LA SETTIMANA ROSSA

Il 7 giu­gno 1914 i cir­coli repub­bli­cani, anar­chici e socia­li­sti con­vo­cano, nell’anniversario dello Statuto Alber­tino, un grande comi­zio nazio­nale per l’abolizione delle Com­pa­gnie di Disci­plina nell’Esercito, per espri­mere soli­da­rietà e vici­nanza a tutte le vit­time del mili­ta­ri­smo e in par­ti­co­lare a due sol­dati anar­chici, dive­nuti sim­boli delle per­se­cu­zioni mili­ta­ri­ste. Il mura­tore Augu­sto Masetti, nato a Sala Bolo­gnese (Bo) il 12 aprile 1888, la mat­tina del 30 otto­bre 1911, alla caserma Cial­dini di Bolo­gna, gri­dando «Abbasso la guerra! W l’anarchia!», spara al colon­nello Stroppa che elo­gia la guerra di Libia, feren­dolo alla spalla. Giu­di­cato pazzo, è rin­chiuso nel mani­co­mio cri­mi­nale di Imola. Il tipo­grafo Anto­nio Moroni, nato a Milano il 17 ago­sto 1892, dalla Caserma di Napoli, in una let­tera al fra­tello, lamenta il duris­simo trat­ta­mento per le sue idee poli­ti­che. Pub­bli­cata dall’«Avanti! » il 23 dicem­bre 1912, gli costa l’incriminazione per dif­fa­ma­zione dell’esercito; prosciolto dal Tri­bu­nale di Cagliari il 27 aprile 1913, è tra­dotto alla com­pa­gnia di disci­plina di San Leo di Roma­gna (Pe). Gli spari, i morti Il comi­zio anti­mi­li­ta­ri­sta è vie­tato. Nella mat­ti­nata sono arre­stati alcuni anar­chici con Errico Malate­sta, agi­ta­tore e ora­tore molto cono­sciuto (nel 1897 ha fon­dato «L’Agitazione» e nel 1913 «Volontà»): la poli­zia teme voglia tur­bare la festa dello Sta­tuto. Gli ordini sono severi, proi­biti gli assem­bra­menti anche di due o tre per­sone. Un altro gruppo di lavo­ra­tori, con il gio­vane Pie­tro Nenni — che da poco dirige il perio­dico repub­bli­cano «Luci­fero», fon­dato nel 1870 — viene preso a pugni e a basto­nate. Mala­te­sta, che gode di molte sim­pa­tie per la coe­renza e il rigore poli­tico, avendo dato la sua parola che non sareb­bero avve­nuti disor­dini né tumulti, viene rila­sciato. Alla Casa del Pro­le­ta­riato con Mala­te­sta si deli­bera di tenere alle 16 in forma pri­vata il comi­zio di prote­sta a Villa Rossa, sede del Par­tito Repub­bli­cano. Alla mani­fe­sta­zione par­te­ci­pano gio­vani e repub­bli­cani. Pie­troni della Camera del Lavoro, Pie­tro Nenni e l’avvocato Oddo Mari­nelli per i repub­bli­cani, Mala­te­sta per gli anar­chici, Ercole Ciardi per i fer­ro­vieri e Pelizza per il Comi­tato di agi­ta­zione con­tro le com­pa­gnie di disci­plina, par­lano applau­di­tis­simi con­tro la guerra (già nell’aria: la scin­tilla avverrà il 28 giu­gno con l’attentato di Sara­jevo). Alle 18, votato un vibrante ordine del giorno con­tro la guerra, Mala­te­sta se ne va prima degli altri, e la folla trova davanti Villa Rossa due cor­doni di cara­bi­nieri che — temendo vogliano distur­bare la festa dello Sta­tuto — non per­met­tono di pas­sare. I mili­tari improv­vi­sa­mente spa­rano all’impazzata. È un fuggi fuggi fra urla di ter­rore. Sul sel­ciato di Via Tor­rioni giace il tap­pez­ziere anar­chico di 22 anni Atti­lio Giam­bri­gnone, col­pito al petto, men­tre il com­messo repub­bli­cano Anto­nio Casac­cia di 24 anni, spa­rato men­tre esce, muore all’ospedale. Il fac­chino repub­bli­cano Nello Budini di 17 anni muore il giorno dopo. Il comi­zio di Malatesta Nel comi­zio Mala­te­sta si limita a rim­pro­ve­rare i socia­li­sti e il loro quo­ti­diano per lo scarso appoggio alla cam­pa­gna anti­mi­li­ta­ri­sta. Rac­conta il «Luci­fero» la sera del 7: il tenente Opezzi, perduta la calma, aggre­di­sce ver­bal­mente Oddo Mari­nelli, che lo invita a fer­mare i cara­bi­nieri che — senza suo­nare i tre squilli di tromba — spa­rano, mirando chi è affac­ciato alle fine­stre di Villa Rossa e di Villa Sta­mura. Finita la spa­ra­to­ria Pie­tro Nenni e altri escono e si lan­ciano con­tro Opezzi, che giura di non aver ordi­nato il fuoco. Giun­gono cen­ti­naia di donne pian­genti ed imprecanti. Al que­store, Mari­nelli «indicò ad uno ad uno i fun­zio­nari che capeg­gia­vano il drap­pello degli assas­sini» e, dopo aver arrin­gato la folla, che gri­dava «Assas­sini!», ottiene il silen­zio della banda e il ritiro delle truppe. Al que­store chiede invano i nomi dei cara­bi­nieri e di ispe­zio­nare le rivol­telle per sapere chi ha spa­rato. Gli è detto che il con­trollo sarebbe avve­nuto in caserma; «Ma in mia pre­senza!» ribatte l’avvocato e la folla lo accom­pa­gna. Gra­zie a Mari­nelli «Luci­fero» pub­blica i nomi dei cara­bi­nieri che hanno spa­rato e il numero dei colpi che man­cano nelle loro pistole: a Giuseppe Di Cola ne man­cano 6, altret­tanti a Depan­filo, facendo pre­sente che, dotati di rifornimento, molti hanno spa­rato e rica­ri­cato i loro fucili. Le canne delle rivol­telle risul­tano pulite ma all’avvocato Mari­nelli non è con­sen­tito con­trol­larle. La que­stura, soste­nendo che ave­vano sparato dall’interno del salone, attri­bui­sce la colpa ai cit­ta­dini. È falso, i par­te­ci­panti erano tutti disar­mati. Il gior­nale com­menta: «Se le belve mon­tu­rate vole­vano spa­rare a tutti i costi, pote­vano almeno spa­rare in aria», smen­ti­sce il lan­cio di sassi, tavoli, barili ed altro ai cara­bi­nieri, tranne il lan­cio di un fascio di canne sec­che e di mani­fe­stini bian­chi scam­biati per una pie­tra. Un’ondata di indi­gna­zione si dif­fonde per la città. Ne «La Stampa» dell’8 giu­gno un testi­mone ocu­lare con­ferma che non sono stati lan­ciati sassi e che la riu­nione pri­vata era stata indetta per pro­te­stare con­tro il comi­zio vie­tato all’ultimo momento. All’uscita le vie sono sbar­rate. I cara­bi­nieri respin­gono e basto­nano i cit­ta­dini che gri­dano «Assas­sini! vigliac­chi! Lascia­teci pas­sare! Non vogliamo far niente!». Nella not­tata i ritrovi pub­blici sono chiusi in segno di lutto e la Camera del Lavoro proclama lo scio­pero gene­rale, che sarà con­ti­nuato oltre la sepol­tura dei morti. Eccidi pro­le­tari Alla noti­zia dell’ennesimo ecci­dio pro­le­ta­rio, che si dif­fonde rapi­da­mente, avven­gono mani­fe­tazioni spon­ta­nee di pro­te­sta, soprat­tutto nelle Mar­che e nelle Roma­gne. A Napoli gli eser­cizi pub­blici sono chiusi, i dimo­stranti al Con­so­lato russo, in Piazza Ple­bi­scito, al rifiuto di togliere la ban­diera italiana, fran­tu­mano i vetri; al Con­so­lato degli Stati uniti otten­gono il ritiro della ban­diera ita­liana e ame­ri­cana. Tre dimo­stranti muo­iono e quat­tro sono feriti. Nelle strade e nelle piazze sol­dati e caval­le­ria. La Camera del Lavoro par­te­cipa in forma solenne ai fune­rali. La que­stura, tra repubblicani e anar­chici, arre­sta trenta per­sone. Alla Camera l’8 giu­gno, l’onorevole Gra­zia­dei grida: «Que­sto degli eccidi pro­le­tari è un pri­mato dell’Italia tra le genti civili». Salan­dra — scrive «La Stampa» — «attra­versa un brutto quarto d’ora». Il Par­tito Socia­li­sta e la Camera del Lavoro pro­cla­mano lo scio­pero generale. Ad Ancora ferita, pal­lida sotto il sole velato, Mala­te­sta «si aderge tonante nei comizi che si moltipli­cano, e l’agitatore anar­chico padro­neg­gia la folla con la sua carat­te­ri­stica elo­quenza, che fa vibrare sen­ti­menti di dolore, di pietà, di ribel­lione». Vio­len­tis­simo, afferma la neces­sità della rivolta armata con­tro lo Stato, con­tro i suoi poteri e con­tro l’esercito. Il vice-commissario di pub­blica sicurezza è messo in fuga con gli agenti inse­guiti con sassi e bastoni. A fine comi­zio, alle 11, un’imponente colonna fischia la pre­fet­tura; al Muni­ci­pio chiede di esporre la ban­diera abbru­nata in segno di lutto. Lanci di sassi fran­tu­mano i vetri, …

PER UN RISORGIMENTO MERIDIONALE

Contro le falsificazioni della Storia. Contro le nostalgie di un eden borbonico mai esistito. Contro una classe dirigente che scarica sul passato le proprie responsabilità. Per una conoscenza autentica del Risorgimento meridionale. Per un nuovo Meridionalismo. Per un Sud Mezzogiorno d’Europa. Il 18 ottobre 1794 venivano giustiziati mediante impiccagione, per ordine del paterno governo borbonico, in piazza Castello a Napoli, Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani, rei di stato per aver “seminato nel popolo” le idee di libertà e di uguaglianza. Iniziava così il Risorgimento italiano. Ricordare il sacrificio dei giovani patrioti repubblicani meridionali oggi vuol dire respingere tutte le letture distorte e le falsificazioni che vogliono ridurre il Risorgimento a mera conquista regia dei Savoia a discapito degli altri Stati italiani, ad un evento diplomatico e militare, favorito da fantomatiche cospirazioni internazionali. Vuol dire riaffermare il carattere di rivoluzione politica e culturale del Risorgimento. Una rivoluzione che ha avuto il suo prezzo, come tutte le rivoluzioni, ma senza la quale non avremmo mai avuto la moderna nazione italiana, libera, democratica, repubblicana, aperta all’Europa, voluta da Mazzini e Garibaldi Una rivoluzione di cui il Sud non è stato spettatore passivo o peggio ancora vittima sacrificale, ma protagonista attivo. Vuol dire rivendicare l’attualità della Rivoluzione napoletana del 1799, dei moti del 1820-21 e del 1848, del sacrificio di Carlo Pisacane, dell’impresa garibaldina che vide partecipare decine di migliaia di meridionali a fianco dei volontari provenienti da tutta Italia e non solo, delle molteplici anime del Meridionalismo, della tradizione democratica mazziniane e garibaldina dei Bovio, dei Colajanni, degli Imbriani – del Secondo Risorgimento – la Resistenza – che ebbe nelle quattro giornate di Napoli uno dei suoi momenti più alti di partecipazione corale e popolare. Vuol dire ribadire la necessità di un Meridionalismo rinnovato, che si ricolleghi alle proprie radici illuministiche, risorgimentali e democratiche, la cui latitanza ha consentito il diffondersi di un sudismo piagnone e vittimista. Facciamo quindi appello all’opinione pubblica, alla società civile e al mondo culturale meridionali e italiani perché rifiutino la logica rituale della rievocazione di una memoria che, in quanto tale, non può che essere soggettiva e di parte ed altro non è oggi che l’alibi per classi dirigenti incapaci, pronte a scaricare sul passato la responsabilità dei propri fallimenti e – respingendo le suggestioni di un Sud folcloristico che altro non fa che riproporre riverniciati a nuovo tutti i più vieti stereotipi sul Mezzogiorno – animi una nuova stagione culturale di ricerca e di dibattito che, a partire dalla riscoperta autentica del Risorgimento meridionale in tutta la sua complessità, sappia imporre nuovamente la questione meridionale come grande questione nazionale, immaginando un Sud Mezzogiorno d’Europa, lontano da ogni chiusura identitaria e da ogni nostalgia reazionaria. Annita Garibaldi Jallet (Associazione Garibaldini) Mario Di Napoli  (Associazione Mazziniana Italiana) Clicca qui per aderire al Manifesto   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CARTA DELLO STATO SOCIALE – Approvata a Colonia l’8 Maggio 1996

La Repubblica federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale (Art. 20, comma i della Legge Fondamentale). Dalle dolorose esperienze della Repubblica di Weimar, nella consapevolezza del fallimento della prima democrazia in Germania, è stato dato alla nostra democrazia un fondamento basato sullo Stato sociale. La Repubblica federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale (Art. 20, comma i della Legge Fondamentale). Dalle dolorose esperienze della Repubblica di Weimar, nella consapevolezza del fallimento della prima democrazia in Germania, è stato dato alla nostra democrazia un fondamento basato sullo Stato sociale. Noi – Confederazione sindacale tedesca e i suoi sindacati, come pure la ‘Assistenza per il avoratori’, la ‘Opera del Diaconato’ della Chiesa evangelica tedesca, la’Associazione della Caritas tedesca’, la ‘Associazione della assistenza paritetica tedesca’, la ‘Associazione tedesca delle vittime della guerra e del servizio militare, degli invalidi e dei pensionati sociali’ e la ‘Associazione centrale d’assistenza degli ebrei in Germania’ – ci riconosciamo nell’imperativo dello Stato sociale contemplato nella Legge Fondamentale e lo vogliamo tutelare e rafforzare anche per il futuro. Infatti, lo Stato sociale crea le condizioni per la giustizia sociale e per la unione solidale della società. Il rispetto della dignità umana, l’ampia realizzazione dei diritti umani e civili e la qualità della vita sociale di una società presuppongono lo Stato sociale. Obiettivo minimo dello Stato sociale è quello di impedire la povertà materiale e la emarginazione sociale. Esso garantisce l’autonomia contrattuale come pure la sussidiarietà del libero lavoro sociale e dà il suo contributo affinché le forze sociali risolvano i loro conflitti di interesse inmaniera autonoma. I sindacati e le succitate associazioni concordano perciò ampiamente con entrambe le Chiese tedesche quando si tratta di difendere e tutelare lo Stato sociale. Oggi bisogna constatare che in questo Paese lo Stato sociale è messo in pericolo. Da una parte ciò è da ricondursi a una profonda crisi economica e sociale in cui sitrovano sia la Germania sia tutti gli Stati industriali. Dall’altra, però, lacrisi dello Stato sociale è conseguenza di errate impostazioni politiche che alzano il livello della disoccupazione, aumentano la povertà, aggravano le crisi settoriali e gli squilibri regionali accentuando così i problemi relativi al finanziamento dello Stato sociale. Le sfide non devono in alcun modo essere di pretesto per mettere in discussione lo Stato sociale. Piuttosto, tutti i gruppi e le forze sociali sono chiamate a raccolta per renderlo garante anche per il futuro. Lo Stato sociale non deve essere messo in discussione proprio quando le sue prestazioni sono necessarie al massimo per ragioni di dignità umana, di solidarietà e didemocrazia. La iniziativa riguardante il “Patto per il Lavoro” presa dai sindacati ha come obiettivo il raggiungimento di un compromesso socialemediante i contributi del mondo politico, di quello imprenditoriale e sindacale per ottenere una maggiore occupazione e per mantenere lo Stato sociale. Con questa Carta deve essere trovato un nuovo consenso contro i piani di demolizione e di distruzione dello Stato sociale. DGB, sindacati e le associazioni sociali e assistenziali,in contatto con le Chiese, presentano in questa Carta le loro proposte per losviluppo dello Stato sociale invitando la Federazione, le Regioni e i Comuni, le associazioni dei lavoratori, dei giovani e le ‘Iniziative dei cittadini’ a discutere su queste proposte e a concordare unitariamente le possibili modalità di realizzazione. Tutti gli importanti attori sociali del mondo politico, economico e sociale si devono sentire impegnati a bloccare la minaccia di un decadimento della società. E’ nelle loro responsabilità di preoccuparsi per il mantenimento equilibrato della nostra società e, con esso, della pace sociale. Ciò è sempre meno possibile in un quadro nazionale. Perciò si devono realizzare e tutelare, a dimensione mondiale, standards minimi in materia sociale ed ecologica. In considerazione delle tradizioni relative allo Stato sociale che sono operanti in molti Paesi europei, alla Unione Europea compete una responsabilità speciale.   1. Creare posti di lavoro attraverso la protezione dell’ambiente   Una società che rispetti la dignità umana deve avere come costante obbiettivo la messa a disposizione di posti di lavoro per tutti coloro che lo richiedano. La disoccupazione di massa e la progressiva diminuzione dei posti di lavoro sono motivo di grande preoccupazione. Quasi ogni donna e ogni uomo può essere minacciato dalla perdita del posto di lavoro. Per i disoccupati il tempo per un loro reimpiego è sempre più lungo. In particolare le donne, i disabili, gli stranieri e le persone anziane vengono espulsi dal mercato del lavoro. Il numero dei disoccupati di lungo periodo è in aumento e la loro condizione si fa più precaria. Per realizzare il ‘Patto del lavoro’ il governo federale, le associazioni imprenditoriali e finanziarie si sono impegnati a dare il loro contributo per dimezzare l’attuale disoccupazione entro il 2000. Ciò richiede due milioni di nuovi posti di lavoro. In effetti, in Germania è possibile creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro se si riesce a utilizzare le opportunità offerte dalla nuova tecnologia, a ristrutturare su basi ecologiche la società industriale, offrendo principalmente servizi sociali rispettosi della persona e procedendo a una diversa distribuzione del lavoro. Un sistema fiscale orientato ecologicamente deve contribuir ealla protezione delle risorse naturali e all’alleggerimento dei costi del fattore lavoro. La innovazione e gli investimenti in prodotti e in servizi ecologicamente compatibili, la tutela e la cura della vita ambientale aprono nuove possibilità di lavoro. Ristrutturare ecologicamente significa collegare la capacità concorrenziale a livello internazionale con la soluzione della crisi ambientale globale e con il superamento della disoccupazione di massa. Contro molte resistenze nella società i sindacati, con la loro politica della riduzione dell’orario di lavoro, hanno contribuito a tutelare e a creare centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ciò ha portato pure a una crescita del reddito delle lavoratrici e dei lavoratori. Noi siamo d’accordo sul fatto che, anche per il futuro, il lavoro venga distribuito più equamente attraverso la riduzione del tempo di lavoro reale e contrattuale. L’attuale progetto dei sindacati è così sintetizzabile: eliminare il lavoro straordinario compensandolo con il tempo libero; istituire ‘conti per …

8 SETTEMBRE 1902 L’ECCIDIO DI CANDELA

Candela ha un posto nella storia del movimento operaio italiano, e, più in generale, nella dura e sanguinosa storia delle lotte che i lavoratori italiani, già dalla fine del secolo scorso, hanno condotto per la loro emancipazione. Al nome di questo centro del Sub-appennino foggiano è legato un avvenimento di violenza e di sangue: l’eccidio dell’8 settembre 1902. Otto morti e venti feriti. Tutti lavoratori e popolani, fra i quali una donna. Per anni ed anni il nome del brigadiere dei carabinieri Centanni, autore principale dell’eccidio, fu il simbolo della repressione e della violenza antiproletaria, il simbolo stesso di uno Stato forte, soprattutto nei confronti delle plebi meridionali, aggredite dalla fame, dalla miseria, dalla prepotenza di un padronato rozzo ed esoso, al cui servizio l’apparato statale, in tutte le sue componenti, si era posto. L’eccidio di Candela si inserisce in quella serie di repressioni sanguinose che colpiscono sopratutto il Mezzogiorno, tra il 1902 e il 1906. Non solo nel corso di rivolte e di tumulti di plebi affamate e disorganizzate si interveniva con tutti i mezzi per « ristabilire l’ordine », ma l’intervento repressivo veniva adoperato, come strumento a difesa dell’assetto proprietario nelle campagne e del diritto allo sfruttamento più spietato dei lavoratori, anche là dove, come in Puglia e, segnatamente nella Capitanata, già dalla fine dello scorso secolo era venuto formandosi un movimento organizzato di braccianti e di contadini poveri, che trovava nelle sezioni socialiste e nelle Leghe di resistenza i suoi punti di forza. La rievocazione di questo avvenimento, a distanza di oltre secolo, vuole essere non solo un contributo alla conoscenza di un periodo di lotte aspre che i lavoratori della Capitanata hanno condotto per la difesa dei loro diritti, fra i quali quello di organizzarsi e di far valere l’unica vera arma di cui potessero disporre, l’unione, l’organizzazione, il collegamento su di un piano ideale e pratico, ma vuole essere, ad un tempo, un omaggio alla memoria di quei lavoratori che pagarono con la vita la loro aspirazione ad essere considerati uomini e non bestie da soma. — « Hanno votato ordini del giorno di protesta pei fatti di Candela: il Comitato giovanile socialista di Rovigo, la Sezione di Badolato, la Federazione socialista di Firenze (con un invito ai deputati socialisti ad abbandonare la benevola diffidenza per il Ministero), il Circolo Socialista e le leghe dei pastori e contadini di S. Nicandro Garganico, il Circolo di Romito, la Sezione di Cerignola, il Comitato centrale della Federazione delle leghe contadine della Lomellina, la Sezione di Arezzo, il Circolo giovanile di Poggibonsi, la Sezione di Moglia di Mantova, la Sezione di Catania, il Comitato centrale della Federazione calzolai di Milano ». — Il «Popolo romano » : « La questione di principio del concedere o no le onorificenze nei conflitti fra cittadini e soldati potrebbe farsi, tutt’al più, nelle lotte civili, ossia, che hanno specialmente carattere politico, nelle quali è costretta ad interviene la truppa. Giacché se si volessero sopprimere le ricompense al valore per i carabinieri e per gli agenti di pubblica sicurezza che affrontano ogni giorni con rischio della vita i malfattori, i facinorosi e i pazzi, bisognerebbe chiedere all’ufficioso allegro, che ha tanta fiducia nei mezzi morali, se crede proprio d’ispirare e di ricompensare gli eroismi dei carabinieri con la sola paga giornaliera, che è di lire 1.90 se a piedi, e 2.25 se a cavallo. « L’Avanti! » rispondendo al « Popolo romano » scrive : « Questo è cinismo. Perchè si può – come abbiamo fatto anche noi – deplorare che nella massa degli scioperanti si sia trovato qualche impulsivo o squilibrato, ma bisogna avere, come si dice, il pelo sullo stomaco per dimenticare che l’occasione di quelle impulsività si trova appunto in una lotta civile – lotta tra capitale e lavoro – che erompe dalle leggi incoercibili della costituzione sociale. Vorremmo poi sapere se la « ricompensa morale » che, secondo il « Popolo romano », dovrebbe servire da supplemento alla paga dei carabinieri ha da consistere nell’incoraggiarli alle carneficine che vanno oltre, ben oltre, alle necessità della legittima difesa e ai doveri dell’ufficio. Giacché, sin che le inchieste Barbato, Comandini e Lollini non siano smentite sulla circostanza in esse assodata che i carabinieri continuarono a sparare pazzamente anche dopo passato il loro personale pericolo, encomiarli di avere sparato a quel modo vorrebbe dire mettere le vite dei cittadini sulla bocca dei fucili e dei revolvers affidati alle mani di facinorosi e di pazzi ».       SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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FOCARDI: FRANK VITTIMA DEL NAZISMO MA CONTI ANCORA APERTI CON IL FASCISMO

di Carlo Patrignani Questa volta una forte reazione generale di fronte a un grave episodio, l’ultimo di una lunga serie di manifestazioni di antisemitismo e fascismo, almeno c’è stata: la speranza è che da questa reazione pressocchè unanime venga la spinta a fare i conti ancora aperti con il fascismo. E’ quel che pensa lo storico Filippo Focardi, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova, del preoccupante ritrovamento nella curva Sud dello stadio Olimpico di adesivi con la foto di Anna Frank in maglia giallorossa. L’analisi dello storico sull’episodio che ha indignato l’opinione pubblica mette subito a fuoco un’acuta osservazione: perchè è stata scelta la ragazza tedesca ebrea? Perchè vittima delle persecuzioni naziste e simbolo della Shoah. Famosissimo il suo diario edito in tutto il mondo in cui racconta la sua vita di perseguitata e di deportata nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Dopodiché, arriva il severo e puntuto monito: non è che il fascismo, per non aver fatto i campi di concentramento e le camere a gas, sia esente dalle persecuzioni contro gli ebrei: nel ’38 promulgò le Leggi Razziali dopo il Manifesto della Razza e con la Repubblica Sociale di Salò ebbe un ruolo di primo piano contribuendo alla cattura e deportazione degli ebrei in Germania. Le cifre della spietata, orrenda caccia agli ebrei avviata dalla Repubblica Sociale di Salò (Rsi) – rivela Focardi – parlano di circa 7 mila ebrei catturati e deportati in Germania nei campi  concentramento, tra cui Auschwitz: di questi circa 4 mila furono catturati dalle forze di polizia della Rsi e dalle famigerate bande nere, i restanti dalle SS: esclusi i morti ammazzati in Italia, le vittime della Shoah furono ben 5790. Indignarsi per l’episodio dell’Olimpico è necessario ma non sufficiente: puntare solo sull’antisimetismo dei nazisti è oscurare le responsabilità dei fascisti, perpetuando la tragica favola esplicitata dal titolo del best seller dello storico Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, in cui l’autore ricostruisce, minuziosamente, la campagna d’Africa voluta dal Duce e poi eseguita, con stermini e bombardamenti ai gas tossici, in Etiopia, Somalia e Libia, tra gli altri, da Rodolfo Graziani e da Pietro Badoglio, inseriti nella lista dei criminali di guerra  dell’Onu e mai puniti. Quel che si vuol perpetuare, in buona sostanza, è la totale assoluzione del fascismo, in nome della pacificazione nazionale come si fece cancellando la pregiudiziale repubblicana a partire dalla ‘svolta’ di Salerno per approdare al Governo di Pietro Badoglio del ’44. E’ proprio questo costante richiamo nostalgico al fascismo e alle sue radici [le manifestazioni rievocative del Regime, la marcia su Roma, il raduno di Predappio, l’esibizione dell’osceno saluto romano A noi ] che, unitamente alla crescente ostilità e xenofobia nei confronti  dei migranti, mi preoccupa assai: come se il Regime del Ventennio, tutto sommato, fosse stato una dittatura all’acqua di rose. Per me, è la conferma che il nostro Paese la resa dei conti con quel periodo di repressione, di oppressione e di violenza, non l’ha ancora affrontata, è la constatazione amara dello storico dell’Università di Padova. Ma non c’è rassegnazione alcuna: la speranza è che i conti con il fascismo si facciano, anche se tardi – è la conclusione di Focardi, la cui opera viene presentata domani a Roma alla Biblioteca Nelson Mandela insieme al saggio Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana di Davide Conti – E questa speranza sta nella significativa reazione dell’opinione pubblica e dei media al grave episodio dell’Olimpico. Insomma, i fatti, come diceva l’azionista Vittorio Foa, non possono essere annullati, devono sempre essere richiamati […] La memoria non è soltanto la ripetizione delle domande di ieri. La memoria è soprattutto il proporre delle domande nuove. Fonte: alganews.it     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CAPORETTO 24 OTTOBRE 1917

I socialisti italiani, contrari all’entrata in guerra dell’Italia nella I guerra mondiale con lo slogan “Né aderire, né sabotare”, prendono atto del cambiamento della natura del conflitto da guerra di conquista a guerra di difesa del territorio nazionale. Sono i leaders riformisti Filippo Turati e Claudio Treves, con parole che arrivano anche nelle trincee, a chiamare i lavoratori ed il popolo alla solidarietà nazionale. – “Quando la patria è oppressa, quando il fiotto invasore minaccia di chiudersi su di essa, le stesse ire contro gli uomini e gli eventi che la ridussero a tale sembrano passare in seconda linea, per lasciare campeggiare nell’anima soltanto l’atroce dolore per il danno e il lutto, e la ferma volontà di combattere e di resistere fino all’estremo”. Filippo Turati e Claudio Treves, “Proletariato e resistenza”, Critica Sociale del 1-15 novembre 1917 — – “Voi avete detto, onorevole Orlando: ‘Grappa è la nostra patria!’ Orbene, ciò è per tutti noi, per tutta l’Assemblea! … le ore difficili le attraversiamo anche noi, le ore dell’angoscia le viviamo anche noi … noi non crediamo che la guerra possa condurre a quei fini che voi credete … Grappa è la nostra patria, ma la patria si serve da ciascuno secondo i propri ideali e la propria coscienza”. Filippo Turati, Discorso alla Camera dei Deputati del 23 febbraio 1918 (battaglia del Grappa) — – Nel giugno 1918, nel momento della battaglia del Piave, Filippo Turati dichiarava che non avrebbe votato la fiducia al governo, ma esprimeva la solidarietà anche dei socialisti “con l’esercito che in questo momento combatte per la difesa del Paese”. “Noi ci sentiamo tutti rappresentanti della nazione in armi”, e i socialisti si sentono “anche più di altri”, i rappresentanti di “questo popolo che oggi soffre, combatte e muore”. Per Turati quella non era “l’ora delle discussioni teoriche, delle recriminazioni e delle polemiche”, perché “non è l’ora delle parole, mentre lassù si combatte, si resiste, si muore, per così vasto e profondo arco di confine italiano, e le nostre anime sono tutte egualmente protese nella angoscia, nella speranza, nello scongiuro, nell’augurio”. Era il momento in cui “quando parlano i fatti, quando il sangue cola a fiotti dalle vene aperte di una nazione, di una stirpe, quando tutte le responsabilità più formidabili si addensano su uomini, su partiti, su classi, su istituzioni, bisognava capire che “grondante di sangue e di lacrime, onusta di fato, si affaccia e passa la Storia”. Turati ricordava che la Camera dei Deputati, “di cui tutti sappiamo le umane deficienze” è “la sola espressione legittima, la più vera, la più sincera, la sola espressione possibile oggi del Paese e del popolo”. E ammoniva il Governo: “non perda mai, ma invochi, ma pretenda, il contatto con la Camera, che è la sua legittimità, la sua forza, la sua ragione”. Con il voto “noi diciamo arrivederci, arrivederci presto, arrivederci tutti quanti – ai colleghi e al Governo. E il saluto questa volta non è vacuo cerimoniale di galateo. E’ anche – dei socialisti italiani – l’arrivederci augurale all’Italia “ Discorso alla Camera dei Deputati del 12 giugno 1918 (battaglia del Piave).   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Nel Mediterraneo è guerra ai migranti

COMUNICATO STAMPA Nominare l’innominabile La giornalista Flore Murard-Yovanovitch denuncia la «la guerra ai migranti» in atto nel Mediterraneo, di cui il codice Minniti è l’apice. Appuntamento oggi 25 ottobre alla Libreria Fahrenheit di Roma con Tommaso Di Francesco («il manifesto»), dalle ore 18. Link all’evento C’è un abisso, una faglia tra Africa ed Europa, dove migliaia di migranti stanno scomparendo ieri e oggi. Fatti sparire. Presi a tenaglia tra due fronti: gli abusi e i conflitti nei paesi di origine e i muri europei. Questa frattura e la guerra ai migranti, è al centro dell’ultimo libro della giornalista e studiosa francese Flore Murard-Yovanovitch, esperta di questioni migratorie. Un libro più che mai attuale. Come è stato possibile arrivare al Codice Minniti dell’estate 2017 e violare così impunemente il principio del soccorso a mare? Chiudere la rotta libica, leggittimare la strage e la detenzione dei migranti in piena Europa del 21esimo secolo? La svolta epocale del 2017 è l’atto conclusivo di una strategia europea di lungo corso in tema migratorio: bloccare i migranti e i profughi a tutti costi. Tra questi, respingerli o trattenerli per anni negli hotspot o nei lager libici, purché l’imbarazzo degli sbarchi si allontani il più possibile dalle nostre coste. Dopo la sospensione di Mare Nostrum, l’Italia si è trasformata nell’alfiere più combattivo di questa strategia, firmando accordi bilaterali con alcuni paesi africani, per bloccare e trattenere i migranti alle partenze. Le consequenze? L’incarcerazione o la sparizione di massa di migliaia di persone in fuga, in mare e nel deserto. L’odierna guerra dell’Europa ai migranti, pianificata da anni, si sviluppa su due fronti: la politica dei respingimenti, da un lato, e, dall’altro, una politica di spostamento dei confini europei nel cuore dell’Africa e dei Balcani, attraverso una serie di accordi con alcuni regimi dittatoriali , cui si delegano torture e respingimenti. L’abisso svela le conseguenze di questo passaggio geopolitico e da un nome al processo storico in corso: «la guerra al soggetto migrante». Questo libro è anche un grido di allerta contro la progressiva cristalizzazione in Europa di un nuovo Fascismo della Frontiera, che entra in una pericolosa risonanza con la riemergenza della xenofobia e del nazionalismo di estrema destra cui si assiste in molte elezioni europee. Esiste un modo per combattere questa deriva? Sì, e sta nel trasformare la cronaca in testimonianza e poi in memoria, e da lì in Storia. L’abisso è la terza parte, conclusiva, della trilogia “Piccolo mosaico del disumano”, cominciata da Flore Murard-Yovanovitch nel 2009. L’AUTRICE. Flore Murard-Yovanovitch è scrittrice e giornalista nata in Francia. Laureata in Storia, ha lavorato dieci anni per le Nazione Unite e per diverse Ong nei Paesi del Sud del mondo. È autrice di Derive (Stampa Alternativa, 2014) e La Negazione del Soggetto migrante (Stampa Alternativa, 2015), primi due volumi della trilogia. IL LIBRO. L’abisso. Piccolo Mosaico del disumano. Postfazione di Alessandro Dal Lago. pp. 144 € 12.00 Maggiori informazioni Ufficio Stampa Riccardo Antoniucci | ufficiostampa@stampalternativa.it | +39 340 7642693 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

La famiglia Rosselli tra storia, politica e cultura

La Soprintendenza archivistica per la Toscana era da tempo a conoscenza dell’esistenza dell’archivio della famiglia Rosselli, conservato a pochi chilometri da Firenze, nella villa dell’Apparita, che era stata tra l’altro l’ultima residenza di Nello Rosselli, vero e proprio rifugio in cui poteva portare avanti il suo lavoro di storico, lontano dalla quotidiana retorica imposta dal regime fascista. L’archivio infatti era stato in precedenza utilizzato da alcuni studiosi per le loro pubblicazioni sui fratelli Rosselli; ad esempio lettere e documenti del carteggio di Nello erano stati pubblicati già nel 1979 nel volume Nello Rosselli: uno storico sotto il fascismo: lettere e scritti vari, 1924-1937, a cura di Zeffiro Ciuffoletti (Firenze, La nuova Italia, 1979). Anche se era stato possibile effettuare alcune visite (in particolare nel 1988 e nel 1992), che avevano portato alla stesura di relazioni descrittive, non fu possibile però riuscire a prendere visione delle carte in maniera sistematica, per una serie di motivi, tra cui le precarie condizioni di salute di Maria Todesco, vedova di Nello. Le descrizioni realizzate in queste due circostanze erano quindi estremamente sommarie, anche se facevano intuire almeno parzialmente la rilevanza di questo patrimonio documentario; in particolare venivano relativamente evidenziati i documenti di Nello Rosselli, mentre le restanti carte di altri esponenti della famiglia (in particolare quelle della madre, la scrittrice Amelia Pincherle Rosselli e quelle del fratello maggiore, Aldo, caduto al fronte nella Prima guerra mondiale) erano descritte in forma ancora più sommaria. Per inciso, all’Apparita si trovavano anche le carte prodotte da Carlo Rosselli fino al momento dell’esilio, il 1929 (i documenti posteriori sono da molti anni conservati all’Istituto storico della Resistenza in Toscana -ISRT nel fondo denominato Giustizia e Libertà). Fu comunque possibile emanare la dichiarazione di notevole interesse storico in data 23 maggio 1991 e, successivamente, elaborare una scheda descrittiva del fondo, pubblicata nella Guida agli archivi di personalità della cultura in Toscana tra ‘800 e ‘900 (Firenze, Olschki, 1996). Le vicende successive portarono gli eredi di Maria Todesco (nel frattempo deceduta) alla decisione di vendere l’archivio ad un ente che ne garantisse la conservazione e la fruizione. La scelta cadde sulla Fondazione Rosselli di Torino. Prima del trasferimento a Torino fu però possibile alla Soprintendenza di prendere visione in forma più sistematica della documentazione; in tale occasione fu redatto un elenco di consistenza più esaustivo di tutte le carte, che cronologicamente partivano dagli anni del Risorgimento per arrivare a coprire tutta la prima metà del Novecento. A Torino, a partire dal settembre 2002, iniziò un intervento che ha portato ad un’inventariazione quasi totale delle carte, ad opera di tre archiviste, Carla Ceresa, Valeria Mosca e Daniela Siccardi, che hanno usato per tale descrizione il software Guarini. L’inventario è al momento solo parzialmente consultabile online, in un portale comunque utile per gli studiosi e ricco di informazioni storico-archivistiche. La Fondazione Rosselli di Torino ha però avuto, in particolare negli ultimi anni, una vita travagliata che ha determinato, alla fine, la messa in liquidazione di tutto il patrimonio dell’ente. A questo punto, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, al fine di evitare il rischio di un’eventuale dispersione dell’archivio e della biblioteca (tra l’altro unitariamente vincolati da un decreto emesso il 27 dicembre 1994 dall’Ufficio centrale per i beni librari e gli istituti culturali del Ministero per i beni culturali e ambientali, che li aveva dichiarati “di interesse eccezionale”) ha deciso di acquistare tale patrimonio e di destinarlo a Firenze, ritenendolo la sede naturale in cui conservare archivio e biblioteca, dati gli stretti legami esistenti tra la famiglia Rosselli ed il territorio fiorentino, dove tra l’altro sono conservati molti archivi di famiglie e di persone che ebbero rapporti con i Rosselli. È stato possibile così ricomporre un’unitarietà del fondo di Nello Rosselli, in quanto Maria Todesco aveva a suo tempo donato a quell’Archivio di Stato molte carte relative agli studi storici sul Risorgimento di Nello Rosselli, in particolare su Giuseppe Montanelli. Inoltre, come già ricordato, gran parte dell’archivio di Carlo Rosselli si trova all’ISRT. Tra gli impegni presi dal Ministero al momento dell’acquisizione vi è il completamento in tempi rapidi del lavoro di inventariazione e la sua pubblicazione integrale sul web. Infine, il 9 giugno 2017, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’uccisione dei fratelli Rosselli, l’Archivio di Stato di Firenze ha inaugurato una mostra dal titolo I Rosselli: una famiglia tra risorgimento e antifascismo, curata da Emilio Capannelli e Loredana Maccabruni, e ha organizzato un incontro di studio nel quale sono intervenuti Valdo Spini per la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze, Zeffiro Ciuffoletti per l’Università degli studi di Firenze, Simone Neri Serneri per l’Istituto Storico per la Resistenza in Toscana, Tomaso Montanari per l’Associazione “Libertà e Giustizia”, oltre al Direttore generale archivi, Gino Famiglietti, al direttore dell’Archivio di Stato di Firenze, Carla Zarrilli, alla soprintendente archivistica e bibliografica della Toscana, Diana Toccafondi, alla soprintendente archivistica e bibliografica del Piemonte, Monica Grossi. La mostra, rimasta aperta dal 9 al 23 giugno 2017, ha esposto documenti, carteggi, fotografie, giornali, pubblicazioni e manoscritti delle opere di Carlo e Nello Rosselli, che hanno illustrato e documentato le tappe salienti della loro storia familiare, personale e culturale e del loro impegno politico: il legame con l’eredità politica e culturale del Risorgimento del ramo familiare Nathan Rosselli; l’appartenenza all’ambiente della cultura ebraica; il coinvolgimento nell’interventismo e la partecipazione alla Prima guerra mondiale; le vicende del Primo dopoguerra, la militanza antifascista e la creazione del Movimento “Giustizia e Libertà”; i processi, le condanne al confino, l’esilio e l’assassinio di Carlo e Nello in Francia da parte del regime fascista il 9 giugno 1937; le loro opere di argomento politico e storico, le recensioni e la loro eco nella stampa. Fonte: ilmondodegliarchivi.org SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA CARTA DI ALGERI

Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna LA CARTA DI ALGERI (Lelio Basso) Proclamata da Lelio Basso ad Algeri il 4 luglio 1976, data simbolica in quanto duecentesimo anniversario della Dichiarazione d’Indipendenza americana, stabilisce i diritti fondamentali dei popoli all’ esistenza, alla autodeterminazione, alle risorse, alla cultura, all’ambiente, anticipando concetti e principi che successivamente saranno – almeno parzialmente – acquisiti dal Diritto internazionale. Preambolo Noi viviamo tempi di grandi speranze, ma anche di profonde inquietudini; – tempi pieni di conflitti e di contraddizioni; – tempi in cui le lotte di liberazione hanno fatto insorgere i popoli del mondo contro le strutture nazionali e internazionali dell’imperialismo e sono riusciti a rovesciare i sistemi coloniali; Ma questi sono anche tempi di frustrazioni e di sconfitte, in cui nuove forme di imperialismo si manifestano per opprimere e sfruttare i popoli. L’imperialismo, in forza di meccanismi e di interventi perfidi o brutali, con la complicità di governi spesso da esso stesso imposti, continua a dominare una parte del mondo. Attraverso l’intervento diretto o indiretto, utilizzando le società multinazionali, appoggiandosi sulla corruzione delle polizie locali, prestando il suo aiuto a regimi militari fondati sulla repressione poliziesca, la tortura e la distruzione fisica dei suoi avversari, servendosi di tutte le strutture e attività alle quali è stato dato il nome di neo-colonialismo, l’imperialismo estende il suo controllo su molti popoli. Coscienti di interpretare le aspirazioni della nostra epoca, ci siamo riuniti ad Algeri per proclamare che tutti i popoli del mondo hanno pari diritto alla libertà: il diritto di liberarsi da qualsiasi ingerenza straniera e di darsi il governo da essi stessi scelto, il diritto di lottare per la loro liberazione, nel caso fossero in condizioni di dipendenza, il diritto di essere assistiti nella loro lotta dagli altri popoli. Convinti che il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo implica il rispetto dei diritti dei popoli, abbiamo adottato la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli. Che tutti coloro che nel mondo conducono, a volte con le armi in pugno, la grande lotta per la libertà di tutti i popoli trovino in questa dichiarazione la conferma della legittimità della loro lotta. SEZIONE I DIRITTO ALL’ESISTENZA Articolo 1 Ogni popolo ha diritto all’esistenza. Articolo 2 Ogni popolo ha diritto al rispetto della propria identità nazionale e culturale. Articolo 3 Ogni popolo ha il diritto di conservare pacificamente il proprio territorio e di ritornarvi in caso di espulsione. Articolo 4 Nessuno, per ragioni di identità nazionale o culturale, può essere oggetto di massacro, di tortura, persecuzione, deportazione, espulsione, o essere sottoposto a condizioni di vita tali da compromettere l’identità o l’integrità del popolo a cui appartiene. SEZIONE II DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE POLITICA Articolo 5 Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna. Articolo 6 Ogni popolo ha il diritto di liberarsi da qualsiasi dominazione colonialeo straniera diretta o indiretta e da qualsiasi regime razzista. Articolo 7 Ogni popolo ha il diritto a un governo democratico che rappresenti l’insieme dei cittadini, senza distinzione di razza, di sesso, di credenza o di colore e capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti. SEZIONE III DIRITTI ECONOMICI DEI POPOLI Articolo 8 Ogni popolo ha il diritto esclusivo sulle proprie ricchezze e risorse naturali. Esso ha il diritto di rientrarne in possesso se ne è stato spogliato e di recuperare gli indennizzi pagati ingiustamente. Articolo 9 Poiché il progresso scientifico e tecnico fa parte del patrimonio comune all’umanità, ogni popolo ha il diritto di parteciparvi. Articolo 10 Ogni popolo ha diritto a che il proprio lavoro sia valutato giustamente e che gli scambi internazionali avvengano a condizioni paritarie ed eque. Articolo 11 Ogni popolo ha il diritto di darsi il sistema economico e sociale da lui stesso scelto e di perseguire la propria via di sviluppo economico in piena libertà e senza ingerenze esterne. Articolo 12 I diritti economici sopra enunciati devono esercitarsi in uno spirito di solidarietà tra i popoli del mondo e tenendo conto dei loro rispettivi interessi. SEZIONE IV DIRITTO ALLA CULTURA Articolo 13 Ogni popolo ha il diritto di parlare la propria lingua, di preservare e sviluppare la propria cultura, contribuendo così all’arricchimento della cultura dell’umanità. Articolo 14 Ogni popolo ha diritto alle proprie ricchezze artistiche, storiche e culturali. Articolo 15 Ogni popolo ha diritto a che non gli sia imposta una cultura ad esso estranea. SEZIONE V DIRITTO ALL’AMBIENTE ED ALLE RISORSE COMUNI Articolo 16 Ogni popolo ha diritto alla conservazione, alla protezione e al miglioramento del proprio ambiente. Articolo 17 Ogni popolo ha diritto all’utilizzazione del patrimonio comune dell’umanità come l’alto mare, il fondo dei mari, lo spazio extraatmosferico. Articolo 18 Nell’esercizio dei diritti sopra elencati, ogni popolo deve tenere conto della necessità di coordinare le esigenze del proprio sviluppo economico e quelle della solidarietà fra tutti i popoli del mondo. SEZIONE VI DIRITTI DELLE MINORANZE Articolo 19 Quando un popolo rappresenta una minoranza nell’ambito di uno stato, ha il diritto al rispetto della propria identità, delle tradizioni, della lingua, del patrimonio culturale. Articolo 20 I membri della minoranza devono godere senza discriminazione degli stessi diritti che spettano agli altri cittadini e devono partecipare in condizioni di uguaglianza alla vita pubblica. Articolo 21 L’esercizio di tali diritti deve realizzarsi nel rispetto degli interessi legittimi della comunità presa nel suo insieme e non può autorizzare lesioni dell’integrità territoriale e dell’unità politica dello stato, quando questo si comporti in conformità con tutti i principi enunciati nella presente Dichiarazione. SEZIONE VII GARANZIE E SANZIONI Articolo 22 Qualsiasi inosservanza delle disposizioni contenute nella presente Dichiarazione costituisce una trasgressione di obblighi verso la comunità internazionale tutta intera. Articolo 23 Ogni pregiudizio derivante dall’inosservanza della presente Dichiarazione deve essere integralmente riparato da parte di colui che l’ha provocato. Articolo 24 Ogni arricchimento realizzato a detrimento di un popolo in violazione delle disposizioni della presente Dichiarazione esige la …

Un partito senza simbolo

Da tempo io SOCIALISTA, non ho un simbolo. Ho un’organizzazione che ha sì un simbolo, ma appunto questo SPARISCE nel momento in cui DOVREBBE CONCORRERE alla determinazione della politica nazionale. Nella storia dell’uomo le filosofie, i centri studi, i movimenti ecc, sono esistiti da quando la preistoria è diventata STORIA. Alla stessa maniera sono nati i popoli. Ogni popolo, volente o nolente, ha qualcuno che lo comanda/governa, come abbiamo saputo e viviamo anche in epoca contemporanea. “L’ètat c’est moi”, mi pare disse Luigi XIV°, prima entità di Stato organizzato. Ciò costrinse anche altri a costituirsi in Stato, mentre prima esistevano agglomerati. Filippo II° invece affermava: “sotto il mio regno non tramonta mai il sole”. Ci hanno convinti ed io intimamente ha creduto, che la demo-crazia è il migliore dei sistemi per governare. Come sappiamo essa comporta delle contrapposizioni tra le fazioni che intendono assumere il potere. Esse si definiscono PARTITI, cioè parte dell’ambiente sociale, definito NAZIONE (nello sport internazionale, ad esempio, devono essere CITTADINI gli atleti selezionati) e in seguito STATO! Da noi, dopo varie vicissitudini, lo Stato democratico nato col referendum del 2 giugno 1946 è rappresentato da “forze politiche” che concorrono alla formazione del GOVERNO. Onore ai Partigiani, però è tempo di ammettere che lo Stato fu liberato da centinaia di migliaia di bombe scaricate sul popolo dai nostri nemici, in seguito diventati ALLEATI. Il mio grande compagno Egidio Meneghetti, capo della Resistenza Veneta, ebbe moglie e figlia uccise da un terrribile bombardamento “alleato”. Ho fatto tutta questa contumelia per concludere che finalmente l’art. 49 della Costituzione riconosce la formazione di “partiti”. Ogni partito, che concorre DEMOCRATICAMENTE a “determinare la politica nazionale”, ha normalmente un proprio SIMBOLO. Da tempo io SOCIALISTA, non ho un simbolo. Ho un’organizzazione alla quale mi iscrivo regolarmente, corrispondendo anche qualcosa in più del richiesto, oltre al tempo reso “gratuitamente”. Questa organizzazione come sappiamo ha sì un simbolo, ma appunto questo SPARISCE nel momento in cui DOVREBBE CONCORRERE alla determinazione della politica nazionale. E possibile che sia giusto. In diritto esistono le FATTISPECIE, cioè dei principi giuridici diversi gli uni dagli altri. se fossero uguali risulterebbero ovviamente una sola fattispecie. Siccome dopo roboanti e combattuti congressi, si corre sotto l’ala dell’ “onesto” alleato, sostenendo in toto i suoi uomini con qualche aggregato dei “nostri” che ricorda tanto gli “indipendenti di sinistra dell’ex PCI, capisco perché non si ritiene di presentarsi con un simbolo: ci va bene il “simbolo” e certamente anche i “programmi” degli altri. Che senso ha quindi CLONARE un gigante che già bada sufficientemente a se stesso, anche se sta assumendo il carattere di un litigatoio (muoversi divisi per colpire uniti?). In pratica ci viene consentito di “giocare” con la politica fintantoché non subentrano le cose serie (elezioni), dove intervengono probabilmente i padroni del vapore che ci dicono: “bambino fatti in la e lasciaci lavorare”, regalando qualche caramella a quelli che gli sono più simpatici o che non hanno rotto più di tanto gli zebedei. In compenso io mi ritrovo una miriade di “particole” dentro e fuori “facebook” che, se mi dovesse essere richiesto un obolo per aderirvi dovrei inventarmi un lavoro ben retribuito per farvi fronte. Finora però – anche perché ho dei giovani meravigliosi che ci credono ancora – continuo ad avere una simbolica tessera che mi dice che quel “partito” esiste. Però, devo sapere che non si presenta (almeno per conoscere se ha senso esistere!) alle ELEZIONI! Secondo voi, PUO’ AVERE SENSO TUTTO CIO’ se solo consideriamo quanti sacrifici, quanto bene alla Patria, quanti grandi UOMINI hanno condiviso questa idea, quanta STORIA (se non c’amazzan i crucchi!) avremo da raccontare. Pero mi pare che chi ci sta portando al congresso ora non sia interessato. Meglio per lui un posticino caldo – anche se da servitore – vicino ai comandanti del momento. Continuiamo ad adeguarci? Giampaolo Mercanzin SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it