LE 8 ORE

Guardato da lontano, il primo maggio è una grande protesta. Il proletariato dice alla borghesia: è da un secolo che i tuoi «Diritti dell’uomo» han proclamato che eguaglianza, libertà, proprietà, resistenza all’oppressione, proporzionalità delle imposte, controllo ai pubblici affari sono diritti imprescrittibili d’ogni cittadino. E mai come ora fummo schiavi, spropriati, avviliti, reietti nelle cariche, mai fu così acuta la lotta delle classi, e le imposte, a confessione dei tuoi economisti, non pesano, in ultima analisi, che sui nullabbienti. Ci dicesti che la grande industria era un benefìcio comune, che eravamo ignoranti a pigliarcela colle macchine che ci gettavano sul lastrico: e mai come ora infuriano le crisi, la disoccupazione, e gli operai furono posti al dilemma di limosinare o rubare. […] Guardato più da vicino, nel suo significato preciso, il primo maggio significa protezione dei diritti del lavoro: otto ore di lavoro, otto ore di sonno, otto di riposo e d’istruzione e – aggiungono gli inglesi – otto scellini al giorno. Pretesa che in Italia oggi parrebbe una follia! È possibile, in tesi generica, la riduzione ad otto ore di lavoro? Coi progressi dell’industria meccanica moderna che produce in un’ora quel che un tempo si produceva in una settimana, sarebbe possibile la giornata di due ore. Basterebbe fosse posto un po’ di ordine in questo immenso disordine borghese; sopprimere la caterva innumerevole della burocrazia, dell’esercito, dei ricchi oziosi, di tutti i mangiapane a tradimento, non occupati ad altro che a divorare il comun retaggio. Ma stiamo sul terreno dell’oggi! Marx definisce la lotta per la limitazione della giornata di lavoro una secolare querra civile che si combatte da tre secoli per la civiltà. Bisogna comprendere il meccanismo della produzione moderna. È chiaro che nell’economia a schiavi la lotta per le otto ore non è possibile. Lo schiavo lavorava poco, il padrone lo trattava bene come si tratta un bove o un cavallo che, se muore, costa dei quattrini a sostituirlo. Nel medio evo non c’erano quasi salariati, non c’era proletariato, non c’era possibilità di crisi. Gli operai inglesi, due secoli fa, avevano la giornata di otto ore e lavoravano quattro giorni alla settimana. Allora viceversa, facevansi leggi per prolungare la giornata di lavoro e limitare le mercedi. La grande industria rivoluzionò tutto questo. Il capitalista non ebbe più che uno scopo: produrre ad oltranza, non della merce ma del profitto netto. Curioso gergo questo del capitale! Si chiama profitto netto ed è il più sporco che si potesse inventare. […] Or dunque il profitto netto non si ottiene che col sopralavoro, col lavoro non pagato. Se il capitalista pagasse tutto il prodotto del lavoro è chiaro che nulla resterebbe per lui. Egli dovrebbe mettersi a lavorare per vivere. Ciò è essenzialmente contrario al principio borghese, il quale proclama la moralità del lavoro degli altri. Il sopralavoro voi lo vedete ad occhio nudo nella mezzadria per esempio. Qui è evidente che il mezzadro lavora tre giorni per sé e tre giorni per il padrone. Nel lavoro delle industrie è meno palese, ma il fenomeno è sempre lo stesso. L’interesse del proprietario è aumentare quanto più può la giornata di lavoro e scemare la mercede. L’interesse del lavoratore è diminuire la giornata e aumentare la mercede. Questo è ciò che si chiama l’armonia degli interessi, la solidarietà fra lavoro e capitale. […] Il paese che prima ottenne ed applicò seriamente la legge delle otto ore è l’Australia. Ivi, ogni 21 aprile si celebra quella data memoranda. E gli effetti superano le migliori previsioni. Nell’Italia del Popolo di ieri avete tutti potuto leggere quel che ne dice il Rae, un economista tutt’altro che eterodosso. Nessun danno ne ebbe la produzione, gran vantaggio i lavoratori. Per effetto delle otto ore crebbe una classe di operai che per le qualità morali e l’intelligenza sorpassa ogni ramo della razza anglo-sassone e di cui al mondo non s’è mai vista l’uguale per l’amore alla vita, il buon umore, il benessere. Malgrado tutto ciò, si fanno alle otto ore obiezioni parte serie, parte ridicole. Le obiezioni più serie, almeno in apparenza, sono le seguenti: minor lavoro, dunque minor salario, -se salario uguale o maggiore, merci più costose – quindi danno pel capitalista e vantaggio illusorio pel lavoratore che dovrà pagare più caro le sussistenze. Inoltre la concorrenza estera ucciderà le nostre industrie, quindi crisi, disoccupazione, nuovi ribassi del salario, ecc. ecc. I fautori passionati delle otto ore sostengono che il tempo più breve fa il lavoro più intensivo e quindi più produttivo. Il lavoro a cottimo dimostra come l’operaio possa produrre in minor tempo una somma di lavoro maggiore della normale. I salari non caleranno perché l’orario più breve costringerà ad impiegare i disoccupati scemando l’offerta del lavoro (veramente questi due argomenti in parte si elidono a vicenda). E quanto alla concorrenza estera, vi si provvede con leggi internazionali. In codeste osservazioni vi è del vero e dell’esagerato. Il lavoro più breve è più intensivo nei lavori a mano; non lo è, o ben poco, nei lavori la cui celerità è determinata, dalla macchina. Per questi l’orario più breve obbligherebbe a reclutare i disoccupati e quindi rialzerebbe i salari. Ma ogni qualvolta si rialzano i salari o si abbreviano gli orari, il capitale se ne rifà, imprimendo maggiore sviluppo alle macchine o inventandone di nuove. Molte invenzioni meccaniche non ebbero altra cagione. Per cui il vantaggio degli operai, perché sia duraturo, dev’essere mantenuto dalla compattezza della resistenza. Certo è che i paesi, come l’Inghilterra l’America e l’Austria dove le giornate sono più brevi, sono anche più ricchi, hanno operai più abili e salari più alti. E lo sviluppo del meccanismo rovina solo i piccoli industriali, affrettando l’evoluzione del sistema di produzione verso il collettivismo. […] Ma i massimi vantaggi delle otto ore sono nel campo morale. È per questa via indiretta che esse conducono alla redenzione economica. Ed è per questo che son tanto temute. «Il lavoro è un freno», diceva Guizot, e il lavoro troppo lungo prostra, deprime, inebetisce. Esso è il migliore dei carabinieri. …

IL SOCIALISMO AVANZA CON CORBYN PACIFISTA PREMIATO E SANDERS ANTI-TRUMP

di Carlo Patrignani Il socialismo, a dispetto di certi becchini di professione – Eugenio Scalfari e il partito Repubblica in testa – che da anni ne intonano il de profundis servendosi anche di certi fallimenti del passato, da Craxi a Blair, da Hollande a Schroder, è ben vivo e cammina spedito sui successi di duevegliardi signori anomali nel panorama politico: il laburista Jeremy Corbyn e il socialista democratico Bernie Sanders A Corbyn l’International Paece Bureau ha di recente conferito, nel totale silenzio dei media, il Sean MacBride Peace Prize, per il suo coerente impegno per la pace e il disarmo, specie nucleare: dalla campagna Stop the war al voto contrario alla guerra in Iraq del Governo laburista di Tony Blair, dal celebre non premerò mai il pulsante contro il rinnovo dell’arsenale nucleare rivendicando la tradizione pacifista del Labour alla presa di distanze dalla decisione, una minaccia contro la pace, di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele. Il socialista democratico Bernie Sanders, altrettanto critico con la decisione di Trump mina drammaticamente le prospettive di un accordo di pace israelo-palestinese, stando ai sondaggi di Politico, il più influente e autorevole sito sulla politica statunitense, viaggia attorno al 70% dei consensi tra gli elettori americani, ben oltre i consensi registrati un anno fa nella corsa alle Presidenziali. Ai due non si può non aggiungere il portoghese Antonio Costa alla guida di un governo de la gauche  che sta risollevando l’economia del paese e con qualche azzardo, per certe sue aperture, il leader greco Alexis Tsipras. Quel che interessa, o che dovrebbe interessare, è il fenomeno culturale del tutto nuovo che, gradualmente, si sta affermando nei due paesi a forte tradizione capitalistica e protestante, al di là del fatto se Corbyn poi si insedierà a Downing Street, forse già il prossimo anno per le crescenti difficoltà della conservatrice Premier Theresa May, o Sanders alla Casa Bianca nel 2020. Cos’è oggi che spinge oggi i giovani, più o meno organizzati come Momentum a sostegno di Corbyn o Our revolution di Sanders, e la middle class, a condividere le politiche sociali alternative al neo-liberismo di Corbyn e Sanders, l’idea di un governo per i molti, non per i pochi? E, di conseguenza, un nuovo modello di società più umano? E perchè i due vegliardi politici sono così credibili e popolari? Cos’hanno in più dell’establishment logoro che imperversa nelle sinistre in Europa e in Italia soprattutto? Corbyn e Sanders piu’ che di governabilità, parlano di morale, ossia di valori: uguaglianza, libertà, giustizia; sono per la difesa dei diritti umani e contro ogni tipo di razzismo; prospettano riforme non generiche ma strutturali: la nazionalizzazione delle grandi industrie e dei servizi, l’assistenza sanitaria universale, l’accesso meno gravoso e gratuito secondo il reddito all’istruzione, un fisco più equo e giusto, un sistema bancario piu’ trasparente, insomma sono per la fruizione massima dei beni comuni.Perchè la gente dovrebbe fidarsi e quindi prenderli sul serio? Forse si possono azzardare alcune ipotesi. Intanto, si tratta di due personaggi fuori dall’establishment, anomali e non solo per l’età, ma per un certo stile di vita e modo d’essere: non appartengono alla categoria dei trasformisti, non inseguono alcun centro politico, entrambi hanno alle spalle una milizia politica chiara, precisa, non comunista, e soprattutto hanno il dono della coerenza. Poi, in quel che esprimono, non c’è un socialismo nè una socialdemocrazia generici, ma un particolare socialismo piu’ d’antan – cioè delle origini – che di oggi, più che riformista o progressita, riformatore e dai tratti rivoluzionario. Un certo socialismo rivoluzionario che ideato negli anni ’60 proprio in Italia fu subito cancellato per rincorrere il centro-sinistra che da allora è il massimo che la sinistra italiana ha prodotto. Molti giovani si sono uniti al Labour. Ora abbiamo quasi 600.000 membri. Durante la campagna elettorale, siamo stati in grado di contare sul sostegno dei giovani, e i segnali indicano che questo supporto è in crescita. Offriamo un’alternativa alla politica di austerità e lavoriamo con loro per la speranza di una vita migliore. Ciò implica un aumento delle tasse per le società più ricche e grandi. Ma questo porterà a una società più giusta ed equa, ha spiegato Corbyn dopo aver ricevuto il Peace Prinze a Ginevra. E da parte sua Sanders coerente con lo slogan abbiamo bisogno di un potente movimento di base degli americani che si alzano e dicono Adesso basta, ha bocciato il programma fiscale dell’amministrazione Trump in quanto prevede massicce riduzioni per milionari e miliardari e, di contro, l’aumento per studenti e classe media, nonchè tagli alla sanità e all’assistenza sanitaria per i piu’ deboli: dobbiamo ricostruire la classe media in via di estinzione e non fornire più agevolazioni fiscali ai più ricchi, i miliardari.  Insomma, c’è ancora tanto bisogno di Our revolution: quando siamo insieme non c’è nulla che non possiamo realizzare.   Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Legge elettorale: legali ricorso Rosatellum, conflitto ammissibile

ANSA 11 dicembre 2017 – 13:45 “Corpo elettorale è potere dello Stato“. Domani esame Consulta (ANSA) – ROMA, 11 DIC – “Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione” perche’ “la Costituzione italiana, e solo quella italiana, afferma che la sovranita’ appartiene, e non promana o discende, dal popolo” e, quindi, su questa base “il corpo elettorale e’ un potere dello Stato”. E’ questo il ragionamento che sostiene i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato presentati sul Rosatellum, che domani la Corte Costituzionale dovra’ esaminare per decidere se siano ammissibili. A ribadirlo in una conferenza stampa convocata alla Camera, gli avvocati Felice Besostri e Michele Ricciardi, gia’ promotori dei ricorsi contro l’Italicum e ora tra i legali che sostengono i ricorsi contro il Rosatellum, e l’avvocato Giuseppe Libutti, vice presidente di “Attuare la Costituzione”. Sull’Italicum erano stati dei tribunali ordinari ad attivare la questione di costituzionalita’. Questa volta la strada e’ diversa: un conflitto di attribuzione sollevato da parlamentari, che lamentano la compressione del proprio potere di voto a causa del ricorso del voto di fiducia per l’approvazione del Rosatellum. Una novita’ assoluta, un iter che “non va considerato sempre utilizzabile, ma che si giustifica con la particolarita’ della legge in gioco e i valori da tutelare”, spiega Libutti. E la decisione della Consulta, che domani dovra’ valutare proprio se il parlamentare o il gruppo parlamentare possano essere considerati poteri dello Stato e quindi se il conflitto sia ammissibile, “e’ uno snodo centrale per la giurisprudenza costituzionale e quindi per la nostra democrazia”, ha sottolineato Ricciardi. (ANSA). BOS 11-DIC-17 13:45 NNNN – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – ANSA Notiziario Nazionale, lunedì 11 dicembre 2017 L.elettorale:legali ricorso Rosatellum,conflitto ammissibile (2) L.elettorale:legali ricorso Rosatellum,conflitto ammissibile (2) (ANSA) – ROMA, 11 DIC – Al di là delle questioni procedurali sull’approvazione della legge, sono molti i rilievi mossi alle “ipocrisie” del Rosatellum. Nella legge – sostengono i legali – non c’è un premio di maggioranza, ma il premio è di fatto “nascosto” perché da una parte non è ammesso il voto disgiunto e dall’altra non è previsto lo scorporo che nel Mattarellum aveva lo scopo di non contare due volte il voto e di non produrre un effetto trascinamento del voto per la quota uninominale su quello per la quota proporzionale. Le liste corte di massimo 4 candidati, per come sono congeniate e per effetto delle altre misure previste nella legge, come le pluricandidature, sono secondo Besostri “una truffa”, perché c’è il rischio che si determino “liste incapienti, cioè con un numero di candidati insufficienti a coprire i posti previsti nel collegio, con la possibilità di ‘migrazioni’”. Dubbi anche sulle quote di genere, perché “se voglio far eleggere molti uomini, basta favorire le pluricandidature di donne che poi se elette in più collegi potranno essere dichiarate elette in uno solo”. (ANSA). BOS 11-DIC-17 16:03 NNN   – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – ADN Kronos, lunedì 11 dicembre 2017 L.ELETTORALE: PRESENTATO 4° CONFLITTO ATTRIBUZIONE SU ROSATELLUM = domani Consulta decide su ammissibilita’ di 3 ricorsi Roma, 11 dic. (AdnKronos) – Questa mattina, nel corso di una conferenza stampa alla Camera, è stato presentato il 4° ricorso per conflitto di attribuzione relativo alla “violazione degli articoli 3 e 48 della Costituzione ad opera della legge Rosato (n.165/2017)”, come “violazione del diritto del corpo elettorale come potere dello Stato-Comunità menomato nelle sue attribuzioni di votare in conformità a Costituzione”. “Si tratta di un ricorso inedito che si fonda sul fatto che la Costituzione italiana, e solo quella italiana – ha dichiarato l’avvocato Felice Besostri, coordinatore degli Avvocati Antitalikum – è l’unica in cui viene detto chiaramente che la sovranità, non discende ma, appartiene al popolo, e se uno esercita la sovranità deve essere un potere dello Stato”. Domani la Corte Costituzionale si riunirà in Camera di Consiglio per deliberare circa l’ammissibilità di 3 ricorsi per conflitto di attribuzione relativi all’iter di approvazione della legge elettorale e la questione di fiducia, promossi tra gli altri da Besostri e da parlamentari e loro gruppi. Due sono promossi contro l’approvazione con ricorso al voto di fiducia per la legge n. 52/2015 (Italicum) da 4 parlamentari e da un gruppo parlamentare della Camera dei deputati, il terzo ricorso da due gruppi parlamentari di Camera e Senato contro la procedura della terza legge elettorale, legge Rosato (n. 165/2017), promulgata dal Presidente della Repubblica successivamente al deposito del ricorso del 30 ottobre. (Pol/AdnKronos) ISSN 2465 – 1222 11-DIC-17 17:03 NNNN – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – AskaNews, lunedì 11 dicembre 2017 Consulta decide domani ammissibilità 3 ricorsi contro Rosatellum Roma, 11 dic. (askanews) – Domani la Corte Costituzionale si riunirà in Camera di Consiglio per deliberare circa l’ammissibilità di tre ricorsi per conflitto di attribuzione relativi all’iter di approvazione della legge elettorale e la questione di fiducia, promossi tra gli altri dall’Avvocato Felice Besostri, Coordinatore degli Avvocati Antitalikum e da Parlamentari e loro gruppi. Due sono promossi contro l’approvazione con ricorso al voto di fiducia per la legge n. 52/2015 (Italicum) da 4 Parlamentari e da un gruppo parlamentare della Camera dei Deputati, il terzo ricorso da due gruppi parlamentari di Camera e Senato contro la procedura della terza legge elettorale, Legge Rosato (n. 165/2017), promulgata dal Presidente della Repubblica successivamente al deposito del ricorso del 30 ottobre. Questa mattina nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati è stato presentato il quarto ricorso per conflitto di attribuzione relativo alla violazione degli artt. 3 e 48 della Costituzione ad opera della Legge Rosato (n.165/2017), come violazione del diritto del corpo …

FRANÇOIS MARIE CHARLES FOURIER

François Marie Charles Fourier (Besançon, 7 aprile 1772 – Parigi, 10 ottobre 1837) è stato un filosofo francese, che ispirò la fondazione della comunità socialista utopista chiamata La Reunion sorta presso l’attuale Dallas in Texas, oltre a diverse altre comunità negli Stati Uniti d’America (tra le quali ricordiamo Brook Farm, fondata nel 1841 vicino Boston e sciolta a seguito d’un incendio, nel 1849). Le radici del suo pensiero, che si può definire progressista se non rivoluzionario, sono da ricercarsi nell’Illuminismo e in particolare in Jean-Jacques Rousseau, soprattutto nel considerare la parità tra uomo e donna e nel nuovo metodo pedagogico, che dovrebbe favorire lo sviluppo libero e creativo dei bambini tramite la scoperta dei loro istinti individuali. Fourier pensava che lo sviluppo dell’umanità attraversasse sette stadi differenti. Egli affermava che l’umanità si trovava attualmente tra il quarto periodo (la barbarie) e il quinto (la civiltà). A questi periodi seguiranno, poi, il garantismo e l’armonia. L’antropologia fourierista immagina che gli uomini siano guidati da 12 passioni: Sensitive: vista, udito, tatto, gusto e odorato Cardinali o affettive: onore, amicizia, amore e familismo Distributive: cabalista (il gusto dell’intrigo), alternante o sfarfallante (il gusto per il cambiamento) e composita (la passione per l’esaltazione). Il pensiero di Fourier affermava che attenzione e cooperazione erano i segreti del successo sociale, e che una società i cui membri cooperassero realmente avrebbe potuto vedere un immenso miglioramento della propria produttività. I lavoratori sarebbero stati ricompensati per la loro opera secondo il loro contributo, con un bonus per chi avesse scelto un lavoro negletto dai più, come la nettezza urbana. Queste comunità, da lui denominate falangi, sarebbero state basate su strutture di abitazioni comuni chiamate falansteri. Fourier critica fortemente la società borghese capitalista del tempo, che è fallita perché il libero mercato non ha portato quel benessere che aveva promesso: il mondo capitalista ha ampliato il divario tra pochi che hanno molto e molti che hanno poco. Il capitalismo ha disumanizzato la società esasperando la competizione individuale e reintroducendo la schiavitù (lavoro minorile, alienazione etc…). Altro elemento negativo è la falsità dei prezzi: non li fa più il mondo del lavoro ma il mondo della finanza. La vita economica è falsificata in quanto il capitalismo bada esclusivamente alla finanza. Sul piano politico Fourier denuncia come il potere sia al servizio degli speculatori e le decisioni vengano imposte sulla pelle dei cittadini. Per avere un mondo diverso da quello a lui contemporaneo bisogna consentire all’individuo di recuperare i propri istinti e le proprie passioni. L’uomo non deve avere una sola partner e le donne devono poter avere più uomini, anche le donne devono godere di una loro sessualità (aspetti che facevano passare Fourier per un pornografo). In breve bisogna abbandonare sempre l’unidimensionalità. Per Fourier la società si deve strutturare per singole attività produttive (le falangi), chi lavora nella comunità di produzione (la falange appunto) vive nel falansterio; tutte le 1800 persone che costituiscono la falange devono continuamente cambiare occupazione per evitare l’alienazione; sono previste anche libertà e comunità sessuale tra i membri della falange. La famiglia monogamica viene superata e i bambini vengono allevati dall’intera comunità. Questo metodo privo di alienazione avrebbe dovuto condurre ad un aumento della produzione. Nel falansterio esistono comunque differenze sociali tra classi (povera, media, ricca), i poveri devono essere agevolati nell’acquisto di azioni del falansterio; le retribuzioni sono diseguali in quanto si articolano in dodicesimi: 5/12 per il lavoro compiuto, 4/12 per il capitale posseduto, 3/12 per il talento personale. Il povero dovrebbe diventare lentamente più ricco perché avendo più capitale (come detto è agevolato nell’acquisto di azioni) vedrebbe aumentare l’introito legato al possesso di azioni del suo salario. Il falansterio permette di superare l’individualismo in quanto i suoi componenti sono tutti uguali e se progrediscono progredisce tutto il falansterio. La politica viene riassorbita dall’organizzazione del lavoro. L’organizzazione complessiva del falansterio porterà al mondo dell’armonia: una società felice di uomini liberi e uguali (non privati comunque di una differenziazione meritocratica). Tutto ciò non avverrà con metodi rivoluzionari ma per imitazione del modello proposto. Fourier si professava un cristiano, come gran parte dei suoi “discepoli“. Nel suo Noveau Monde Industriel, cita largamente il Vangelo per confermare i suoi principi. Nella sua utopia non è chiesta una nuova religione, ma una filosofia pratica di Cristianesimo; “una comprensione migliore e una pratica migliore dei principi della religione rivelata”. Le idee di Fourier trovarono numerosi seguaci: fra loro si può anche citare il patriota italiano Piero Maroncelli, che giunse a Parigi da Forlì nel 1832, dopo il fallimento dei moti del 1830-1831. Le soluzioni abitative socializzanti suggerite da Charles Fourier sono state riprese per inconsapevole adesione nell’urbanistica e architettura del quartiere Paolo VI di Taranto, destinato ad accogliere la manodopera delle acciaierie e delle raffinerie che hanno popolato l’antica città. Ad esaltare la forza pedagogica a vivere la vita della comunità, i falansteri tarantini sono stati isolati e separati da ampie zone di verde. Le distanze tra i lotti (questa la denominazione sociologica dei falansteri di Taranto) erano superabili con facilità nel periodo del petrolio a basso costo senza la prospettiva reale e nella speranza di servizi pubblici di mobilità efficienti e a prezzo contenuto ed equo. Attualmente, la connessione tra gli abitati è diventata di impossibile gestione. Nell’ambito dei falansteri progettati per una società collettivistica, non è sorto uno spirito comunitario, sicché l’individuo vive ignorato dagli altri, e ignorandoli lui stesso. Da segnalare anche la vicenda della colonia Cecilia, un esperimento di convivenza libertaria che si tenne nel Brasile di fine XIX secolo su iniziativa dell’anarchico pisano Giovanni Rossi, influenzato, tra gli altri, anche dalle letture dei testi utopistici di Fourier. Sulla base delle sue teorie è stato costruito il vecchio borgo di Campomaggiore perfettamente a scacchiera, con la chiesa e il palazzo baronale, uno di fronte all’altro ai lati della grande piazza, e con l’idea di programmare e attrezzare il borgo per ospitare un preciso numero di abitanti (circa 1600) in un sistema di convivenza utopistica.   Per approfondire: Charles Fourier, Il nuovo mondo industriale e …

ALESSANDRO ORSINI, “GRAMSCI E TURATI. LE DUE SINISTRE”, Rubbettino

Questo libro si propone di ricostruire i modelli pedagogici alla base delle due principali culture politiche della sinistra, rappresentate da Gramsci e da Turati. Mentre moriva in esilio, Filippo Turati era descritto da Palmiro Togliatti come un uomo spregevole. La sua figura, ricoperta di discredito, è rimasta nell’ombra. Antonio Gramsci, invece, è stato celebrato come uno dei padri nobili della sinistra democratica italiana. La sua riflessione è stata paragonata da Benedetto Croce a un messaggio pedagogico universale di amore e di comprensione verso le ragioni degli avversari. La documentazione esistente è in grado di confermare il giudizio del senso comune e della storiografia dominante? Gramsci educò a rispettare o a disprezzare gli avversari politici? È stato un teorico della pedagogia della tolleranza o dell’intolleranza? Ha tessuto l’elogio dell’ascolto o dell’insulto? E Turati? È stato davvero uno “zero” in fatto di teoria politica, come scrisse Togliatti? Attraverso il metodo dell’analisi culturale comparata, l’autore esplora l’intera opera gramsciana, ponendo a confronto il progetto educativo dei riformisti con quello dei rivoluzionari.   Gramsci                                           /  Turati 1 Chiusura alle idee dell’“altro”      1 Educazione al dialogo 2 Disprezzo degli avversari              2 Rispetto degli avversari 3 Elogio dell’insulto                          3 Condanna dell’insulto 4 Celebrazione della violenza         4 Rifiuto della violenza 5 Intolleranza                                    5 Tolleranza 6 Attacco personale                         6 Rifiuto dell’attacco personale 7 Principio di Autorità                      7 Libertà di critica 8 Sottomissione all’ortodossia       8 Diritto all’eresia di Partito 9 Culto di Lenin                                 9 Rifiuto della cultura leninista 10 Dittatura del partito unico      10 Pluralismo dei partiti SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“TURATIANA”

di Palmiro Togliatti Queste note (non firmate sulla rivista ma stese di pugno da Togliatti) sono la introduzione a una raccolta di “fatti” e documenti su Filippo Turati pubblicati nel 1932, su “Lo stato operaio”, la rivista teorica del PCI, nella rubrica “per la storia del movimento operaio”. Turati, morto esule e poverissimo in Francia, viene descritto come un capo socialista “fra i più disonesti”, tra “i più corrotti dall’opportunismo”, “veicolo” continuo di corruzione parlamentare. In tutto quello che la stampa socialdemocratica ha detto su Filippo Turati, sulla sua vita e sulle sue opere, e, particolarmente, nella leggenda che essa mette in giro, secondo la quale Turati sarebbe il capo, il maestro, il messia del movimento operaio e della lotta di classe in Italia, vi è solamente questo di vero: che nella persona e nella attività di Turati si sommarono e toccarono una espressione completa di tutti gli elementi negativi, tutte le tare, tutti i difetti che sin dalle origini viziarono e corruppero il movimento socialista italiano, che lo fecero deviare dagli obiettivi rivoluzionari del movimento operaio, che lo condannarono al disastro, al fallimento, alla rovina. Per questo la sua vita può ben essere presa come un simbolo, e come un simbolo è la insegna del tradimento e del fallimento. Tradimento degli interessi, delle aspirazioni, degli ideali di classe del proletariato. Una vita intera spesa per cercar di fare argine alla lotta di classe rivoluzionaria e al suo corso inesorabile, per tentar di porre un freno allo sviluppo della azione autonoma della classe operaia per la propria emancipazione. Una intera vita politica spesa per servire i nemici di classe del proletariato, per servirli nel seno stesso del movimento operaio. E, alla fine, il benservito da parte dei borghesi nella forma della eliminazione dalla vita politica del paese, nella forma della violenza e dello scherno. Tutta la vita per dare scacco alla rivoluzione, per preservare l’ordine, la tranquillità, la pacifica esistenza del capitalismo e delle sue istituzioni, e, alla fine, la impotenza pietosa, querula, dell’esilio. L’apparenza è quella di un destino tragico. La sostanza è quella di un fallimento. In realtà se è vero che noi, Partito comunista, considerandoci gli eredi e i continuatori di tutto ciò che di sano e di vitale vi fu anche nelle correnti non rivoluzionarie del movimento operaio, possiamo trovare nella vita di alcuni tra i vecchi capi socialisti italiani dei motivi, degli elementi, di cui ci piace considerarci e di cui siamo i continuatori, è ben vero però che nella attività di Filippo Turati siffatti motivi ed elementi ci è impossibile trovarli. Nella teoria Turati fu uno zero. Quel poco di marxismo contraffatto che si trova nei primi anni della Critica sociale non fu dovuto a lui. Dei vecchi capi riformisti egli fu il più lontano dal marxismo, più lontano persino di Camillo Prampolini. Questa lontananza dal marxismo appare molto più evidente in lui che negli altri, che avevano meno pretese. Nemmeno è esatto dire che egli sia stato un marxista revisionista, perché nei revisionisti vi era stata, dimeno inizialmente, una certa adesione al marxismo, che in lui non vi fu mai, e perché buona parte dei revisionisti, per arrivare a dare delle interpretazioni aberranti del pensiero scientifico e politico di Carlo Marx, ne avevano almeno studiate le opere, cosa che è discutibile se Turati avesse mai fatto. Del marxismo egli ignorò sempre la precisione dei concetti e delle leggi, il rigore dei ragionamenti, la intransigenza ideologica. Nei suoi scritti e nei suoi discorsi è affienissimo trovare un concetto del marxismo il quale non sia tarpato, snaturato, deturpato da ogni sorta di limitazione, di contaminazione con ideologie opposte e nemiche, di critiche aperte o nascoste, di enorme stupidità letteraria. Il suo stile stesso, dove cerca di avvicinarsi alla semplicità lapidaria e alla densità di pensiero dello stile di Marx, riesce una parodia dell’originale. Le famose frasi lapidarie di Filippo Turati, quelle con le quali egli fece fortuna nei congressi sodanti, davanti a quel pubblico di brava gente ignara e di birbe e furbi matricolati, sono dei motti di spirito non sempre geniali, dei trucchi ideologici grossolani, dei giochi di parole, delle banalità, delle cose senza senso alcuno. Dei suoi famosi discorsi, il miglior giudizio venne dato, in forma molto popolare e incisiva, da Costantino Lazzari, al Congresso del Partito socialista, a Milano, nel 1921: “C’è dentro un caos tale, che si resta sbalorditi“. Intellettualmente la miglior cosa che si possa dire di Turati è che egli fu un intellettuale italiano di media levatura, con i difetti marcati di questa categoria. Un rètore sentimentale, tinto di scetticismo, e per questo, nelle apparenze, un ribelle. Il brutto e che egli non voleva fare della letteratura, ma della politica. Il punto di partenza della attività politica di Turati deve essere cercato nella incomprensione e negazione della parte che spettava e spetta al proletariato nella società capitalistica italiana, come forza motrice e dirigente della rivoluzione. Il punto di partenza, cioè, è nettamente opposto al marxismo. Il vecchio Federico Engels, in alcune cose scritte negli ultimi anni della sua vita, avvertiva e denunciava l’errore e ammoniva che la rivoluzione italiana non poteva essere che una rivoluzione proletaria e socialista, nel radicale senso che Marx dava a questa parola. Per Turati e per la Critica sociale la questione non si pose mai così, ma si pose sempre solamente nel senso di una trasformazione delle istituzioni politiche borghesi, di una attenuazione delle più flagranti ingiustizie sociali, di una maggiore libertà ed equità, e di una eliminazione, per questa via, dei contrasti di classe. Il programma di una borghesia illuminata. Lo spirito che animava Turati nella lotta contro la oppressione e la ingiustizia sociale appare anzi persino come uno spirito conservatore, come lo spirito di chi vuole far sparire le ingiustizie sociali, perché vede e teme che da esse finirà per sorgere, per la reazione delle masse, un moto rivoluzionario, il sovvertimento dell’ordine. Un disegno che ritrae Palmiro Togliatti Nei suoi discorsi al Parlamento le affermazioni in questo senso ritornano ad ogni …

FASCISMO OGGI

di Maria G. Vitali-Volant Io penso che si stiano passando i limiti di un serio confronto democratico e da ogni parte intravvedo odio e strumentalizzazioni Questo non giova al nostro paese così fragile e che si dibatte con problemi come la povertà, la disoccupazione, l’aggerssività, il disamore per la politica vera, per il nostro passato etc. Etc. Penso che si debba ammettere di stare vivendo un periodo “sopra le righe”. I sospetti ci mangiano lo spirito, i colpi bassi e volgari ci avvelenano l’esitenza. I rapporti statistici però ci sbattono in faccia la realtà. Come ne usciremo? Ci sono tanti colpevoli che non vogliono fare passi indietro, che sono sempre sulla scena costi quel che costi etc. Questi rigurgiti fascisti sono la radicalizzazione semplificata della situazione. Io sarei andata alla manifestazione di Como se fossi stata in quel posto, anche ribollendo contro chi ha il potere di cambiare le cose e non lo fa per egoismo e rabbia cieca. Questo so e mi dispiace assistere a questo spettacolo di distruzione della politica. Riflettiamo e apriamo al dialogo, sempre. Guardate, anche con quegli 11 figuri che non conosciamo. Restare seduti a guardare non serve, forse bisognava dire loro: Sedetevi e parliamo. Forse sbaglio ma non sono per le chiusure. Ma questo “fascismo” non è quello di un tempo, sta a noi capire cosa sia e da dove viene e come agisce: colluso con la mafia, colluso con il FN francese e con altri…Chi c’è dietro? Non gli stessi di un tempo o forse si? Bisogna opporre all’orrore la ragione e ascoltare, vedere con la ragione, come diceva L. Strauss. Pensa ad Ostia. la conoscete? Un orrore, un disagio lugubre e non solo a Ostia ma anche altrove. Ci sono le leggi, c’è la coscienza democratica, ci sono le armi per combattere legalmente e socialmente tutto questo. L’articolo 1 della Costituzione amata, è stato rispettato? Come? Da chi? Ora siamo noi in prima linea, non come allora. Non facciamo sbagli, la storia insegna. Si insiste molto sull’età dei “fascisti” di oggi. A ragione. Come e dove sono cresciuti? Chi li ha aiutati a capire? La “Buona scuola” in senso lato? la “Buona università” la società dei consumi e dell’indifferenza? Mia nipote pure è di destra, non fascista o neo fascista ma di destra; non lo sa. Quando timidamente, perché solo così si puo’ parlare in questo momento, glielo dico, si arrabbia. E’ convinta di essere di sinistra. Ci sono giovani al governo che sono così, dicono, proclamano buone intenzioni e poi fanno cose orribili con l’arroganza dell’ignoranza e della scaltrezza stupida. Chi ha dato loro il consenso? Si dice: è l’effetto del postmoderno. Sarebbe? Achille Benito Oliva al TG3 ha detto che si tratta di frammentazione. Ha ragione, di fine della cronologia. Questo è successo, ma se guardi indietro in questi anni trovi tanti giovani cosi’ che hanno sfasciato il nostro paese e dei burattinai anzianotti e rifatti che tirano le fila. Dove? Nei centri di potere e ce ne sono. Questa lotta senza quartiere la stanno portando avanti dal ’68 forse perché si sono messi paura. Quest’anno che finisce è il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, sto studiando in questi giorni il bellissimo libro di Franco Venturi sul Populismo russo (quello vero) si possono capire tante cose. Chi ha mai parlato di questo a mia nipote? La scuola, la sua famiglia? No, un pò io, ma poi c’erano da comprare le scarpe firmate, le borse di Vuitton le altre “cose” e non c’era tempo. Ci sono anche esempi in positivo. Ma non tanti. Guardiamoci dentro le mura di casa! Ecco questa è un pò della variegata realtà che vivono le classi medie. I gran borghesi? Manco a parlarne, loro si stanno fregando le mani, stanno guadagando sempre più. Fascisti e neo fascisti sono, come diceva Mattei, un autobus DA USARE al momento opportuno. (ATTENZIONE PERO’ CHE LA BESTIA E’ AFFAMATA e Mattei lo hanno ucciso). Tutto questo per abbattere i diritti che migliaia di morti, di eroi si sono guadagnati e si guadagnano ogni giorno (vedi Tyssen ). Sapevate che a Torino nel 1917 c’é stata una rivolta operaia per il pane? Ebbene, lì sono morti e morte donne e uomini per difendere i loro diritti. Questo è il succo della nostra Costituzione benemerita, difendere i più deboli, i più fragili chè quando lo fanno loro si scatenano le Furie, quelle che oggi si stanno preparando, nel mondo, a rientrare in pista. Si dice che gli M5S strizzano gli occhi anche verso l’estrema destra. Non voglio polemizzare però voi sapete come me che in questo momento gli oculisti stanno lavorando giorno e notte. Anche io sento lo stomaco rivoltarsi e non solo. Credo che noi cittadini ci stiamo lasciando usare e trattare da cretini. Non lo siamo! Dobbiamo renderci conto che avremo un governo balordo e grazie a questa legge elettorale che strizzando pance e occhi quasi tutti hanno voluto. Però io andro’ votare, solo che in questo momento mi dondolo su un’altalena, in basso: lo strapiombo! Chi e cosa ci hanno portato a questo? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL DIFETTO FATALE DEL NEOLIBERISMO: E’ UN MODELLO ECONOMICO SCADENTE

Il difetto fondamentale del neoliberalismo – o neoliberismo, come siamo abituati a chiamarlo in Italia – non è che è cinico, egoista, arido e privo di ideali. È proprio che tradisce l’economia, nella convinzione ideologica di possedere l’unica ricetta buona per lo sviluppo, da applicare uguale dappertutto. Con numerosi esempi il celebre economista Dani Rodrik dimostra sul Guardian che questa è una distorsione delle corrette idee economiche mainstream e che dove è stata applicata ha portato ad autentici disastri. Mentre un ricorso ai princìpi dell’economia di mercato graduale, temperato e adeguato alle esigenze dei singoli paesi è alla base dei grandi sviluppi economici dell’ultimo secolo. Il problema dei neoliberisti non è tanto che sono cattivi, insomma: è più che non capiscono l’economia. di Dani Rodrik Il neoliberismo e le sue ricette usuali – sempre più mercato, sempre meno Stato – di fatto sono una distorsione della scienza economica tradizionale. Come anche i suoi critici più severi ammettono, il neoliberismo è difficile da definire. In termini generali, denota una preferenza per i mercati rispetto allo Stato, per gli incentivi economici rispetto alle regole culturali e per l’imprenditoria privata rispetto all’azione collettiva. È stato usato per descrivere una vasta gamma di fenomeni – da Augusto Pinochet a Margaret Thatcher e Ronald Reagan, dai Democratici di Clinton e del New Labour nel Regno Unito all’apertura dell’economia in Cina alla riforma dello stato sociale in Svezia. Il termine è usato come una sorta di passepartout per indicare tutto ciò che sa di deregolamentazione, liberalizzazione, privatizzazione o austerità di bilancio pubblico. Oggi è regolarmente vituperato come epitome delle idee e pratiche che hanno prodotto insicurezza economica e disuguaglianza crescenti, hanno portato alla perdita dei nostri valori e ideali politici, e addirittura hanno fatto precipitare la reazione populista. Viviamo nell’epoca del neoliberismo, a quanto pare. Ma chi sono i seguaci e i divulgatori del neoliberismo – i neoliberali stessi? Stranamente, per trovare qualcuno che sposi esplicitamente il neoliberismo bisogna tornare parecchio indietro nel tempo. Nel 1982, Charles Peters, l’editore storico della rivista politica Washington Monthly, pubblicò un saggio intitolato A Neo-Liberal’s Manifesto. Trentacinque anni dopo è una lettura interessante, dal momento che il neoliberismo che descrive ha ben poco in comune con l’oggetto della odierna esecrazione. I politici che Peters nomina come esemplificatori del movimento non sono del tipo Thatcher o Reagan, ma piuttosto liberal – nel senso americano del termine – che, disillusi dai sindacati e dal grande governo, hanno abbandonato i loro pregiudizi contro i mercati e le forze armate. L’uso del termine “neoliberale” è esploso negli anni 90, strettamente associato a due fenomeni, nessuno dei quali era stato menzionato nell’articolo di Peters. Il primo è la deregolamentazione finanziaria, che sarebbe culminata nel crollo finanziario del 2008 e nell’ancora in atto crisi dell’euro. Il secondo è la globalizzazione economica, che ha subìto una forte accelerazione a causa della libertà di circolazione dei flussi di capitali e a un nuovo e più ambizioso tipo di trattati commerciali. La finanziarizzazione e la globalizzazione sono diventate le manifestazioni più evidenti del neoliberismo nel mondo di oggi. Il fatto che il neoliberismo sia un concetto scivoloso e mutevole, privo di una esplicita lobby di difensori, non significa però che sia irrilevante o irreale. Chi può negare che dagli anni 80 in poi il mondo abbia sperimentato uno spostamento decisivo verso i mercati? O che i leader politici di centrosinistra – i Democratici negli Stati Uniti, i socialisti e i socialdemocratici in Europa – abbiano sposato con entusiasmo alcuni dei dogmi fondamentali del thatcherismo e del reaganismo, come la deregolamentazione, la privatizzazione, la liberalizzazione finanziaria e l’impresa individuale? Gran parte della nostra discussione politica contemporanea è imbevuta di principi che si possono considerare fondati sul concetto di homo economicus, l’essere umano perfettamente razionale, presente in molte teorie economiche, che persegue sempre il proprio interesse personale. Ma l’indeterminatezza del termine neoliberismo significa anche che le critiche che gli sono rivolte spesso non centrano il bersaglio. Non c’è niente che non va nei mercati, nell’imprenditoria privata o negli incentivi – quando sono dispiegati nel modo giusto. Il loro uso creativo è alla base dei risultati economici più significativi del nostro tempo. Disprezzando il neoliberismo, rischiamo di buttare via anche alcune delle sue idee utili. Il vero problema è che l’economia mainstream sconfina troppo facilmente nell’ideologia, limitando le scelte che abbiamo di fronte e proponendo soluzioni fatte con lo stampino. Una corretta comprensione del pensiero economico che si cela dietro al neoliberismo ci permettere di identificarne – e di respingerne – l’ideologia, quando si traveste da scienza economica. Soprattutto, ci aiuta a sviluppare l’immaginazione nel creare nuove istituzioni, qualcosa di cui abbiamo disperatamente bisogno per ridisegnare il capitalismo per il XXI secolo. Il neoliberismo, tipicamente, è considerato fondato sui princìpi chiave della scienza economica tradizionale. Per identificare questi princìpi al di là dell’ideologia, proviamo a fare un esperimento mentale. Immaginiamo che un noto e stimato economista approdi in un paese che non ha mai visitato e di cui non sa nulla. Qui ne incontra i principali responsabili politici. “Il nostro paese è nei guai”, gli dicono. “L’economia è stagnante, gli investimenti sono bassi e non c’è in vista alcuna crescita.” Si rivolgono a lui, pieni di aspettative: “Per favore, ci dica cosa dovremmo fare per far crescere la nostra economia”. Tony Blair e Bill Clinton: politici di centro-sinistra che hanno adottato con entusiasmo alcuni dei dogmi fondamentali del thatcherismo e del reaganismo. Fotografia: Reuters L’economista fa appello alla sua ignoranza e spiega che sa troppo poco del paese per formulare raccomandazioni. Dovrebbe studiare la storia dell’economia, analizzare le statistiche e viaggiare in tutto il paese prima di poter dire qualcosa. Ma i suoi ospiti insistono. “Capiamo le sue reticenze e avremmo tanto desiderato che lei avesse avuto il tempo per farlo”, gli dicono. “Ma l’economia non è una scienza, e lei non è uno dei suoi più illustri cultori? Anche se non sa molto della nostra economia, sicuramente ci sono teorie e prescrizioni generali che può condividere con noi, per guidare …

IL LIBRO DI GIULIANO SUL SOCIALISMO

Il libro di Roberto Giuliano nasce da una ricerca operata tramite Facebook, nella quale si chiede ai propri amici cosa intendono o cosa evoca loro la parola socialismo. Dalle risposte avute (97) si analizza il contenuto delle varie riflessioni cercando di valutarne il senso in chiave politica e anche psicologica. “Questo mi ha permesso – spiega l’autore – di fare una analisi di ampio respiro su cos’è il socialismo in chiave storica e sociologica nelle aspettative profonde delle persone. La stessa parola ha sempre sottinteso concetti e valori a volte in profonda antitesi. Certamente l’aspetto più complesso è la visione ideologica del termine socialista, che determina aspettative messianiche se non religiose; si è cercato di posizionare il socialismo all’interno di una visione valoriale, alternativa all’ideologia. Il socialismo liberale è quello che viene proposto come idea-guida di un socialismo per il terzo millennio. Nel libro viene allegata una breve sintesi dei movimenti politici e dei personaggi più significativi della storia del movimento socialista e operaio, allo scopo di dare degli spunti a chi, giovane, si vuole avvicinare alla problematica ideale del socialismo. Per alcuni aspetti vuole essere un tentativo, non so se riuscito, di rilanciare verso le nuove generazioni una idea vecchia e giovane, che è il socialismo riformista; inoltre la possibilità che anche in Italia si crei un movimento socialista liberale e libertario. Lo stesso titolo vuole essere una sana provocazione a quelle visioni apocalittiche e totalitarie che vivono l’impegno politico come sofferenza e dolore. La vita è un inno alla gioia anche se non ne conosciamo il senso, la gioia e l’allegria che non escludono il senso di responsabilità e di dovere verso sé e i propri simili. Così lottare per il benessere è fatto certamente di rinunce – conclude Roberto Giuliano – rischi e sconfitte ma sono accompagnate dall’ottimismo di operare, dando un senso alla nostra vita, anche nei confronti di coloro che democraticamente sono contrari alla nostra idea”. La prefazione è di Gianni De Michelis e l’introduzione di Duccio Trombadori inoltre ci sono allegate due interviste: una ad un ex segretario della Uil Confederale e l’altra al presidente dell’Unione Coltivatori Italiani. Questo perché ritengo che non possa esistere un movimento socialista che, nonostante l’evoluzione della società, non interloquisca con il mondo del lavoro sia industriale, impiegatizio che contadino. Fonte: opinione.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE SI AFFACCIA SULLA SCENA POLITICA NAZIONALE

Ne dovette prendere atto lo stesso Engels, il quale nella sua introduzione a Le lotte di classe in Francia – opportunamente e tempestivamente pubblicata in Italia da “Critica Sociale” – così scriveva: “Quando Bismarck si vide costretto ad introdurre questo diritto di voto (il suffragio universale) come unico mezzo per interessare le masse popolari ai suoi piani, i nostri operai immediatamente presero la cosa sul serio. E da quel giorno essi hanno utilizzato il diritto di voto in modo che ha loro recato vantaggi infiniti e che è servito da esempio agli operai di tutti i paesi“. Gli operai Italiani non furono, in questo, diversi e non si comportarono diversamente. Il Partito operaio aveva colto al volo questa occasione, che non soltanto arrecò notevoli vantaggi alla classe in termini economici e sociali, ma divenne presto un canale di politicizzazione di tutto il movimento dei lavoratori, preparando il passaggio da quella situazione essenzialmente corporativa, in cui s’era collocato agli albori della sua autorganizzazione, a una situazione che preparava l’avvento della forma-partito quale nuovo soggetto della propria autonoma rappresentanza. Il punto di svolta dell’evoluzione politica del proletariato italiano era segnato, così, da un’altra decisione presa da questo partito: partecipare alle competizioni elettorali, distinguendosi così dalle tesi antilegalitarie degli anarchici e dimostrando una precisa volontà di corrispondere ad un’esigenza di rappresentanza degli interessi dei lavoratori manuali nell’ambito delle istituzioni del nuovo Stato unitario. L’occasione era data al Partito operaio dalla concomitanza della promulgazione della nuova legge elettorale, proprio nel 1882, grazie alla quale il diritto di voto veniva esteso a molti altri cittadini in larga misura lavoratori manuali. Con la legge del 24 settembre di quell’anno, infatti, gli elettori salirono da 621.896 a 2.017.829, vale a dire il 6,9 per cento della popolazione. E mutò anche la qualità del corpo elettorale, perché gli elettori iscritti per censo scesero dall’80 per cento del corpo elettorale, come era prima della nuova legge, al 34,7. La riforma era dovuta soprattutto ad Agostino Depretis, e fu un’iniziativa che, nel bilancio generale del fenomeno del “trasformismo“, va senz’altro iscritta tra le poche partite attive. Il Partito operaio aveva saputo cogliere quest’occasione diversificando nettamente la sua posizione da quella degli anarchici, che continuarono a mantenere la loro pregiudiziale negativa nei confronti di qualsiasi impegno elettorale: e questa decisione fu segno di notevole intelligenza politica, perché contribuì non poco a favorire l’evoluzione legalitaria del movimento dei lavoratori in Italia, tanto più che si andavano preparando situazioni di scontro e repressione sociale che avrebbe potuto determinare orientamenti dei lavoratori in senso opposto. Se l’influenza mazziniana andò indebolendosi, non altrettanto però avvenne per il movimento anarchico. Nonostante la crisi successiva al 1879, dopo il fallimento dei moti di Bologna e di Benevento, l’allontanamento dal movimento di Andrea Costa e le nuove posizioni assunte dallo stesso Cafiero, la predicazione bakuniana, pur perdendo larghe zone di seguaci, aveva mantenuto una sua forza, specie nelle regioni meridionali e nelle aree agrarie dell’Emilia Romagna, della stessa Lombardia e del Veneto. La crisi cerealicola di quegli anni rendeva più esasperante la condizione di vita dei contadini, provocava scioperi e lotte, che però inducevano i lavoratori delle campagne ad autorganizzarsi e a formare leghe e cooperative: cioè quelle strutture che con il loro comporsi li aiuteranno ad uscire dall’isolamento individuale e a far prevalere le forme di una lotta organizzata su quelle dettate da un comprensibile sentimento di ribellione, individuale o di gruppo. Il segnale più eloquente di questa evoluzione fu dato, come è noto, da Andrea Costa che, trascorso dall’anarchismo al socialismo, aveva invitato gli anarchici delle sue terre, con la lettera Agli amici di Romagna, a uscire dall’utopia e a entrare nella realtà delle condizioni economiche. Costa fonda nel 1881 il settimanale “Avanti!” per propugnare le sue nuove idee e il Partito socialista rivoluzionario di Romagna, presentandosi alle elezioni in Parlamento, ottenendo nel 1882 il mandato. Era il primo deputato socialista, dieci anni prima della costituzione del partito. Poiché la nostra indagine ha per oggetto il Partito socialista italiano, non ci soffermiamo ulteriormente sul periodo, che pure è di grande interesse storico, precedente la sua formazione. Abbiamo ritenuto opportuno richiamare quelle linee e quei fatti che sono essenziali a individuare il processo sociale e politico che conduce alla formazione del partito. Da tutto ciò che abbiamo innanzi ricapitolato, si possono far emergere i tratti salienti della vicenda, tutt’altro che semplice, della costituzione del partito. Tre erano le correnti ideali ed organizzative presenti a Genova. Quella anarchica, dalla quale, come abbiamo visto, s’erano distaccati molti dei suoi protagonisti, ma che manteneva ancora una forte influenza nel mondo contadino. Quella operaistica-corporativa, espressione del proletariato delle fabbriche, che pur nel suo rigore classista, aveva avviato la politicizzazione del movimento, comprendendo l’importanza della partecipazione alle battaglie elettorali. Quella, infine, degli intellettuali socialisti, a grande maggioranza di orientamento marxista, la cui punta di diamante era costituita dal gruppo della “Critica Sociale” di Milano, mentre a Roma viveva e insegnava, in una posizione critica, sostanzialmente isolata, Antonio Labriola. Ma né Costa, né Labriola presenziarono al congresso. Il Partito operaio era sorto sul presupposto che “gli operai non solo potevano, ma dovevano fare a meno della collaborazione degli intellettuali, anche se compagni di fede“, per cui la fondazione di questo partito era stata la “rivincita del grosso buonsenso operaio contro quelle che a molti sembravano essere le elucubrazioni di cervelli o sopraffini, o per lo meno sognatori ed utopistici“. Nel 1882 la costituzione del partito delle “mani callose” era stata determinata tra l’altro dalla “disistima nella quale l’azione dei socialisti intellettuali era caduta, specie dopo il misero fallimento dei tentativi insurrezionali, presso le masse lavoratrici“. Ma dopo la costituzione del Partito operaio, e forse grazie ad essa, era avvenuto che mentre gli anarchici persistevano nelle loro idee sostanzialmente antilegalitarie e ostili a qualsiasi partecipazione elettorale, i “socialisti intellettuali“, invece, abbandonavano ogni sogno insurrezionale, cercavano e in parte riuscivano a radicarsi nel movimento popolare, impegnandosi nelle battaglie sui problemi concreti del mondo del lavoro e partecipando anch’essi, in piena autonomia rispetto agli operaisti, …