vuol creare un’impresa destina a quella impresa un capitale iniziale che l’imprenditore si impegna, al suo meglio, a combinare con gli altri componenti del sistema produttivo per la realizzazione dello scopo sociale; l’imprenditore con il contributo del capitale ovvero con il capitale conferito dai soci, acquisterà i macchinari più adatti, assumerà i dipendenti più adeguati al lavoro da svolgere, organizzerà i servizi più adatti al completamento dell’assetto produttivo. L’impresa si confronterà sul mercato con altri concorrenti ed auspicabilmente troverà una situazione economico-produttiva soddisfacente. E’ ovvio, tuttavia, che col passare del tempo i macchinari invecchiano, nuove tecnologie si affacciano sul mercato, i lavoratori necessitano di un aggiornamento formativo. Servono cioè nuovi investimenti e nuove risorse, ecco che allora il capitale, che abbia accantonato riserve limitandosi nella distribuzione di utili, ovvero ricorrendo al credito bancario, trovi i fondi necessari all’innovazione tecnologica; ecco affacciarsi la tematica robot. Se il capitale, con mezzi propri o con prestiti bancari, fornisce i fondi necessari i bilanci societari non necessiteranno di svalutare il valore dei macchinari nei bilanci aziendali; il capitale, in tal modo, avrebbe aggiornato il suo contributo nell’assetto produttivo stante il deterioramento o l’obsolescenza del precedente apporto originario. Ma l’attuale disciplina contabile (e fiscale) permette di appostare come costo aziendale quello che è l’aggiornamento del contributo del capitale; si è inventata la possibilità di far comparire come costo, fiscalmente deducibile, il contributo del capitale spostando l’onere sull’impresa invece di lasciarlo a carico del capitale stesso: questo istituto contabile-fiscale si chiama ammortamento. Si apposta cioè in bilancio un onere non sostenuto ma creato in nome di una logica capitalistica. (Da notare che i sussidi statali 4.0, prevista da una prima impostazione di legge, permetteva, ai fini fiscali, una deduzione dall’imponibile maggiore di quella effettiva). Inoltre, nel caso in cui il capitalista sia ricorso al credito bancario, i relativi costi di interesse saranno comunque deducibili. La conseguenza del maggior costo relativo all’ammortamento è quella di aumentare i costi dei prodotti rendendo quindi necessario un aumento dei prezzi di vendita; ecco un ulteriore spostamento di oneri: dall’originario onere per il capitale siamo passati all’onere per l’impresa e quindi, di conseguenza, ad un maggiore onere per il consumatore. Ne consegue la logica domanda: ma i maggiori investimenti, i robot acquistati di …

I PERICOLI PER L’UMANITA’

I pericoli che corre l’umanita’ sono tre: il rischio di apocalisse nucleare, il cambiamento climatico e lo svuotamento della democrazia. Il rischio di estinzione è diventato concreto il 6 agosto 1945 con la prima bomba atomica su Hiroshima. Una catastrofe per il Giappone, ma per il mondo intero. Da allora il mondo vive in bilico avendo sfiorato più volte l’olocausto nucleare. Per settant’anni abbiamo evitato per miracolo la catastrofe. Se riflettiamo, il cambiamento climatico e l’era nucleare coincidono poiché rappresentano una duplice minaccia per l’umanità. Installazioni nucleari e test missilistici sono diventati parte preoccupante del nostro quotidiano vivere, mentre sul fronte climatico nonostante i numerosi trattati (vds gli Accordi di Parigi del 2015) il livello di particelle di CO2 cresce a ritmi impressionanti. Ogni mese si registrano nuovi record di temperatura e fenomeni di siccità di vastissima portata. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari mettono a repentaglio la fornitura idrica di milioni di persone. Circa 31 milioni di persone sono costrette a fuggire a causa dei disastri provocati dal riscaldamento globale. Le varie COP non hanno prodotto gli effetti desiderati e siamo lontani dagli obiettivi di neutralità climatica fissati nel 2050 dagli Accordi di Parigi. Analogamente, la catastrofe nucleare appare sempre più concreta. Le due questioni più importanti ovvero clima e nucleare sono assenti nel dibattito politico mondiale, eccezion fatta per le solite frasi stereotipate. Ma le due minacce esistono e l’umanità è a rischio estinzione. In entrambi i casi è necessaria una risposta internazionale o globale. Non bastano i trattatti contro la proliferazione delle armi nucleari. Il New Start 2 stenta a decollare perche’ Russia e Stati Uniti non dialogano a causa della guerra in Ucraina. La Cina finge di non ascoltare mentre sviluppa armi nucleari terribili per colmare il gap con Stati Uniti e Russia, e minaccia la sovranità di Taiwan. Il pericolo immediato è costituito dalle armi nucleari tattiche il cui uso darebbe la stura ad una attacco nucleare distruttivo. Cosa fare? La denuclearizzazione può esesere un deterrente, per esempio in medio oriente, ma gli Stati Uniti appoggiano a spada tratta Israele e  il suo programma atomico. Ai trattati, alle proposte di denuclearizzazione, dobbiamo aggiungere una imponente mobilitazione popolare come negli anni ottanta che fu determinante in un periodo particolare. Tutti dobbiamo prendere coscienza del rischio nucleare. Iniziative, convegni, movimenti di piazza, contro il pericolo di estinzione dell’umanità. Ciò vale anche per il cambiamento climatico. Bisogna diffondere questa consapevolezza, posto che i dati  sull’opinione pubblica non sono affatto incoraggianti. Per esempio, molti ritengono che il riscaldamento globale non esista o che non sia poi così grave. La politica ha il compito di superare gli ostacoli che di fatto minacciano l’umanità senza lasciarsi guidare dall’assalto neoliberista con lo smantellamento di qualsiasi rete di protezione sociale e la distruzione del concetto di bene comune in ossequio al principi di mercato come regolatori assoluti di ogni aspetto della vita, trattandosi di questioni fondamentali che coinvolgono il destino dei nostri figli. Basta rimandare decisioni o interventi drastici. Il tempo stringe. Subito una conferenza internazionle con tutti gli attori mondiali e la mobilitazione dei cittadini del pianeta. Anche la democrazia è in pericolo nell’era che viviamo. Le democrazie occidentali sono sottoposte all’attacco del populismo autoritario e dei grandi interessi economici che lo sostengono. Uomini come Trump, Bolsonaro, Putin, Xi, Milei, etc. rappresentano un pericolo per l’umanità. E’ un errore dare per scontata la democrazia. Va difesa sempre, quotidianamente. L’attacco alla democrazia del capitale globale continua, non è terminato, e trova nel mondo  un alleato nelle tendenze autoritarie, nazionaliste, xenofobe, razziste, proprio mentre il rischio di un attacco nucleare e i cambiamenti climatici mettono a dura prova la società globale. La lotta per salvare la democrazia si intreccia con la lotta per salvare l’umanità. Dobbiamo agire in fretta. Siamo noi a doverlo fare. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GRAZIE PRESIDENTE MATTARELLA

L’intervento del Presidente, uomo sempre molto misurato, questa volta è un chiaro monito ad evitare eccessi da parte del Governo in materia di ordine pubblico. Infatti se è vero che le manganellare agli studenti non sono auspicabili, altrettanto credo che debbano essere considerate possibilmente da evitare anche in altre occasioni. In altre parole la forza non può essere la sola soluzione e comunque va esercitata con misura e senza eccessi. Ma il Presidente ha anche affermato che va tutelata la libertà di manifestare le proprie opinioni e questa affermazione vale anche per i sindaci, per chi porta i fiori per ricordare un uomo assassinato per le sue idee politiche, anche quando non si condividono, aggiungo io senza atti intimidatori. Per fortuna la nostra Costituzione consente ancora un bilanciamento dei poteri e assegna al Presidente della Repubblica un ruolo non marginale. Attenzione però alle iniziative in atto promosse dal governo Meloni, con la legge sul primariato si sconvolgono i poteri con il risultato di rendere la Presidenza della Repubblica priva di forza ed autorevolezza. Ciò detto, restano fondamentali le risposte dei cittadini come avvenuto a Pisa e in altre città, perché sono il segno della riconfermata volontà di non soccombere di fronte alla violenza . Sono la risposta civile di un popolo che dimostra la volontà di difendere la democrazia e le libertà costituzionali. Questa è l’unica vera medicina contro le sempre possibili avventure autoritarie. Evidentemente le parole di Mattarella non hanno trovato la condivisione di Meloni- (tratto da l’Inkiesta) In molti si sono giustamente scandalizzati per la scelta di contrapporsi al messaggio del capo dello stato, e alle parole ragionevoli degli stessi vertici della polizia. La nota di Fratelli d’Italia dovrebbe però indignare e preoccupare anzitutto per quello che dice, nel merito, che resterebbe comunque di una gravità inaudita, a prescindere dalle posizioni assunte da Sergio Mattarella. Parole su cui dovrebbero riflettere per primi quegli infaticabili riformisti impegnati a perorare la causa di una riforma condivisa del premierato, che in ogni caso – con l’elezione diretta voluta da Meloni o con non si sa bene quale altra forma di «legittimazione elettorale molto forte… anche sulla scheda» suggerita dai super-riformisti (la citazione è presa dall’articolo di Antonio Polito sul Corriere della sera di oggi) – altererebbe pericolosamente l’equilibrio dei poteri, rendendo un conflitto istituzionale come quello cui stiamo assistendo ancora più minaccioso. UTILE PER CHI NON HA ANCORA CAPITO IL DISEGNO DI MELONI. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

STATI UNITI D’EUROPA: “NON BASTA UN CARTELLO ELETTORALE.

di Daniele Delbene | STATI UNITI D’EUROPA: “NON BASTA UN CARTELLO ELETTORALE. SERVE UN MOVIMENTO DI ROTTURA COSTRUTTIVA” I promotori del Manifesto sugli Stati Uniti d’Europa, condiviso da oltre 15.000 giovani sui social, lanciano un appello alle forze politiche. Delbene: “Bisogna ripensare l’Europa partendo da una nuova prospettiva sui diritti sociali, per ribaltare i limiti dell’attuale modello comunitario lontano dai cittadini e sconfiggere il populismo” “Il tema degli Stati Uniti d’Europa sta finalmente tornando al centro del dibattito pubblico, ma è troppo importante per esaurirsi nella costruzione di un semplice cartello elettorale: serve un movimento di rottura che rimetta al centro l’uomo e la giustizia sociale”. Lo ha detto Daniele Delbene, tra i promotori del Manifesto XGLU.IT In queste ore, diverse forze politiche si stanno riunendo pubblicamente per discutere di Stati Uniti d’Europa ed altre ne auspicano la nascita, rilanciando il tema nella loro agenda politica. La costruzione degli Stati Uniti d’Europa è il fondamento del Manifesto (consultabile sul sito www.xglu.it) che ha visto la condivisione da parte di oltre 15.000 giovani sui social. Delbene coglie l’occasione per lanciare una proposta ai leaders delle forze politiche:“Se vi sono realmente delle forze politiche che hanno a cuore la costruzione di un mondo migliore, che intendono impegnarsi a costruire gli Stati Uniti d’Europa quale presupposto di un nuovo mondo di pace e convivenza globale fondato su principi di giustizia e libertà, allora abbiano il coraggio di promuovere un grande movimento di rottura costruttiva con un orizzonte strategico ben definito”. “Bisogna ripensare l’Europa partendo da una nuova prospettiva di diritti sociali per dare alle persone più tempo a disposizione e per permettere ad ognuno di potersi realizzare nelle proprie aspettative. Gli Stati Uniti d’Europa devono essere lo strumento per rimette l’uomo al centro della società, per ribaltare i limiti dell’attuale modello dell’Europa tecnocratica nelle mani di grandi interessi finanziari e di pochi sconosciuti. Serve una discontinuità percepibile rispetto agli ultimi decenni nei quali la politica, le classi dirigenti e l’attuale modello europeo non hanno fatto altro che allontanare una larga parte dei cittadini, in particolare dei giovani, dalla vita politica e sociale”. “Non sono sufficienti semplici liste elettorali ad uso e consumo del momento, ma un nuovo inizio da parte di forze vitali che, animate da un nuovo umanesimo socialista, sappiano coinvolgere guardando ben oltre – conclude Daniele Delbene – Servono uomini e donne nuovi che sappiano sognare e che non siano stati protagonisti nella politica degli ultimi decenni. Gli attuali leaders politici se ne rendano i promotori“. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

A PROPOSITO DELLA ROBOTICA: VOGLIAMO PARLARE COME AFFRONTARE IL FUTURO CHE E’ GIA’ TRA NOI?

La parlamentare laburista Yvette Cooper, ex ministro per il lavoro e le pensioni, sul quotidiano “The Guardian” nel 2018 osservava che i robot e l’intelligenza artificiale possono assicurare un beneficio per i lavoratori, ma anche un risultato negativo. Sta alla politica evitare che ciò accada. E, dopo altre considerazioni, concluse affermando che “Ci sono voluti decenni perché nuove misure legislative, la crescita dei sindacati e l’emergere dello stato sociale affrontassero alcune ingiustizie della rivoluzione industriale e cominciassero a distribuire i benefici a tutti. Non possiamo permetterci di aspettare (nuovamente) tutto questo tempo” Persino Bill Gates -osserva Bernie Sanders in un suo recente libro- propone che i Governi impongano una tassa sull’uso dei robot da parte delle aziende e aggiunge ” Se per un operaio in carne ed ossa che svolge un lavoro in fabbrica del valore di 50.000 dollari, il reddito è tassato, se a fare la stessa cosa provvede un robot , si potrebbe pensare di tassare il robot a un livello simile” A San Francisco si pensa alla fattibilità “di una imposta statale sul ruolo paga per i datori di lavoro californiani che sostituiscono un dipendente umano con un robot. Le società che rimpiazzeranno le persone con i robot dovrebbero pagare una parte dei precedenti contributi lavorativi versandoli in un apposito fondo” Ovviamente sulla destinazione del fondo la discussione è aperta. In California si pensa alla riqualificazione degli operatori espulsi, in Italia si potrebbe pensare al finanziamento della sanità esclusivamente pubblica o al sistema pensionistico. Ciò che importa è iniziare a proporre interventi subito e non dopo per recuperare il tempo perduto. Occorre capire che l’attuale sistema fiscale è volto a tassare la manodopera e non il capitale, ma quando il capitale diventa anche manodopera allora il sistema fiscale va rivisto anche per evitare che l’automazione riduca le entrate fiscali. La questione sollevata può essere affrontata anche con altre proposte, ma è urgente ormai che tra forze politiche, sindacati e Associazioni imprenditoriali si apra il confronto per evitare che le conseguenze siano svantaggiose per i lavoratori. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it