SOCIALISMO XXI TOSCANA

COMUNICATO STAMPA Dopo un periodo travagliato dovuto ai cambiamenti avvenuti nella sua struttura a causa del periodo del Covid e del mutare delle prospettive politiche, si è svolta nei giorni scorsi a Lucca, alla presenza del Presidente Nazionale avv. Luigi Ferro, l’assemblea dell’Associazione Socialismo XXI Toscana, confermando la vivacità e disponibilità della nostra associazione regionale e chiamando tutti gli iscritti e simpatizzanti a dare il proprio contributo per sviluppare e allargare la nostra presenza in Toscana con l’approssimarsi del 2024, anno nel quale si terranno le elezioni europee e le elezioni amministrative in molti comuni della regione e dell’Italia. Per fare ciò, è necessario auspicare la ripresa di una forte capacità elaborativa per proseguire nella nostra azione politica e organizzativa,  finalizzata alla costruzione in Toscana di nuovi rapporti con altre associazioni culturali e politiche a noi vicine, come ai compagni del PSI, come quelle liste civiche locali che più guarderanno agli interessi collettivi dei cittadini o movimenti e partiti politici come i radicali, i repubblicani, la lista Bonino o Azione di Calenda, cercando insieme di elaborare dei progetti comuni e favorendo le condizioni per partecipare e riportare una rappresentanza Socialista nelle istituzioni locali. L’intento di ciò non è la voglia di costruire l’ennesimo partitino, non è la volontà ne l’obiettivo dell’Associazione Socialismo XXI, il nostro obiettivo è quello di proporre un nuovo modo di fare attività politica ponendo i problemi dei territori e dei nostri concittadini al primo posto, come sempre lo è stato nella tradizione socialista e come dovrà ancora essere nella nostra visione per un nuovo Socialismo per il XXI secolo. Il movimento Socialista per crescere ed elevare nuovamente i valori della politica attiva, deve rientrare nelle istituzioni partendo dal basso, partendo proprio dai territori e non sarà una cosa facile ma crediamo che sia un obiettivo concreto e raggiungibile, proseguendo nuovamente l’azione di Andrea Costa, del primo Partito dei Lavoratori e poi del Partito Socialista che proprio iniziando dai territori hanno raccolto il sostegno dei tanti lavoratori e cittadini che hanno portato alla stagione delle grandi riforme volute e perseguite proprio dal movimento Socialista. Ma vi è un altro grande obiettivo che riguarda le elezioni Europee del 2024, dove a livello Nazionale stiamo lavorando per costruire le condizioni affinché vi sia la possibilità di partecipare insieme ad altri o di indicare come il nostro voto possa giungere in Europa al PSE, il Partito del Socialismo Europeo e contribuire così a riportare nel Parlamento europeo dei compagni socialisti italiani. L’obiettivo della nostra presenza nel Parlamento Europeo sarà quello di impegnarsi per costruire un migliore rapporto fra i partiti che in Europa si richiamano al Socialismo Europeo, al fine di ricostruire una comunità internazionale capace di creare una solidarietà ed una unitarietà di intenti per affrontare tutti insieme i problemi che l’Europa sarà chiamata a risolvere e, soprattutto, sollecitare fortemente e con coraggio la creazione “vera” della Federazione degli Stati Uniti d’Europa. Infine, nel corso della riunione abbiamo affrontato la questione importante della crescita e dello sviluppo dell’azione dell’Associazione Socialismo XXI della Toscana, definendo alcune azioni mirate ad organizzare alcuni eventi nella nostra regione, con l’intento di ricercare il coinvolgimento e l’allargamento a compagni e compagne disponibili a dedicare una parte del proprio tempo alla crescita di questo obbiettivo che rimane quello di creare un nuovo movimento politico, finalizzato allo sviluppo del Socialismo del nuovo Millennio nel nostro Paese. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RIDUZIONE DELLA DURATA DEL LAVORO E IL LAVORO DA EROGARE

di Davide Passamonti | La riduzione della durata media delle ore di lavoro è diventata una esigenza del sistema nel suo complesso. Tale esigenza scaturisce dalla necessità di rispondere ai minori bisogni di input di lavoro dovuti alla trasformazione dei processi produttivi. La “terziarizzazione” in atto sta trasformando la società facendole assumere sempre più caratteristiche post-industriali. Ma questo cambiamento non è altro che la risposta della saturazione della domanda di beni industriali e alla sempre più crescente automazione dei processi inerenti a questi beni. Nelle società industriali avanzate sono di tre tipi, almeno, le politiche economiche dedite all’obiettivo della piena occupazione, come standard sociale di garanzia di benessere; ovvero: la politica keynesiana; la “ricetta classica” della deregulation; la “terza via”, il lavoro come lavoro da erogare. In questo scritto si vuole approfondire, come soluzione ai problemi odierni in merito alla disoccupazione, la “terza via”. Il cambiamento nel mondo del lavoro: il lavoro “scelto” e/o “gradito” Una questione di fondo della disoccupazione strutturale odierna riguarda, dal lato dell’offerta di lavoro[1], la valorizzazione del fattore “scelta” piuttosto che del fattore “bisogno”; cioè della scelta libera (personalizzata) del lavoro. Il rifiuto del lavoro industriale o non qualificato, in attesa di un lavoro più consono alle aspettative individuali, è la stretta conseguenza di questo cabiamento. Le fasce sociali più “colpite” da questo fenomeno sono le generazioni più giovani;  l’elevato tasso di scolarità, rispetto alle generazioni precedenti, è il motivo principale di questo comportamento. Tutto ciò crea il “paradosso” che, nonostante l’elevata disoccupazione[2] giovanile, rimangono sacche di “domande di lavoro” non qualificato senza risposta. Non è dunque un caso che, nonostante la crisi dell’occupazione, spesso oggi le imprese incontrino notevoli difficoltà ad assicurarsi certe qualificazioni, anche in presenza di politiche governative molto “attive” in materia di occupazione. [Archibugi, 2002 p.195] Questa stortura, nel mercato del lavoro, segue ad un ritorno di un comportamento   “economico” dal lato dell’offerta in seguito alle continue crisi economiche dagli anni Settanta in poi. I paesi industrializzati devono fare i conti con questo cambio di paradigma motivazionale e dei fattori “non-economici”, delle giovani generazioni, nell’accettare o rifiutare un’offerta di lavoro. Ciò che conta di più non è, quindi, lo status di disoccupato ma il modo o la qualità di vita individuale. E’ questo il quadro di riferimento che bisogna affrontare per riformare profondamente il mercato del lavoro: il lavoro da erogare e la riduzione della durata del lavoro. Il lavoro come lavoro da erogare Il cambiamento strutturale I tassi di disoccupazione odierni, nei paesi sviluppati, hanno raggiunto livelli “di massa”. A differenza delle “grandi crisi economiche”, la crisi occupazionale odierna ha assunto proprietà strutturali e non è accompagnata – o lo sono solo in parte – da peggioramenti sensibili dei livelli reali di vita delle famiglie come invece accadeva nelle grandi crisi del Novecento. I sistemi di Welfare State, erogrando cospiqui «ammortizzatori sociali», sono in grado di attenuare gli effetti deleteri della disoccupazione sui livelli reali di vita, lasciando che tale crisi si riperquota solamente sulle capacità di consumo delle famiglie. Le crisi delle nostre economie occidentali (in quest’ultima fase della terziarizzazione […]) [sono] provocate da un eccesso di produttività dei settori (primario-secondario) «ad alto-tasso di produttività», e – nello stesso tempo – da un difetto di produttività (del sistema in generale) causato dall’aumento della proporzione dei settori (terziari) «a basso-tasso di produttività», sul totale delle attività. […] L’output terziario, infatti, con il suo basso saggio di produttività, è oltretutto apprezzato più sulla base della «qualità» che del rendimento quantitativo. Ecco perchè il cambiamento strutturale […] ha immediatamente una riprecussione sul modo di valutare il benessere economico. [Archibugi, 2002 p.171] Questo significa che la disoccupazione deriva da una pessima distribuzione delle attività di lavoro; si può, quindi, ottenere un un livello di benessere – sia individuale che sociale – maggiore non tramite l’aumento dell’occupazione totale (ammontare generale di ore lavorate) ma redistribuendo con migliore qualità le ore di lavoro fra la popolazione disoccupata, ma potenzialmente occupabile. La nuova occupazione generata deve, però, essere pianificata e guidata verso impieghi con rilevanza sociale, cioè necessari a soddisfare bisogni insoddisfatti. Quando si parla di occupazione, però, si pensa al reddito o al potere di acquisto o ai consumi che ne derivano. Se, cambiando logica, si pensasse all’occupazione come “lavoro da erogare” allora si affronterebbe la questione in termini di quali lavori, quali beni e servizi, quali occupazioni e quali attività sarebbero utili da “creare“. Non affrontando la questione in questi termini, se quindi sul mercato non si manifestasse l’incrocio tra tale domanda e tale offerta – ovvero non venisse offerto il lavoro utile – si esporrebbe la questione occupazionale a due ordini di problemi, spesso concomitanti: [1]Le imprese oggi non possono più aspettarsi di “comprare” lavoro, cioè assumere lavoratori, solo su un concetto puramente economico del lavoro stesso. Ovvero, senza contare i fattori “non economico” e motivazionali ormai sempre più diffusi. [2]In italia il tasso di disoccupazione totale è stabile all’8,0%, quello giovanile al 22,4% (dati ISTAT). ● dal lato dell’offerta di lavoro ci sarebbe disinteresse per i lavori domandati. E ciò porrebbe la questione della disoccupazione non tanto in termini di “disoccupazione generale” ma quanto “disoccupazione specifica”; ● dall’altro lato, dal disinteresse dell’imprenditore; cioè di colui che media tra domanda di beni e servizi e offerta di lavoro per produrli. Che si tratti di un caso o dell’altro o di entrambi i casi insieme, ciò significa che nel mercato non si verificano quelle necessità tali da giustificare un aumento di lavoro erogato che compensi una parte consistente della disoccupazione. Si tratta, quindi, di un “meccanismo economico” che genera nelle varie categorie sociali emarginate, perchè disoccupate, quella situazione psicologica di “disadattato” sociale. Il declino dell’occupazione industriale, in sintesi, può e deve accompagnarsi con la riduzione della durata media del lavoro. Di conseguenza ciò che dovrà applicarsi è un metodo organizzativo che tenda ad immettere nel processo produttivo nuovo personale a tempo parziale; senza, però, creare sconvolgimenti nei redditi individuali e familiari. La selezione della domanda Una politica riguardante il “lavoro da erogare”, però, …

DEMOCRAZIA DIRETTA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | L’uso di concetti o termini è importante e richiede una onestà intellettuale rigorosa e seria, tale da dare credibilità a chi quei concetti o termini utilizza. Per esempio, per nulla casuale, il fatto che il governo Meloni usi il termine “democrazia diretta” per connotare la sua proposta di riforma costituzionale, denuncia, a mio parere, non solo ignoranza, ma un palese tentativo di ingannare l’opinione pubblica che, molto probabilmente, sarà chiamata al referendum per l’approvazione o meno della stessa proposta.   La democrazia diretta ateniese Inizierò allora dal concetto di democrazia diretta al tempo dei greci: con tutti i limiti relativi ai cittadini che erano abilitati a essere i soggetti abilitati a partecipare, siamo pur sempre in una società antichissima dove esisteva la schiavitù, peraltro giustificata anche da Aristotele, la democrazia diretta consisteva nella riunione dei cittadini nella “ekklesia” luogo in cui a maggioranza venivano deliberate le leggi che regolassero la comunità. I cittadini direttamente e senza intermediazione costituivano quello che oggi definiremmo il potere legislativo, differenziando così la democrazia dalla monarchia e dall’aristocrazia. Nella monarchia era uno solo, il capo, che aveva il potere di emettere le leggi; nell’aristocrazia era una classe ristretta ad esercitare il potere legislativo. La democrazia diretta contiene quindi due elementi caratterizzanti: a) il potere spetta al popolo e b) tale potere è esercitato direttamente, senza intermediazioni, dal popolo. E’ da osservare che le proposte di legge assoggettate all’approvazione del popolo trattavano di argomenti diversi, interessando gli interessi o il coinvolgimento di maggioranze non necessariamente costanti ma che potevano costituirsi, di volta in volta, con raggruppamenti diversi. La democrazia diretta, cioè, non presupponeva la costituzione di una maggioranza costituita dalle stesse persone in ogni evenienza, ma si basava su maggioranze che si costituissero di volta in volta a seconda degli argomenti proposti.      Quando il secondo elemento viene meno, quando cioè l’esercizio della sovranità non è esercitato direttamente dal popolo ma, per esempio, da persone elette per svolgere la funzione legislativa in rappresentanza del popolo, si ha, come previsto dalla nostra Costituzione, la democrazia “rappresentativa”.  Il popolo cioè delega la sua sovranità a cittadini che si ritiene siano più competenti ed atte a gestire le faccende della politica. La democrazia diretta ai nostri tempi Ai sensi della nostra Costituzione, l’intervento diretto della popolazione intera in attività politiche, si attua secondo il principio per cui “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Le forme di esercizio della sovranità, con la partecipazione diretta del popolo, sono: ● elezione dei membri del Parlamento; ● referendum abrogativo per le leggi ordinarie, previsto dall’art. 75 della Costituzione; ● referendum confermativo per le leggi di revisione costituzionale, previsto dall’art. 138 della Costituzione; ● forme di referendum consultivi previsti dagli articoli 132 e 133 della Costituzione.   Naturalmente l’elezione dei membri del Parlamento trasforma la democrazia diretta in democrazia rappresentativa. Se volessimo attuare una democrazia diretta (all’ateniese) ai nostri tempi, penso che dovremmo guardare all’esperienza dei 5stelle che, tramite una piattaforma elettronica, hanno sperimentato, con le tecnologie moderne, una simile consultazione. L’esperimento, che ora pare abbandonato, non ha avuto molta partecipazione, ma comunque in un futuro, a livello nazionale, potrebbe essere realizzata. Anche se si trattasse soltanto di rispondere con un sì o con un no, la consultazione spingerebbe i cittadini ad approfondire e a ragionare sull’argomento ampliando gli spazi di partecipazione. Tale possibilità è oggi percorribile perché le tecnologie moderne permettono di elaborare con celerità e sicurezza il voto espresso dai cittadini e perché la diffusione dei computer, tablet, telefonini, rende possibile l’esercizio del diritto di voto alla quasi totalità della popolazione, con la possibilità di garantirla anche a quei soggetti senza gli strumenti tecnologici necessari (ad esempio costituendo centri di voto per tali soggetti). La natura di questa consultazione, di cui venga garantita l’assoluta difesa da interventi esterni o da manipolazioni degli operatori, avrebbe ovviamente natura di parere non vincolante, anche se politicamente molto rilevante, a meno di riformare le forme e i limiti della Costituzione. Occorre tra l’altro prepararsi alle problematiche che l’I.A. potrebbe comportare, interferendo nelle consultazioni. Va inoltre ricordato che la nostra Costituzione prevede e promuove, ad esempio all’articolo 3 e anche all’art.46, il coinvolgimento diretto dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, coinvolgimento che tende a rendere sempre più efficace la partecipazione dei cittadini nella vita politica. I contenuti della democrazia Restringere il concetto di democrazia al solo esercizio del voto, è, a mio parere, estremamente limitante ma purtroppo ai nostri giorni pare che l’esercizio democratico si limiti solo al momento delle elezioni. Infatti tutti i partiti operano in funzione delle prossime consultazioni, cosa che, ad esempio in questi giorni, si proiettano su un arco temporale di quasi un anno in attesa delle prossime elezioni europee. I partiti allora pensano solo ad attrarre consensi con regalie piccole o grandi ai potenziali elettori rendendoli cioè incapaci di affrontare temi importanti quando ciò potrebbe far perdere loro voti alle prossime consultazioni elettorali. Va purtroppo ricordato che nei casi in cui il paese si è trovato in difficili situazioni economiche, i politici non sono stati in grado di affrontare tali situazioni con provvedimenti talora impopolari anche se necessari a superare le difficoltà. Facile pensare ai casi in cui si è dovuto ricorrere a governi “tecnici” quali quelli di Ciampi, Monti e Draghi. I tecnici, non condizionati dalla ricerca del consenso, hanno potuto agire nell’interesse (che ci siano riusciti è un’altra faccenda) del Paese. Ma la riduzione dell’esercizio della democrazia al solo esercizio del voto, ha allontanato quasi la metà dei potenziali elettori dall’esercizio del voto, denotando una evidente crisi, stanchezza e sfiducia nell’esercizio della democrazia così come si attua oggi. E poi diciamocelo, si vota anche in paesi che non hanno la minima parvenza di paesi democratici, e ciò demistifica il valore dell’esercizio del voto. Ne deriva che la democrazia richiede partecipazione in tutti quegli istituti che negli anni scorsi si sono formati nella scuola, nella sanità, nella fabbrica, nella società civile. …

FAME, CONSUMISMO, DOMANDA AGGREGATA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | (dedicato alla compagna della mia vita) FAME Appena nato mi sono fatto 5 anni di guerra, di fascismo e di monarchia. Conosco il significato della parola “fame”; nelle foto mie di bambino ho un pancione dovuto alla sottoalimentazione, e alle rinsecchite mammelle di mia madre. Ricordo il gusto del pane nero, quello fatto con tutto tranne che con la farina di grano, e ricordo la prima volta che mangiai il pane bianco, appena sfornato da mia madre, che mi parve un dolce. C’era la borsa nera, si andava in campagna cercando di trovare qualcosa da mangiare presso i contadini che avevano più possibilità di procurarne. Mio padre, che faceva le stime dei danni agricoli, per grandine o altro, per le assicurazioni, era conosciuto in campagna e non tornavamo mai a mani vuote. Sulle pagine della Domenica del Corriere c’erano le “ricette di guerra” che insegnavano a usare tutto l’usabile per preparare piatti decenti. Il pane raffermo tagliato a fette, era messo a bagno nel latte cui era aggiunto quel caffè che si faceva con la miscela “Leone” e con la cicoria caramellata. Dopo che il pane avesse assorbito il caffè latte, si disponevano le fette su una padella, si ricoprivano di marmellata (quella fatta in casa con prugne e mele) e si metteva al forno nella “cucina economica”. La cucina economica bruciava legna e/o carbone, ed aveva tre fori sul piano cottura che si chiudevano con cerchi concentrici sempre più piccoli fino al tondino di chiusura, in tal modo si poteva adeguare l’apertura del foro alla grandezza della pentola che si intendeva utilizzare mettendola a contatto diretto con il fuoco; sulla sinistra in alto c’era lo sportello per infilare legna o carbone, sotto c’era lo sportello per la raccolta della cenere; sulla destra c’era in alto il forno e sotto il deposito per la legna o il carbone. Ancora più a destra c’era il contenitore per scaldare l’acqua. Sulla canna fumaria c’era una corona cui incastrando delle bacchette si poteva ottenere uno stenditoio per mettere ad asciugare i panni lavati. Mio nonno era ricco, aveva il riscaldamento in tutta casa perché aveva quelle monumentali stufe di ceramica che distribuivano, attraverso condotti, il calore in tutte le camere. Per noi a casa nostra, l’unica fonte di riscaldamento era la cucina economica, davanti alla quale, d’inverno, ci spogliavamo e mettevamo il pigiama per poi correre nelle camere da letto gelide. Ma sotto le coperte avevamo “il prete” una specie di impalcatura di legno che si infilava tra le lenzuola per ospitare lo “scaldino” di terracotta e pieno di brace, il caldo di un letto riscaldato dal prete è una sensazione irripetibile e ormai rimossa dal senso comune. A scuola, dopo la liberazione, i bambini poveri ricevevano i pacchi UNNRA; cosa ci fosse dentro non l’ho mai saputo, ma certamente c’era la cioccolata che ci rendeva invidiosi della povertà dei fortunati destinatari di quei pacchi. Ricordo il gusto delle carrube, quello del “sairas” una specie di ricotta che i pastori vendevano girando in bicicletta per la città. La merenda era pane burro e zucchero, quando si trovava il burro e quando si disponeva dello zucchero. Al ristorante penso di non essere mai andato se non quando andai militare. Si andava invece, le sere d’estate nel cortile posteriore della latteria, a mangiare il gelato nei bicchieri di vetro. Era quello stesso lattaio presso il quale compravamo il latte; il lattaio immergeva il mestolo nella tanica e versava il latte nel pentolino di alluminio che ci portavamo da casa. Facevamo la spesa alla cooperativa di consumo, con le tessere annonarie, custodite nel cassetto della madia di fianco alla forbice usata per ritagliare i bollini. Non si buttava nulla, tutto era riciclato, riutilizzato e c’era sempre una seconda opportunità per ogni cosa: al cesso ci pulivamo con le strisce del giornale del giorno precedente. L’immondizia che buttavamo era l’ultima fase di vita di qualsivoglia oggetto o merce assolutamente inutilizzabile avendo spremuto da esso ogni possibile succo utilizzabile. Insomma culturalmente il consumo era un concetto negativo, uno spreco, l’opposto del risparmio, l’espressione della favola della formica e della cicala. (Il mio racconto cerca di delineare il concetto di fame che, anche se era dura per noi nei tempi di guerra, nulla ha a che compararsi con la fame odierna nei paesi africani che merita tutto il nostro rispetto e la nostra solidarietà.) CONSUMISMO Per me il miracolo economico cominciò con il mio primo paio di pantaloni lunghi, lenti senza piega un po’ sdruciti ma lunghi, quasi una iniziazione alla maggiore età. Certo i tempi erano ancora duri. Ricordo un cappotto che i miei mi fecero fare rivoltando il cappotto di mio nonno carabiniere. Terribilmente nero e triste, anche se i miei cercarono di schiarirlo con un’improbabile sciarpa rossa. L’inverno resistevo ai freddi più rigidi pur di no andare a scuola con quel pezzo di abbigliamento funerario. Poi venne la Vespa, poi la seicento quindi casa nuova, cominciammo a comperare la carta igienica, improvvisamente si bevve l’acqua minerale invece dell’ottima acqua del rubinetto. Cominciò la marcia trionfale del consumismo, accompagnato dalla campagna culturale pasoliniana anticonsumistica; la prima destinata a trionfare attraverso gli schermi televisivi, la seconda destinata a soccombere nella nostalgia di un tempo irreversibile. Cominciammo a masticare i chewing gums, ci sentivamo culturalmente inferiori agli americani che gettavano gli spazzolini da denti solo dopo dieci volte che li avevano usati; andavamo a comperare, era il venerdì sera, la pizza dal napoletano emigrato al nord, regalavamo i vestiti ai “rascon” reduci dalle alluvioni della valpadana veneta. Anno dopo anno, l’indecenza televisiva rompeva il mito veltroniano del “non si può interrompere una emozione” e ci riversava, ci sommergeva e ci sommerge di merci, di prodotti, di roba da consumare, si esalta la signora che va a fare la spesa perché aiuta l’economia nazionale. Non più il mito dell’oro alla Patria, ma il consumo per far girare l’economia. Ed il corpo umano, la persona umana diventa strumento di conquista del …

MALAGIUSTIZIA

“Giustizia devastata dalle correnti, calpestati diritti e vite innocenti”   di Andrea Padalino – Lo Spiffero Padalino, tra i volti simbolo della magistratura (gip di Mani pulite e poi pm delle inchieste sui No Tav), finito nel tritacarne di alcuni suoi colleghi e assolto da accuse inesistenti, pronuncia un duro e amaro j’accuse. Nel corso di più di trent’anni ho potuto svolgere diverse funzioni: Pretore del lavoro, Giudice per le indagini preliminari, Pubblico Ministero, Giudice Civile. Ho sempre operato nella convinzione di dover fornire un servizio a tutti coloro con i quali, per una ragione o l’altra, avevo a che fare e, vi assicuro, che in tutti questi anni sono stati veramente tanti, ma non ho mai avuto problemi particolari con gli utenti del mio servizio. Anzi, devo dire che il rapporto con gli avvocati e tutti i professionisti operanti nel settore, mi ha fatto realmente crescere professionalmente, garantendomi stimoli sempre nuovi e sfide emozionanti. Ho vissuto, per quasi tutta la mia vita professionale, sotto scorta, correndo seri pericoli a causa delle attività che svolgevo e costringendo familiari e amici a comprimere le proprie libertà ed a subire delle forti limitazioni in tante piccole o grandi situazioni. Mi sono occupato di processi di grande rilievo pubblico e di vicende assolutamente minori, con lo stesso impegno e lo stesso entusiasmo che mi hanno sempre accompagnato nel lavoro fino ad un terribile momento del quale, però, vi parlerò più avanti. La scelta di fare il magistrato risaliva all’epoca della fine degli studi superiori, tanto che ricordo che all’esame di maturità, alla solita domanda dei commissari: “ma che cosa farà da grande?”, risposi con un po’ di incoscienza e tanta sicurezza: il magistrato! (naturalmente). Prima di vincere il concorso in Magistratura ero già Procuratore Legale (oggi si dice più esplicitamente Avvocato) e ho maturato una rilevante esperienza in un importante studio milanese, che ha certamente contribuito positivamente alla mia formazione professionale. Quando, però, è giunto il momento di optare per l’una o l’altra attività, non ho avuto alcun dubbio nello scegliere di fare il magistrato. Credo che poter operare delle scelte, qualsiasi sia il risultato poi ottenuto, sia comunque una grande fortuna nella vita e di questo ringrazio la mia famiglia per avermi lasciato tutto il tempo necessario per studiare e prepararmi in modo adeguato. Ho creduto in valori quali l’autonomia e l’indipendenza di una funzione, certamente delicata e da assolvere con il massimo impegno, che, nella quotidiana attività di applicazione della Legge, può contribuire allo sviluppo ed al benessere della collettività la quale, attraverso i propri rappresentanti, pone delle regole uguali per tutti e che tutti devono rispettare. Il lavoro del magistrato, perlomeno come lo intendo, può e deve essere sottoposto ad un vaglio critico esterno, positivo o negativo, e deve, per questo, essere visibile a tutti, ma, per essere conforme alla funzione dalla quale deriva, deve fondarsi solo sulla autonomia e indipendenza da ogni sollecitazione esterna, qualsiasi essa sia, traendo in questo il fondamento e la forza della propria credibilità. Ma questi valori di immediata percezione e doveroso rispetto, in una parte della odierna magistratura si sono miseramente confusi in una inaccettabile commistione con quella politica con la “p” minuscola che ha portato al dominio incontrastato delle correnti, al tradimento di principi che dovevano essere intangibili, al degenerare di un sistema, con devastanti danni per quel popolo italiano in nome del quale si celebra il rito della giustizia. Peraltro, più il potere politico ha perso il contatto con le persone ed i loro problemi e, quindi, con la nostra società, più una parte della magistratura ha occupato spazi che dovevano restarle estranei, con inaccettabili commistioni con media spesso compiacenti e asserviti, in grado, però di scatenare orchestrate campagne di stampa tali da distruggere l’immagine di chiunque. In buona sostanza, in Italia il cedimento della classe politica è stato direttamente proporzionale all’acquisizione di spazi e potere di quella parte della magistratura che, imbevuta di ideologia e bisognosa di un nemico da combattere a tutti i costi, ha finito per travalicare il perimetro nel quale il nostro ordinamento aveva collocato il terzo potere dello Stato. Quando, nel periodo di Mani Pulite, dove le luci ed anche le ombre della magistratura si sono proiettate con forza sulla società, chiuso a lavorare nel Palazzo di Giustizia di Milano sentivo fuori le grida, gli applausi, i cori delle manifestazioni in favore dell’inchiesta, rabbrividivo perché si stava materializzando l’errore più grave che i cittadini possono compiere verso la magistratura: investirla di un ruolo catartico della società e di cambiamento di un sistema che nessun processo potrà, in realtà, mai cambiare. Il processo penale, infatti, si occupa e si deve occupare solo del passato, non certo del presente e tantomeno del futuro, ma ritenere che con esso una società cambi, significa attribuirgli un ruolo che non potrà mai avere. Sarebbe come ritenere che sia sufficiente processare i trafficanti di droga per farne cessare il consumo, ma sappiamo che non è così. Le scuse Mi fermo un attimo, però, perché, proprio come magistrato, mi rendo conto che devo a tutti delle scuse. Vi chiederete perché, ma, per mia fortuna, sono qui per spiegarlo e non lancerò il sasso, ritirando poi la mano. Mi sono sempre impegnato a fondo nel mio lavoro, anche troppo, ma mi piaceva e non sentivo la fatica, a volte non ne avevo neppure il tempo, come molti di noi sanno nel proprio ambito professionale. Mi sono occupato di rapporti di lavoro, della corruzione di Mani Pulite, dei primi collaboratori di giustizia della ’ndrangheta, di traffici di stupefacente grandi e piccoli, di sicurezza urbana, di terroristi islamici, di antagonisti e no-tav, di diritto di famiglia, di persone sconosciute o più che note, con l’orgoglio e la soddisfazione di non avere mai teoremi da dimostrare, nemici da incastrare, ideologie da assecondare, innocenti da perseguitare. Ma quell’orgoglio e quel compiacimento di fare correttamente il mio dovere, mi hanno portato presto ad ignorare che le falle del sistema di cui faccio parte erano molto più profonde e gravi di …

LA RETE TIM A KKR: ANCORA SUL DEFICIT DI STRATEGIA INDUSTRIALE

di Franco Astengo | Il cda di TIM ha venduto il 5 novembre la rete per 22 miliardi al consorzio formato da KKR, Ministero delle Finanze e F21 :il Ministero avrà una partecipazione di minoranza del 20%, circa metà dei dipendenti di TIM saranno trasferiti alla nuova società infrastrutturale. Non possiamo che ribadire il forte giudizio negativo sull’operazione, lanciando un segnale d’allarme e individuando nella politica industriale un vero punto di debolezza dell’opposizione sia da parte del PD sia da parte dell’AVS. Siamo di fronte infatti all’ennesimo passaggio che segnala l’ assenza dell’Italia da una qualche idea di piano di strategia industriale. L’operazione TIM/KKR è un “unicum” in Europa: separazione della rete dai servizi e privatizzazione. Inutile enfatizzare il ruolo dello Stato, come ha cercato di fare il governo: il fondo americano KKR diventerà proprietario al 65% di un asset strategico del nostro Paese e non ci sono stati forniti elementi per capire quali garanzie siano realmente previste per le scelte strategiche, l’occupazione, gli investimenti e la tutela dei dati. Ne avevamo già accennato a febbraio di quest’anno quando era apparsa la notizia dell’avvio della trattativa in questione: senza alcuna concessione “sovranista” così si dimostra tutta la fragilità del contorto processo di privatizzazioni avvenuto in Italia nel settore decisivo delle infrastrutture tecnologiche ( intendiamoci bene: dal tempo dei dalemiani “capitani coraggiosi” discendendo per le rami dal prodiano scioglimento dell’IRI). Da allora si è creata una situazione di evidente scalabilità e debolezza, a dimostrazione di una ormai storica incapacità di programmazione dell’intervento pubblico in economia e di assenza di politica industriale (che coinvolge anche l’Europa). L’opposizione e il sindacato non possono rimanere ingabbiati in questa dimensione strategicamente inesistente, tutta rivolta all’autoconservazione del politico, schiacciata dall’emergenza dell’immediato. Serve un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento del pubblico sui nodi strategici, serve affermare la forza del movimento dei lavoratori da proiettare in avanti, non basta evocare un indefinito “green” e un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della politica industriale soprattutto sul delicatissimo terreno dell’innovazione nei settori strategici. Limiti del resto non affrontati neppure nella “possibile”(?) occasione fornita dal PNRR al riguardo della quale il discorso andrebbe affrontato in sede opportuna ma che non può essere sottovalutato o peggio dimenticato. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONSIDERAZIONI IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEL VOLUME DI JOHN LOCKE

di Giustino Languasco – Coordinatore Socialismo XXI Liguria | «Per ben intendere il potere politico e derivarlo dalla sua origine, si deve considerare in quale stato si trovino naturalmente tutti gli uomini, e questo è uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e disporre dei propri possessi e delle proprie persone come si crede meglio, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di nessun altro. È anche uno stato di eguaglianza, in cui ogni potere e ogni giurisdizione è reciproca, nessuno avendone più di un altro, poiché non vi è nulla di più evidente di questo, che creature della stessa specie e dello stesso grado, nate, senza distinzione, agli stessi vantaggi della natura, e all’uso delle stesse facoltà, debbano anche essere eguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione, a meno che il signore e padrone di esse tutte non ne abbia, con manifesta dichiarazione del suo volere, posta sopra le altre, e conferitole, con chiara ed evidente designazione, un diritto incontestabile al dominio e alla sovranità.» Ho voluto premettere questa considerazione di John Locke sullo “stato di natura” iniziale alla narrazione di come è andata il 3 novembre scorso la presentazione del libro del prof. Baldini a cura di “Societa’ aperta” ed “Ethos” le due associazioni sponsor della iniziativa, di cui la prima non ha nulla a che vedere con la omonima lista elettorale Lauretti. Peraltro l’ing. Lauretti è “anche” filosofo ed era presente tra il pubblico e ha partecioato al dibattito seguente, con una domanda pertinente rivolta ai relatori. Ma non era tra i responsabili organizzativi di esso. Pura omonimia , ripeto. Il prof Manti infatti ha una sua collocazione di prestigio a livello nazionale nel campo della bioetica in cui sviluppa i suoi studi e le sue pubblicazioni accademiche, che lo pone al di fuori e lontano dalla bagarre e dalla competizione elettorale imperiese e sopra le contingenze polemiche della stessa. Se ha simpatie politiche personali, esse vanno al Socialismo liberale del fratelli Rosselli e ai suoi amici di gioventu’ impegnati ancora oggi nelle idealita’ socialiste e provenienti dall’antico ” movimento dei lavoratori per il socialismo”: legami di stima, simpatia ed affetto molto dovuti a un pregresso di esperienze di vita. Il prof Manti ha poi anche un lungo trascorso di insegnante nei licei, e ha in Imperia estimatori attenti del suo lavoro accademico, fra gli ex colleghi ( fra cui lo scrivente) che erano presenti in numero significativo alla iniziativa. E’ stato un bell’incontro, sintetico il giusto, coi tempi giusti , nonostante la data e l’ora non ideali vista la contemporaneita’ di Oliooliva e il vento furibondo, nonche’ le maledette scomode sedie ottagonali della sala convegni della biblioteca, ideazione di qualche stramaledetto architetto d’arredo, e la notoria non buona acustica della rimbombante sala. ll prof Baldini e il prof. Manti avvicendandosi nella presentazione del libro, hanno con buona retorica chiarito appunto che la lettura di Locke e dei suoi ideali contendenti Hobbes e Stuart Mill, parte di necessita’ da un ” apriori” differente proprio relativo allo ” stato di natura” dell’uomo. Sono state dette dai relatori parecchie cose interessanti, sulla scaturigine e genesi dei moderni concetti di liberta’, proprieta’, diritto alla difesa di tali diritti naturali e al riconoscimento sociale degli stessi, nonche’ al governo e alla sovranita’ per diritto divino o volonta’ popolare. I temi del dibattito di fine ‘600 e prodromi del successivo secolo dei lumi, con le contese fra Rousseau e Voltaire, con quest’ultimo che si dichiarava allievo di Locke. Originale e di rilievo la notazione che per Locke la proprieta’ e’ quasi una naturale estensione del lavoro dell’uomo, concetto assai concepibile in una sociata’ ancora fondamentalmente retta da una economia a grazia preindustriale : come tale e’ vissuta e concepita come suo diritto naturale. Cosi come importante la distinzione fra diritto naturale alla liberta’ ” ristretto”, come tale non negoziabile o scambiabile contrattualisticamente, ed “allargato” con connotazioni legate al contesto sociale in cui va declinato e rientrante dunque nella sfera della negoziabilira’ politica. E’ infatti da questi insegnamenti che deriva, unico nel suo genere, il motto distintivo dei mizraimiti ” felicita’ per tutti gli esseri” e che figura in tutti i documenti del Rito: non solo per gli umani, culmine dell’onda di vita evolutiva attuale, ma anche per i non umani, animali, piante e anche il mondo minerale. Un ideale che possiamo a ragione chiamare ” edenico” e da’ nonostante tutto grande fiducia nella sorte evolutiva spirituale di cio’ che e’. Di questo e’ tracci, ed e’ stato ricordato dai relatori in chiusura dell’evento, in un appassionato, quanto poco ricordato, dibattito del Seicento e che ha interessato anche Jhon Locke. Di mio , sperando di beccare dai due severi relatori almeno la sufficienza alla sintesi fatta delle loro esposizioni, aggiungo che il primo aspetto , quello della proprietaa’ derivante dal lavoro, pone Locke all’interno della ” religione del dovere” tipica della speculazione massonica sul lavoro , e il secondo , quella della liberta’ “allargata” lo colloca nel filone della ” sociabilita’ associativa” appassionatamente affrontata e dibattuta in quel tempo, ed anche prima, dalle Logge Massoniche di tutta Europa. Da dove , infine, sottolineo, traggono tutti questi filosofi il loro ” apriori” sullo Stato di Natura umano se non dagli insegnamenti tradizionali massonici , pur di ” schole” contrapposte, che venivano tramandati dai ” riti” praticati nel mondo massonico pre costituzionale antecedente la Gran Loggia di Londra del 1717? Questo, che do’ all’amico il prof. Manti, e al prof. Baldinim come pulce nell’orecchio, qualora un domani volesse avventurarsi alla ricerca di queste fonti, posso testimoniarlo personalmente per tradizione pervenutami in differenti momenti almeno da due di queste “schole”: lo scozzese primitivo, non quello francese che ne e’ un tardo derivato, che puo’ avere come aggancio il “Teachimg Kilwinning scroll” tuttora conservato dalla Loggia di Kilwinning nelle isole Orcadi: quello scozzese di Francia “old steward” culminante negli insegnamenti di Dom Martinez de Pasqually e quello Mizraimita di Adam uomo rosso. SocialismoItaliano1892E’ un progetto …

QUESTO ARTICOLO E’ GENERATO DA UNA INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Un esperimento a cura di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio| Utente Se domani con la robotizzazione non sarà più richiesto lavoro umano come si distribuirà il prodotto nazionale? Bing Questa è una domanda molto interessante e complessa, che non ha una risposta univoca. Ci sono diverse proposte e visioni su come affrontare il problema della distribuzione del reddito in un mondo in cui il lavoro umano diventa sempre meno necessario. Alcune di queste proposte sono: ● Il **reddito di base universale** (RBU), che consiste nel garantire a tutti i cittadini un reddito minimo incondizionato, indipendentemente dal loro status lavorativo, età, reddito o patrimonio. Questa proposta ha il vantaggio di ridurre la povertà, aumentare la libertà individuale e incentivare l’innovazione e la creatività. Tuttavia, presenta anche delle sfide, come il finanziamento, l’impatto sul mercato del lavoro e la sostenibilità sociale. ● La **riduzione dell’orario di lavoro**, che consiste nel diminuire il numero di ore lavorative per persona, mantenendo lo stesso salario o aumentandolo proporzionalmente. Questa proposta ha il vantaggio di ridurre lo stress, migliorare la qualità della vita e creare nuove opportunità di occupazione. Tuttavia, presenta anche delle difficoltà, come la resistenza dei datori di lavoro, la perdita di produttività e la necessità di una maggiore regolazione. ● La **tassazione dei robot**, che consiste nel prelevare una quota dei profitti generati dall’automazione e destinarla a finanziare la protezione sociale, l’istruzione e la formazione dei lavoratori. Questa proposta ha il vantaggio di compensare la perdita di entrate fiscali dovuta alla riduzione del lavoro umano, incentivare l’uso efficiente dei robot e promuovere la giustizia sociale. Tuttavia, presenta anche delle problematiche, come la definizione di robot, l’effetto distorsivo sulle decisioni di investimento e la concorrenza internazionale. Queste sono solo alcune delle possibili soluzioni al problema della distribuzione del reddito in un mondo robotizzato. Si tratta di un dibattito aperto e multidisciplinare, che richiede una riflessione approfondita e una partecipazione democratica. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | La legge delega sulla riforma fiscale predisposta dal governo Meloni ed approvata dal Parlamento prevede, per quel che riguarda la lotta all’evasione fiscale, l’utilizzo di tecnologie digitali, anche supportate dall’intelligenza artificiale, al fine di ottenere, attraverso la piena interoperabilità tra le banche dati, la disponibilità delle informazioni rilevanti e garantirne il tempestivo utilizzo al fine di individuare l’attività di controllo nei confronti di soggetti a più alto rischio fiscale. L’attuazione della riforma in questo campo ha subito ritardi nell’avvio dei lavori dovuto al confronto con il Tutore della Privacy con cui si sono concordate le regole cui il fisco deve attenersi a tutela della riservatezza dei dati ed inoltre per garantire l’osservanza del rispetto dello Statuto del contribuente. Traggo da un articolo di S.Weisz il seguente esempio di operazione che può essere svolta grazie all’utilizzo di tecniche di Intelligenza Artificiale (d‘ora in poi I.A.) Esempio di analisi basata su algoritmo AI Tra le imprese individuali che operano nel settore del commercio al dettaglio, in un ambito merceologico che il Fisco ipotizza essere tipicamente caratterizzato da elevati margini, vengono selezionate quelle che, relativamente a uno specifico anno fiscale, manifestano una serie di peculiarità. Eccole: ● dall’analisi dei dati della fatturazione elettronica e dei corrispettivi emerge che la differenza tra i ricavi conseguiti nell’attività di impresa e i costi sostenuti è inferiore al 5% dei costi; ● il valore aggiunto calcolato sulla base delle dichiarazioni fiscali presentate risulta estremamente esiguo in relazione al numero di dipendenti dell’impresa (criterio applicato nel solo caso in cui l’impresa abbia personale dipendente); ● il valore della variabile reddito d’impresa per addetto è inferiore al decimo percentile della corrispondente distribuzione riferita alla totalità dei soggetti che operano nel medesimo settore economico. Ai titolari delle ditte individuali identificati in base alla presenza congiunta di tutte le condizioni sopra esposte, vengono successivamente abbinate le informazioni desumibili dall’archivio dei rapporti finanziari. Qui l’analisi inizia a scendere nel dettaglio: per le singole posizioni si considera l’ammontare complessivo dei flussi in avere risultante dai conti correnti e dagli altri rapporti finanziari. A questo punto, si selezionano i soggetti con le seguenti caratteristiche: entrate non inferiori a 300mila euro e superiori di almeno il 150% rispetto ai ricavi dichiarati. Da questa platea, vengono automaticamente eliminati i contribuenti per i quali risultino atti che possano giustificare incrementi patrimoniali compatibili con le risultanze dell’archivio (vendita di immobili, donazioni e/o eredità ricevute, redditi sottoposti a tassazione sostitutiva). Siamo in presenza di un uso mirato affidato all’I.A.; una ricerca di casi che evidenziano parametri anomali rispetto alla generalità dei casi; l’algoritmo prescelto va alla ricerca di anomalie all’interno di chi presenta una dichiarazione iva e/o una dichiarazione dei redditi. In un passato remoto, all’interno della dichiarazione, era richiesta una serie di informazioni del tipo: che auto hai, hai un cavallo, hai una barca o un motoscafo, e simili che tendevano ad evidenziare incongruenze, tra stile di vita e reddito dichiarato, tali da far sospettare una possibile evasione di imposte dovute. Ma anche in quel caso la primitiva indagine, poi abbandonata, era fatta all’interno di chi presentava una dichiarazione fiscale. Con il livello di evasione che abbiamo in Italia oltre alla ricerca di evasori all’interno dei dichiaranti sarebbe auspicabile anche una ricerca apposita sull’evasione totale, ricerca che richiede un approccio all’I.A. ben più sofisticata di quanto appare nell’esempio sopraricordato, un approccio che parta non dalle dichiarazioni presentate ma affronti il problema con presupposti completamente diversi, più congeniali alle potenzialità dell’I.A.  La potenza dell’I.A. nasce dall’abbandono dell’idea illuministica di ridurre il mondo a regole meccanicistiche per sostituirla con l’osservazione di milioni di dati mediante reti neuronali atte a cogliere connessioni intricate, comprese quelle che sfuggono all’osservazione umana. L’esempio del gioco degli scacchi può dare un’idea di come opera l’I.A.. Invece di fornire, da parte dei maggiori scacchisti, le regole e le strategie del gioco, si forniscono le informazioni sul come si muovono i vari pezzi e si avvia la fase di apprendimento dell’I.A. mediante la simulazione di infinite partite che vanno a creare un modello di comportamento continuamente aggiornato dalle successive informazioni generate durante il processo. Il “machine learning” è quindi un apprendimento continuo continuamente perfezionato che può ritrovare connessioni ignorate dagli scacchisti, tanto che Kasparov dopo esser stato sconfitto da AlphaZero affermò che “Il gioco degli scacchi è stato rivoluzionato da AlphaZero”. E ciò perché tra le connessioni elaborate nella fase di apprendimento, l’I.A. aveva ritrovato connessioni assolutamente ignorate dall’uomo fornendo modi impensati per vincere la partita. Per esempio nella strategia di gioco di AlphaZero era possibile il sacrificio della regina, cosa che difficilmente uno scacchista potrebbe concepire. Estendendo il concetto esposto nel caso del gioco degli scacchi, la filosofia dell’I.A. consiste nel ritrovare connessioni e relazioni causali tra gli accadimenti che la ragione umana non ha mai ritrovato e che probabilmente è, per sua limitata natura, incapace di elaborare e in molti casi incapace altresì di comprendere. La realtà può essere conosciuta utilizzando connessioni create dall’I.A. di cui ignoriamo il razionale, ponendoci un problema di fiducia su quell’elaborato, se possiamo cioè fidarci a sacrificare la regina. Finito l’apprendimento, il modello non è più modificabile e si entra nella fase di inferenza, ovvero di utilizzo del modello elaborato. Estrema importanza nella fase di apprendimento è costituita dai data base forniti al sistema; poiché l’elaborazione del modello avviene sulla base dei dati forniti al sistema stesso, è facile comprendere che il modello opererà sulla base dei dati forniti, ignorando possibili connessioni ottenibili con un diverso o addizionale data base. Lo stesso dicasi dell’algoritmo che è sempre indicato dal gestore del sistema e che ne orienta la ricerca delle connessioni. Allora la lotta all’evasione fiscale non parta dalle dichiarazioni fiscali presentate ma parta dall’anagrafe dei residenti: esaminando i miliardi di dati raccolti nelle banche dati di ogni natura, non solo finanziaria, elabori una serie di connessioni in continuo miglioramento ed affinamento che sia in grado di identificare quelle situazioni con elementi contradditori e sospetti tali da raccomandare una analisi più …

UNA SETTIMANA PUO’ ESSERE CORTA O LUNGA

Una settimana può essere corta o lunga, l’importante è che serva a stabilizzare le pause nei combattimenti non a contare le ore del potere.    Prof. Giuseppe Scanni – Già Vicepresidente di Socialismo XXI | La settimana che si apre oggi può essere determinante per il successo o il fallimento della mediazione statunitense nel conflitto in corso.La missione del segretario di Stato Blinken è ostacolata dall’Iran, dalla Turchia, dalla Russia, dalla destra israeliana, sostanzialmente dallo stesso Netanyahu; la destra israeliana coi propositi espressi dal ministro Amichai Eliyahu della possibilità di lanciare una bomba atomica su Gaza ha costretto anche l’Arabia saudita a condannare la dichiarazione che “dimostra la penetrazione di “estremismo e brutalità” tra i membri del governo israeliano”. Sabato scorso il presidente Biden si era rallegrato per i progressi che si stavano concretizzando per l’instaurarsi di una pausa umanitaria.Nella notte tra sabato e domenica 5 novembre 2023 Erdogan, dopo il tentativo fallito di essere riconosciuto mediatore, si è eretto a salvatore dei palestinesi di Gaza, rifiutando di incontrare il segretario di Stato Blinken perché “continuerà un tour programmato nel Paese”.  Il segretario di stato americano dovrebbe atterrare ad Ankara domenica sera per colloqui con il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan. I diplomatici statunitensi che accompagnano Blinken si sono dichiarati (secondo l’agenzia di stampa spagnola Efe) invece ottimisti su un possibile incontro con Erdogan. D’altronde la storia del sultano di Ankara è talmente ricca di estremismo, triplogiochismo, doppiopesismo etico, compravendita a fini utilitaristici, nel consenso maggioritario degli elettori turchi, da cercare di trarre sempre profitto da posizioni che sono dichiarate “ultimative” posizioni. Fra queste cito anche il “caldo benvenuto” organizzato nella capitale turca per il segretario di Stato Usa: marce di protestadirette, secondo il quotidiano turco “Haberturk”., alla base di Incirlik Ankara, opportunamente sedate dalla polizia in tuta mimetica. Le marce servono – assieme al richiamo dell’ambasciatore in Israele, Sakir Ozkan Torunla- a mantenere attiva la fornitura dei nuovissimi F16 promessi da Washington per pagare il ricatto sulla ammissione della Svezia nella NATO. È opportuno ricordare che la base aerea Usa di Incirlik può ospitare fino a 100 testate nucleari e l’inaffidabile Recep Tayyip Erdogan non mancherà direttamente o tramite il ministro degli Esteri di ricordare che soltanto lo scorso martedì 31 ottobre il presidente della “Fondazione turca per i diritti dell’uomo, delle libertà e l’aiuto umanitario” Bulent Yildirim aveva minacciato gli Stati Uniti. Yildirim ha chiesto a Biden di fare “pressione sul premier israeliano Benjamin Netanyahu. Se non lo farete, perderete Incirlik, perderete anche (la stazione radar) Kurecik e le vostre basi in tutto il mondo”. Quasi a dire: senza di me la Turchia vi danneggerà. Anche se Erdogan sa ne che la CIA conosce la “Fondazione turca per i diritti dell’uomo, delle libertà e l’aiuto umanitario”; una ONG di ispirazione islamista vicina al Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) al potere, conosciuta come uno dei bracci operativi del governo (altro che organizzazione non governativa), nota per i suoi legami con la Jihad islamica palestinese ed il suo presidente, Bulent Yildirim, che è stato indagato per il finanziamento dell’organizzazione terroristica Al Qaeda. Recep Tayyip Erdogan, che ha dichiarato alla stampa:” “Netanyahu non è piu’ una persona con la quale possiamo parlare” pensa di avere più di una carta da giocare sul tavolo del potere : se Blinken riuscirà ad ottenere il difficile risultato immediato che si propone (uno spazio quotidiano di sei -dieci ore dei bombardamenti per consentire aiuti umanitari, assistenza medica e uscita dal valico con l’Egitto di un numero maggiore e continuo di stranieri e di fragili da Gaza) si intesterà, almeno sulla popolazione interna, il vanto di aver convinto gli Stati Uniti ad intervenire; il jackpot è rappresentato dall’accettazione del suo triplogiochismo come essenziale alla partecipazione al pari di altri ( tra i quali Giordania, Arabia saudita, Egitto, ANP, Qatar) al processo di mediazione. Al momento Blinken ha convinto Abu Mazen dell’impegno Usa per creare uno Stato palestinese. L’ANSA, da Washington, quindi sulla base di una nota del dipartimento di Stato, ha reso pubblico che nel loro incontro di circa un’ora, il segretario di stato Usa Antony Blinken e il presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) “hanno discusso gli sforzi per ripristinare la calma e la stabilità in Cisgiordania, compresa la necessità di fermare la violenza estremista contro i palestinesi e di chiederne conto ai responsabili “. Lo rende noto il dipartimento di Stato americano, ricordando che il capo della diplomazia americana “ha espresso l’impegno degli Stati Uniti a lavorare per la realizzazione delle legittime aspirazioni dei palestinesi per la creazione di uno Stato palestinese”. Blinken inoltre “ha riaffermato l’impegno degli Stati Uniti per la fornitura di assistenza umanitaria salvavita e la ripresa dei servizi essenziali a Gaza e ha chiarito che i palestinesi non devono essere sfollati con la forza”. È un punto per Blinken la dichiarazione di Abu Mazen secondo la quale in presenza di un “quadro di soluzione politica globale” L’Autorità nazionale palestinese (Anp) “si assumerà tutte le sue responsabilità” per la Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza nel quadro “di una soluzione politica globale” (sempre ANSA). Il valore aggiunto dell’urgente ed imprevisto incontro tra Blinken ed Abu Mazen si è reso necessario per l’acuirsi della crisi interna israeliana che si ripercuote sulle modalità di combattimento a Gaza. Migliaia di persone, secondo l’Associates Press, si sono unite a una manifestazione a Tel Aviv organizzata dalle famiglie dei circa 240 ostaggi tenuti nella Striscia di Gaza. “Ora!” la folla ha cantato ripetutamente, chiedendo la liberazione immediata degli ostaggi dopo quasi un mese di prigionia. Molti avevano le foto degli ostaggi, tra cui bambini e anziani.  Hadas Kalderon del Kibbutz Nir Oz, i cui due figli, di 16 e 12 anni, sono stati rapiti, ha chiesto un cessate il fuoco in cambio della restituzione degli ostaggi.  La difficile situazione dei prigionieri e delle loro famiglie ha catturato l’attenzione della nazione.  Se c’è chi chiede il cessate il fuoco c’è anche chi, come Ella Ben-Ami, una israeliana di 23 anni i cui genitori sono stati rapiti, ha affermato di ritenere responsabile …