FEDERICO CAFFE’: LA LEZIONE INTERROTTA DELL’ECONOMIA CHE DIFENDEVA IL LAVORO

A sinistra Paolo Sylos Labini con Federico Caffè La misteriosa scomparsa di Federico Caffè avvenuta più di trenta anni fa ha reso questo schivo economista una celebrità. Un uomo che per tutta la vita aveva tanto accuratamente evitato il clamore della scena pubblica quanto amato la riservatezza dell’insegnamento è diventato famoso per l’ultimo episodio della sua vita. Oggi avrebbe avuto più di cento anni e a chi gli faceva gli auguri, con l’autoironia che gli era propria, rammentava di essere “un figlio della Befana”. Il carisma che ha esercitato su una ampia generazione di allievi ha fatto sì che ognuno di loro abbia sentito la necessità di rievocare il comune maestro, come se questo fosse il modo migliore per esprimergli tardiva gratitudine. Perché Caffè ha lasciato un vuoto che chi lo ha conosciuto non è riuscito a riempire se non con il ricordo. La sua eredità non si esaurisce in una univoca scuola di pensiero. Tra i suoi numerosissimi allievi troviamo di tutto: i paladini dell’antagonismo sociale, come Bruno Amoroso, i difensori intransigenti dell’intervento pubblico, come Nicola Acocella, gli esploratori di nuove forme di protezione sociale, come Enrico Giovannini, i fautori di una attiva politica economica capace di controllare l’azione dei mercati, come Marcello de Cecco. Che tra i suoi allievi ci siano anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, indica quanto la sua scuola sia stata tutt’altro che monocorde. Caffè aveva le sue idee, e le difendeva con accanimento, ma era capace di ascoltare e di accettare opinioni diverse. Che cosa è rimasto del suo pensiero? Tre idee ci sembrano oggi ancora più importanti di uno quarto di secolo fa: il pieno impiego, l’assistenza sociale e la politica economica. 1) Caffè riteneva che il lavoro fosse non solo uno degli aspetti essenziali della emancipazione umana ma anche la più solida garanzia di tenuta sociale di un Paese. Certo, era consapevole quale fosse la differenza tra la Gran Bretagna del suo amato Keynes e la nostra penisola: da noi, gli effetti peggiori della disoccupazione, specie quella giovanile, erano e sono parzialmente assorbiti dalla famiglia. Ma Caffè aveva compreso che il ritardato inserimento nel mercato dei lavoro dei giovani, anche quando sono sostenuti dalle famiglie, provocava un distruzione di risorse umane, condannando intere generazioni ad acquisire tardivamente e spesso malamente le competenze ed esperienze della vita professionale. Riteneva, pertanto, che lì dove il mercato falliva, fosse compito specifico dell’operatore pubblico trovare lavoro per i giovani tramite piani straordinari per il lavoro. 2) Come indica il titolo del suo ultimo libro, In difesa del Welfare State, Caffè sosteneva accanitamente la protezione sociale, anche in un periodo come gli anni Ottanta in cui il debito pubblico italiano stava esplodendo. Società opulente dovevano farsi carico dei più deboli aumentando la tassazione sui più ricchi. Per tutta la sua vita, e ancor di più negli ultimi anni, Caffè sentì moltissimo il problema dell’assistenza agli anziani, troppo spesso privi di quei servizi essenziali che invece esistevano in altre parti del mondo; prima ancora di criticare il Welfare State, sosteneva, sarebbe stato necessario realizzarlo. Queste opinioni erano anche associate ai suoi timori personali: temeva di diventare di peso e questa fu una delle cause della sua depressione. Allo Stato rimproverava di “prelevare” male e di “spendere” peggio, e in ciò occorreva rintracciare la crisi dell’assistenza sociale. La soluzione ai problemi del bilancio pubblico non andava ricercata affidando al mercato problemi che non erano di sua competenza, quanto piuttosto riformando radicalmente il funzionamento dell’amministrazione statale. 3) Infine, per Caffè la politica economica poteva e doveva avere un ruolo chiave per la coesione sociale. “Politica economica” non era solo la materia che insegnava, ma anche la pressante richiesta al governo di agire per assorbire i conflitti sociali, aumentare la produzione, soddisfare i bisogni umani. Non digeriva i diktat degli organismi internazionali quali il Fondo monetario e la Commissione europea. La politica economica doveva controllare i mercati per evitare che le risorse finanziarie si indirizzassero verso attività speculative piuttosto che produttive. Era compito del governo trovare soluzioni concrete lì dove i mercati non riuscivano a raggiungere gli obiettivi sociali. Imprese a partecipazione statale, servizi collettivi, lavori pubblici e politica monetaria erano solamente gli strumenti a disposizione del governo per realizzarli. Era fiducioso nel fatto che un loro uso illuminato avrebbe consentito al governo di raggiungere più occupazione e più benessere. Passano gli anni, i problemi cambiano eppure rimangono simili. Rileggere oggi i suoi scritti ci fa capire quanti appuntamenti siano stati mancati dalla politica italiana per risolvere i problemi strutturali del Paese. La disoccupazione, in particolare quella giovanile, ha toccato nuovi record storici e i pubblici poteri delegano ancora al mercato la risoluzione del problema. Il debito pubblico continua a dominare il dibattito di politica economica ma ancora oggi il governo non è capace di identificare i benefici generati dalla buona spesa e dai buoni investimenti pubblici. La politica economica del governo subisce passivamente i vincoli esterni. No, Federico Caffè non avrebbe ragione di essere soddisfatto dell’Italia di oggi. E chissà se avrebbe ancora la voglia di indicare quotidianamente la via di un riformismo possibile. Fonte: syloslabini.info SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON IL VOTO UTILE, A VINCERE SARA’ THE ACID CORBYNISM

di Carlo Patrignani I dinosuari del voto utile, del drammatico karakiri alle politiche del 2008, quando caduto – o fatto cadere? – il secondo centro-sinistra di Romano Prodi sotto il fuoco amico, si riconsegnarono al centro-destra le chiavi di Palazzo Chigi, arrivano, questa volta, in ritardo, in forte ritardo. Il treno del cambiamento è già passato e corre spedito in Oltremanica dove Jeremy il moderniser ha prima combattuto de visu, poi sconfitto i Blairiters dinosaurs del suo Labour Party e ora si gusta l’Acid Corbynism, la nuova droga in voga tra giovani, giovanissimi, donne e uomini che, è probabile, lo porterà a giugno prossimo al 10 di Downing Street nella City of Westminster. Cos’è, allora, l’Acid Corbynism che va molto in voga tra giovani e giovanissimi, uomini e donne, tutti attratti e conquistati dal nuovo modo di far politica del vegliardo leader laburista, che con l’altro vegliardo d’Oltreoceano Bernie Sanders stanno rianimando e riposizionando in alto il socialismo d’antan? Va subito chiarito che acid non ha nulla a che fare con certe sostanze psichedeliche, come l’Lsd, usate e abusate nel Sessantotto per evadere dalla società capitalistica da abbattere, quanto invece si attiene all’obiettivo ambizioso dell’Acid Corbynism: prima di tutto  il benessere delle persone che ogni Governo dovrebbe assicurare e facilitare attraverso l’esplicitazione della loro creatività culturale e artistica, libera dai mille e mille vincoli del modello a-sociale imposto dal capitalismo. L’Acid Corbynism e’, in estrema sintesi, l’esatto contrario di quel accade nel deluso, disaffezionato, irritato popolo della sinistra, anzi delle tante sinistre: i dinosaurs a saltare da un talk show all’altro, da un’intervista all’altra, da un teatro all’altro, persi dietro discorsi fiume e logorroiche analisi, gli uni contro gli altri e il popolo di sinistra a ingrossar il non voto. Vecchie liturgie che parlano della distanza siderale tra i dinosaurs di tante sinistre prive d’identità culturale e la gente, le persone con i loro bisogni elusi e le loro aspirazioni disattese: una distanza e delle liturgie che difficilmente li avvicina a Palazzo Chigi. L’utopia dell’Acid Corbynism sorretta dalla democracy review è rimettere al centro della politica l’uguaglianza tra tutti i citizen, a prescindere dal colore della pelle, e far sì che ogni persona umana sia parte, come individuo, di una società, di una comunità: è dalla comunanza dei problemi, in primis delle diseguaglianze, e dall’individuazione delle cause strutturali che le hanno determinate, che possono venire quelle azioni collettive in grado di conquistare un governo per i molti e non per i pochi. Insomma accrescere la coscienza collettiva, la fiducia e l’entusiasmo, allargando realmente la partecipazione: solo un potente attore collettivo può sopperire a un individuo isolato e deluso, irritato e impoverito dallo status quo cui i Blairiters dinosaurs hanno con la terza via, fatta propria dai nostrani dinosaurs, il loro contributo non piccolo nè insignificante. Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Concorsi: la nuova rassegna dei bandi pubblicati dagli Enti Locali

Come di consueto la rassegna settimanale dei concorsi pubblici selezionati dalla Gazzetta Ufficiale. Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale – Concorsi ed Esami n. 86 del 10.11.2017: COMUNE DI ADRARA SAN MARTINO CONCORSO (scad. 13 dicembre 2017) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto, a tempo parziale (diciotto ore settimanali) ed indeterminato di un istruttore amministrativo – categoria giuridica C, posizione economica C1, servizi demografici. (17E08408). COMUNE DI ALBA CONCORSO Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto a tempo indeterminato di istruttore direttivo amministrativo – categoria D – posizione economica D.1 a tempo pieno (trentasei ore settimanali) presso la ripartizione servizi legali – polizia municipale – U.O. Stampa – pubbliche relazioni – turismo – gemellaggi. (17E08401). COMUNE DI ASTI CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di dirigente settore lavori pubblici ed edilizia pubblica. (17E08426). COMUNE DI BAGNONE CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato ed orario part-time – diciotto ore, di due operai specializzati addetti alla manutenzione del patrimonio comunale, categoria B, posizione economica B3, presso l’area tecnica. (17E08362). COMUNE DI CASTIGLIONE OLONA CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto a tempo pieno e indeterminato di assistente sociale – categoria D. (17E08403). COMUNE DI CASTRO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di un collaboratore tecnico – operaio assistente tecnico – autista scuolabus – categoria B3. (17E08432). COMUNE DI CERIALE CONCORSO (scad. 27 novembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato e parziale pari a quindici ore settimanali di un funzionario tecnico – categoria D.1. (17E08465). COMUNE DI CINGOLI CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato, di un posto di elettricista – conduttore mezzi d’opera, categoria B3. (17E08372). COMUNE DI CITTA’ DI CASTELLO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Procedura selettiva riservata, ai sensi dell’articolo 1, comma 228-ter della legge n. 208/2015, per titoli ed esami, per la copertura di cinque posti a tempo indeterminato, part-time 70%, categoria C, profilo professionale di educatore d’infanzia. (17E08463). COMUNE DI COLLEGNO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per esami, per il conferimento di un posto a tempo indeterminato e pieno di istruttore direttivo amministrativo contabile, categoria D1. (17E08460). COMUNE DI COLLEGNO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per esami, per il conferimento di un posto a tempo indeterminato e pieno di avvocato specialista, categoria D3. (17E08461). COMUNE DI COLOGNO MONZESE CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di due posti di agente di polizia locale – categoria C – C.1. (17E08453). COMUNE DI COLOGNO MONZESE CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di un posto di istruttore direttivo di polizia locale – categoria D – D.1. (17E08454). COMUNE DI COMELICO SUPERIORE CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso per un posto di autista scuolabus/operatore mezzo polivalente/operaio specializzato/ categoria B3 presso il settore tecnico-manutentivo a tempo indeterminato part-time diciotto ore settimanali. (17E08476). COMUNE DI FANNA CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto a tempo parziale (diciotto ore settimanali) e indeterminato di istruttore direttivo tecnico – categoria D – posizione economica D1 (C.C.R.L. del personale degli enti locali del Friuli-Venezia Giulia) da destinare all’area servizi tecnici. (17E08400). COMUNE DI GRANDOLA ED UNITI CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di agente di polizia locale, categoria C, posizione economica C1. (17E08360). COMUNE DI GUANZATE CONCORSO (scad. 30 novembre 2017) Concorso pubblico, per soli esami, per l’assunzione a tempo indeterminato di un agente di polizia locale – categoria C – part-time 50% – diciotto ore. (17E08462). COMUNE DI MASER CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di un posto di istruttore contabile categoria C – area economico-finanziaria. (17E08472). COMUNE DI MISANO ADRIATICO CONCORSO (scad. 27 novembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la formazione di una graduatoria per eventuali assunzioni straordinarie di personale a tempo determinato di istruttore/insegnante scuola materna, categoria C1. (17E08467). COMUNE DI MONTELIBRETTI CONCORSO (scad. 25 novembre 2017) Selezione pubblica per il conferimento di un incarico ai sensi dell’articolo 110, comma 1 del decreto legislativo n. 267/2000 a tempo determinato e part-time (trenta ore settimanali), categoria D1 – istruttore direttivo tecnico, con attribuzione di responsabilita’ apicale. (17E08471). COMUNE DI NONIO CONCORSO (scad. 7 dicembre 2017) Selezione pubblica per la formazione di graduatoria finalizzata all’assunzione di personale a tempo pieno ed indeterminato – profilo professionale operaio specializzato/autista scuolabus – categoria B – posizione economica B3 – area tecnico-manutentiva. (17E08409). COMUNE DI PATERNO CALABRO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per esame e colloquio, per la copertura di due posti di collaboratore a tempo indeterminato ex V q.f. – categoria B3 – posizione economica B3 – di cui uno riservato al personale interno. (17E08406). COMUNE DI PIARIO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Selezione pubblica, per esami, per l’assunzione di un istruttore direttivo tecnico – a tempo part-time (dodici ore settimanali) e indeterminato, categoria D, posizione economica D1, da inserire nel Settore lavori pubblici urbanistica. (17E08404). COMUNE DI SAN COSTANZO CONCORSO (scad. 17 novembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo parziale (ventiquattro/trentasei ore settimanali) ed indeterminato di un posto di istruttore assistente sociale – categoria D1, presso il Settore servizi sociali e al cittadino. (17E08434). COMUNE DI SANSEPOLCRO CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato di due educatrici/educatori asilo nido comunale categoria C1 – contratto collettivo nazionale di lavoro 31 marzo 1999. (17E08450). COMUNE DI TORRE SANTA SUSANNA CONCORSO (scad. 11 dicembre 2017) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto a tempo parziale (venti ore settimanali) ed …

XXV ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE Seduta della Camera dei deputati del 23 aprile 1970. Orazione ufficiale di Sandro Pertini

Lungo è il cammino percorso dai patrioti italiani per riconquistare la libertà e questo cammino non ha soluzioni di continuità, perché la Resistenza, a mio avviso, non è un fatto storico a sé stante, ma è stata la continuazione della lotta antifascista. I patrioti che, sotto la dittatura, si sono battuti forti solo della loro fede e della loro volontà, partecipano alla lotta armata della Resistenza. Qui vi sono uomini che hanno lottato per la libertà dagli anni ’20 al 25 aprile 1945. Nel solco tracciato con il sacrificio della loro vita da Giacomo Matteotti, da don Minzoni, da Giovanni Amendola, dai fratelli Rosselli, da Piero Gobetti e da Antonio Gramsci, sorge e si sviluppa la Resistenza. Il fuoco che divamperà nella fiammata del 25 aprile 1945 era stato per lunghi anni alimentato sotto la cenere nelle carceri, nelle isole di deportazione, in esilio. Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti già membri di questo ramo del Parlamento uccisi sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di prigionia; spentisi in esilio Filippo Turati, Claudio Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi crudelmente ucciso alla Storta. I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno più numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti. Recano i nomi, queste pietre miliari, di reparti delle forze armate, ufficiali e soldati che vollero restare fedeli soltanto al giuramento di fedeltà alla patria invasa dai tedeschi, oppressa dai fascisti: le divisioni «Ariete» e «Piave» che si batterono qui nel Lazio per contrastare l’avanzata delle unità corazzate tedesche; i granatieri del battaglione «Sassari» che valorosamente insieme con il popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a porta San Paolo; la divisione «Acqui» che fieramente sostenne una lotta senza speranza a Cefalonia e a Corfù; i superstiti delle divisioni «Murge», «Macerata» e «Zara» che danno vita alla brigata partigiana «Mameli»; i reparti militari che con i partigiani di Boves fecero della Bisalta una roccaforte inespugnabile. Giustamente, dunque, quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale. Nel Primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione. Vi partecipano in massa operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644 furono celebrati contro operai e contadini. E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l’occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce. Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell’Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane. Onorevoli colleghi, senza questa tenace lotta della classe lavoratrice – lotta che inizia dagli anni ’20 e termina il 25 aprile 1945 – non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra Patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica. Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione. Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende esserne spodestata. Ma, onorevoli colleghi, noi non vogliamo abbandonarci ad un vano reducismo. No. Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sappia battersi quando è consapevole di battersi per una causa sua e giusta; non inferiore a nessun altro popolo. Siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituiscono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà. E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano. I compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l’esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l’insegnamento d’un nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona. Questo insegnamento deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività di uomini politici: operare con umiltà e con rettitudine non per noi, bensì nell’interesse esclusivo del nostro popolo. Onorevoli colleghi, questi in buona sostanza i valori politici, sociali e morali dell’antifascismo e della Resistenza, valori che costituiscono la «coscienza antifascista» del popolo italiano. Questa «coscienza» si è formata e temprata nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, è una nostra conquista, ed essa vive nell’animo degli italiani, anche se talvolta sembra affievolirsi. Ma essa …

COS’E’ LA “SINISTRA”?

A sforzarci di cercare elementi socialisti caratterizzanti la sinistra italiana nei partiti di sx è cosa ardua; vuoi per le tematiche politico-culturali carenti, vuoi per la distorsione politica che ne fanno diversi leader, ma soprattutto per la scarsa attenzione alla diminuzione dei diritti, dei principi di eguaglianza, di solidarietà, di inclusività e di redistribuzione del reddito. C’è in atto un lavorìo politico di nascite di nuove formazioni politiche, frutto di divisioni e incompatibilità personali, che non saranno effettivamente utili e funzionali alle necessità italiane se dalle convulsioni politiche situazione che non concorrerà a formare un soggetto politico nuovo, aperto, ”socialista”, aggregante e di prospettiva movimentista, forte elettoralmente. Al momento non lo vedo percepito e né ipotizzato, forse non voluto, perché ognuno vuole ritagliarsi il proprio orticello politico pensando a spazi politici quasi personali, tentano di condizionare la discussione politica al fine di ottenere qualcosa in ritorno diretto, nei fatti ingessano l’aggregazione e l’apertura politica di prospettiva per un futuro migliore dell’Italia in generale, e della politica italiana nella fattispecie evolutiva. Non si può più esercitare la politica criminalizzando l’avversario, ma spostando il confronto sul piano politico-programmatico oggettivo e anche di leadership (anche se attualmente c’è carenza di leader, quelli che sulle proprie intuizioni ragionano con il proprio partito e con il popolo e ne acquistano il consenso vero, non quello dei pacchetti di voti o delle truppe cammellate). Tutto viene giocato sullo scontro personale e si è capito che non porta più grandi risultati elettorali lo schema “il nemico da abbattere”. L’emergenza politica e la crisi in generale delle forze politiche della sinistra detterebbero la necessità di una forza “nuova e diversa” dalle formazioni attuali, che non avesse gli stessi vizi di primogenitura che in altri tempi hanno tentato di sperimentare nel caso catto-comunista del PD, ma unire inter pares e similis cum similibus aree politiche similari, su progetti politici importanti, sui valori di un riformismo, non certamente della “rottamazione” Che idea politica è? Cosa si vuole costruire con la semplice rottamazione? Che poi non è stata peraltro praticata. Ora tenterà di rottamare addirittura il PD e di fare il partito del leader alla Macron. Tutto ciò che era vecchio veniva buttato e con esso anche l’esperienza, non serve? In tempi in cui il “riuso”, il “riciclo”, ” il “differenziare”, l’economia circolare”, ci impongono di ridare nuova vita a ciò che apparentemente può sembrare non abbia più funzioni , e magari utilizzare dei politici “longevi” il fattore” esperienza” come grande risorsa politica aggiuntiva. Cosa ha prodotto il “nuovismo” se non una misera banalizzazione fatta di slogan, luoghi comuni, e frasi fatte? Tutto questo perché dalla Bolognina una certa sinistra ha scelto la società civile, governi tecnici, antipartitismo liquidando i partiti sono venuti fuori il trasformismo e l’irrazionalità del culto del capo affabulatore, e non il Socialismo Europeo. Ancora oggi, una certa sinistra persevera nel voler mettere addirittura a Capo di un movimento politico della sinistra un magistrato? La bussola non funziona più ed è impazzito l’ago politico! Spesso sento disquisire sulle cadute degli ideologismi e della non esistenza di destra e sinistra e via dicendo. Penso invece che le differenze esistono ed esisteranno sempre, potranno essere definite in altro modo; negarne l’esistenza, oggi, è solo funzionale al gioco politico dei governanti attuali che così facendo hanno spazi di manovra più ampi, facilitano gli inciuci, le connivenze, gli spostamenti inverosimili di Parlamentari (Nominati) senza obbligo di mandato, senza che rendano conto del loro operato. Addirittura in questa legislatura c’è stata una migrazione transumante di circa 400 Parlamentari -a cui sarebbe necessario porre rimedio-; capite bene che si viene eletti per fare una cosa e poi se ne fa un’altra, si viene eletti per rappresentare una fascia di popolo su programmi chiari, per poi fare l’esatto opposto, dove siamo finiti ? Dove stiamo andando? Approvano leggi e provvedimenti non per gli italiani, ma per convenienze particolarissime, elettoralistiche, per interessi diretti, a discapito dell’andamento generale e dell’intera comunità, generando sacche di povertà assoluta e dissipamento di risorse. Il problema potrà essere risolto solo e se le forze politiche in campo capiranno che vanno ripristinati i valori etici e morali della “Buona Politica”, rispetto assoluto dei programmi che raccolgono il consenso, con grande coerenza, ed infine se verranno “abbattuti i recinti” per aree similari. Tutta la sinistra, nel suo insieme, a mio avviso, dovrà fare un passo indietro per una revisione storica, trovare gli elementi culturali socialdemocratici come elementi di forza per una riprogrammazione progettuale di Governo, e successivamente avanzare tutti insieme facendo due in avanti, abbracciando ed accompagnando nuove prospettive politiche per un futuro migliore. E’ necessario fare squadra su un progetto aperto, inclusivo, che racchiuda insieme “Riformismo e Progressismo“ nell’ equilibrio “socialdemocratico”, non subalterno alla destra dell’austerità, e di grandi prospettive espansive; sicuri che l’unità progettuale di una sinistra moderna che facesse tesoro del “riformismo socialista”, diventerebbe motore di sviluppo e di progresso per l’Italia. Sarebbe l’unica via possibile e praticabile, anche se richiede notevoli sforzi, intelligenze e grande entusiasmo. La società sente la necessità, l’esigenza di cultura –politica –socialista -riformista “vera”, quella che incide, che cambia in meglio, che migliora lo Stato nelle sue funzioni regolatrici e lo modernizza. Attualmente nessuna forza politica riesce ad interpretare e rappresentare adeguatamente questa necessità. Non basta fare “riforme”, veloci, tanto per fare riforme,”le riforme devono essere utili a cambiare in meglio”,”devono modernizzare e rendere efficiente lo Stato”, “devono far fronte a nuove emergenze e dare prospettive”. Le forze che hanno la “Cultura di Governo” sono scarsamente organizzate, altre ne hanno una infarinatura, altre ancora non hanno radici culturali, altre confusamente miscelano il netto contrario. Il quadro è davvero preoccupante. Quando si parla di democrazia, di libertà, di giustizia sociale, non si può stare che da una parte sola! Non è ipotizzabile avere posizioni politiche in Italia, diverse in Europa, nonché a livello Internazionale. Soprattutto per la sinistra che dovrà necessariamente ritrovarsi nell’internazionalismo socialista. La riflessione su questi temi è quanto mai opportuna e necessaria, serve a stimolare un ragionamento politico sia sulla cultura …

COSI’ I GIORNALISTI FECERO I KILLER DELLA PRIMA REPUBBLICA

di Piero Sansonetti La grande alleanza tra media e pm affondò un intero sistema politico La Prima Repubblica era una cosa buona? Chi l’ha uccisa? Pierluigi Battista ha scritto un articolo sulla “Lettura” ( il supplemento domenicale del “Corriere della Sera”) nel quale rimpiange quel periodo della storia recente del nostro paese, che fu il periodo del grande sviluppo economico e della affermazione della democrazia. E ne esalta molti aspetti positivi. Ieri Emanuele Macaluso, in uno scritto che abbiamo pubblicato sul Dubbio, ha fatto osservare che negli anni nei quali la prima Repubblica fu liquidata dall’inchiesta “Mani Pulite” i giornali certamente non la difesero. Vorrei andare un pochino oltre la giusta affermazione di Macaluso ( che è stato tra i dirigenti più importanti di quella fase della vita repubblicana). Credo che i giornali e i giornalisti svolsero il ruolo di killer del sistema dei partiti e quindi della prima Repubblica. Assumendosi l’incarico di demolire una parte della Costituzione repubblicana, e cioè quella che delineava un sistema democratico forte e fondato sulla struttura dei partiti e dei sindacati. ( Curioso notare che oggi quelli che ritengono intoccabile la Costituzione repubblicana sono o gli stessi o gli eredi di coloro che la demolirono 25 anni fa). I giornali e i giornalisti presero su di se, consapevolmente e baldanzosamente, una responsabilità diretta e macroscopica. Guidando la cacciata dei partiti dal potere politico, spianando la strada alla magistratura, e costruendo le basi materiali e teoriche per il giustizialismo, e cioè per quella ideologia robusta che – dall’inizio degli ani novanta – diventò ( ed è ancora) l’ideologia nazionale, sostituendo l’ideologia dell’antifascismo, che nel primo mezzo secolo del dopoguerra aveva costituito l’elemento unificante dello spirito pubblico nazionale. Cosa fecero i giornali e i giornalisti? Usarono le inchieste della magistratura come artiglieria per sparare sul quartier generale. Decisero, con uso largo di grandi mezzi, di descrivere il Palazzo della politica come un luogo ignobile di ruberie e sotterfugi, abitato esclusivamente da malfattori e lestofanti. E subito dopo assunsero il ruolo di guida del paese, che era stato abbandonato dalla politica in fuga e che non poteva essere raccolto direttamente dai magistrati, modificando completamente la propria funzione intellettuale e civile, e preparandosi a partecipare al nuovo potere politico. Il disegno non riuscì del tutto perché quando la prima Repubblica sprofondò definitivamente, prima con un plebiscito che abolì la legge elettorale e quindici giorni dopo con il linciaggio in piazza di Bettino Craxi ( 18 e 30 aprile 1993), cioè con due strumenti tipici dell’insurrezione, ci fu la reazione ( imprevista) di un pezzo minoritario ma assai rampante della borghesia, guidato da Silvio Berlusconi, che deviò la rotta che giornali, magistrati e poteri economici ( soprattutto quelli che si radunavano attorno alla famiglia Agnelli) avevano previsto. E’ nata così, un po’ sbilenca, la seconda repubblica. In quella alleanza coi magistrati e la grande finanza, il compito dei giornalisti fu decisivo, e il modo nel quale si organizzarono molto ben studiato e definito. E’ vero che alla fine gli altri due membri dell’alleanza portarono a casa gran parte del bottino, e i giornalisti restarono a mani vuote, ma questo non ridimensiona il ruolo che ebbero di “punta di lancia” dell’operazione. Altra volte ho parlato come testimone diretto di quella vicenda. Ora, visto che il tema è tornato alla ribalta – e credo che sia un nodo decisivo della storia, non spettacolare, della crisi del giornalismo italiano e dello stato di subalternità e di inferiorità nel quale vive – voglio essere ancora più preciso. I principali giornali italiani avevano costituito un “pool”, rinunciando a quell’elemento decisivo, storicamente, nella vita dei giornali e del giornalismo, che è la competizione e la concorrenza. Quattro giornali firmarono un patto di ferro: “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, “L’Unità” e “La “Repubblica”. Tranne Eugenio Scalfari, tutti gli altri direttori furono direttamente coinvolti in questo patto. Erano personaggi di primissimo piano, e contavano moltissimo nell’establishment, e furono tra i pochissimi che non furono travolti dall’” insurrezione”, anzi la guidarono. Paolo Mieli, Ezio Mauro, Walter Veltroni, che erano i direttori dei primi tre giornali, e un certo numero di capiredattori di Repubblica, il nome più noto è quello di Antonio Polito. Non ho mai potuto accertare se Scalfari sapesse e se approvasse. Ho solo un sospetto. Io all’epoca ero condirettore dell’Unità, e dunque – lo confesso – partecipai direttamente a molti colloqui e assistetti a tutto ciò che avvenne. Ogni sera, verso le sette, i direttori o i vicedirettori o i capiredattori, si sentivano per telefono e decidevano come fare le prime pagine, come dare le notizie, con quale forza, con quale gerarchia. Tutte le notizie, ovviamente, ma soprattutto le notizie che riguardavano il palazzo e l’inchiesta sulle Tangenti, che ogni giorno mieteva nuove vittime. Le “macchine”, come si dice in gergo, dei giornali furono rivoluzionate. I giornalisti non erano più titolari delle notizie, rispondevano a questa specie di “spectre” che era il supervertice dei quattro giornali. Il pool di direttori si interfacciava con in pool di giornalisti giudiziari, che aveva coinvolto anche giornalisti delle Tv, ed era alle dirette dipendenze delle Procure, e in particolare della Procura di Milano. Nessun giornalista giudiziario che non facesse parte del pool poteva più accedere a nessun tipo di notizia di giudiziaria, e rapidamente, per questa ragione, veniva eliminato dalla piazza. Il pool dei direttori – nel quale spiccava una specie di diarchia: Mieli che era il giornalista più autorevole, e Veltroni, che guidava un giornale ma era l’unico esponente della politica ammesso a questo consesso – aveva assunto anche vere e proprie funzioni legislative. L’esempio più clamoroso è quello del decreto– Conso. E’ un decreto legge varato dal Consiglio dei ministri il 5 marzo del 1993 ( come vedete, se fate attenzione alle date, di poche settimane precedente al referendum– plebiscito e al linciaggio di Craxi, cioè agli atti finali dell’insurrezione) nel quale il ministro della giustizia, Giovanni Conso ( giurista celebre e stimatissimo, ex presidente della Corte Costituzionale) disponeva la depenalizzazione del finanziamento illecito dei partiti …

I DUBBI DI FEDERICO CAFFE’ SULL’EUROPA

Circa trent’anni anni fa spariva Federico Caffè, uno dei più illustri economisti italiani, tra i primi a sviluppare il pensiero di Keynes in Italia.  Proponiamo un estratto di un ampio documento di Mario Tiberi che ricostruisce le perplessità di Caffè, pur convintissimo europeista, sulla costruzione dell’Europa monetaria. Nonostante Caffè non abbia mai visto l’Euro, i dubbi di allora sullo Sme appaiono incredibilmente, e tragicamente, attuali. […] Lo stesso Caffè, alcuni anni prima, aveva scritto un saggio, col quale rendeva omaggio a Marco Fanno, riprendendo il tema che quest’ultimo aveva affrontato in un contesto istituzionale molto diverso, ma che Caffè riteneva evidentemente essere tornato di grande attualità. Egli intendeva prendere in considerazione la varietà dei movimenti di capitale che possono avvenire tra un paese e l’altro, riconducendoli alle due categorie di normali e anormali, proposte da Fanno. Non si tratta di ripercorrere qui la casistica dei movimenti inseriti nelle due categorie, ma di ricordare la forte preoccupazione di Fanno, fatta propria da Caffè, sugli effetti perturbatori provocati da quella parte dei flussi anormali, avente un andamento particolarmente erratico: indicativo ora di criticità sottostanti, ora foriero di ripercussioni negative, non solo sulle variabili monetarie e finanziarie, ma anche su quelle reali, quali reddito e occupazione. Il quadro di riferimento è ancora l’economia mondiale, ma è esplicitamente presa in considerazione la situazione in cui, come nella Cee di allora, coesistano paesi a valuta forte, cioè la Germania, e quelli a valuta debole, cioè l’Italia. In circostanze del genere c’è un’esposizione continua al rischio di movimenti di capitale dal paese a valuta debole verso quello a valuta forte, con creazione di squilibri che i meccanismi di mercato non sono sempre in grado di raddrizzare, se, in loro aiuto, non può intervenire, per il vincolo derivante dall’accordo, la svalutazione della valuta debole. In mancanza del parallelismo degli obblighi, secondo un’espressione cara a Caffè, il paese in difficoltà si trova costretto a perdere riserve o a ricorrere a politiche restrittive, che incidono sui livelli di occupazione. Facendo sempre salvo il valore della prospettiva politica dell’integrazione europea, non si può negare che l’esperienza vissuta e il dibattito teorico continuarono a fornire buoni argomenti ai critici delle soluzioni di “ingegneria monetaria”, come le definisce Caffè, che costellavano quella prospettiva. L’affidamento ad un meccanismo cooperativo della manovra del tasso di cambio, strumento essenziale, in precedenza, nelle mani dei singoli stati per recuperare la loro stabilità macroeconomica, soprattutto nei conti con l’estero, rendeva necessarie numerose operazioni di riallineamento delle parità centrali, realizzate con laboriose trattative tra i paesi membri. È vero che lo Sme prevedeva il contributo al riequilibrio del paese forte, ad esempio con una rivalutazione, difficile da ottenere quando si è indotti a pensare che gli squilibri siano il risultato di comportamenti virtuosi, da un lato, e perversi, dall’altro. Quanto alle risorse destinate al sostegno multilaterale attraverso la creazione di un Fondo comune europeo, le procedure elaborate, discrezionali e non automatiche, risultavano inadeguate alle esigenze di intervenire con tempestività. La correzione delle conseguenze di turbamenti asimmetrici non poteva, d’altra parte, essere affidata alla mobilità dei lavoratori, pur operante, ma non in misura tale, per quantità e tempi, da contribuire in maniera significativa al riequilibrio della situazione. Avendo in mente situazioni del genere, prevedibilmente, più numerose da attendersi nelle relazioni tra paesi all’interno e all’esterno della Cee, Caffè prende decisamente posizione in favore di un interventismo nazionale e sovranazionale, che non mostri nessuna soggezione rispetto alla esaltazione delle capacità della “mano invisibile” di operare, efficacemente ed equamente, anche nell’allocazione delle risorse finanziarie e reali sul piano mondiale. Egli insiste nella sua battaglia culturale a favore dell’attivazione di strumenti di controllo dei movimenti di capitale per salvaguardare e accrescere i livelli di occupazione in tutti i paesi, in particolare in quelli, come l’Italia, impegnata nel confronto serrato con i paesi europei appartenenti all’area del marco. Egli richiama con insistenza, ad iniziare dal suo articolo appena ricordato, le norme contenute negli accordi internazionali, in sede Fmi e Cee, che indicavano casi non marginali in cui tali strumenti restrittivi potevano essere utilizzati per accompagnare il processo di integrazione tra i diversi sistemi economici; esprime, anzi, il rammarico, riferendosi specificamente alla Cee, perché:  “Alla lettera del trattato e alla lungimiranza di qualificati economisti si è tuttavia contrapposta la pressione di tecnocrati, i quali sono riusciti a far coincidere l’applicazione di un trattato non nel rispetto, ma nell’ “accelerazione” dei suoi tempi di attuazione”. L’esposizione più ampia e diretta dei “dubbi” di Caffè sullo Sme si ritrova nel documento già citato () che, seppure non pubblicato, e quindi forse non riletto, contiene una serie di spunti critici, caratteristici del suo modo di guardare ai fatti economici. Intanto c’è un richiamo storico al Risorgimento italiano, riguardante un momento di svolta fondamentale, come Caffè considera la scelta contrastata dell’Italia di “entrare” in Europa. C’è poi la forte preoccupazione per l’inevitabile egemonia della Germania, che seppure ancora divisa, rappresentava il paese ad economia nettamente più forte e solida tra i paesi della Cee. Caffè temeva soprattutto il tipo di cultura economica di cui i gruppi dirigenti di quel paese erano portatori, a prescindere, per alcuni aspetti, dai loro orientamenti politici. In particolare si faceva sentire in tali gruppi il trauma dell’iperinflazione vissuta dalla Germania negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Il retaggio fondamentale di tale esperienza si traduceva nella particolare sensibilità alla stabilità dei prezzi, ottenuta anche con un assetto istituzionale che prevedeva una forte autonomia della Banca Centrale rispetto al potere politico. Tale orientamento non era controbilanciato, all’interno degli organi comunitari, dalla presenza della Gran Bretagna, che non poteva esercitare, per sua scelta, un ruolo da protagonista nei processi decisionali comunitari. In tema di elaborazione degli obiettivi da raggiungere va ricordato quanto pesasse nelle decisioni di politica economica di tale paese il messaggio sancito nel secondo Rapporto Beveridge, redatto da questo studioso liberale sotto l’influenza determinante del pensiero di John Maynard Keynes: “il governo accetta come uno dei suoi obiettivi e doveri primari il mantenimento di un alto e stabile livello di occupazione dopo …

DUE DOMANDE SULLA NUOVA EMIGRAZIONE AL PORTAVOCE DEL FAIM RINO GIULIANI

D. Ieri a Palazzo Giustinani, nella Sala Zuccari si è svolto il Convegno del Faim sull’importante tema della nuova emigrazione italiana. Quale è la sua valutazione sull’evento che rappresenta la prima uscita pubblica dopo il congresso costituivo? R. Al Convegno “Emigrare tempo di crisi- necessità e opportunità: più diritti , più tutele” avevamo affidato il compito di illustrare gli esiti di un approfondimento sulla condizione migratoria, fatto sul campo, in diversi paesi dove più intensa è l’ emigrazione di italiani. I dati di realtà forniti, anche direttamente dai protagonisti, hanno costituito con le schede-paese, la base delle indicazioni programmatiche della relazione introduttiva e di quellE del Comitato scientifico del FAIM. Larga è stata la partecipazione di pubblico e numerosi gli intervenuti nel dibattito. Ci conforta aver riscontrato consenso e convergenze con la nostra analisi e le nostre indicazioni su come intervenire sulle evidenti criticità di un flusso migratorio che avviene da anni senza che ad oggi si siano approntati strumenti di accompagnamento. Ci è sembrato importante il riscontro dato e i punti di convergenza dagli interventi del Direttore Generale del ministero del lavoro Tatiana Esposito e del Maeci Luigi Maria Vignali. Il metodo innanzitutto, quello di decidere perseguendo il confronto con tutti i protagonisti interessati attraverso tavoli di discussione presso i quali le diverse letture della nostra recente migrazione possano entrare in modo concreto nelle valutazioni che conducono alle scelte pubbliche. E’ un percorso, quello proposto, che pensiamo vada pienamente condiviso. Vogliamo poter vedere, a tempi brevi, decisioni coerenti. C’è tuttavia bisogno di una sussidiarietà istituzionale, oggi del tutto inadeguata, fra Stato Centrale e Stato delle autonomie locali senza la quale poi non si è nelle condizioni di vedere attivati e funzionanti gli strumenti di accompagnamento, assolutamente necessari alla nuova emigrazione lasciata oggi al “fai da te” Il ruolo della sussidiarietà orizzontale ci sarà come c’è stata nel passato, in epoche e con modalità diverse, sperabilmente non in termini meramente sostitutivi. D. Come FAIM all’indomani del vostro ultimo dibattito sulla nuova emigrazione come pensate di dare le risposte che molti si attendono ? R. Come FAIM non arriviamo ora sulle questioni, ma dalla constatazione del fenomeno alla ricognizione delle criticità e ai i possibili modi di intervento è da prima e nello stesso congresso fondativo del FAIM che abbiamo preso i nostri impegni su cui stiamo lavorando e che vincolano tutte le strutture aderenti. Abbiamo sempre pensato a una rete di assistenza che già in Italia sin dalla partenza accompagni le persone (con informazione, formazione, orientamento) e che poi nei paesi d’arrivo dei nostri migranti sviluppi anche quelle forme articolate e diversificate di sostegno fondamentali laddove, la precarietà spesso rinvenibile nella normazione del lavoro, si affianca a condizione di sfruttamento del lavoro e di contrazione delle tutele e dei diritti, a partire dal welfare reso sempre più incerto. La rete associativa del Faim e più in generale l’associazionismo, in specie quello di promozione sociale è il naturale protagonista di una rete informale che si dovrebbe intrecciare in modo fecondo sinergicamente con la rete dei patronati. Come nel passato così oggi per una tutela che per poter durevolmente essere efficace, deve essere al contempo individuale ma anche collettiva. Questa rete deve connettersi con un sistema consolare che funzioni, da potenziare su territori spesso abbandonati o sguarniti. Seguo molto il mondo della cosiddetta “generazione erasmus”, che ha trovato stabilizzazione all’estero. Ne seguo su chat il dibattito su come essere utili al loro paese, come poter tornare per restituire in parte alla propria comunità nazionale quanto hanno ricevuto. A questi e all’altra emigrazione, quella “proletaria”, di persone cioè, anche laureate e diplomate, che vengono utilizzate all’estero in attività a basso contenuto professionale e che forti della esperienza acquisita vogliano ritrovare in una Italia che investa sul lavoro la loro dimensione esistenziale, a tutti questi soggetti di una possibile “mobilità circolare “ servono strumenti di accompagnamento. In termini più generali sul rapporto fra l’Italia e gli italiani che sono fuori dalla madrepatria dopo un lungo silenzio, siamo stati i primi a richiedere, anni or sono, lo svolgimento di una Conferenza mondiale che oggi molti avanzano e che, molto positivamente abbiamo appreso essere un importante punto all’ordine del giorno del prossimo CGIE. Su tutto questo fronte di avanzamento di una ripresa di consapevolezza della centralità del mondo della nostra emigrazione siamo come FAIM in prima fila , con un impegno fatto di proposte concrete e di costane presenza fra gli italiani all’estero. Fonte: (santi news) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SINDROME DEL “CESPUGLIO”

Grandi manovre per consentire al cespuglio che si dichiara PSI di ottenere una qualche attenzione numeraria da parte del PD; L’argomento oggetto di dibattito da oggi a Milano “il merito ed il Bisogno, fa parte di questa speranza“. I socialisti invece sono stati importanti solo quando sono stati autonomi (quindi con una loro identità un loro progetto, un loro programma). Questo lo si ì visto fin dalla nascita del Centro Sinistra, anche se dal ’64 la scissione del PSIUP, agevolata dal PCI e dall’URSS, ne ha ridotto le potenzialità. Con l’avvento di De Martino e con la “cassandra” repubblicana Ugo La Malfa, che parlava dell’ineluttabilità del comunismo, lo spazio e soprattutto lo stimolo ideale, si sopirono a tal punto che ormai i nostri vertici si erano “rassegnati” a confluire nel PCI. Solo il 1976 ed il MIDAS, diedero il colpo di RENI per ritrovare lo spirito AUTONOMISTA di cui Craxi e Signorile furono antesignani. Dopo il disgraziato 1993 crebbe il ragionamento OGNUNO PER SE e Dio per tutti, sia a destra che a sinistra. Cicchitto ed altri a destra, Del Turco ed altri a sinistra (si fa per dire). Poi i “pendolari“. Ma nessuno lo fece per il PARTITO, che non ci raccontiamo balle. Boselli col SI fu inventato dal PDS e nonostante la ricomposizione con Intini ed altri (lo stesso Martelli inizialmente), la sindrome dei “cespuglio” rimase nell’interesse dei dirigenti, che anziché rischiare una “vita autonoma” restarono saldamente ancorati alle sedie (anche scomode) messe a disposizione dai catto-comunisti. Il povero Manca finì addirittura nella CDU e qualcun altro in Alleanza Nazionale: Di fronte a scelte sicure nessun dirigente si è tirato indietro. Ora abbiamo l’ulteriore imbroglio Un finto “merito e bisogno”, che per essere serio avrebbe dovuto avere preventivamente una grande preparazione e, soprattutto, un’alleanza tra scheletri, che naturalmente non possono avere il sangue caldo che serve ad ogni vertebrato vivente. Quindi era molto più facile dire: IL PD CI OFFRE TOT SEGGI PARLAMENTARI, per cui a noi dirigenti interessa esserci. Tutto il resto i MATUSA lo possono raccontare a giovanetti imbelli o a qualche interessato ad un posticino di provincia, raccattato con le firme raccolte dal PD. Giampaolo Mercanzin SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

«CONGRÉS DE L’UNITÉ» À ÉPINAY-SUR-SEINE (juin 1971): POUR LA RENAISSANCE DU PARTI SOCIALISTE

Il Congresso di Epinay del giugno 1971 segna la rinascita del Partito Socialista dopo un breve periodo del Nuovo Partito Socialista guidato da Alain Savary dal luglio 1969. Questo “congresso dell’unità” puntò a costruire una formazione unitaria, sviluppando un programma comune con i comunisti e, soprattutto, in prospettiva di una politica di governo. Già, nel giugno 1970, un congresso socialista a Épinay-sur-Seine Dal 1968, i socialisti francesi  parlarono di unificazione di tutte le tendenze all’interno di un unico partito. Dopo il ritiro di Guy Mollet alla testa del partito socialista nel dicembre 1968, Alain Savary, che lasciò il partito nel 1958 in segno di protesta contro Mollet De Gaulle, fondò la PSA diventato poi PSU, prende le redini di un partito che egli  intende rinnovare, il nuovo partito socialista: il congresso costituente del 4 maggio 1969 a Alfortville e 11, 12 e 13 luglio 1969 a Issy-les-Moulineaux, furono convocati dallo SFIO e l’Unione dei Clubs per la rinascita della sinistra (UCRG), che Savary dirisse. Alcuni attivisti della Convenzione delle istituzioni repubblicane (CIR), guidato da François Mitterrand, si unirono a loro nonostante il ritiro dal collettivo nazionale organizzatore. Questi due congressi portarono al nuovo partito socialista, definendo il suo statuto, i dibattiti di orientamento e l’elezione degli organismi centrali. Il Congresso Nazionale Straordinario del nuovo PS, 20 e 21 giugno 1970 Un anno dopo, nel giugno del 1970, il nuovo PS tiene un congresso straordinario a Epinay-sur-Seine, Seine-Saint-Denis, dove pone gli obiettivi per vedere realizzata l’unità dei socialisti. Un “piano d’azione socialista per una Francia democratica” fu adottato all’unanimità con otto astensioni. Questo piano, opposto al capitalismo, propone una nuova economia e un nuovo Stato, riconoscendo e accettando le istituzioni della Quinta Repubblica. Avrebbe consentito anche di avviare un confronto con le organizzazioni politiche e sindacali in vista dell’unione della sinistra in prospettiva di governo. Malgrado questa congresso voluto come unificazione, il nuovo partito socialista rimase diviso, in particolare sul tema cruciale dell’unione della sinistra. Lo testimonia l’uscita dalla sala di Mollet ed altri, poco prima del discorso di François Mitterrand, il quale fu accolto dalla platea con lo slogan “Unità, Unità” … Questa uscita, non fu riportato dal Comunicato socialista, fu però sottolineato dai quotidiani del tempo (Le Monde, L’Humanité, France-Soir, L’Aurore). Comunicato socialista, giornale PS (Pierre Mauroy) > Vedi anche la rassegna stampa sulla conferenza straordinaria del 20 e 21 giugno 1970 nella collezione Robert Pontillon (attualmente classificata: in un inventario della serie SFIO e PS) Un programma comune con altri partiti di sinistra I socialisti, prima del “Congresso dell’Unità” del 1971, stavano già progettando un programma comune di governo, con il PCF e i radicali di sinistra, con cui era stati avviati dei dibattiti. > Dichiarazione congiunta del nuovo PS con il partito radicale (Pierre Mauroy) > Dichiarazione congiunta del Nuovo PS con il Partito Comunista, 18 dicembre 1969 (Robert Pontillon) La preparazione del “Congresso dell’Unità” Dopo l’accordo del 26 gennaio 1971, la “Delegazione Nazionale per l’Unità dei Socialisti” – composta da rappresentanti del Partito Nuovo Socialista, CIR e dei circoli creati al di fuori del SFIO – richiesero la partecipazione al “Congresso dell’Unità”, che si tenne nei giorni 11, 12 e 13 giugno, per un “cambiamento profondo e una forte organizzazione del Partito Socialista“. La delegazione, presieduta da Nicole Questiaux, incoraggiò gli attivisti a partecipare ai congressi preparatori previsti in tutti i dipartimenti per nominare i loro delegati. > Appello della delegazione nazionale per l’unità dei socialisti al Congresso dell’Unità > Preparazione del congresso > «Nota sul congresso per i nuovi membri» > «Progetto di procedura del congresso» > Precisazioni del CIR sulla preparazione del congresso Documenti tratti da Claude Estier. Le mozioni presentate al Congresso di Épinay Diciassette mozioni furono presentate al “Congresso dell’Unità”. Ma il dibattito si concentrerà su cinque di esse, presentate dai principali dirigenti del nuovo PS, del CIR e dei circoli: la mozioneL, il tandem Louis Mermaz-Robert Pontillon, la mozione Jean Jean Poperen, capo del l’Unione dei gruppi e dei Circoli socialisti (UGC), la mozioneO presentata da  Alain Savary e firmato da Guy Mollet, la mozioneP CERES Chevènement e il movimento con la mozioneR con Gaston Defferre e Pierre Mauroy federazioni Socialisti di Bouches-du-Rhône e nord. > Fascicolo della conferenza distribuito ai delegati (include 17 mozioni) > Mozione L (Louis Mermaz-Robert Pontillon): “Per un socialismo, un partito unito e forte” > Mozione M (Jean Poperen): “Per un partito socialista di sinistra” > Mozione O (Alain Savary e Guy Mollet): “Per un forte partito socialista e per la ricerca dell’Unione della sinistra” > Mozione P (CERES): “Unità e rinnovamento per una vittoria del socialismo nel 1973” > Mozione R (Gaston Defferre e Pierre Mauroy): il progetto e il discorso di Pierre Mauroy al Congresso I testi delle mozioni sono estratti dalla fondazione Robert Pontillon. 11-13 giugno 1971 Questo “Congresso di Unità”, atteso da tutti i socialisti, fu in continuità sui temi discussi al congresso straordinario del Nuovo PS nel 1970: nel giugno del 1971, i leader di queste formazioni e gli attivisti concentrano i loro interventi in rottura (o no) con il capitalismo, e l’unione della sinistra, attraverso l’alleanza elettorale con il Partito comunista di Georges Marchais. La votazione sulle proposte di risoluzione dei delegati posta dalla mozioneO, difesa da Alain Savary e Guy Mollet, suo rappresentante, non fu sufficiente per vincere contro la maggioranza che stava per formarsi intorno François Mitterrand, il quale firmò la mozioneL (Mermaz-Pontillon). Mozione O (Alain Savary e Guy Mollet): il 33% Mozione R (Gaston Defferre e Pierre Mauroy): il 28% Mozione L (Mermaz-Pontillon): 16% Mozione M (Jean Poperen): 12% Mozione P (CERES): 8,5% Dopo una trattativa (in particolare con la Federazione socialista del Nord), François Mitterrand riuscì a raccogliere intorno a sé i suoi amici del CIR, e di Gaston Defferre e Pierre Mauroy, e CERES Chevènement. Jean Poperen, nel frattempo,  scelse di sostenere Alain Savary. La votazione finale della conferenza consentì alla mozione di sintesi del gruppo Mauroy-Defferre Mitterrand Chevènement- ad ottenere una maggioranza del (51,26%), opposta a quella di Savary-Poperen-Mollet (48.73%). La formula di …