Concorso Nazionale “MATTEOTTI PER LE SCUOLE”

La Fondazione di Studi Storici Filippo Turati Onlus e la Fondazione Giacomo Matteotti Onlus d’intesa con la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la Partecipazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, indicono, per l’anno scolastico 2017/2018, la terza edizione del Concorso nazionale “MATTEOTTI PER LE SCUOLE” rivolto agli alunni della scuola secondaria di secondo grado. Per il bando e la scheda di adesione Fonte: fondazionestudistoriciturati SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Di Vittorio e il ’56 ungherese, la resa dei conti

La posizione della segreteria Cgil e del suo leader sui fatti di Budapest è in contrasto con quella assunta dal Pci. Alla direzione del partito, riunita apposta per discutere di quegli avvenimenti, per il sindacalista di Cerignola è di fatto un processo Il 23 ottobre 1956 a Budapest un largo corteo popolare di solidarietà con la rivolta di Poznań, in Polonia, degenera in scontri tra polizia e dimostranti. La notte stessa il governo, presieduto dagli stalinisti Gerö e Hegedüs, viene sciolto. La formazione del governo Nagy non impedisce il divampare della rivolta nella capitale e nel resto del Paese. Il 27 ottobre, di fronte alla decisione dei sovietici di intervenire militarmente in Ungheria, la segreteria della Cgil assume una posizione di radicale condanna dell’invasione, destinata a stroncare nel sangue la domanda di democrazia e di partecipazione reclamata dalla rivolta operaia e popolare ungherese e sostenuta dal governo legittimo di Imre Nagy. La condanna non è soltanto dell’intervento militare: il giudizio è netto e investe tanto i metodi antidemocratici utilizzati dai governi dei Paesi dell’Est Europa, quanto l’insufficienza grave delle stesse organizzazioni del movimento sindacale. Nella stessa giornata del 27, Di Vittorio rilascia a un’agenzia di stampa una dichiarazione del tutto personale nella quale non solo vengono ribadite le cose dette nel comunicato della segreteria, ma vi si aggiungono parole di piena e convinta solidarietà con i ribelli di Budapest: “In ordine al comunicato emesso oggi dalla segreteria della Cgil sui fatti di Ungheria che tanto hanno commosso i lavoratori e la pubblica opinione – commenta il leader della confederazione –, credo di poter aggiungere che gli avvenimenti hanno assunto un carattere di così tragica gravità che essi segnano una svolta di portata storica. A mio giudizio sbagliano coloro i quali sperano che dalla rivolta tuttora in corso, purtroppo, possa risultare il ripristino del regime capitalistico e semifeudale che ha dominato l’Ungheria per molti decenni”. È un fatto, prosegue Di Vittorio, che tutti i proclami e le rivendicazioni dei ribelli conosciuti attraverso le comunicazioni ufficiali di radio Budapest, “sono di carattere sociale e rivendicano libertà e indipendenza. Da ciò si può desumere chiaramente che – ad eccezione di elementi provocatori e reazionari legati all’antico regime – non ci sono forze di popolo che richiedono il ritorno del capitalismo o del regime di terrore fascista di Horthy. Condivido quindi pienamente l’augurio espresso dalla segreteria della Cgil che anche in Ungheria il popolo possa trovare in una rinnovata concordia nazionale, la forza per andare avanti sulla strada del socialismo”. La posizione del segretario della Cgil è nettamente in contrasto con le posizioni assunte dal Pci. Sulla “situazione del partito in relazione ai fatti di Ungheria”, il 30 ottobre si riunisce la direzione. Per Di Vittorio è di fatto un processo. Presenti Togliatti, Longo, Amendola, Li Causi, Scoccimarro, Sereni, Roveda, Pajetta, Dozza, Di Vittorio, Colombi, Berlinguer, Secchia, Roasio, M. Montagnana, R. Montagnana, Pellegrini, Terracini, Boldrini, D’Onofrio e Ingrao. Assenti Novella, Spano e Negarville. Partecipano alla discussione Pajetta, Di Vittorio, Roveda, Roasio, Secchia, Pellegrini, Amendola, Ingrao, Boldrini, Li Causi, M. Montagnana, Colombi, Sereni, Dozza, Terracini, Berlinguer, Pajetta, Longo, Di Vittorio. Così, sulla presa di posizione di Di Vittorio, Emilio Sereni: “L’unità nella nostra direzione è di importanza fondamentale e questa unità non può avvenire che attorno al compagno Togliatti. Con la sua dichiarazione il compagno Di Vittorio si è contrapposto alla direzione”. Rincara la dose Dozza: “È noto in tutto il quadro confederale che Di Vittorio dà poca importanza al parere della direzione. Esigenza della disciplina. Sono per la lotta sui due fronti, ma deve essere lotta e ogni membro della direzione deve assumersi le sue responsabilità”. Duro anche Scoccimarro: “Gravissimo errore di Di Vittorio nell’aver ignorato l’esperienza storica”. Più morbido nei confronti di Di Vittorio, ma comunque deciso, Roveda: “Sono d’accordo anche con l’articolo di Togliatti di stamattina (apparso su Rinascita, n. 10/1956, ndr) che pone il problema sul terreno di classe di fronte alla canea avversaria. Gli operai non avrebbero capito che l’esercito sovietico non fosse intervenuto per difendere il socialismo. Gli intellettuali dopo il XX Congresso vanno tutti alla ricerca del partito. Capisco la situazione molto difficile nella Cgil, ma si poteva evitare quella presa di posizione. I socialisti vogliono indebolire il nostro partito e dobbiamo evitare atti che li aiutino in questo. Non è vero che la posizione della classe operaia sia quella della Cgil”. Assente Novella, conclude Palmiro Togliatti: “Dopo aver risposto alle argomentazioni sviluppate dai compagni – si legge sempre nel verbale – egli sottolinea che la posizione del comunicato della Cgil non è giusta. Ritiene che i comunisti della segreteria confederale avrebbero potuto e dovuto insistere per ottenere una posizione più giusta e che non disorientasse l’opinione dei lavoratori. In particolare osserva e deplora che il compagno Di Vittorio abbia aggiunto al comunicato un suo commento, non concordato con la segreteria del partito e divergente dalla linea del partito”. “La dichiarazione [di Di Vittorio] – aggiunge il segretario del Pci – non è stata concordata con noi e ha aumentato il disorientamento nel partito […] In questo momento come si può solidarizzare con chi spara contro di noi mentre si cerca di creare una grande ondata reazionaria? […] Si sta con la propria parte anche quando questa sbaglia”. Molti anni più tardi, nel volume “Di Vittorio e l’ombra di Stalin” (Ediesse 1997), Adriano Guerra e Bruno Trentin scrivono: “Alle critiche di Togliatti a Di Vittorio si associarono, con argomentazioni e toni non sempre collimanti, tutti i membri della direzione. Alcuni intervennero anche sul merito, come Roasio, Secchia (secondo il quale occorreva pero ‘abituarsi in certi momenti difficili ad avere anche posizioni diverse tra partito e Cgil soprattutto se si allargherà l’unita sindacale’), Colombi (‘La posizione di Di Vittorio non può essere approvata dalla Federazione sindacale mondiale di cui è presidente. Cattivo il suo metodo di fare tutto da sé. I socialisti cercano di dirigere la Cgil’)”. Altri posero soprattutto “un problema di disciplina, come Ingrao (‘Il compagno Di Vittorio sapeva di dire cose diverse da quelle della direzione …

PIETRO NENNI SU GIUSEPPE DI VITTORIO

Il 3 novembre 1957 muore a Lecco Giuseppe Di Vittorio (L’annuncio della Cgil; L’appello ai lavoratori). Nel trigesimo della morte, Rassegna Sindacale dedica un intero numero alla commemorazione del segretario, pubblicando scritti e discorsi di Giovanni Leone, Giuseppe Rapelli, Louis Saillant, Pietro Nenni, Luigi Russo, Fausto Gullo, Luigi Allegato, Ferruccio Parri e Riccardo Lombardi (Rassegna Sindacale, n. 21-22, 15-30 novembre 1957). Riportiamo nella sua interezza l’intervento di Pietro Nenni (discorso pronunciato il 6 novembre ai funerali di Di Vittorio): “II cuore dei socialisti italiani di tutta Italia è qui stasera attorno al feretro di Giuseppe Di Vittorio, è qui con la pena dei figli, della vedova, dei familiari, dei braccianti di Cerignola, è qui con la vostra pena, compagni della CGIL, con la vostra stessa pena, compagni del Partito Comunista. Per me, coetaneo e vecchio amico e compagno di Di Vittorio, si conclude stasera un colloquio con lui durato per oltre tre decenni e che fu il colloquio dei socialisti con il militante sindacalista e comunista. Cominciò il nostro colloquio qui a Roma 33 o 34 anni or sono, quando Di Vittorio dette la sua adesione al Partito Comunista nel convincimento che l’unità operaia non potesse ricomporsi se non nel solco della Rivoluzione d’Ottobre. Continuò nel lungo esilio, l’esilio con le sue pene, le sue dispute, le sue speranze. Si trasferì in Spagna quando a Madrid si affrontarono il fascismo che s’era fatto europeo e l’antifascismo pur esso europeizzatosi, nel quadro indimenticabile della Calle Velasquez, delle trincee della Ciudad Universitaria, dei campi di battaglia del Manzanares e dell’Ebro. Riprendemmo il colloquio mentre si abbatteva sulla umanità la seconda guerra mondiale. Fu in uno dei momenti più tragici di quella guerra che per un attimo Di Vittorio mi apparve smarrito e disperato. Era la sera che precedette l’occupazione tedesco-nazista di Parigi. Ci eravamo dati appuntamento, per decidere cosa si poteva ancora fare, nei giardini del Palais Royal ai piedi della statua che mostra Camille Desmoulins nell’atto di salire su una sedia per lanciare l’appello supremo alle armi. Di Vittorio si chiedeva disperato se quel marmo, se quel gesto, se quel grido non fossero una menzogna, mentre la Parigi della grande Rivoluzione e della Comune pareva curvare la testa davanti all’invasore. Ma non c’è rassegnazione per uomini come Di Vittorio, non c’è disperazione che non dia luogo ad un rinnovato furore di azione. Di Vittorio riprese la lotta, fu arrestato, ricondotto in Italia, internato a Ventotene dove lo colse e lo liberò nel 1943 la prima frattura tra regime e paese, in cui il fascismo andò distrutto. Il resto è la storia che tutti conoscono, la storia dell’ascensione di Di Vittorio alle più alte responsabilità sindacali e politiche. In quella ascensione egli rimase sempre il bracciante e il contadino di Cerignola. Altri parlavano meglio di Lui. Altri scrivevano meglio di Lui. Altri erano più dotti nel citare pagine di Marx o di Lenin. Nessuno ha eguagliato il patos umano della sua eloquenza e della sua azione. Se stasera tutta la Roma del popolo è attorno al suo feretro, è perché nessuno meglio di Lui ha saputo interpretarne l’animo. Se il miracolo che ha tentato la fantasia di tanti poeti di una parola che, gridata su un feretro, risvegli nel disfacimento fisico del corpo umano lo spirito che quell’uomo animava, se quel miracolo potesse compiersi qui stasera, la parola che rianimerebbe le spoglie di Di Vittorio sarebbe la parola unità. Egli vedeva sinceramente e profondamente il valore della unità. Scompare con Lui l’ultimo dei tre sindacalisti che tredici anni or sono gettarono le basi dell’unità sindacale. Il primo a cadere fu Bruno Buozzi, trucidato in un vile eccidio tedesco. Il secondo Achille Grandi. Questa sera noi prendiamo per sempre congedo da Peppino Di Vittorio. Lasciatemi esprimere a nome dei socialisti la speranza che l’unità che è stasera nel cuore di milioni di uomini, si traduca e si risolva nell’unità sindacale di tutti i lavoratori del nostro Paese. Sarà il più bel monumento eretto alla Tua memoria, caro ed indimenticabile compagno Di Vittorio!”. Ilaria Romeo, responsabile Archivio storico CGIL nazionale SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISMO CHE CRESCE NEI COLLEGE AMERICANI

Traduzione dell’articolo di Alex Thompson e Diamond Naga Siu pubblicato su Vice News con il titolo “Socialism is surging on college campuses” A lungo relegato ai margini della politica americana, il socialismo sta crescendo nei campus universitari in seguito alla campagna di Bernie Sanders – che si definisce un socialista democratico – e alla vittoria di Donald Trump. Gli Young Democratic Socialists of America sono passati da 12 sezioni locali alla fine del 2016 a 47 nel giugno di quest’anno – e si passerà almeno a 100 entro la fine del semestre (329 college risultano registrati per aprirne una). «Perdendo contro Donald Trump, i Democratici hanno dimostrato che non sono loro la risposta ai problemi» spiega Michelle Fisher (20), co-presidente degli Young Democratic Socialists of America e al secondo anno alla Wesleyan University (Middletown, Connecticut). Ma non è solo per la sconfitta contro Trump: la disaffezione di Fisher per il Partito Democratico è da un po’ di tempo che monta. «Quando Obama era presidente, pensavo che andasse bene perché non conoscevo nessuna alternativa. […] Ma ha portato avanti la politica imperialista degli Stati Uniti e ha rimpatriato molte più persone di qualsiasi altro presidente» Mentre le 1.200 sezioni dei College Democrats of America del Partito Democratico battono di gran lunga quelle degli Young Democratic Socialists of America (YDSA), l’improvvisa crescita di un movimento progressista alternativo fra i ragazzi minaccia di spaccare ancora di più il Partito Democratico proprio mentre questo sta provando a riprendersi dalle disastrose elezioni del 2016 e attirare gli elettori giovani per quelle delle del 2018 e del 2020. […] «L’idea è di creare un qualcosa, in questo paese, che sia puro e non contaminato dalle pratiche capitaliste e imperialiste tipiche di molte altre associazioni» dice Sanjeev Rao (20) dell’Indiana University Bloomington, dove la scorsa primavera ha fondato una sezione degli YDSA. Gli Young Democratic Socialists of America non sono l’unica associazione progressista a crescere nell’era Trump, ovviamente. E rimane una questione aperta se continuerà a espandersi con questo ritmo o meno. Il Partito Democratico, dal canto suo, sta cercando di coltivare l’unità all’interno delle opposizioni. «Questa è una cosa positiva per il Partito Democratico» commenta Sabrina Singh, la vice-responsabile comunicazione del Democratic National Committee, in merito all’ascesa degli YDSA. «C’è un enorme entusiasmo nei campus universitari di tutto il paese e abbiamo assistito a un gran numero di gruppi che si sono mobilitati per portare avanti un cambiamento progressista e prendere parte alla politica dei Democratici». Ma otto organizzatori degli YDSA nei college di tutto il paese affermano che aiutare i Democratici non è il loro obiettivo. Anzi, vogliono mantenere le distanze e offrire un’alternativa più di sinistra rispetto al Partito Democratico. «I Democratici sono più moderati, ma portano avanti la stessa politica classista dei Repubblicani» dice Chance Walker, il co-presidente della nuova sezione degli YDSA all’University of Texas San Antonio. All’UT San Antonio – dove la metà degli studenti è ispanica, un elettorato chiave per i Democratici – adesso c’è solo un club socialista e nessuno club democratico. Il club dei College Dems è andato kaputt nel 2016 […] e Walker ha contribuito all’apertura della sezione degli YDSA lo scorso autunno. «Ho conosciuto gli YDSA grazie alla campagna di Bernie Sanders. Prima di allora ero un nichilista politico: ai politici non frega nulla di te, non avremo mai le possibilità economiche che hanno avuto i nostri genitori e i nostri nonni, non importa quello che facciamo» spiega Walker. I Democratic Socialists of America – che non è ancora un partito politico ma fa campagna per i candidati della sinistra radicale nei Verdi e candida i propri membri alle primarie Democratiche – nascono negli anni ’80 dalla fusione di due associazioni di socialisti democratici. Da allora i DSA hanno lavorato relativamente nell’oscurità con pochi iscritti e pochissime vittorie elettorali. La potente campagna di Sanders nel 2016, tuttavia, ha dimostrato che un messaggio socialista può essere molto attraente, specialmente in tempi di disuguaglianze senza precedenti e salari stagnanti. I Democratici avevano da tempo rinunciato alla parola che inizia per S per paura di essere dipinti come marxisti in incognito. Durante le primarie presidenziali del 2016 fra Sanders e Hillary Clinton, la senatrice democratica Claire McCaskill del Missouri ha affermato che i Repubblicani non vedevano l’ora di battersi contro Sanders nelle elezioni generali, «per fare uno spot in cui utilizzano una falce e martello». E a febbraio, durante un incontro, Nancy Pelosi ha risposto a una domanda sui giovani che stanno perdendo la fede nel capitalismo e in merito a ciò che farà il Partito Democratico per conquistarli, se si sposterà a sinistra, magari, dicendo: «Siamo capitalisti punto e pasta». […] Trevor Hill (20), lo studente della New York University che ha fatto la domanda a Pelosi, spiega che i Democratici non possono conquistare gli studenti universitari come lui se continuano a combattere le disuguaglianze «utilizzando gli stessi metodi che fregano sempre le stesse persone». Durante l’incontro, Hill ha citato il sondaggio del 2016 della Harvard Kennedy School che mostra come il 51% dei giovani fra i 18 e i 29 affermano di non essere a favore del capitalismo. Ma lo stesso sondaggio registrava come il 33% era a favore del socialismo, suggerendo quindi che il socialismo democratico potrebbe avere difficoltà a diventare un’alternativa fattibile, a meno che i suoi sostenitori non riescano a convertire grandi fette della popolazione americana. Fisher dice che lei e altri organizzatori si rendono conto che hanno davanti una battaglia lunga, che forse durerà anche decenni. «Non sono sicura che nel 2020 avremo abbastanza potere da influenzare le proposte di legge nazionali». Ma aggiunge anche che lei e altri giovani socialisti non sentono lo stesso stigma sul socialismo percepito da Pelosi o McCaskill. «Penso che per le persone della mia generazione – che sono cresciute dopo la Guerra Fredda – la S di socialismo non rappresenti una lettera scarlatta come per i più anziani». Fisher è cresciuta in una famiglia Democratica di centro-sinistra nell’Atlanta suburbana prima di unirsi agli YDSA al college. …

Legge elettorale, Mattarella firma il «Rosatellum»

A vuoto gli appelli dei 5 Stelle perché il Capo dello Stato rinviasse l’entrata in vigore di Cesare Zapperi Il presidente della Repubblica ha firmato la legge di riforma elettorale, il Rosatellum bis. Lo si legge sul sito del Quirinale che alla pagina degli atti firmati indica la promulgazione della legge di modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e la delega al governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali. Dopo la firma del capo dello Stato la legge e’ in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il Rosatellum bis è una sorta di Mattarellum `rovesciato´, un mix tra maggioritario e proporzionale ma dove la quota di proporzionale la fa da padrona: 64% di listini plurinominali a fronte del 36% di collegi uninominali. Sono 20 le circoscrizioni per il Senato, una per ogni regione, mentre sono 28 quelle della Camera. La soglia si sbarramento sia per la Camera che per il Senato è al 3% a livello nazionale per le liste, mentre è del 10%, sempre a livello nazionale, per le coalizioni. Ci sarà un’unica scheda e non viene concesso il voto disgiunto. C’è la quota di genere (60-40) e la possibilità di un massimo di cinque pluricandidature nei listini proporzionali, ma anche la possibilità per un candidato di presentarsi sia nei collegi uninominali che in quelli plurinominali. Infine, non c’è l’indicazione del `capo´ della coalizione – ovvero del candidato premier – ma è prevista l’indicazione del `capo´ della singola forza politica, non c’è l’obbligo per la coalizione di presentare un programma comune. L’approvazione in Parlamento Il Rosatellum bis è stato approvato in via definitiva dal Senato ( con il voto di Pd, Forza Italia, Lega e Alternativa Popolare) il 26 ottobre scorso. Come si ricorderà, per accelerare sui tempi del via libera e non incontrare ostacoli di alcun tipo, il governo aveva deciso di mettere la fiducia sia alla Camera che a Palazzo Madama, scatenando la protesta di piazza del Movimento 5 Stelle e delle forze di sinistra (Mdp e SI). Di Maio-Casaleggio: «Una pessima legge» «È una pessima legge, c’è un po’ di rammarico». Risponde così Davide Casaleggio a chi gli chiede della firma sul Rosatellum apposta dal Capo dello Stato. «Non siamo d’accordo la partita si sposta alla Consulta con un nostro dettagliato ricorso, ma se gli italiani vogliono mandare a casa quelli che si sono votati il Rosatellum, votino per noi domenica e vedrete come la legge che favorisce le ammucchiate sarà uccisa nella culla» aggiunge Luigi Di Maio. Il ricorso di Besostri «Col Rosatellum 2.0 stanno partorendo l’ennesima legge elettorale anticostituzionale». Felice Besostri, classe ‘44, è avvocato amministrativista, docente di diritto pubblico comparato ed ex Senatore dei Ds. In passato ha proposto ricorsi contro le leggi elettorali adottate per il Parlamento europeo e le regioni Lombardia, Campania, Umbria, Sardegna e Puglia. Ma, soprattutto, è stato protagonista dei ricorsi, parzialmente vinti, contro il Porcellum e l’Italicum. Siamo alla terza legge elettorale consecutiva che verrà giudicata incostituzionale? «Siamo – risponde Besostri in una intervista al blog della Fondazione Nenni – alla violazione dell’art 54 della Carta, il quale prevede che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore». Qui, invece, non c’è limite alla decenza. In nessun altro Paese d’Europa sarebbe consentita una cosa del genere». Per Besostri «l’aspetto fondamentale è la violazione dell’art.48 della Costituzione che stabilisce che il voto debba essere segreto, libero, uguale e personale. Se tali caratteristiche del voto erano già negate con l’Italicum, ora lo sono negate in maniera persino maggiore. La prima e più importante ragione di incostituzionalità del Rosatellum 2.0 riguarda la impossibilità di esprimere la preferenza. I cittadini, in base alla nostra Carta, hanno il diritto di scegliere i loro rappresentanti. Ma non sarà così: due terzi dei parlamentari, deputati e senatori, saranno nominati da capi-partito con liste bloccate. Inoltre, un’altra cosa grave: nel sistema misto, stabilito dal governo, non scorporano gli eletti con i voti presi all’uninominale. In poche parole, i consensi all’uninominale vanno ad incrementare, alterandola, la quota proporzionale». Fonte: Corriere della Sera SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Zimmerwald va a Stoccolma

L’ADL del 25 agosto 1917 ospita un articolo – Intorno alla terza conferenza di Zimmerwald – che Angelica Balabanoff ha inviato il 15 agosto da Stoccolma, e che programmaticamente non tratterà della conferenza “social-diplomatica” promossa dal Soviet di San Pie­tro­burgo nella capitale svedese in quei giorni. Di ciò parlano già tutti i giornali, riferisce la Balabanoff. E la maggior parte dei commentatori non tiene nel dovuto conto la situazione russa, altamente instabile. Sicché i pro­blemi all’orizzonte stanno assumendo la forma dell’aut aut: o pace o guerra, o rivoluzione o contro-rivoluzione, o Lenin o Kerenskij. Gli “internazionalisti” si riuniranno a Stoccolma anch’essi, ma se­pa­ratamente dai “social-diplomatici”, in una Terza Conferenza di Zim­merwald che si celebrerà «lontano dal rumore, lontano dalle strombazzature della stampa» al seguito del tour che il Soviet di San Pietroburgo, qui ancora in formazione politica filo-Kerenskij, sta svolgendo in Europa. Sulla tappa italiana dei rappresentanti russi la Balabanoff si astiene da giudizi definitivi: «E questo riserbo è tanto più indicato in quanto gli stessi giornali si vanno contraddicendo e smentendo a vicenda. Mentre gli uni narrano di un telegramma di solidarietà, di auguri mandato a Kerensky dai ministri ed interventisti italiani e dagli ospiti russi, gli altri raccontano che questi ultimi si sono rifiutati di firmare il telegramma» (ADL 25.8.1917). Di che cosa stiamo parlando? Di come circolavano le notizie cento anni fa: «Ancora non conosciamo la risposta dei delegati russi al brin­di­si di Bissolati coll’augurio di “schiacciamento del nemico esterno ed interno”. Tutti questi particolari li sapremo con precisione al ritorno dei delegati del “Soviet”, i quali dovranno naturalmente rendere conto esat­to del loro viaggio anche alla minoranza, non ancora incarcerata, del “Soviet”». Dunque, stiamo parlando anche della minoranza bol­scevica, in parte incarcerata e clandestina, ma lanciata in splendida solitudine nella causa della “pa­ce subito”. Intanto è in corso un tentativo di golpe dello Stato Maggiore, al seguito del generale Lavr Georgievič Kornilov. Fallirà, com’era da poco fallita la “Offensiva Kerenskij”, anch’essa guidata da Kornilov. Entrambi i fallimenti, l’Offensiva a luglio come il Golpe ad agosto, accadono non da ultimo a causa dello scarsissimo entu­siasmo, diciamo, che i propositi delle élites mietono presso il popolo dei soldati e dei lavoratori russi. In tutt’Europa infuriano la guerra e (ovviamente) la propaganda di guerra, che però non cancella milioni e milioni di ragazzi morti inutilmente sul “campo d’onore”. Una grande spaccatura, segnala la Balabanoff, si sta consumando «fra i Zimmerwaldiani ed i social-diplomatici», investendo con forza le fila del movimento operaio. Percorrerà tutto il secolo breve, fino alla caduta del Muro di Berlino. L’anno 1917 è il momento a partire dal quale si può comprendere come questa faglia sia potuta nascere e come essa poi abbia assunto una traiettoria a dir poco inaudita. Gli uni «parlano bensì a nome di 250 milioni di proletari organizzati, ma non a nome di coloro che per la volontà del dittatore della nuova Russia (…) vengono condannati a morte, perché guidati da criteri certo non meno rivoluzionari di coloro che animano i “compagni” al potere, e perché ritengono l’offensiva essere un delitto nonché uno sfacelo» (ADL 25.8.1917). Angelica si mostra sprezzante sulla catastrofica “offensiva” che porta il nome del premier laburista e soprattutto sugli “entusiasmi” suscitati da Kerenskij presso i grandi opinionisti “intesofili”, grazie ai quali è «di­ventato una persona celeberrima da un giorno all’altro per il tele­gramma col quale egli chiedeva d’urgenza la reintroduzione della pena di morte» (ADL 25.8.1917). Quello della dignità personale, che include l’intangibi­lità della vita di ciascuno, è un tema fondamentale per il quale siamo tutti debitori del movimento per la pace di cent’anni fa. Allo scopo di illustrare questo punto, la Dottoressa Angelica disegna il ritratto di un esponente dei “guerraiuoli” russi, Savinkoff: «Anni fa scrisse un romanzo a tesi, in cui esprimeva i dubbi ed i rimorsi di un terrorista che toglie la vita a chi egli considera nemico ed ostacolo della libertà e della felicità delle molti­tu­di­ni oppresse». Il terrorista qui è Savinkoff stesso, pentito. Il sen­ti­mento morale antiterrorista della Balabanoff non fa velo all’apprez­za­mento letterario per il libro: «era scritto bene da chi aveva sentito evi­den­te­mente gli scrupoli ed i conflitti di cui parlava. I terroristi si pre­paravano a rivedere ed a ritoccare quella parte del programma che ri­guar­dava l’inviolabilità della vita umana, quando ecco questa revisione viene fatta da una fonte autentica. Chi sentiva tanti scrupoli di fronte alla soppressione di un individuo solo (…) si emancipa da ogni scru­polo quando si tratta di condannare al capestro intere moltitudini ree di non aver voluto uccidere i loro fratelli proletari» (ADL 25.8.1917). L’allusione è nuovamente alla pena di morte reintrodotta nell’esercito russo dal governo Kerenskij contro l’opposizione di Lenin, che viene accusato di ogni nefandezza: «Dicono bensì certi giornali che uno dei delegati dei “Soviet” abbia dichiarato essere Lenin un uomo onesto (affrettandosi però di aggiungere che le teorie di Lenin sono pericolose, come è pericoloso il suo “entourage”, nel quale si sono infiltrati degli agenti tedeschi…)». Queste insinuazioni proverrebbero, scirve Angelica, dalla più infame delle coalizioni, che sta «com­plot­tando contro l’onore, la libertà e la vita stessa» del leader bolscevico: «bisogna pur dire che in un momento in cui tutti gli interessati, tutti i prezzolati, tutti i pettegoli si accaniscono a dimostrare che i fautori dell’Internazio­nale sono dei venduti, non bastano quelle dichiarazioni, non basta dire che Lenin è “onesto”, “idealista”, ecc., bisogna pure dire di quante insinuazioni egli è vittima perché lo è, e bisogna “difenderlo”» (ADL 25.8.1917). Insomma, se il movimento Zimmerwald deve decidere tra la pena di morte restaurata e la minoranza leninista perseguitata, il dado è tratto. Peccato che Lenin e i leninisti disprezzino la dignità e la vita indivi­dua­le non meno dei loro persecutori. Peccato che la trasfusione di so­li­da­rietà da parte zimmerwaldiana sia destinata a una delle più tragiche, pla­teali e cocenti delusioni della storia. Peccato che nella fossa comune delle vittime del regime nascente debbano finire di lì a pochi anni nu­me­rosissimi esponenti bolscevichi e compagni di strada internazio­na­listi, che formavano l’”entourage” leniniano del 1917, …

LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA ITALIANA E’ STATA TRADITA

Qualunque obiettivo Renzi abbia in mente, il suo metodo è chiaro: azzerare il prestigio delle istituzioni, i valori etici, i procedimenti di analisi razionale, la solidarietà civile, in modo che nel vuoto che si viene a creare le uniche forze effettive siano quelle del denaro e dei media. Che lui controlla, entrambe, ed è disposto a usarle senza alcuno scrupolo contro chi si dimostri indeciso o moderato. Non è coraggioso o astuto, Renzi: è solo spietato! Ogni volta che compie un abuso è già pronto a ritrattare, a negare l’evidenza, a dire l’esatto contrario di ciò che aveva detto; e se il clima diventa teso, si defila, scappa, smette persino di twittare. Ma se gli va bene, schiaccia senza pietà chiunque sia restato sulla sua strada. E il suo desiderio di potere aumenta dopo ogni successo, insieme alla sua superbia e al suo senso di onnipotenza. La Costituzione era stata pensata precisamente per impedire questa deriva autoritaria: il governo doveva restare debole, il parlamento frammentato da un voto rigorosamente proporzionale, la magistratura del tutto indipendente. Ma la Costituzione è stata tradita. Colpa, più che di qualunque altro fattore, della smisurata stupidità della precedente classe dirigente del Pd, poi diventata minoranza interna e ora di fatto dispersa o esautorata: che prima non ha avuto il coraggio di espellere Renzi con una scusa qualsiasi e che, dopo, si è ostinata a illudersi che facendogli qualche concessione si sarebbe accontentato. Lo stesso errore che conservatori e liberali, ormai decrepiti, fecero all’inizio del novecento con Mussolini e Hitler, pure loro, all’inizio, estremamente vulnerabili: senza capire che i paranoici fanno solo finta di essere accomodanti: in realtà vogliono tutto e solo una resa senza condizioni placa la loro ossessione di dominio. Francesco Erspamer – Professore alla Harvard University, dal 2005 ad oggi, Cambridge (Massachusetts) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DI VITTORIO, RITORNA A CERIGNOLA

di Generoso Bruno Il murale realizzato da Ettore de Conciliis nel 1974 e vandalizzato dai neofasciti, lasciato per trent’anni in pezzi in un magazzino, torna domani nella piazza della cittadina dove è nato il grande sindacalista. Nel sessantesimo anniversario della sua scomparsa Cerignola tornerà ad ospitare l’opera di Ettore de Conciliis dedicata a Giuseppe Di Vittorio. Il murale, sin dalla metà degli anni Ottanta abbandonato in frantumi nei depositi comunali – fu divelto per far posto ai nuovi cantieri di piazza della Repubblica – sarà ricollocato domani 3 novembre in piazza della Libertà. Con il restauro del murale «Giuseppe Di Vittorio e la condizione del Mezzogiorno» si conferma il recupero di una stagione pubblica e sociale della pittura italiana espressa tra gli anni sessanta e settanta del Novecento di cui de Conciliis, Rocco Falciano e le esperienze pittorico-installative del Centro di Arte Pubblica e Popolare di Fiano Romano restano un prezioso riferimento. A Cerignola, intanto, si assiste ad un miracolo laico. L’opera, ridotta a scoria non più leggibile del nostro Novecento, tenuta in vita da un importante lavoro volontario che, negli anni, durante i vari trasferimenti, ha fotografato e documentato lo stato dei frammenti e permesso una prima catalogazione dei pezzi, ha confermato una straordinaria capacità di resistenza estetica. I lavori di restauro sul murale, in un hangar della zona industriale di Cerignola, sono appena terminati. Seguito dallo stesso de Conciliis, sui pannelli è intervenuto il lavoro Francesco Daddario. Il restauro, oltre al problema della caducità dei materiali industriali, si è presentato difficile per la messa in sicurezza ed il riassemblaggio dei quasi trecento frammenti in cui risultava scomposto. L’opera, completa investiva una superficie pittorica di circa centotrenta metri quadrati. I pannelli in Glasal – un fibrocemento simile all’eternit – accoglievano i colori delle resine industriali frammiste a pigmenti naturali. L’opera – terminata in laboratorio nel settembre del 1974 e successivamente assemblata sul posto – evitando facili soluzioni agiografiche, racconta le vicende delle lotte contadine. Il volto del capo della Cgil si accompagna a quelli della moltitudine degli operai e dei braccianti. L’ulivo è raffigurato come rizoma ancestrale di un popolo che migra da un Mezzogiorno invaso dalle banconote partorite dal ventre della prostituta Babilonia. L’effetto fu disturbante. Oggetto di una preoccupante campagna giornalistica, a tre giorni dalla sua installazione i neofascisti mitragliano il murale. Numerose, furono le testimonianze di solidarietà. In un suo scritto Renato Guttuso, ricordando l’esperienza di de Conciliis accanto a Siqueiros nel cantiere del Poliforum, definisce l’opera «generosa, geniale e disinteressata». Ad oggi, dell’originaria struttura installativa risultano quasi completamente recuperati i tre schermi laterali; completamente disperso, invece, quello inferiore. Ancorati sui tre lati di un tronco di piramide rovesciato, i quattro pannelli, tagliati, a diverse altezze, in forma di bandiera, nel punto più alto raggiungevano, con la struttura metallica tubolare, i dieci metri. Dinamismo e integrazione plastica individuavano la struttura portante come forma significante capace di espandere e continuare la pittura. L’installazione, su tre lati, favoriva una lettura ottica d’insieme mentre, dal basso verso l’alto – con la presenza dello schermo oggi disperso – veniva assicurata la fruizione da un punto d’osservazione ravvicinato. La possibilità di attraversare l’opera e la sua poliangolarità consentivano una particolare esperienza percettiva che, dal libero movimento dello spettatore, risultava aumentata, moltiplicata nella sua meccanica espressiva dalle infinite alterazioni delle sue possibilità visuali. Confermata anche dalle letture di Carlo Levi e di Paolo Portoghesi, il murale per Di Vittorio guadagnava, nel suo rapporto con lo spazio pubblico, la coesistenza di valori pittorici, scultorei ed architettonici. La sfida, rinnovata nella nuova collocazione, resta quella di trovare, per un’opera che pittoricamente continua, in maniera aperta, ad interrogarci, il giusto rapporto tra percezione, spazio e invenzione plastica. Fonte: Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Sulla “Teoria della classe disagiata”: una recensione e una critica sociale

Teoria della classe disagiata è un saggio imprescindibile per comprendere la situazione sociale dei nati negli anni ’80, per cui bisogna dire un enorme grazie all’autore Raffaele Alberto Ventura, noto anche per essere il fondatore di Eschaton, al di là di tutte le critiche che si possan fare al libro. Questa è la premessa doverosa di questa mia recensione che vorrebbe porre anche una critica sociale alla sua teoria. Il saggio parte con questo elemento di valutazione. L’Italia è un paese in fase di deindustrializzazione che non ha più bisogno di un solido sistema nazionale di istruzione, perché i posti di comando sono stati già assegnati, vengono sfornati da poche università private e al di là dell’industria dell’intrattenimento c’è poco o niente. Parafrasando Caterina di Boris “la ristorazione è l’unica cosa seria rimasta in Italia” Purtroppo i trentenni sono stati progettati male come i Betamax e sono stati di conseguenza esclusi perciò nasce il fenomeno della proletarizzazione degli intellettuali, ai quali i laureati, invece di prendere atto, rispondono con uno spreco ulteriore di proprie risorse, facendosi la guerra tra loro per accaparrare quei pochi posti rimasti, svilendo il valore del lavoro culturale e investendo tutte le loro finanze per accaparrarsi quei beni posizionali vebleniani che servono per competere in questa corsa. Questo è il riassunto veloce del saggio. Ora proverò ad andare ad analizzarlo. Il principale errore dell’autore è il focus esclusivo sui laureati che acquistano beni posizionali per non scendere nella scala sociale. Sarebbe stato più corretto un focus su tutti i 30enni, i quali sono tutti in competizione per ad acquistare beni posizionali, lottano tutti per accaparrarsi una posizione occupazione di sopravvivenza e un ruolo all’interno dei circuiti divertentistici dell’industria dell’intrattenimento. Il focus di Ventura è dichiaratamente ristretto ai wannabe laureat e metropolitani, quando la realtà che descrive colpisce in verità tutti i 30enni italiani, anche quelli con la terza media e che abitano a Castel Sant’Elia. Nella definizione di classe disagiata, la grande confusione di Ventura sta nel fatto di mischiare 4 fattispecie sociali di trentenni (anzi tre le dimentica a proposito). Fattispecie numero 1 il wannabe che tarda deliberatamente a inserirsi nel mondo del lavoro, vive a casa con i genitori fin quasi alle soglie della pensione e costituisce oggettivamente un peso per la società (figura tipica di aree metropolitane). Fattispecie numero 2 Quello che è stato costretto a studiare perché era bravo a scuola, ma non era inserito nei circuiti che contano ed è costretto a marcire nella disoccupazione, perché i genitori non possono imbucarlo in qualche posto garantito o perché è troppo bravo e preparato (o meglio è troppo retrogrado il tessuto economico in cui vive). Si parla di figure difficilmente assorbibili sia con lavori impiegatizi che con lavori umili. È quello che ha sicuramente più risentimento, e  può decidere di continuare o meno nella coltivazione delle sue velleità culturali. Fattispecie numero 3 Il plurilaureato che di fronte al fatto che mai sarebbe stato assunto per fare lo storico dell’arte, si è adattato a fare il cameriere per partecipare comunque al circuito bovarista e divertentistico, e tutto sommato ci è riuscito. Una figura che potrebbe quasi essere un sottogruppo della prima fattispecie. Fattispecie numero 4 il diplomato o il terzamedista che vuole comunque partecipare alla generazione di plusvalore artistoide e divertentista ma che comunque ha difficoltà a trovare un lavoro che gli permetta di stabilizzarsi. La società stimola anche loro nella produzione artistica, ma Ventura se ne dimentica. Il primo gruppo voleva bovarizzarsi, il secondo, il terzo e il quarto ne sono stato costretti ma tutto sommato lo hanno accettato di buon grado. A tal proposito come sostiene il filosofo Claudio Bazzocchi in un recente intervento sul suo profilo facebook “il mondo del compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro è stato rifiutato dai ceti subalterni in nome di una vita meno costretta dai rigidi schemi del welfare e del capitalismo societario e quindi più creativa, più libera a partire dal luogo di lavoro. Giusto, sbagliato, vero, non vero, questo è stato il sentimento che ha trovato nelle promesse del neoliberalismo una risposta che continua a essere tuttora egemonica nell’immaginario di milioni di persone.” La seconda critica che posso fare al saggio di Ventura è la supina accettazione della deindustrializzazione italiana iniziata 25 anni fa, dello status quo, irrorata di critica al keynesisimo e alla programmazione economica primorepubblicana. Non viene mai citata la “vicenda” mediatico giudiziario di Tangentopoli, e francamente non si può parlare di crisi economica italiana senza un’attenta ed eretica analisi delle vicende di Mani Pulite. Ventura accetta lo status quo e se ne compiace. Non risponde sufficientemente sui motivi per cui i posti sono sempre meno, o meglio fornisce una sua interpretazione, e si focalizza sui lavoratori culturali, dimenticando completamente i lavoratori manuali, i quali con la filosofia user generated content di massa fanno parte ormai anche loro del circuito di produzione culturale. Pur spiegando le motivazioni per cui i produttori culturali di successo sono una casta arroccata come non mai (nonostante la molteplicità degli attacchi alla cittadella), e lo fa giustamente sviscerando i meccanismi della platform economy (che è modello di business di Amazon Air BnB, Uber), non pone l’accento sui loro meccanismi di cooptazione ossia su come si può entrare a far parte di quel giro. Ventura fa una critica spietata, che secondo me è il vero punto di forza della trattazione, dei motivi sovrastrutturali della crisi culturale che ha portato alla nascita della classe disagiata. Fattori, che nella mia modesta interpretazione, sono anche la base sovrastrutturale dell’accettazione da parte dei ceti subalterni della deidustrializzazione del Paese. Ventura mette all’indice la mentalità sessantottina della morte dell’autorità, dell’indisciplinatezza come virtù, della negazione della finitezza e della complicatezza dell’uomo per cui basta la tecnica a sanare le contraddizione umane e politiche dei popoli. Ottimo anche il focus sull’educazione di noi nati negli anni ‘80, trattati come bambini che possedevano aprioristicamente dei caratteri speciali, sulla corsa all’autorealizzazione del sé, sul non accontentarsi mai. A questo si aggiunge la critica durissima e necessaria …

Intervista a Rino Formica

Scritto da Aldo Giannuli. Postato in Le analisi, Politica interna La destra europea, in tutte le sue espressioni, appare all’attacco ed unita, mentre la sinistra procede in ordine sparso ed è in ripiegamento: cosa succede? La destra nelle società moderne è sempre viva. La sinistra deve sempre rinascere. La destra è un elemento costitutivo della realtà esistente nella società. La sinistra è una manifestazione della volontà di gruppi e di forze della società per un cambio dell’esistente. La destra è sempre unita perché tutela l’esistente. La sinistra è divisa perché diverse sono le visioni per la costruzione di un futuro. Per la destra l’elemento unificante è nelle cose. Per la sinistra l’unità è ricerca e mediazione al suo interno. La forza attuale della destra è nella incapacità della sinistra a trovare il baricentro di una nuova costruzione delle comunità nazionali e sovranazionali. E’ Renzi l’omologo di Berlusconi a sinistra? 

Tra Renzi e Berlusconi vi sono molti punti in comune. Tutti e due ritengono che siano superate le grandi culture che condizionarono il conflitto sociale e politico nella costruzione delle democrazie moderne. Tutti e due ritengono: 1)-che il potere sia indivisibile e quindi unificabile sotto una guida illuminata; 2)-che le istituzioni rappresentative debbano essere funzionali all’esercizio del potere esecutivo; 3)-che le disuguaglianze sociali siano attenuate dalla carità pubblica. La differenza tra Berlusconi e Renzi, riguarda invece la diversità delle platee a cui si rivolgono. Berlusconi parla al moderatismo di massa; Renzi, invece, guarda alle tradizionali forze popolari approfittando della stanchezza generata in loro, dalle grandi paure per l’incerto futuro. Paradossalmente Berlusconi è un conservatore con venature liberaldemocratiche, mentre Renzi, come il suo recente riferimento dimostra, è simile a de Maistre, massone monarchico, cattolico reazionario, negatore di ogni Costituzione dello Stato moderno e avversario dichiarato della Rivoluzione francese. Come valuti i rischi connessi al recente referendum in Veneto e Lombardia? Per valutare i rischi di questi Referendum bisogna tenere d’occhio l’evoluzione/involuzione del sistema politico. Se la degenerazione istituzionale in atto dovesse proseguire, è fatale che l’autonomismo degeneri in secessionismo. Che differenze ed analogie vedi fra la crisi del sistema politico del 1992-93 e quella attuale? La differenza tra il ’92 e il ’93 è notevole. Venticinque anni fa il sistema istituzionale politico era intaccato e non era imploso. Dopo venticinque anni di accettazione passiva da parte dei partiti residuali della 1° Repubblica e dei partiti novisti di una falsa rivoluzione moralistica, il sistema democratico-parlamentare si è disfatto. La discussione e le votazioni sulla legge elettorale in corso, non segnano la fine del parlamentarismo democratico, ma provocano nella opinione pubblica una pericolosa convinzione: il Parlamento è un Ente inutile. dal Blog di Aldo Giannuli SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it