IL FONDO CONTRIBUENTI

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Rileggendo i testi di Mariana Mazzucato, nella mia vacanza sul lago di Como, ho scoperto che la mia ormai routinaria proposta per cui i sussidi a fondo perduto erogati alle imprese dovrebbero invece essere erogati a fronte di partecipazioni azionarie nelle imprese beneficiate da intestare ad un “Fondo contribuenti”, era già stata avanzata dall’economista docente di Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’University College di Londra. La mia proposta è basata sulla semplice considerazione che i sussidi erogati alle imprese altro non sono che una forma di finanziamento simile a quello che fanno i privati quando aumentano il capitale sociale di una impresa per rafforzarla e/o per darle la possibilità di iniziare nuove attività. L’aumento del capitale sociale comporta l’emissione di azioni, la partecipazione alle assemblee societarie con un voto che, avendone i numeri, può portare all’elezione di consiglieri di amministrazione. Cosa abbiano di diverso, i fondi erogati dallo stato dai finanziamenti fatti dai privati, non riesco a capirlo. Non riesco a capire perché i sussidi erogati non siano trattati come un qualsiasi aumento di capitale con contestuale emissione di azioni, perché questi sussidi non godano degli stessi diritti di cui godono gli investimenti privati in termini di dividendi, partecipazione agli utili e alle decisioni societarie. Si attuerebbe, con la mia proposta, una partecipazione alla gestione delle imprese, in grado di orientare le decisioni aziendale sia per quanto riguarda il berlingueriano “cosa e come produrre”, sia per quel che riguarda le delocalizzazioni che l’innovazione tecnologica. Ma c’è di più. I sussidi a fondo perduto, nel meccanismo attuale, non vanno ad aumentare il capitale sociale ma vanno a costituire una componente positiva di reddito intassata. Ciò aumenta l’utile societario distribuibile e quindi può essere attribuito, con la distribuzione dei dividendi, ai capitalisti cancellando quindi il rafforzamento finanziario dell’impresa; tenendo conto poi che i sussidi sono finanziati dai contribuenti, si registra alla fine un trasferimento netto dai contribuenti ai capitalisti. Se invece si adottasse la mia proposta le azioni andrebbero intestate ad un Fondo contribuenti, ovvero ai veri finanziatori. Tengo molto al concetto di un Fondo contribuenti, perché esso deve essere gestito dai contribuenti e non dallo stato (ovvero dal governo) che, a seconda delle maggioranze politiche, potrebbe avere finalità diverse da quelle dei contribuenti. Naturalmente l’organismo gestionale del Fondo deve rappresentare la composizione dei contribuenti; come prima proposta il consiglio di amministrazione potrebbe rispecchiare la rappresentanza di ciascuna natura di contribuenti in proporzione al gettito fiscale di ciascun aggregato: lavoratori e pensionati, lavoratori autonomi, imprese, renditieri. Ma veniamo alle pagine che Mariana Mazzucato ha scritto nel suo volume “Missione economia” con l’avvertenza che la Mazzucato scrive avendo in mente quello “stato innovatore” che non è presente nella realtà attuale in quanto la filosofia oggi dominante vede lo stato come solo rimedio ai fallimenti dei mercati, cui è proibito qualsiasi intervento che condizioni le scelte del capitale. “Se gli organismi pubblici devono assorbire alti rischi tecnologici e di mercato, è lecito aspettarsi che i frutti di una finanza pubblica efficiente vengano messi al servizio dei contribuenti e forniscano una base logica per la socializzazione dei benefici finanziari ottenuti. Si può procedere al riguardo in vari modi. Uno è quello di farlo direttamente attraverso un fondo patrimoniale pubblico, costituito dai rendimenti dell’attività finanziata dallo Stato o dalla partecipazione azionaria in società che beneficiano di investimenti pubblici. I rendimenti di tali attività possono essere distribuiti attraverso un dividendo di cittadinanza”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA FLAT TAX PROGRESSIVA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | La legge delega approvata ieri dal parlamento, per quanto riguarda l’IRPEF, prevede la riduzione da quattro a tre scaglioni con l’obiettivo di arrivare ad una aliquota unica nel rispetto della progressività richiesta dall’art. 53 della Costituzione. Precisiamo, innanzitutto, che la progressività riguarda solo i lavoratori dipendenti, i pensionati e, per ora, gli autonomi con fatturato superiore agli 85.000€; tutti gli altri redditi sono e continuano ad essere tassati con sistema proporzionale e non progressivo. Ieri sera, a In onda, Ferruccio De Bortoli faceva notare che tendere ad una aliquota unica nel rispetto della progressività è un ossimoro, ed anzi ci sarebbero seri dubbi di infrazione della costituzione. In effetti la cosa è strana, ma vi dimostrerò che la flat tax progressiva non è una contraddizione in termini ma una presa in giro dei contribuenti lavoratori e pensionati. Vediamo allora, per tre livelli di reddito (15.000, 50.000 e 100.000 €) come funziona oggi, a quattro scaglioni, la imposizione progressiva: Scaglioni 15000 50000 100000 Da A Aliquota Imponib. Imposta Imponib. Imposta Imponib. Imposta 0 15000 23% 15.000 3.450 15.000 3.450 15.000 3.450 15000 28000 25% 0 0 13.000 3.250 13.000 3.250 28000 50000 35% 0 0 22.000 7.700 22.000 7.700 50000 oltre 43% 0 0 0 0 50.000 21.500 Totale     15.000 3.450 50.000 14.400 100.000 35.900 %       23,00%   28,80%   35,90% Ora vediamo come si può attuare una flat tax progressiva; se dai redditi si detrae un importo uguale per tutti, ad esempio 7.000€ considerati come no tax area, ed applichiamo all’imponibile così calcolato una aliquota pari a quella applicata agli autonomi pari al 15%. Otteniamo il seguente risultato: Descrizione Imponibili Reddito 15.000 50.000 100.000 Detrazione 7.000 7.000 7.000 Imponibile 8.000 43.000 93.000 Flat tax 15% 1.200 6.450 13.950 % su reddito 8,00% 12,90% 13,95% Come si vede, applicando una aliquota piatta, con questo sistema si ottiene una imposta progressiva, ma se guardiamo al gettito si perdono milioni di euro; nel nostro esempio il gettito odierno sarebbe (3.450+14.400+35.900= 53.750) mentre con la flat tax progressiva il gettito sarebbe (1.200+6.450+13.950= 21.600) meno della metà. Certamente allora si dovrà agire sull’importo della detrazione e sull’aliquota flat per non avere un tracollo nel gettito. Proviamo allora a diminuire la detrazione a 100€ e contemporaneamente ad aumentare l’aliquota della tassa piatta al 32.5%; con questi dati non abbiamo perdita di gettito ed abbiamo una progressività (estremamente flebile) ma massacriamo il reddito da 15.000€,  non danneggiamo il reddito da 50.000 e facciamo un regalo a quello da 100.000. Descrizione Imponibili Reddito 15.000 50.000 100.000 Detrazione 100 100 100 Imponibile 14.900 49.900 99.900 Flat tax 32,5% 4.843 16.218 32.468 % su reddito 32,28% 32,44% 32,47% Ho l’impressione che la strada imboccata dalla legge delega sia una gran presa in giro, o per il pericolo di una perdita di gettito, o per un inganno fatto ai contribuenti dell’Irpef che continuerebbero a pagare come prima (peggio di prima per i più poveri), con la stessa progressività (se non peggio) di prima. Con questa proposta i lavoratori dipendenti e i pensionati continuerebbero ad essere tassati con progressività (anche se con aliquota piatta) mentre gli avvocati, i commercialisti, i negozianti pagherebbero una vera tassa fissa al 15%; paperon dei paperoni continuerebbe a pagare il 26% e il mio idraulico continuerebbe ad evadere tranquillamente. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

A ME I 9 €URO/ORA NON CONVINCONO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | La questione del salario minimo sta surriscaldando il clima politico del nostro paese costituendo un elemento importante per l’opposizione che, salvo Italia viva, sta ritrovando un fronte comune di competizione politica, ma importante anche per la maggioranza per la quale questo problema mette in discussione la sua posizione in una vasta platea di elettori. Ma a me, onestamente, l’impostazione data ad un problema, che indubbiamente esiste, non piace. Da appassionato di economia veder risolto con un atto di imperio, un atto di legge, un problema squisitamente economico, mi fa sentire come se, non riuscendo a vincere in una gara (non riuscendo a risolvere il problema), riesco a prevalere solo grazie ad un rigore, un penalty regalatomi dall’arbitro (dalla legge). Non mi piace la nozione di salario giusto o dignitoso, lo trovo un concetto più morale che economico e che comunque presenta problematiche di quantificazione non indifferenti. Ritengo fondamentale l’attuazione dell’art. 39 della costituzione che individua il soggetto delegato a trattare la questione salariale con la parte datoriale con l’eventuale intervento dello stato quale soggetto terzo garante del protocollo concordato. Ritengo con Marx che la questione salariale operi all’interno di un modo di produzione, mutando il quale muta anche la conseguente meccanica salariale, ben diversa sarà trattata questa materia in un modo di produzione socialista rispetto a come va trattata nel modo di produzione capitalista. Vivendo in un paese capitalista ritengo che a guidare la questione salariale siano due leggi: la golden rule per la quale i salari devono aumentare allo stesso tasso di crescita della produttività e la (conseguente) legge di Bowley che comporta la costanza delle quote distributive del lavoro e del capitale nel reddito. Queste due regole permettono lo sviluppo delle imprese congiuntamente allo sviluppo dei salari, incrementando la domanda aggregata senza tensioni inflattive e fa in modo che la produttività sia uno strumento di crescita cui sono interessati sia gli imprenditori che i lavoratori essendo essa portatrice di benefici effetti per i due attori oltre che per la comunità globale. Se in Italia i salari sono così bassi ciò dipende dal fatto che in questi trent’anni la produttività non è aumentata. I confronti con Francia e Germania sono espliciti: là i salari sono aumentati in seguito all’aumento della produttività, da noi sono fermi (anzi diminuiscono) così come ferma è la produttività, al punto che la fissazione di un salario minimo (pari alla sussistenza) più alto potrebbe avere riflessi inflazionistici. Sulle imprese che hanno salari inferiori ai 9 euro orari la proposta di legge prevede (paradossalmente) sussidi anche se temporanei. Altrimenti potremmo avere due diverse conseguenze: il fallimento o (con Sylos Labini) l’effetto frusta salariale che costringe quelle imprese a trovare quella produttività necessaria a bilanciare l’aumento del costo del lavoro. Qui, tuttavia, serve una chiara presa di posizione: la produttività è materia delegata all’imprenditore che se è schumpeteriano ricerca sempre nuove combinazioni tecnologiche e produttive atte a sgominare la concorrenza ma se invece è un operatore, incapace di affrontare la sfida della concorrenza, perde il nome di imprenditore e viene declassato al becero ruolo di padrone. Con questa precisazione lascio a voi, che mi leggete, giudicare sull’operato dei nostri cosiddetti imprenditori nella storia recente dell’economia nazionale. E con questa riflessione discende un giudizio negativo sui sussidi Calenda che regalano, a carico dei lavoratori e dei pensionati, ad una classe imprenditoriale inetta, decine di miliardi di € fidando sul fatto, indimostrato, che questi imprenditori non schumpeteriani siano in grado di investire con raziocinio in nuova tecnologia, siano in grado di aumentare la produttività, e siano onesti e intelligenti al punto di aumentare nella stessa misura della produttività, anche i salari.        Ora, al rispetto delle due golden rules sopra ricordate, sono interessati non solo gli imprenditori ma anche i lavoratori e di conseguenza i sindacati chiamati a contribuire nella gestione dello sviluppo del paese; la cosa si fa poi enorme se pensiamo all’irruento arrivo della rivoluzione tecnologica legata ai computer,  all’intelligenza artificiale e ai computer quantistici. E’ indubbio che produttività e occupazione hanno rapporti complessi e talora contradditori, solo una intelligente gestione di essi da parte del sindacato è indispensabile per evitare di trovarsi domani, di fronte al fatto compiuto di una egemonia dei possessori dei mezzi di produzione, del capitale. Se quindi la produttività cessa di essere dominio di una imprenditoria troppo spesso incapace di generarla e essa può divenire una conquista del mondo del lavoro capace di impadronirsi della bandiera “produttività” per esercitare il suo potere partecipativo, per gestirne lo sviluppo equilibrato, per porlo come elemento cardine per la determinazione del salario. Ritengo questa una prospettiva con un orizzonte ben più ampio e gramscianamente egemonico che si differenzia sostanzialmente dalla proposta di un salario minimo. Decoupling of wages from productivity Ma il capitalismo sta osservando la golden rule di Bowley? Nel libro di Mariana Mazzucato “Missione economia” a pagina 13 si legge “Tra il 1995 e il 2013, i salari mediani dei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sono cresciuti ad un tasso medio annuo dello 0,8 per cento contro l’1,5 per cento di crescita della produttività del lavoro.” L’incremento dei salari viaggia quindi ad una velocità pari alla metà dell’incremento della produttività del lavoro; scopriamo allora un nuovo sfruttamento del lavoro, di appropriazione del plusvalore da parte del capitale ai danni del mondo del lavoro. Volendo approfondire, sono andato al sito, indicato in nota dalla Mazzucato, che è alla base della frase sopra ricordata che riporta come titolo “Decoupling of wages from productivity”  OECD Economic volume 2018. Ebbene traggo da quel documento elementi che supportano quanto affermato dalla Mazzucato nel suo testo: “Several OECD countries have been grappling not only with slow productivity growthbut have also experienced a slowdown in real average wage growth relative to productivitygrowth, which has been reflected in a falling share of wages in GDP. At the same time,growth in low and median wages has been lagging behind average wage growth,contributing to rising wage inequality. Together, these …

CALENDA, MEIDNER E MAZZUCATO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | L’economia razionale | In chiusura del mio articolo “L’ineffabile Calenda” mi chiedevo se agli Stati Generali del socialismo avessero parlato della trasformazione dei sussidi alle imprese, 38 miliardo solo nel PNRR, in partecipazioni azionarie assegnate ad un costituendo “Fondo dei contribuenti” che desse inizio alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e, in senso più ampio, alle scelte programmatiche della politica economica nazionale. Ricordavo, in quella sede, che l’utilizzo di fondi pubblici, quali quelli del PNRR, potessero ispirarsi al piano Meidner descritto nel libro “Capitale senza padronei”. Ebbene nella sessione degli Stati Generali il compagno socialista Gioacchino Assogna, che condivide la mia posizione, presentava, in un intervento applaudito da Maraio, la proposta di trasformare in partecipazioni azionarie di un “Fondo dei contribuenti”, tutti i sussidi a fondo perduto, i crediti fiscali, i superammortamenti etc., previsti dalle leggi italiane. Questa proposta, non se poi recepita nelle conclusioni del congresso, affronta il futuro economico del nostro paese con una sistematicità che, pur da approfondire nei dettagli, ha una dimensione globale, rifuggendo da un riformismo inconcludente come quello proposto da Calenda. In particolare l’intervento di Assogna faceva riferimento alla proposta Calenda di dirottare tutti i fondi del PNRR di dubbia destinazione o di cui addirittura si pensa ad una rinuncia, alla costituzione di crediti di imposta a favore di quelle imprese che si impegnino in investimenti destinati alla innovazione tecnologica. Naturalmente nessuno obbietta la necessità di investimenti finalizzati alla robotizzazione, all’intelligenza artificiale, ai computer quantistici, finalizzati a ridare livelli adeguati all’incremento della produttività stagnante da un trentennio. Quello che si contesta è che la proposta lasci assoluta libertà di scelta alle imprese che investissero senza prevedere un piano programmatico cui coordinare gli investimenti privati, e senza istituzionalizzare adeguati controlli atti a verificare l’efficacia dell’investimento, l’incremento della produttività e il conseguente aumento dei salari in misura pari all’incremento di produttività. Con questa carenza programmatica, la proposta Calenda disegna un assistenzialismo alle imprese che dimentica che i fondi erogati sono fondi dei contribuenti, trasformando il meccanismo in un trasferimento netto di fondi dal mondo del lavoro al mondo imprenditoriale, o meglio dal lavoro al capitale. A supporto di queste mie critiche voglio riportare alcuni passi del libro di Mariana Mazzucato “IL VALORE DI TUTTO/CHI LO PRODUCE E CHI LO SOTTRAE NELL’ECONOMIA GLOBALE”. A pagina 281 si legge “Tutto ciò significa che le politiche basate sull’ipotesi che le imprese vogliono sempre investire e hanno bisogno soltanto di un incentivo fiscale per farlo, sono semplicistiche, per non dire ingenue. Gli incentivi (spesa indiretta tramite tagli fiscali) se non accompagnati da investimenti strategici diretti dello Stato, raramente faranno accadere cose che non sarebbero accadute comunque (in termini economici, non c’è addizionalità).”          Ecco che allora un’autrice del valore della Mazzucato considera semplicistica se non ingenua la proposta di Calenda che, guarda caso è ben accetta da parte della Confindustria di Bonomi. Quello che differenzia la mia proposta dalla posizione della Mazzucato sta nel fatto che l’autrice ragiona come se fosse già operante quello “STATO INNOVATORE” soggetto del suo primo famoso libro. Nella situazione attuale in Italia non siamo in presenza di uno stato innovatore ma di un progetto politico guidato dalla presidente Meloni che sembra accettare positivamente la proposta Calenda. Io invece parlo della costituzione di un “Fondo dei contribuenti” che sono i veri finanziatori, quelli che in conclusione pagano gli investimenti economici rimborsando con le loro tasse i fondi (a fondo perduto e quelli a prestito) anticipatici dal NGUE. La figura dello stato innovatore la ritroviamo ancora a pagina 240, dove leggiamo: “La politica dovrebbe iniziare con il capire che l’innovazione è un processo collettivo. Dati gli enormi rischi presi dal contribuente quando il governo investe in nuovi campi visionari come internet, non potremmo trovare qualche modo affinché i compensi derivanti dall’innovazione siano sociali come i rischi? Qualche esempio potrebbe essere (…) subordinare l’aiuto pubblico al reinvestimento degli utili nella produzione anziché nel riacquisto di azioni proprie; permettere alle agenzie pubbliche di conservare la proprietà o i diritti sulle tecnologie per le quali hanno fornito finanziamenti, effettuare prestiti condizionati al reddito delle aziende (…).” Al di là dei singoli provvedimenti esemplificati, tra i quali ricordiamo la conservazione da parte del pubblico della proprietà (si affaccia la socializzazione dei mezzi di produzione) delle tecnologie finanziate, si delinea la presenza di una socializzazione, che coinvolga il sociale negli investimenti e nelle scelte programmatorie, che tolga l’intervento pubblico dal solo compito di ultimo intervento nei casi dei fallimenti del mercato (e penso al crollo catastrofico del 2007/2008) e di custode delle libertà del mercato.    Si ripropone la distinzione marxiana tra valore d’uso e valore di scambio; posto che i beni che hanno un valore di scambio hanno anche un valore d’uso, rimane il fatto che la scelta per i beni in base al loro valore di scambio predilige la realizzazione di un profitto che non è necessariamente guadagnato se si scegliessero i beni in base al loro valore d’uso. Ad esempio, tra la produzione di beni di consumo e la prestazione di servizi sanitari la scelta in base al valore di scambio predilige la produzione di beni di consumo piuttosto che la prestazione di servizi sanitari a meno che questi, smantellando il sistema sanitario nazionale, cosa che peraltro si rischia che l’attuale governo faccia, non diventino a loro volta valori di scambio. Ecco che la proposta di Calenda di erogare oltre ai 38 miliardi di fondi del PNRR già stanziati altri fondi con impegno dubbio o non produttivo, pecca nel delegare ai ricercatori di profitto tramite la produzione di valori di scambio la scelta del berlingueriano “cosa produrre” rifiutando l’idea di una programmazione guidata da chi invece con raziocinio e lunga prospettiva sceglierebbe valori di uso. A pagina 249 del libro della Mazzucato si legge la base filosofica del liberalismo delle scelte del valore di scambio; viene delineato quale deve essere il ruolo dello stato in una economia liberale: ”Ma c’è un’area del pensiero dominante che riconosce, anzi …

L’INEFFABILE CALENDA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Intervistato in una di ieri mattine da La7, il senatore Calenda ha esposto con la consueta chiarezza i punti del suo partito sia sul salario minimo che sulla posizione sul ministro del turismo, sulla necessità di azzerare le liste d’attesa sanitarie e sui suoi rapporti con la presidente Meloni e con la segretaria Schlein, augurandosi, nel finale, di avere un confronto a tre (Meloni, Schlein e lui) per discutere finalmente, ragionando sulle cose, senza inutili scontri ideologici o sbandieramento di propagande. Si è definito social-liberale riformista e ha raggiunto l’apice dell’intervista con la sua proposta sul PNRR: se ci sono difficoltà (ha parlato di 155.000 bandi) e piuttosto di buttare fondi in progetti che non siano produttivi, Calenda propone che tutti i fondi del PNRR siano dati alle imprese produttive come crediti fiscali, in modo da dare una grande spinta la nostro sistema produttivo, renderlo competitivo facendo aumentare investimenti, produzione e produttività (scordandosi i salari, ma certamente è stato un lapsus). La proposta ha certamente un suo senso ed una sua logica, pecca tuttavia, come ho già avuto modo di rilevare, di una severa logica programmatoria lasciando alle imprese le scelte sul come investire i sussidi erogati. L’auspicio che aumenti, a seguito degli investimenti, sia la produzione che la produttività rimane un auspicio, se nessuno controlla il tipo di investimenti e soprattutto se tali investimenti si traducono in effetti in aumento di produttività ed auspicabilmente, secondo la golden rule, gli aumenti di produttività si traducano in aumento dei salari. Come ho già osservato il riformismo di Calenda è di stampo liberale, nel senso che ignora qualsiasi ruolo allo stato come elemento fondamentale di una politica programmatoria, anche se a mettere i fondi è lo stato stesso e ciò senza nessuna contropartita decisoria (cosa che sarebbe ovvio e inevitabile se il finanziatore fosse un privato). L’approccio liberale di Calenda tende ad assumere un aspetto assistenziale a favore delle imprese (rectius del capitale). I fondi del PNRR pervengono allo stato nella forma di prestiti e di erogazioni a fondo perduto. Mentre è logico che i prestiti, gravati da interessi, vadano rimborsati, si tende a credere che quelli a fondo perduto non vadano restituiti. E’ vero che i sussidi a fondo perduto non sono prestiti e quindi non vanno ad aumentare il debito dello stato percipiente, ma è altrettanto vero che tali sussidi, che l’Europa si è procurata emettendo eurobonds, vanno a costituire, nell’anno in cui l’Europa li dovrà estinguere, un debito per i paesi membri computato sulla base della partecipazione capitaria calcolata per ciascun paese. L’Italia dovrà restituire quei sussidi a fondo perduto anche se con una quota capitaria tale da poter risparmiare qualche miliardo di euro. Quei fondi del PNRR, prestiti e/o sussidi che siano, saranno ripagati dai contribuenti che guarda caso sono nella maggioranza lavoratori dipendenti e pensionati, che godono del privilegio di una imposizione progressiva e che non possono (neppure se volessero) evadere un euro né in dichiarazione dei redditi né al momento del pagamento. Il ministro Salvini propone una pace fiscale per quei contribuenti che non possono pagare le imposte dichiarate e  che son soggiogati dall’agenzia delle entrate. Quello che non capisco è il perché un contribuente che ha dichiarato (tutto?) il reddito guadagnato possa avere delle difficoltà a pagare le imposte dichiarate. L’unica difficoltà che mi sembra poter individuare è che invece di mettere da parte i soldi per pagare le imposte, quel contribuente si sia speso tutti i fondi e al momento della scadenza fiscale si trovi con le tasche vuote. Ma a parte le salvinate, tornando a Calenda, non è chi non veda che la stragrande quota degli investimenti fatti usando i fondi del PNRR, regalati quindi alle imprese, sono stati pagati dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. Sarò monotono, ma insisto nel dire che quei sussidi che giustamente vanno a rafforzare il nostro sistema produttivo, siano erogati non come crediti di imposta ma come capitale sociale azionario delle imprese beneficiate. A ben vedere quello che propongo è una riedizione del piano Meidner, iniziato nel secolo scorso e poi entrato in crisi insieme alla Svezia tutta. Il piano prevedeva la partecipazione di fondi dei lavoratori, la partecipazione degli alle decisioni aziendali, alla scelta degli investimenti, del “cosa e come produrre” di berlingueriana memoria scelta effettuata privilegiando il valore d’uso al valore di scambio. Ma mi accorgo di fare un discorso troppo socialista (chissà se ne avranno parlato agli stati generali?). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA RETRIBUZIONE MINIMA PER LEGGE E’ UNA SCORCIATOIA

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Si è sviluppato un grande e vivace dibattito sul salario minimo orario per legge, proposto con forza ed efficacia dalla opposizione parlamentare e rigettato dal Governo con qualche difficoltà ed incertezza. Entrambe queste posizioni eludono, però, il vero problema che investe la situazione salariale italiana rappresentata da una situazione da “Far West” carica di violazioni contrattuali, di “decontrattualizzazioni” delle retribuzioni  e di illegalità, le quali – comunque investono tutto sommato  una piccola minoranza della massa del lavoro dipendente. Ciò è scaturito dalla diffusione di statistiche OCSE ed EUROSTAT, male interpretate e che hanno fatto dichiarare – con disprezzo della serietà e della verità – anche ad autorevoli esponenti del mondo politico e sindacale che la retribuzione salariale italiana è la piu’ bassa dei Paesi OCSE ed europei! Va tenuto conto innanzitutto che la comparazione tra le retribuzioni lorde  di piu’ Paesi, recentemente diffusa dalle summenzionate statistiche OCSE o Eurostat, è elaborata raffrontando retribuzioni MEDIE lorde, medie ponderate e non artmetiche e cioè ragguagliate al peso di ogni retribuzione delle varie qualifiche e mansioni che regolano l’inquadramento professionale e perciò retributivo dei lavoratori.   Se le retribuzioni delle qualifiche basse sono in numero molto superiore di quelle riferite alle qualifiche alte, ovviamente la retribuzione media sarà bassa e viceversa. Premesso queste osservazioni tecniche, che ci permettono di capire la dinamica non positiva (denunciata da dette  statistiche) delle retribuzioni italiane negli ultimi vent’anni, occorre tener conto quanto  è successo a livello retributivo  in questo ventennio in Italia: a – Sono molto cresciute le mansioni elementari o di bassa qualifica e determinati  lavori poveri (tipici in agricoltura, nei servizi alla persona, nelle attività ausiliare nei trasporti, nella distribuzione, nell’assistenza privata socio-sanitaria, etc) e nel contempo sono calate le mansioni e qualifiche alte, in particolare nell’industria, nel settore del credito ed in altre attività più qualificate a seguito dell’introduzione nel lavoro dell’informatica e della automazione; b – Sono cresciute nelle lavorazioni e nei settori “poveri” tre fenomeni estremamente negativi e cioè il “sottosalario” (erogazione delle retribuzione non corrispondente al minimo contrattuale), i contratti “pirata” sottoscritti da sedicenti organizzazioni datoriali e sindacali autonome, retribuzioni parzialmente pagate “in nero” il cui  valore ovviamente non può apparire nelle statistiche; c – Si è praticata una forma irregolare di “esternalizzazione” con sub-appalto di lavorazioni da parte di grandi aziende committenti a oscure piccole aziende del “sottobosco” di gestori di manodopera “non qualificata” (vigilantes, fattorini, magazzinieri, riders, addetti alle pulizie ed al Packaging, addetti all’assistenza socio-sanitaria, etc). Questa manodopera viene malamente retribuita in base ai contratti “pirata” sopra menzionati, non perscepisce 13^ mensilità, il TFR, spesso senza il pagamento dei contributi sociali; d – Il rinnovo triennale  dei contratti nazionali (CCNL) in alcuni settori non avviene da anni (anche da sette o dieci anni come nel trasporto ferroviario ed aereo); e – Sono enormemente calate le grandi aziende pubbliche (con la svendita dell’IRI) ed anche private (il 93% delle imprese iscritte alla Confindustria non hanno più di 10 dipendenti) e, quindi, nel “mare magnum” delle piccole e micro aziende  (anche per difficoltà organizzative) non è diffusa la contrattazione integrativa aziendale che – per l’appunto –  ha la funzione di integrare il salario negoziato e previsto  nei CCNL come era stato  indicato nel “patto sociale” con il governo Ciampi 23/7/1993. Salvo il  primo punto (si tratta di un fenomeno che investe la trasformazione del lavoro), si tratta di palesi violazioni di quanto stabilito dai CCNL, violazioni  che dovrebbero essere perseguite e cancellate in quanto irregolarità da parte della normale attività di vigilanza degli Uffici ed Ispettorati  del Ministero del Lavoro e dai Sindacati. Per fortuna che esiste la meritoria attività di coraggiosi sostituiti procuratori come il pm Paolo Storari di Milano ed altri che ha evidenziato questa situazione irregolare che è anche una forma di sleale concorrenza rispetto alla moltitudine di aziende serie e corrette sul piano del trattamento contrattuale dei propri dipendenti.  Conclusioni: per tutte queste ragioni la media delle retribuzioni lorde italiane non è aumentata, anzi appare diminuita, ma ciò non significa che le singole retribuzioni, in particolare nei settori portanti dell’economia e dell’occupazione, non siano lievitate o cresciute negli anni presi in esame. Le retribuzioni italiane sembrano distanti da quelle dei Paesi piu’ evoluti (Francia, Germania, Svizzera e “nordici), però bisogna tener conto che la retribuzione media MENSILE italiana deve essere aumentata dell’8,33% per il rateo mensile della gratifica natalizia (13^ mens.) più l’ 8% poco meno per il TFR che è sempre – pur differita – parte della  retribuzione. La gratifica natalizia ed il TFR esistono solamente in Italia. Con questi ricalcoli le differenze si accorciano sensibilmente o persino si annullano. Comunque, affermare come dice qualcuno, che le retribuzioni italiane “sono le piu’ basse d’Europa” (!!!) è una sciocchezza enorme, in quanto esse  sono appena al di sotto delle retribuzioni medie dell’area EURO, un’area ben più significativa ed importante dell’intera Europa sia intesa come la U.E. a 27 oppure quella geografica  estesa a Russia, Bielorussia, Moldavia, Serbia, Montenegro, Islanda. La definizione di una retribuzione minima per legge è una scorciatoia che non risolve le irregolarità e situazioni di “sottosalario” se non si risolvono i fenomeni sopra denunciati, la cui eliminazione garantirebbe per tutti i settori lavorativi attraverso la contrattazione sindacale regolare (che già oggi copre il 95% della massa lavoratrice)   una retribuzione oraria più superiore di  quanto indicato con la recente proposta di legge avanzata da  molte forze politiche. Se si vuole veramente fare pulizia della situazione da “Far West” denunciata sopra, Parlamento e Governo, attraverso una legge ordinaria in attuazione parziale della Costituzione, riconoscano la validazione “extra omnes” (cioè per tutti i lavoratori) dei CCNL negoziati e sottoscritti dai Sindacati riconosciuti rappresentativi su elementi di certezza (iscritti e voti RSU).  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande …

ARRIBA ESPAÑA

di Franco Astengo | Nelle elezioni spagnole del 23 luglio le dichiarazioni di maternità, cristianità, nazionalità non hanno portato fortuna all’estrema destra di Vox, già indicata dai sondaggi come il futuro partner di governo di una coalizione con il PP. Vox è scesa da 3.656.979 voti ottenuti nel 2019 ai 3.033.744 del 2023 cedendo 19 seggi e fermando la propria rappresentanza al Congreso a 33 deputati. E’ questo il dato di sicuro maggior rilievo della competizione elettorale del 23 luglio, al di là della prospettiva di governo che si presenta quanto mai complessa con l’evidente rischio di un ritorno alle urne. Almeno dal nostro punto di vista rispetto alle previsioni della vigilia il risultato spagnolo è sicuramente migliore anche di quanto in queste ore non stiano facendo rilevare dagli analisti. E’ il caso allora di verificare che cosa è capitato in quest’occasione analizzando specificatamente la particolarità spagnola della formula elettorale: il meccanismo di traduzione dei voti in seggi. Sotto quest’aspetto la formula elettorale spagnola presenta caratteristiche molto particolari: il “Congreso” (erede delle antiche Cortes) viene eletto, infatti, attraverso collegi di diversa (e in gran parte ridotta) dimensione. All’interno del collegio i seggi in palio sono attribuiti con il metodo d’Hondt, dei quozienti successivi, senza utilizzo dei resti e senza riporto a un collegio unico nazionale. In questo modo oltre a favorire i partiti più grandi risultano privilegiate le concentrazioni locali. Il dato più interessante da esaminare diventa allora quello del “costo” di ogni seggio per ciascun partito, comparando questo elemento con quanto accaduto nelle elezioni precedenti per comprendere meglio la “localizzazione” o l’eventuale (per i grandi partiti) estensione o riduzione nel “peso nazionale” del voto. E’ evidente che un’analisi ancor più approfondita in questo senso dovrà essere svolta nei prossimi giorni esaminando i dati collegio per collegio: adesso, però, a poche ore di distanza dall’esito del voto ci si dovrà accontentare di una valutazione di carattere generale. Prima di tutto dovrà essere fatto rilevare un ulteriore aumento nella partecipazione al voto: la presenza alla urne è salita da 24.041.001(2019) a 24.743.612 elettrici ed elettori con un incremento di oltre 700.000 presenze alle urne (le/gli aventi diritto erano 35.606.532 esclusi gli iscritti all’estero). Come primo dato registriamo il cambio nel ruolo di partito di maggioranza relativa tra il PP e il PSOE. Il PP “sorpassa” il PSOE con 8.091. 840 voti: nel 2019 5.047.040. Un incremento di oltre 3 milioni di voti che va però analizzato tenendo presente la “sparizione” di Ciudadanos: i voti già appartenenti al gruppo centrista -liberale hanno sicuramente rappresentato la maggior riserva di caccia del PP. avendo messo a disposizione 1.650.318 voti ottenuti nel 2019; se sommiamo questi voti ai 623.235 perduti da Vox otteniamo un totale di 2.273.553 voti la maggior parte dei quali presumibilmente andati al PP che ha -complessivamente – aumentato il proprio bottino di 3.044.800 voti. Il netto tra sparizione di Ciudadanos e perdite di Vox per il PP diventa di 771.247 voti : una crescita inferiore a quella ottenuta dal PSOE. In sostanza lo spostamento a destra dell’elettorato spagnolo è risultato alla fine abbastanza contenuto. Proseguendo nell’analisi della formula elettorale spagnola si segnala come il “prezzo” unitario dei seggi per il PP sia stato di 59.498 voti per deputato. IL PSOE ha ottenuto 7.760.970 voti con un incremento di 968.122 voti (i socialisti hanno avuto la maggioranza relativa a Girona, Barcellona con il 35,74% e 18 seggi, Tarragona, Huesca, Navarra, Araba, Burgos, Siviglia, Badajoz e Caceres). Per ogni deputato il PSOE ha dovuto ottenere 63.614 voti. Esaminiamo il comportamento di SUMAR che ha raccolto l’eredità a sinistra dopo le difficoltà e le divisioni di Podemos. Nel 2019 Podemos alleata con Izquerda Unida ebbe 3.118.191 voti e 35 deputati: passata sotto le forche caudine del governo SUMAR esce dalle elezioni 2023 con 3.014.006 voti e 31 deputati, una flessione di 104.185 suffragi e 4 deputati. Un risultato che deve essere considerato come positivo nei numeri e nella prospettiva politica unitaria a sinistra. Per ogni deputato ci sono voluti 97.226 voti (1 deputato a Girona, 1 a Coruna, 1 Alicante, 1 Asturie, 5 Barcellona, 1 Cadice, 1 Cordoba, 1 Granada, 1 Baleari, 1 Las Palmas, 6 Madrid, 1 Malaga, 1 Murcia, 1 Pontevedra,1 Tarragona,2 Siviglia, 3 Valencia, 1 Vyzcaia, 1 Saragozza). Esaminiamo allora il comportamento delle principali liste rappresentative delle nazionalità. L’Esquerra Repubblicana di Catalogna ha perso 6 seggi scendendo da 13 a 7 con 462.883 voti (874.859 nel 2019: in pratica un dimezzamento: con circa 300.000 voti persi a Barcellona, più o meno l’incremento avuto nella regione dal PSOE). 66.126 voti per ogni deputato (se si guarda ai dati di SUMAR – 97.226 voti a deputato – risalta immediatamente la distorsione provocata dalla formula elettorale spagnola sull’attribuzione degli “scagno”). Jxcat Junts, partito catalano indipendentista, ha perso un solo deputato scendendo da 8 a 7 con 392.634 voti (2019: 530.225). Voti per deputato: 56.090: 3 eletti a Barcellona, 2 a Girona, 1 a Lleida, 1 a Tarragona. I due partiti baschi il PNV e Bildu si scambiano un seggio: Bildu sale da 5 a 6 (333.662 voti) e il PNV scende 6 a 5 (275.582). In sostanza i due partiti baschi assommano 11 seggi per 609.244 voti, con una flessione rispetto al 2019 quando ebbero 807.846 voti ( 55.385 voti a seggio ottenuti in sole 4 province: Alava, Guizpucoa, Vizcaya e Navarra). Hanno ottenuto seggi anche il Blocco Nazionale Gallego (1 seggio 152.327 voti) la Coalicion Canaria ( 1 seggio 114.718 voti, perdendo 10.000 voti e 1 seggio rispetto al 2019), l’unione del Popolo Navarro (1 seggio 51.674 voti). Perde i 2 seggi la CUP catalana scendendo da 246.971 voti a 98.794 nel 2023 (determinante la flessione a Barcellona da 179.041 voti a 66.656 nel 2023). Perdono il seggio le rappresentanza di Cantabria e Turuel. Si è così esaminato in modo molto sommario l’esito delle elezioni spagnole per quel che riguarda i principali partiti sottolineando, com’era nello scopo di questo lavoro, il tipo di distorsione che la formula elettorale realizza oggettivamente nella sua …

LETTERA DI SOCIALISMO XXI AL PSI

Ufficio di Presidenza | All’attenzione del segretario Maraio Caro Segretario, abbiamo letto che l’evento organizzato dal Tuo Partito mira a dare un contributo qualificato alla politica mediante il lancio di campagne tematiche del PSI. Ne prendiamo atto e ne siamo lieti e ci auguriamo che le risultanze delle elaborazioni siano poi trasfuse anche al “Tavolo di Concertazione” – al quale insieme aderiamo con altre Organizzazioni politiche – con la finalità di costruire una nuova organizzazione unitaria di ispirazione socialista. In quella sede unitaria daremo il nostro contributo e siamo convinti che non ne mancheranno altri. Auguriamo successo ai Vostri lavori e leggeremo con attenzione ed interesse le risultanze dell’evento. Con i migliori saluti. Luigi Ferro – Presidente Socialismo XXI SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA PRODUTTIVITA’ E IL PIANO 4.0

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Premessa Recentemente ha trovato molta attenzione il fatto che negli ultimi 30 anni i salari italiani siano scesi del 2.9% mentre in Europa, nei paesi più simili al nostro, i salari siano aumentati in maniera decisamente superiore. Da questa constatazione si è iniziata una bagarre politica che da una parte ha posto l’obiettivo di un salario minimo, dall’altra la riduzione del cuneo fiscale per i salari più bassi. In pochi però hanno messo in relazione livello dei salari con la produttività, anche se una golden rule del capitalismo richiede che i salari vadano messi in correlazione con l’aumento della produttività; tenendo conto di ciò, la risposta al calo dei salari italiani e all’incremento di quelli tedeschi o francesi è semplice: in Italia la produttività sta a zero e di conseguenza lo stanno i salari, in Francia e Germania l’aumento dei salari è commisurato all’aumento della produttività.   Il piano Calenda Il piano Calenda è quasi totalmente fiscale. Prevede un controvalore teorico di 13 miliardi di euro di incentivi fiscali in quattro anni, che a loro volta dovrebbero mobilitare 23 miliardi di investimenti privati (10 in tecnologie più 11,3 in ricerca e sviluppo e 2,6 in venture capitale e start-up). Inoltre, è previsto un mix di finanziamenti e azioni varie per la creazione di sette competence center universitari che dovrebbero formare studenti e manager. Tornando al nostro argomento il piano Calenda ha il merito di intervenire sul mondo produttivo con un piano che, incentivando gli investimenti con sussidi a fondo perduto e agevolazioni finanziarie sui prestiti, aumenti le dotazioni tecnologiche così scarse in un mondo di micro-imprese, al fine di aumentare la produttività del nostro sistema economico e di conseguenza permetta, seguendo la golden rule, di aumentare di pari passo con la produttività anche il livello dei salari. Di fronte all’assoluta impotenza della politica italiana di pensare a lungo termine con un piano razionale, politica che al contrario con le tax-expenditures distribuisce regalie alle lobbies più potenti, e tra queste indicherei il super-bonus del 110%, il piano Calenda si presenta con una dignità e serietà difficilmente riscontrabili nel panorama politico italiano. Non che non abbia difetti: ne indicherei fondamentalmente tre: la non scelta del piano, il mezzo finanziario del piano, il mancato controllo successivo. Sul primo argomento principale difetto del Piano sta proprio nella sua filosofia: non dare indicazioni alle imprese ma lasciando che esse, aderendo al piano, scelgano il come e dove investire lasciando quindi ad esse di guidare senza visione il futuro dell’economia, senza avere una visione di quale Paese futuro si vuole costruire fra cinque, dieci, quindici anni. L’idea che la politica industriale la facciano le imprese è intrinsecamente sbagliata. La politica industriale la fanno gli Stati e le Regioni con il mettere a disposizione delle aziende know-how elaborato in sede pubblica (perché la ricerca di base, diversa da quella applicativa, ha tempi lunghi e ritorni incerti, dunque può essere sostenuta solo dai “capitali pazienti” del pubblico) da università e istituzioni apposite. Alla base, non c’è alcuna idea del Paese che si vuole. In generale, il ruolo dello Stato che accompagna e investe nella ricerca che poi viene messa a disposizione delle imprese, è fondamentale e ineludibile. Lo ha dimostrato Mariana Mazzucato in un bellissimo libro, “Lo Stato Innovatore”, pubblicato in Italia da Laterza nel 2014.  In questo documentatissimo saggio, la Mazzucato dimostra come tutte le recenti innovazioni alla base del successo economico americano (dalle varie tecnologie che danno vita ai prodotti Apple fino allo Shale gas) siano nate in ambito pubblico. Il secondo argomento riguarda la natura del sussidio, rappresentato in un primo tempo da benefici fiscali ottenuti mediante la possibilità di ammortizzare il cespite tecnologico acquistato per un valore molto più alto del prezzo di acquisto (in pratica riducendo le imposte sul reddito d’impresa), e successivamente concedendo direttamente crediti di imposta immediatamente utilizzabili. In pratica si conferiscono finanziamenti a fondo perduto, ovvero non si tratta di prestiti da restituire ma di apporti finanziari gratuiti. Ebbene questi conferimenti finanziari vanno ad aumentare l’utile aziendale e quindi la possibilità di distribuirli, tramite dividendo, ai soci azionisti. In poche parole un regalo al capitale. Ma questi apporti finanziari, fossero fatti da un investitore normale, si trasformerebbero in aumento del capitale sociale dell’impresa beneficiata con corrispondente emissione di azioni intestate al finanziatore. Con tali azioni l’investitore parteciperebbe alle assemblee societarie e, avendone i numeri, potrebbe entrare nella gestione dell’azienda stessa. Inoltre l’apporto finanziario, essendo capitale sociale, non potrebbe essere distribuito con i dividendi, garantendo che l’impresa finanziata non si privi di risorse. Se poi pensiamo che le elargizioni a fondo perduto provengono dalle imposte che i contribuenti pagano, imposte che provengono per la più gran parte da lavoratori e pensionati, assistiamo ad un incredibile fatto: i lavoratori dipendenti e i pensionati regalano soldi alle imprese (rectius al capitale) senza nessun corrispettivo che spetterebbe invece ad un investitore normale. Altro sarebbe se gli incentivi fossero erogati sotto forma di partecipazione azionaria di un fondo di investimento costituito dai contribuenti. Non approfondisco qui il funzionamento del fondo, preferendo solo indicarne la necessità di costituzione. Il terzo punto di critica è relativo al fatto che i sussidi erogati non sono monitorati nel misurare da una parte il quantum di fondi erogati anno per anno e dall’altra nel verificare l’incremento di produttività che quegli incentivi abbiano generato e di conseguenza di quanto siano aumentati i salari come conseguenza dell’incrementata produttività. I dati ISTAT L’ISTAT pubblica annualmente un report denominato MISURE DI PRODUTTIVITA’ è attingendo a questi report che cercheremo di avere un’idea di come negli anni si siano mossi i “numeri chiave” della nostra economia. Purtroppo due anni dopo l’inizio del piano (2017) è scoppiata la crisi Covid che ha stravolto tutti gli indici in esame, rendendo difficile la lettura dei dati. Dopo la pandemia l’Italia sta beneficiando di un afflusso di capitali in base al PNRR che prevedono di incrementare i sussidi 4.0, ma che ad oggi non sono ancora disponibili nelle rilevazioni ISTAT. …

INAUGURAZIONE DEL CIRCOLO GIACOMO MATTEOTTI DI PALAGIANO

SOCIALISMO XXI UFFICIO DI PRESIDENZA NAZIONALE Nella data simbolo del 14 luglio 2023 si è tenuta l’inaugurazione del Circolo Socialismo XXI – Giacomo Matteotti di Palagiano (Taranto) alla presenza del Presidente Nazionale Luigi Ferro, del Vice Presidente Marco Destro e del Responsabile della Comunicazione Vincenzo Lorè. La sede, inserita nel meraviglioso contesto storico di Palagiano, proprio affacciata sulla piazza principale, sarà a disposizione dei cittadini e punto di riferimento politico del Comune.In occasione dell’inaugurazione è stato presentato il volume “Mauro Del Giudice. Il magistrato che fece tremare il Duce” dell’’Illustre Professoressa Teresa Maria Rauzino. Il libro tratta della biografia del Giudice istruttore Mauro Del Giudice, il quale svolse le indagini sull’omicidio di Giacomo Matteotti. Nonostante la meticolosità e l’ampiezza delle investigazioni compiute, Del Giudice venne estromesso delle stesse, in quanto afferrò la triste verità che si celava dietro al barbaro fatto di sangue. Il Circolo di Palagiano ha inteso consacrarsi al martire socialista Giacomo Matteotti in richiamo della storica Sezione del PSI ad egli intestata e per rifulgere l’illibato impegno morale del deputato.L’inaugurazione, svoltasi alla presenza di una trentina di compagni, si è conclusa con un brindisi conviviale.L’evento è stato patrocinato dal Comitato provinciale del Polesine per il centenario dell’omicidio Matteotti, dal Centro ricerche Toni Destro A.P.S. e della Fondazione Saragat – Matteotti di Roma.Il Circolo è presieduto dal compagno Giulio Resta e coadiuvato dalla compagna Carmela Recchia.Per chi volesse mettersi in contatto col Circolo, i recapiti sono: ass.socialismoxxi@gmail.com Tel. 3920906188. GALLERIA SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it