LA COMMEMORAZIONE DELL’ON. LORIS FORTUNA

di Romeo Mattioli | In questi giorni ricorrono due importanti anniversari: il 36^ anniversario della scomparsa dell’on. Loris Fortuna, padre del divorzio, e il cinquantennale dell’approvazione e introduzione del divorzio nel nostro ordinamento giuridico una conquista rivoluzionaria dei secolo scorso nel campo dei diritti civili. Fortuna fu un gigante dei diritti civili quando nell’ottobre 1965 presentò alla Camera dei deputati la proposta di legge per il divorzio fu praticamente solo e isolato. Fu una battaglia sostenuta da pochi: i radicali, i giornalisti dell’Espresso e parte dei socialisti. L’iniziativa era molto osteggiata dalla destra cattolica che la vedeva come una “sciagura nazionale”. Non ottenne neanche il sostegno della maggioranza dei partiti di sinistra. Si stava ripetendo quella scelta di “opportunità politica” che, nel 1947, aveva portato il PCI e il PLI a votare, assieme alla DC, l’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione Italiana, abdicando alla cultura laica. Si rese necessario costituire in Italia la Lega per l’istituzione del divorzio (LID) a cui aderii. La proposta divenne legge a fine novembre del 1970 con il voto favorevole di tutta la sinistra italiana e i partiti laici. La destra integralista non si rassegnò e promosse il referendum per la sua abrogazione, ritenendola “nociva” e voluta da “una minoranza degli italiani”. A Udine ci fu una mobilitazione di intellettuali, professionisti, giovani, donne, al di fuori dei partiti, che, riuniti il 6 aprile 1974 in un Hotel cittadino, costituirono un Comitato per il No all’abrogazione della legge sul divorzio, eleggendo a Presidente il prof. Antonio Celotti, segretario l’avv. Antonio Pacatti e il magistrato Giuseppe Mastellone, Luciano Basadonna ed altri componenti del Comitato direttivo. Il risultato del referendum che si svolse il 12 e 13 maggio 1974, registrò una valanga dì NO all’abrogazione della legge sul divorzio con una differenza di 6 milioni in più e Udine addirittura con il 66,8% rispetto 59,1% della media nazionale. Erano intervenuti nella maggioranza del popolo italiano profondi cambiamenti nel costume e nella cultura che pochi, nella battaglia dei diritti civili, seppero interpretare e portare avanti. La maggioranza degli italiani, prima dei partiti, capì che quella legge aumentava fa loro libertà, trattandosi di libera scelta e non di un obbligo. Si spalancò, dopo questa legge, la strada dei diritti civili: la legge per la legalizzazione dell’aborto, di iniziativa dello stesso Fortuna, ben presto andò in porto. Non arrivò, purtroppo, in tempo a fare approvare la legge sull’eutanasia per una dolce morte, contro gli accanimenti terapeutici.  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA PROPOSTA DI RIFORMA COSTITUZIONALE

Premessa Il fine della proposta riforma costituzionale ha come obiettivo quello di permettere all’esecutivo di durare più a lungo, possibilmente per tutta la legislatura, alfine di poter migliorare la produttività del governo permettendogli di operare con un orizzonte temporale più ampio di quello che la storia del nostro paese fa registrare come durata media di un governo. L’obiettivo sembra ragionevole e condivisibile, c’è tuttavia da chiedersi se le modifiche costituzionali proposte siano funzionali al raggiungimento dello stesso. La proposta consiste di soli cinque articoli che analizzeremo con lo scopo, appunto, di testare se essi siano adeguati alla realizzazione del dichiarato scopo. Articolo 1 L’articolo 1 della proposta modifica costituzionale recita:                “(Modifica all’articolo 59 della Costituzione) 1- Il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione è abrogato.” Vediamo allora cosa contempla l’art.59 della Costituzione e cerchiamo di capire lo scopo dell’abrogazione del secondo comma di detto articolo. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque. Una prima osservazione ci rimanda all’affermazione perentoria fatta dalla presidente del consiglio nella conferenza stampa del 4 gennaio 2024, secondo la quale nessun potere del Presidente della Repubblica veniva limitato dalla proposta modifica costituzionale in esame. E’ palese che l‘art.1 in esame limita esplicitamente i poteri del Presidente della Repubblica, smentendo in modo inequivoco le affermazioni di Giorgia Meloni. Ma la limitazione dei poteri non è limitata a questo articolo ma, come vedremo, è oggetto di altre modifiche nei successivi articoli. Ma in che modo l’abrogazione del secondo comma dell’art.59 della Costituzione è funzionale allo scopo di rendere più duratura e stabile la vita dell’esecutivo? Forse occorre andare a ricercare le ragioni per le quali questo secondo comma (qui nella forma già modificata da altra revisione costituzionale) fu introdotto dai padri costituenti. Riprendo da un articolo di Maria Grazia Rodomonte del 2022 questo paragrafo che spiega la ragione per la quale questo secondo comma sia stato costituzionalizzato: “Nella seduta del 3 settembre 1946, nella seconda Sottocommissione, Mortati non manca in effetti di evidenziare come tra i vari fini che possono raggiungersi con un sistema bicamerale vi sia proprio quello di integrare la rappresentanza politica con altre forme di rappresentanza, quella territoriale e delle categorie, ma anche come l’istituzione di una seconda Camera possa rispondere all’esigenza di “selezionare particolari capacità e competenze”. Tale finalità si può ottenere delimitando la scelta degli eleggibili “per assicurare la presenza nell’assemblea legislativa di certe competenze individuali che il sistema dei regimi rappresentativi di per sé stesso non assicura”. Uno scopo che, secondo Mortati, appare particolarmente rilevante, realizzabile “prescrivendo che gli eleggibili siano scelti nell’ambito di determinati gruppi, che si suppone abbiano una certa competenza”. Importante “perché uno dei fattori che ha contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il difetto di competenza, tanto più sensibile nello Stato moderno che ha visto estendersi la sua sfera di attività in settori sempre nuovi e sempre più tecnici. Questo fine politico particolarmente importante può essere soddisfatto con la costituzione di una seconda Camera in cui si faccia una selezione degli eleggibili”. Secondo Mortati, infine, vi sono forme di composizione della seconda Camera che tendono a conciliare i vantaggi di vari sistemi e che, insieme agli elementi elettivi, comprendono anche elementi scelti in altro modo: “così, ci sono costituzioni che adottano un contemperamento del sistema elettivo con quello della nomina da parte del Capo dello Stato, ammettendo che un certo numero di membri del Senato sia nominato dal Capo dello Stato; ciò che può avere una ragione di essere, in quanto ci sono delle capacità che è opportuno assicurare alla seconda Camera, mentre non è opportuno siano scelte attraverso le elezioni: magistrati, membri dell’esercito o dell’amministrazione, ecc.”  Se questa è la ragione sottostante all’introduzione in Costituzione del secondo comma, risulta inconcepibile, ai fini di una maggior stabilita e durata dell’esecutivo, la sua abrogazione. Non si vede ragione per cui, escludendo dal Senato persone di eccelsa competenza e conoscenza nei vari campi della cultura e dell’arte, si possa rafforzare la stabilità dell’esecutivo. Le ragioni, a mio modo di vedere, rispondono ad altre esigenze: la prima risponde all’esigenza politica, espressa nelle motivazioni, di lasciare una esclusiva di nomina dei parlamentari al popolo che esprimerebbe in tal modo chiaro la sua sovranità, nessuna interferenza di presunta “casta” vada a contagiare la genuina espressione popolare: il rapporto popolo/premier sarebbe in tal modo garantito. La seconda ragione risiede nella dichiarata volontà di eliminare i governi cosiddetti “tecnici”, quei governi cioè che contravvenendo al rapporto diretto popolo/premier hanno in passato minato la sovranità popolare. L’esempio più palese è quello della nomina di Mario Monti a senatore a vita ed il successivo incarico di governo avvenuto come una classica manovra di palazzo. Ma i governi tecnici nascono quando la politica si dimostra incapace ad affrontare tematiche, generalmente economiche, che solo degli esperti possono affrontare, spesso proponendo misure impopolari (quali ad esempio la riforma Fornero), senza doversi preoccupare del consenso elettorale, preoccupazione che spesso è alla base dell’incapacità della politica di affrontare tali problemi. La messa al bando di governi tecnici rende più drammatica la vita dell’esecutivo ed il suo confronto/scontro con le camere aumentando sensibilmente il rischio di dover ricorrere allo scioglimento delle camere; ma nello specifico vedremo più avanti. Articolo 2 Esaminiamo ora il secondo articolo della proposta di modifica costituzionale che recita: “(Modifica all’articolo 88 della Costituzione) 1- Al primo comma dell’articolo 88 della Costituzione, le parole: «o anche una sola di esse» sono soppresse.” Anche in tal caso occorre andare ad esaminare l’articolo citato al fine di valutare la finalità della soppressione di alcune parole. L’articolo 88 citato recita: “ll Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte …

RICORDARE FELICE BESOSTRI. DIFENDERE LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

Oggi e i prossimi giorni saranno ore di dolore per la gravissima perdita, ma se conosco Felice, non sarebbero le belle espressioni e ricordi della sua integrità morale e politica ad interessarlo, ma la certezza che il suo impegno non cadrà nel vuoto. Besostri è stato un grande socialista, ma non un amante dei simboli, il suo socialismo viveva nella fedeltà ai principi e all’etica socialista che si esprimeva nella costante e a volte solitaria difesa della libertà e, in particolare, nella difesa dei principi costituzionali che la destra di tutto il mondo considera intrisa di ideali socialisti. Oggi, ma anche nel recente passato, in Italia è in corso una continua aggressione contro la Costituzione condotta da varie maggioranze nel tentativo di conquistare più potere all’insegna della governabilità che la politica non riesce a garantire conquistando il consenso elettorale. Prima si sono ridotte le rappresentanze nei comuni, nelle regioni, poi si sono rese le province simulacri inutili di ciò che furono, poi si è proceduto alla riduzione dei parlamentari.Si sono sperimentate forme di presidenzialismo nei Comuni e nelle Regioni con risultati che dovrebbero far riflettere almeno sulla qualità di ciò che ha comportato.Ma come non bastasse tutto ciò sono state approvate leggi elettorali truffaldine utili ad una ristretta quanto mediocre oligarchia capace solo di assicurare un futuro a se stessa. Adesso si vorrebbe procedere a dividere l’Italia con l’autonomia differenziata e con un premierato pasticciato e rivelatore solo della continua ricerca del potere ottenuto rendendo il parlamento quasi un inutile orpello di ciò che invece dovrebbe essere. E’ un lento processo che dura da anni e che rischia di addormentare la coscienza critica degli elettori che invece di ribellarsi o si affidano ad imbonitori che rischiano di affossare ulteriormente la nostra democrazia, o si rifugiano nell’astensionismo che è come nascondere la testa nella sabbia con la speranza che altri facciano ciò che essi non hanno il coraggio o la voglia di fare. Besostri è stato lo strenuo difensore anche dei disertori delle urne, è stato per anni il difensore delle minoranza etniche, nella sua incrollabile determinazione ha incontrato poche sostegni, ma non si è mai arreso. Ora spetta a noi, a tutti i cittadini che vogliono difendere i diritti costituzionali per se stessi e per i propri figli seguire l’esempio di Felice, unirsi a prescindere dalle appartenenze politiche ad una lotta per cambiare le leggi elettorali truffaldine, per ostacolare i tentativi autoritari che si nascondono nelle iniziative di riforma costituzionale in atto. Oggi, senza Besostri, non più il tempo di attendere che altri facciano ciò che spetta a noi. Socialismo XXI c’è e siamo convinti che anche altri siano disposti a lavorare per questi obiettivi. Liste civiche, partiti, associazioni, corpi intermedi dello Stato possono e devono innanzitutto lavorare per garantire la democrazia e contrastare iniziative che la rendano ancora più fragile se non addirittura solo una finzione di ciò che dovrebbe essere. Dopo ciascuno seguirà la strada che riterrà conforme alle proprie aspirazioni politiche. La storia ci insegna che se non si colgono i segni o si sottovalutano i segnali di una involuzione autoritaria dopo sarà troppo tardi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

E’ MORTO FELICE BESOSTRI

Ufficio di Presidenza di Socialismo XXI | Compagne, Compagni, nella vita arriva inesorabile il momento in cui si deve dare il triste annuncio della dipartita di un amico, di un Compagno! Si è spenta oggi purtroppo la cara esistenza di Felice Besostri dopo una lunga malattia. Felice aveva un cuore grande e una gioa di vivere contagiosa. Non ha lasciato trasparire la sua malattia e ha lottato fino alla fine, senza mai cancellare le passioni di una vita intera. Una perdita che ci addolora profondamente e che lascia un grande vuoto. Nato a Zevio il 2 aprile 1944, si laureò a Milano a soli venticinque anni in Giurisprudenza, entrando poi nel ruolo di ricercatore presso la facoltà di Scienze Politiche, sempre a Milano. Fu un valentissimo avvocato amministrativista, diligente e apprezzato professionista del diritto da colleghi e amici. Giurista e costituzionalista. Dal 1983 al 1988 fu sindaco del comune di Borgo San Giovanni per il Partito Socialista Italiano. Con il tramonto del PSI nel 1994 aderì alla Federazione Laburista di Valdo Spini e nelle liste proporzionali, candidato dall’Ulivo, fu eletto senatore della Repubblica e fu capogruppo alla prima Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove da relatore di maggioranza al Senato con la legge quadro n°482/99 diede attuazione all’art.6 della Costituzione in materia di tutela della minoranze linguistiche storiche. Instancabili le Sue battaglie nonostante la terribile malattia contro le attuali leggi elettorali: nel 2008 la pronuncia di incostituzionalità del Porcellum e proseguendo mediante vari ricorsi contro la legge elettorale per il Parlamento europeo contrastando la clausola di sbarramento del 4% nel riparto dei seggi, soprattutto contro l’Italicum e contro il Rosatellum poi. Onnipresente fino all’ultimo a tutte le iniziative per rilanciare il socialismo in Italia e in difesa della Costituzione e della libertà. Lo ricordiamo anche nella veste di Socio fondatore di SOCIALISMO XXI, della Nostra Associazione politica che si propone appunto di rilanciare i valori del socialismo in Italia. Felice lascia un vuoto incolmabile. La Sua è una testimonianza della forza delle idee, incarnazione degli ideali del socialismo e dei valori di libertà. Attento, mai banale. Un esempio di rettitudine e di abnegazione. Un esempio di partecipazione. Valori che ne hanno caratterizzato l’esistenza fino al supremo saluto. Uno spirito indomito e uomo di libertà. Un lottatore contro ogni avversità umana senza mai arrendersi alle circostanze a volte dolorose della vita. Neanche a quelle personali. Una terribile malattia che non lo ha mai scoraggiato animato dai Suoi grandi ideali più forti di ogni male. Questo era Felice Besostri. Ci mancherai Felice. Ci mancheranno la  straordinaria forza interiore per Noi un punto di riferimento e le lotte in difesa della libertà e della democrazia. E’ il Tuo lascito umano e professionale che non finirà nell’oblio. Ai famigliari il nostro profondo e sincero cordoglio. E la nostra vicinanza. Che la terra ti sia lieve! La cerimonia di saluto per Felice Besostri SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA

In questi giorni di vacanza natalizia tre articoli hanno solleticato il mio interesse, la mia propensione a pensare alla rivoluzione tecnologica in atto che, da buoni sonnambuli, stiamo acriticamente vivendo senza porci troppe domande se non a livello epidermico, senza cioè senza approfondire le conseguenze che questa rivoluzione potrà (o già sta) apportare alle nostre stanche società. Gli articoli sono: a) “Stato sociale e pieno impiego tra Costituzione ed economia” di Leonello Tronti 23/12/2023 (ed. dalla parte del torto). b) ”Lavoro, tecnologia, conflitti. E’ in corso una rivoluzione” di Massimo Cacciari 24/12/2023 (ed. Il Giornale). c) “Saranno le stesse contraddizioni del capitalismo a indicare la via del suo superamento” di Vittorio Pelligra 24/12/2023 (ed. Il Sole 24 Ore). Nel primo articolo l’amico prof. Tronti affronta la storia dello stato sociale da Bismarck a James Meade, passando per Lassalle, Wagner, Pigou, Keynes e Beveridge. Nelle conclusioni il prof. Tronti affronta il tema esposto nel titolo che ho dato a questo mio intervento con le seguenti parole: “Dinanzi alla prospettiva di una rivoluzione tecnologica senza precedenti, la sfida più terribile, la minaccia davvero mortale che oggi incombe sulla stato sociale è quella della jobless growth dei lavoratori disarmati nella sfida con i robot (…).Se sviluppo e occupazione non sono più sinonimi, lo stato sociale non può che crollare, perché è l’occupazione piena e regolare, con la completa adesione fiscale e contributiva dei lavoratori occupati, a consentire il finanziamento dello stato sociale: la piena occupazione non ne è che il fondamento finanziario necessario, la condizione economica di sistema indispensabile allo stato sociale, indispensabile perché il mercato del lavoro raggiunge la condizione di piena occupazione. La sfida della jobless growth può essere vinta e la piena occupazione riconquistata, purchè si accetti di rinnovare profondamente i lineamenti dello stato sociale pagando il prezzo che il rinnovamento comporta in termini di aggiustamento sociale, economico e culturale”. Ora, come amava fare Einstein, facciamo un esperimento mentale e ci immaginiamo un mondo in cui tutto ciò che viene prodotto attualmente viene invece prodotto (forse anche più e meglio) dalle macchine; in questo esperimento tuttavia prescindiamo dall’affrontare due tematiche fondamentali quali: a) quella rappresentata dalla sostenibilità, ovvero del consumo di beni rinnovabili senza intaccare le risorse naturali destinate altrimenti a terminare; b) la tematica della mutazione climatica. Posta tale premessa, dobbiamo dedurre che conciliare la fine del lavoro comandato con la piena occupazione è impossibile, non ci pare allora che quello sia il dilemma cui ci troviamo di fronte ma quello che troviamo nelle parole di Massimo Cacciari nella sua intervista quando dice:” Ci troviamo a un bivio, in cui capiremo se questa tecnologia servirà a renderci liberi dalla pena del lavoro ripetitivo e meccanico e ci consentirà di partecipare alla ricchezza prodotta, senza subire la legge del mercato e del lavoro, o se sarà un processo per cui ci disoccuperemo, senza sapere che cosa fare della nostra anima e vivendo di contributi.” Il terrore che si diffonde appena si pone la prospettiva di un mondo in cui le macchine producono tutto e lasciano disoccupati tutti i lavoratori può essere facilmente pacato se pensiamo che se le macchine producono tutto ciò che viene prodotto attualmente tutti potranno, senza problemi, consumare ciò che consumano ora anche senza bisogno di vendere il proprio tempo di vita per sopravvivere rendendo i lavoratori liberi dalla pena del lavoro comandato. Come approccio iniziale dovremmo quindi pensare che la fine del lavoro non pone un problema insolubile, problematica invece è la domanda su come si gestisce, ma soprattutto chi gestisce la fase transitoria. Fase che come scrive il prof. Tronti deve presentare la “gradualità con cui può essere applicata” di modo che consenta “un’applicazione graduale, tale da permettere in itinere le sperimentazioni, gli aggiustamenti e i correttivi che ne assicurino il successo”. Riporto ora quanto scriveva Paolo Sylos Labini nel 1989 nel suo libro “Nuove tecnologie e disoccupazione” (a pag. 218 ed. Laterza) trattando dell’argomento di cui stiamo discutendo. Nell’ipotesi in cui “la produzione di tutte le merci sia robotizzata e che gli stessi robot siano prodotti di robot dobbiamo allora riproporci la domanda: chi è in grado di acquistare le diverse merci? La risposta non può che essere questa: si deve ammettere che uno Stato centrale munito, come tutti gli stati, di poteri coercitivi, provveda ad una redistribuzione del reddito seguendo, come criterio guida non l’umanità, la solidarietà o la carità, ma, più semplicemente, l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti. Un criterio razionale potrebbe essere: “a ciascuno secondo i suoi bisogni”: è il criterio che caratterizza una società senza operai salariati e senza classi intese in senso economico; in una parola: una società comunista. Uno sbocco questo, dello spontaneo processo capitalistico, al di fuori delle tragedie della miseria crescente e delle conseguenti eroiche (e sanguinose) rivoluzioni.” Ma Sylos Labini arriva alle sue conclusioni dopo aver risolto a monte il problema di “chi gestisce la fase transitoria”; infatti nel suo scritto si parla di “uno Stato centrale munito, come tutti gli stati, di poteri coercitivi” che provvede alla redistribuzione generalizzata del prodotto annuo oppure provveda alla distribuzione generalizzata delle azioni delle imprese robotizzate. Quindi a monte delle due ipotesi proposte esiste l’espropriazione dei robot, dei mezzi di produzione accentrandone la proprietà nelle mani dello Stato. Ovvio che l’alternativa è quella della proprietà privata dei mezzi di produzione con la conseguenza che la redistribuzione della produzione annua non verrà fatta con (ritorno alle parole di Sylos Labini) “l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti” ma con l’obiettivo di limitare la produzione di beni per i non proprietari al minimo necessario perché questi non si ribellino e sopravvivano in continua subalternità. Il resto della produzione sarà destinato a soddisfare i bisogni di chi possiede i robot, bisogni creati e perseguiti alla Elon Musk, riproducendo una società neo-schiavistica. Se il salario nel modello capitalista deve permettere al lavoratore a vivere e riprodursi perché nel futuro saranno necessari nuovi lavoratori per sostituire quelli che escono dalla vita lavorativa, nella fase tecnologica del modello …

SOLO COL SOCIALISMO

L’amico è compagno Berlanda, segretario cittadino del PD rivolge una domanda a chi di dovere. Penso che il piu’ deputato a una risposta sia l’assessore comunale alla Cultura e ovviamente il Sindaco che, per legge, ha tutte le competenze. Il quesito pero’ non e’ individualmente mirato, ma è “aperto” sotto forma di post su profilo fb, quindi interroga un po’ tutti, anche chi non ha responsabilita’ dirette ne’ sugli eventi, quantita’ e qualita’, ne’ sul correlativo prezzo. Quindi caro Paolo, ti dico la mia “doxa”, la mia personalissima opinione: l’impianto costa, va manutenuto e pagati gli operatori. Quindi si saranno fatte delle stime approssimative dei visitatori paganti e su queste si e’ tariffato un biglietto. Credo peraltro siano previste visite gratuite guidate per le scolaresche. E prezzi convenzionati per gruppi di appassionati riuniti in circoli e associazioni. Quindi il biglietto di cui parli e’ il prezzo pieno per visitatore individuale. Indubbiamente alto, ma non piu’ caro di un aperitivo o una pizza e birra in uno dei locali cittadini, come gia’ altri hanno scritto. O di una cura alle mani o ai piedi… Insomma il voluttuario, edonistico o godereccio a fruizione individuale, costa ed e’ giusto che costi anche la cultura: cio’ e’ corretto e giusto se si resta “entro” questo sistema capitalistico in cui le cose hanno valore solo se si pagano a un prezzo di mercato. E’ il sistema in cui l’acqua non e’ un bene comune inestimabile, ma valoriale. Lo e’ anche la neve per sciare, il lago montano per passarci vacanze e le montagne da scalare.O la barca per fare vela o le terme. Tutto si paga in questo sistema perche’ cio’ che non si paga non ha valore. E il prezzo e’ direttamente proporzionale al valore. Andare al planetario dunque costa caro perche’ vale molto. Se vuoi svolgere una critica a questa situazione non puoi sottrarti pertanto a una critica piu’ generale al “sistema” capitalista cui essa appartiene ed entrare in una alternativa socialista. Ma in questa nostra citta’ (Imperia ndr.) non si vuole fare cio’: non ti sei lamentato per la polizia che assedia “la talpa e l’orologoo” ne’ per la chiusura inopinata del “camalli bar”. Eppure questi sono gli unici due tentativi (poco o punto riusciti) di una cultura davvero ALTERNATIVA al sistema, avvenuti storicamente. Un po’ poco, dopo tanti anni di PCI e anche di PSI. E’ in una cultura socialista, che riconosce differenze di classe sociali e non indistinti utenti, e solo in essa, che si puo’ rivendicare una non valorialita’ di certi beni e servizi (cultura, scuola, sanita’ trasporto persone) e quindi di un prezzo “politico” di essi, in cui la fiscalita’ generale e non il ticket individuale indifferenziato ne paga il costo (senza profitto). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SVOLTA DI GALLI DELLA LOGGIA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Faccio seguito alla lettura dell’articolo di Galli della Loggia che ho letto con attenzione, mentre rimbombano nelle mie orecchie le parole di Silvano Veronese quando conclude il suo pezzo di commento con le seguenti parole:” Se le cose stanno così, non c’è nessuna ragione al mondo per ricercare da socialisti una identità (pur minima) organizzativa comune con gli epigoni di questa tradizione comunista anche se ora alberga in una casa comune con epigoni democristiani”. Non contesto la lunga analisi che Galli della Loggia espone nel suo testo, non nego l’errore del ’21 e l’effetto che la rivoluzione di ottobre ha avuto sul comportamento del PCI per molti anni. Io mi riconosco piuttosto, usando le parole di Galli della Loggia, in quello “sparuto gruppo di esponenti del PCI, i cosiddetti “miglioristi” i quali avevano cercato nonostante tutto di mantenere in qualche modo un rapporto non conflittuale con i socialisti”. Non mi sono mai identificato con la storia, fatto che non ha mai costituito una pietra angolare del mio pensiero, rivolto più che altro non tanto alla mitologia quanto all’esame della situazione economica del nostro paese ed al clima dominante in Europa. Di Galli della Loggia contesto il suo assunto per cui, e riprendo le sue parole: “quando dopo l’89 al fatale appuntamento con la storia, si vide come in complesso questi stessi intellettuali comunisti non si mostrassero per nulla favorevoli a un riorientamento del loro partito in senso socialdemocratico” L’autore, in tutto il suo testo, ripete quella che secondo lui sarebbe stata la mossa ineluttabile, ovvero che al PCI “si offriva una via soltanto per cercare di non disperdere interamente la propria esperienza, per sperare di conservare la compattezza del proprio organismo e non vedere il proprio passato disfarsi senza lasciare traccia. La via era quella di svolgere a ritroso il filo della propria storia per riandare al suo inizio e quindi ripercorrerne lo svolgimento”.  Ripercorrere il proprio filo ritrovando un’altra direzione “E quale se non quella del socialismo? Quale se non quella del riformismo socialdemocratico? Non c’è dubbio che in astratto sarebbe stata questa la via più ovvia, per non dire anche quella con ogni probabilità più produttiva di risultati politici”. La mia prima impressione è che l’autore eternizza una fase iniziale, che può anche essere stata vera agli inizi, ma dimentica gli sviluppi successivi con Gramsci e poi con Berlinguer; difficile riconoscersi in quello che sembra essere uno stereotipo piuttosto che un pensiero in movimento che aggiusta e rielabora gli inputs iniziali creando come comunismo italiano qualcosa di diverso da ciò da cui era partito. Io, al contrario dell’autore, qualche dubbio sulla ritrovata strada del riformismo socialdemocratico ce l’avrei. Sia chiaro, non sto negando le grandi conquiste che il riformismo socialdemocratico ha ottenuto negli anni del dopoguerra”. Durante i cosiddetti “trenta gloriosi” – i decenni di forte crescita vissuti dopo la Seconda guerra mondiale – la socialdemocrazia era vista dalla maggioranza dell’elettorato operaio come la forza che proteggeva i lavoratori e garantiva il progresso di tutta la società, conciliando capitalismo e benessere diffuso. Ma è indubbio che le conquiste fatte dalle politiche redistributive avvenivano in anni in cui la presenza viva della “concorrenza” comunista rendevano il capitale più propenso a rafforzare i rapporti con la socialdemocrazia. Con il crollo del muro di Berlino il capitale si è liberato da quella pericolosa concorrenza, si è rafforzato anche per il disconoscimento del comunismo russo come valida alternativa, e gli ha permesso di smantellare gran parte delle conquiste fatte nei trenta gloriosi. I rapporti di lavoro sono peggiorati, precarizzati, la partecipazione dei subalterni alla vita politica con comitati di quartiere, sindacati, consulte di ogni tipo si è isterilita portandoci all’abbandono del voto, ad essere “sonnambuli”. Non è chi non veda che il riformismo è sulla difensiva, anzi oggi le riforme sono quelle che cancellano i diritti a suo tempo conquistati. L’assetto tributario è l’esempio splendente di come si blocchi l’ascensore sociale, come si impoveriscano non solo le classi subalterne ma anche quella recente classe media che sta via via scomparendo in una fase di decisa polarizzazione. La mia interpretazione è che la rinuncia dello stato ad avere un ruolo di guida dell’economia, come ad esempio era stata, dopo la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la creazione di un modello di economia mista in cui lo sguardo ad un orizzonte esteso ci aveva portato ad esempio in molti paesi esteri, lasciando tutto all’iniziativa privata, al cosiddetto libero mercato, ha fatto crollare le capacità competitive del nostro paese. L’adozione dell’euro come moneta unica, necessitava che, non potendo più utilizzare la svalutazione competitiva della nostra moneta come strumento di difesa (miope) della nostra economia, si puntasse sull’aumento della produttività, sulla innovazione, sulla digitalizzazione del nostro sistema produttivo. Ma con il 92% delle imprese che operano con meno di 10 dipendenti che innovazione vuoi fare; sei costretto a campare sul basso costo della mano d’opera, e nemmeno l’istituzione di un salario minimo può servire a qualcosa in questa situazione. Siamo arrivati al punto in cui il ministro Calenda, che ha capito le cose, vuole la rivoluzione 4.0 ma la attua usando i proventi fiscali dei lavoratori e dei pensionati, per regalare fondi a chi, per cultura privatistica, dovrebbe operare con lo spirito schumpeteriano dell’imprenditore creatore di efficienza. In un mondo in cui la tecnologia, dalla digitalizzazione alla robotica, dal computer quantistico all’intelligenza artificiale si mostra essere l’elemento chiave per il futuro, rendendo emarginati chi quelle strade non vuole o non può o non sa percorrere. In Italia la ricerca (pubblica e privata) è tra le più basse in Europa destinandoci così ad un inevitabile declino. Si aggiunga che quasi la metà dei nostri laureati trovano lavoro all’estero. Non è quindi il riformismo socialdemocratico che risolve le contraddizioni del nostro paese; non è più il tempo di far crescere le pecore per poi tosarle meglio, la strada è ben altra: è quella di raccogliere la bandiera della produttività che il capitale ha lasciato cadere; intervenire nel “cosa e come …

INCONTRO SOCIALISTI DI SICILIA

COMUNICATO STAMPA | Si sono incontrate le segreterie regionali di Psi, Liberalsocialisti, Socialdemocratici, Socialismo XXI e Fgs per verficare le possibilita’ di unificare i rispettivi percorsi politici in sicilia. I soggetti coinvolti hanno condiviso lo spirito unitario dell iniziativa dandosi un cronoprogramma in tre tappe.Inanzitutto l’elaborazione di un documento politico che analizzi la situazione politica siciliana e il ruolo che i socialisti intendono svolgere nell’isola, e che manifesti la volontà dei soggetti firmatari di lavorare da subito ad un progetto politico socialista per la Sicilia e per il paese. Ad inizio del 2024 ci si impegna ad organizzare un appuntamento organizzatvo unitario per esplicitare il comune percorso politico intrapreso.In terzo luogo ci si impegna, previa condivisione del percorso politico, a presentarsi in maniera unitaria negli appuntamenti elettorali che nei prossimi mesi interesseranno i siciliani.Si rivolge infine un invito ai rispettivi livelli superiori affinchè medesimo percorso veda coinvolti i medesimi soggetti sul piano nazionale. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SOCIALISMO XXI PRATO

Comunicato Stampa Si è riunito il consiglio direttivo dell’Associazione Socialismo XXI di Prato, per iniziare a discutere delle prossime scadenze elettorali e amministrative nella Provincia di Prato. Per quanto riguarda l’Europa il problema sarà affrontato a livello Nazionale, per le elezioni amministrative nella nostra Provincia, l’Associazione Socialismo XXI intende partecipare, ritiene di intervenire insieme ad altri soggetti politici, che abbiano a cuore gli interessi dei cittadini e fautore dell’idea di libertà, uguaglianza, giustizia, laicità, partecipazione e democrazia. Il pensiero del Consiglio direttivo dell’Associazione, è quello di attivare nuovi rapporti con altre associazioni e partiti dell’area socialista, liste civiche locali che guardano agli interessi collettivi, amici radicali e repubblicani, forze laiche e democratiche del centro sinistra, tutto ciò per capire se ci sono le condizioni, per partecipare insieme nelle prossime liste elettorali nei nostri comuni, al fine di costruire unitariamente una rappresentanza sul territorio adeguata a rappresentare i meriti e i bisogni dei cittadini. L’associazione Socialismo XXI di Prato, con la partecipazione alle prossime elezioni amministrative, ritiene di dare il proprio contributo per la crescita politica, laica e culturale del territorio pratese, espandere i diritti dei cittadini, costruire un futuro capace di creare lavoro e dignità della persona umana, guardare al Socialismo nella nostra Provincia, in Italia e in Europa. Infine, la riunione si è chiusa, eleggendo a Presidente del Circolo dell’Associazione Socialismo XXI Giancarlo Giagnoni e vice Presidente Tiziano Massara. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SVOLTA IMPOSSIBILE

di Ernesto Galli della Loggia | Tra il 1988 e 1991, nel triennio in cui tutto venne giù – in cui proprio la storia, questo supremo feticcio dell’idolatria marxista, presentò brutalmente i suoi conti al comunismo – molti pensarono che al partito italiano che aveva quel nome si offriva una via soltanto per cercare di non disperdere interamente la propria esperienza: per sperare di conservare la compattezza del proprio organismo e non vedere il proprio passato disfarsi senza lasciare traccia. La via era quella di svolgere a ritroso il filo della propria storia per riandare al suo inizio e quindi ripercorrerne lo svolgimento: ma tentando di trovare un filo diverso per tessere una tela anch’essa diversa in vista di un abito interamente nuovo. Un filo diverso da quello che era effettivamente stato: dunque ipotetico rispetto al modo in cui le cose erano andate, ma non gratuito: dal momento che quel filo avrebbe pur sempre potuto essere tessuto di materiali non certo immaginari bensì con uomini esi- stiti davvero e fatti realmente accaduti. Bisognava perciò non buttare via tutto, perché certamente non tutto era da buttare: ma piuttosto conservare quanto doveva essere conservato organizzandolo sotto un’altra insegna e disponendolo in un’altra direzione. E quale se non quella del socialismo? Quale se non quella del riformismo socialdemocratico? Non c’è dubbio che in astratto sarebbe stata questa la via più ovvia, per non dire anche quella con ogni probabilità più produttiva di risultati politici. Con una tale premessa, infatti, sarebbe stata nelle cose, a scadenza più o meno ravvicinata, l’ipotesi di una riunificazione dei due tronconi della sinistra italiana, e Partito socialista e Partito comunista avrebbero potuto ragionevolmente aspirare, insieme, a rappresentare almeno un terzo dell’elettorato: essendo così nelle condizioni, altrettanto ragionevolmente, di porre la propria candidatura al governo del paese. Peccato però che siffatti auspici non tenessero conto di un fatto: e cioè che l’identità degli organismi storici – parlo dell’identità degli organismi storici veri, non di quelli spuri come certi partiti della recente scena italiana – non è un assemblaggio di pezzi scomponibile e ricomponibile a piacere (che razza di organismi sarebbero altrimenti?), bensì è un insieme. E non solo la loro identità in buona parte è già nella loro nascita, ma essa poi si sviluppa e resta sempre come qualcosa di indissolubilmente coeso, come qualcosa in cui ogni parte è legata alle altre in un tutto: sicché se si toglie quella, anche il tutto si dissolve e con esso si dissolve anche la sua identità. L’identificazione con la storia rappresentò fin dall’inizio la pietra angolare nella psicologia del militante comunista. Ora, per dirla molto in breve e quasi a mo’ di premessa di quanto sto per sostenere in queste righe, il comunismo non era stato un’eresia del socialismo. Era stato un suo nemico, sorto con il preciso proposito di farne piazza pulita. L’identità del Pci era stata segnata alla nascita da due caratteri decisivi. Da un lato l’obbedienza a Mosca, la quale aveva teleguidato (ormai lo sappiamo bene grazie alle memorie dei suoi emissari) la scissione di Livorno. Dall’altro la ferma volontà, per l’appunto, di far fuori i socialisti e il loro partito in omaggio al forsennato egemonismo con cui Lenin, dopo avere eliminato in Russia qualunque forza della sinistra che non fosse la sua, mirava a replicare dovunque la medesima linea d’azione. Eliminare i socialisti dalla scena, prendere il loro posto nel rapporto con le masse lavoratici e per far ciò non esitare a servirsi della più selvaggia aggressività verbale fu il primo compito assegnato dalla casa madre ai partiti comunisti. Questi due aspetti rimasero sostanzialmente inalterati nel corso dei decenni seguenti. A poco o a nulla, se non a produrre montagne di raffinate esegesi storiografiche destinate alla critica demolitrice dei topi, servirono tutte le tesi di Lione, le svolte, i fronti uniti, i fronti popolari, i distinguo, le prese di distanza e le dichiarazioni sulla fine della spinta propulsiva che si successero da quel fatale 1921 al 1989. Ci sarà ben stata una ragione se fino all’ultimo, come attestano gli archivi, dall’Unione sovietica arrivarono al Pci fondi cospicui senza che mai essi fossero rispediti al mittente. Allo stesso modo – si ricordi quanto accadde nella stagione craxiana – fino all’ultimo l’atteggiamento dei comunisti verso il Partito socialista fu di avversione e disprezzo. Avversione e disprezzo che per chi sapeva intendere questo genere di cose avevano il sapore evidentissimo di qualcosa che non apparteneva al normale contrasto della lotta politica, sia pure aspra quanto si vuole, bensì venivamo da assai più lontano. Venivano da un’opposta visione del mondo e da un’opposta scala di valori, venivano da un non mai deposto senso di superiorità intrecciato di arroganza nei confronti di chi era ritenuto ormai fuori dalla storia che conta. Agli occhi degli eredi di Lenin i socialisti rappresenteranno sempre una sorta di ectoplasma, una presenza ad ogni effetto secondaria e destinata a spegnersi: perciò manipolabile e utilizzabile a piacere. Del resto era proprio questo che aveva segnato in modo indelebile l’identità del Partito comunista e di tutto quanto aveva quel nome: la convinzione di essere uno strumento della storia. Il solo in grado di conoscere il suo senso di marcia e dunque il suo unico interprete autorizzato. Era questo che aveva costituito fin dall’inizio l’anima e la vera energia animatrice dell’identità comunista. Gli altri, le altre forze politiche, appartenevano alla cronaca: fungibili di nome e di fatto rappresentavano pure sovrastrutture ideologiche della società borghese, votate prima o poi ad essere spazzate via. Laddove i comunisti invece erano la storia, e come tali predestinati all’avvenire. Si badi, non si trattava di parole: si trattava piuttosto di una straordinaria idea-forza. Ora è noto che solo se si è animati da una idea simile si arriva a giudicare l’impegno politico come la massima realizzazione possibile dell’essere umano: solo a questa condizione si possono fare grandi cose, si può giungere perfino a sacrificare la propria vita. È viceversa per chi è cultore del dubbio, per chi riguardo il fine della storia ammette di …