L’ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO

di Franco Astengo | “I sindacati confermano lo sciopero dei treni di 24 ore proclamato per oggi e Salvini li precetta, dimezzandone la durata: l’astensione, che comincia alle 3:00, dovrà concludersi alle 15:00“ Questa la notizia di oggi al riguardo dell’annunciato sciopero dei ferrovieri. La replica del sindacato: “«La precettazione è un’iniziativa vergognosa, sbagliata e illegittima», protesta il segretario generale Stefano Malorgio, che non nasconde i timori di una iniziativa analoga del ministero dei Trasporti per lo sciopero del settore aereo di sabato: «Ci aspettiamo la riduzione o persino un annullamento», spiega, aggiungendo che il sindacato valuta il ricorso al Tar, anche per evitare che lo stesso trattamento venga adottato a fronte di altri scioperi.“ Di fatto ci troviamo di fronte a un nuovo attacco al diritto di sciopero sferrato nell’ambito dell’azione di un governo di destra che riprende un antico tema di limitazione della libertà dei lavoratori e dell’espressione di dissenso. E’ necessario ricordare come la prima fase della ricostruzione del Paese nel periodo post-bellico (dopo che il fascismo aveva vietato lo sciopero e che il primo vero segnale della sua caduta fosse arrivato il 1° marzo del 1944 con lo sciopero contro la guerra delle grandi fabbriche del Nord) fosse stato segnato da una fortissima conflittualità sociale con il costante intervento repressivo da parte dei governi centristi: operaie e operai, contadine e contadini in quel periodo lasciarono una lunga striscia di sangue nella lotta per il salario, l’orario, i diritti fondamentali, la difesa del posto del lavoro e della democrazia (in quel periodo sono da ricordare anche grandi scioperi politici: in occasione dell’attentato a Togliatti, contro la NATO, la legge elettorale maggioritaria definita “Legge Truffa”, fino al tragico luglio ’60). Il lungo ’68- ’69 italiano registrò ancora sia l’innalzamento di livello della conflittualità sociale e la repressione governativa: un punto fu segnato con l’approvazione nel 1970 dello Statuto dei Lavoratori su iniziativa del Partito Socialista arrivato al governo con il centro-sinistra e particolarmente del ministro Brodolini e del giurista Gino Giugni. La regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi essenziali, in applicazione dell’articolo 40 della Costituzione, avvenne nel 1990 come punto di mediazione di un’altra lunga fase di scontro nel corso della quale i governi succedutisi nel tempo avevano impostato la loro azione per limitare al massimo il diritto di sciopero : un’azione frutto dell’iniziativa neo-liberista degli anni’80 coincidente con l’avvento della presidenza Reagan negli USA e della presidenza Thatcher in Gran Bretagna (con relativa repressione dello sciopero dei minatori). In Italia si sono così verificati tre interventi legislativi: quello della legge 146/90, 83/2000, D.L. 146/2015. Nei servizi essenziali l’esercizio del diritto di sciopero è consentito unicamente (art. 2, co. 1) nel rispetto delle seguenti condizioni: a) organizzazione e adozione di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità della legge 146/90. b) osservanza di un preavviso minimo non inferiore a 10 giorni, al fine di predisporre l’erogazione di prestazioni indispensabili e per attivare tentativi di composizione dei conflitti. c) obbligo di fornire informazioni alle utenze circa lo sciopero da parte delle amministrazioni o aziende erogatrici di servizi pubblici essenziali, almeno 5 giorni prima dell’inizio dello sciopero d) esperimento di un tentativo di conciliazione, vincolante e obbligatorio per le parti Tutte clausole già fortemente vincolanti e nell’occasione largamente esperite da parte delle organizzazioni sindacali ; non tenute in conto dall’ordinanza di precettazione che in questo modo rappresenta un punto di rottura pericoloso nell’ambito del quadro più generale di attacco alla Costituzione che sembra proprio significare il punto distintivo dell’operato di questo governo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VOTO EUROPEO

di Franco Astengo | In previsione della necessità di organizzare momenti di approfondimento attorno ai diversi temi proposti dal voto europeo 2024 mi permetto di sintetizzare in alcuni punti-chiave un possibile elenco di questioni che dovranno essere affrontate: 1) Mutamento di senso dell’elezione di rappresentanti dei diversi paesi (nello specifico la dizione originaria a partire dal 1979 è quella di “Rappresentanti dell’Italia al Parlamento Europeo”) in una fase di transizione come quella che stiamo attraversando dominata dal tema della coincidenza NATO/UE e dal rapporto tra Governi e Commissione sul PNRR. Tutto questo all’interno di un quadro generale caratterizzato dalla crisi della globalizzazione , dal rallentamento del processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”, dell’emergere di rinnovati nazionalismi con la guerra presente nel teatro europeo; 2) Incidenza del parlamento europeo nella formazione della complessiva “governance” dell’ Unione. A questo proposito mi concentro su di un solo aspetto: Il Parlamento europeo elegge il Presidente della Commissione. Dopo le elezioni, uno dei primi compiti del nuovo Parlamento è quello di eleggere il Presidente della Commissione l’organo esecutivo dell’UE. Gli Stati membri designano un candidato, tenendo però conto dei risultati delle elezioni europee. Il Parlamento deve poi eleggere il nuovo Presidente della Commissione a maggioranza assoluta (la metà dei deputati più uno). Se il candidato non ottiene la maggioranza necessaria, gli Stati membri hanno un mese di tempo per proporne un altro (il Consiglio europeo delibera a maggioranza qualificata). In occasione delle elezioni del 2014 il Parlamento ha introdotto il sistema dei candidati capilista: ciascun partito politico europeo presenta un candidato alla carica di Presidente della Commissione e il partito che ottiene il maggior numero di voti può proporre il candidato del Parlamento per tale carica. 3) Dal punto 2 deriva essenzialmente il dibattito in corso sulla formazione di una nuova maggioranza a Strasburgo e sulla “formula Ursula” che presiedette all’elezione di Ursula Von dee Layen (avvenuta con il voto del M5S a sostegno dell’alleanza PPE-Socialisti & Democratici). Appare evidente che saranno i risultati elettorali a determinare il quadro di alleanze: nel concreto non esistono possibilità di prefigurare convergenze che soltanto possibilità numeriche potranno concretizzare vista la conformazione dei gruppi nel nuovo Europarlamento; 4) Risiede nel punto relativo all’elezione del Presidente della Commissione il valore effettivamente sovranazionale del voto espresso nazionalmente (salvo gli inevitabili riflessi sul quadro politico nazionale) perchè sarà soltanto l’esito del voto che ci fornirà l’indicazione per la costruzione delle alleanze: i fondamentali della politica europea, infatti, ci indicano un quadro diverso da quello presentato nel sistema politico italiano da un sistema che esige alleanze preventive e punisce chi non riesce a realizzarle; 5) Questo quadro ci indica come uno spunto di discussione da svolgere sarà quello riguardante la presentazione in campagna elettorale, di una proposta di diversità di compiti del Parlamento Europeo sui gangli decisivi della politica comunitaria (economica, militare, estera, ambientale) e sul rilancio di una ipotesi di costituzionalizzazione dell’UE dopo il fallimento degli anni 2003-2007. Ipotesi da presentare intendendola posta almeno sul piano della formazione di una dialettica intesa come bilanciamento della ferocia sovranista e militarista che contrassegnerà i prossimi mesi di scontro politico. Si tratterà così di indicare ancora con grande precisione l’assoluta proiezione sovranazionale del valore del voto. 6) La qualità della rappresentanza istituzionale che, a sinistra, si intenderà realizzare risulterà assolutamente collegata alla capacità delle diverse forze politiche di esprimere una effettiva rappresentatività dell’intreccio tra le grandi contraddizioni della modernità e della post – modernità, inclusa quella riguardante la crisi della democrazia liberale. Anche l’opzione pacifista avrà bisogno di essere inclusa in un progetto complessivo e non presentata semplicemente come una (pur sacrosanta) esigenzialità immediata. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIACOMO BRODOLINI NEL TEMPO ATTUALE

di Luciano Vita – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Care compagne, cari compagni, quando Rino Giuliani, in rappresentanza dell’Istituto Fernando Santi, mi propose di collaborare alla riuscita del convegno, non ho esitato a dare la mia disponibilità e quella dell’Associazione politico –culturale Socialismo XXI che ho l’onore di rappresentare nelle Marche. Ma la mia convinta presenza ai lavori odierni è dettata da un ulteriore legame con questa Città e con il suo illustre concittadino, il compagno Giacomo Brodolini. Sono ben 12 anni che, su invito dei sindaci che si sono succeduti in questo  arco temporale, e grazie alle costanti sollecitazioni del compagno Antonio Baleani, anche oggi qui presente, che partecipò, prima nella mia veste di segretario regionale del PSI, poi quale rappresentante di Socialismo XXI, alle cerimonie funebri che l’amministrazione comunale nel mese di luglio di ogni anno organizza per ricordare la morte di Giacomo, uno dei suoi più illustri concittadini, alla stessa stregua di Giacomo Leopardi e Beniamino Gigli . Non ho conosciuto di persona Giacomo Brodolini poiché iscritto per la prima volta alla CGIL nel lontano 1967 a soli 22 anni ed ininterrottamente fino ad oggi, ma fin da allora ne seguii le sue battaglie politiche. Ecco perché posso dire che vi è una duplice motivazione per cui oggi sono qui, quella  della stessa appartenenza sindacale e  politica. Ringrazio quindi l’Istituto Fernando Santi per questa pregevole iniziativa, e vi porto il convinto saluto ed augurio per la migliore riuscita dei lavori odierni, da parte del Presidente Nazionale di Socialismo XXI, avv. Luigi Ferro e dell’intera segreteria Nazionale. Il nome di Giacomo Brodolini, la sua militanza politica per il socialismo ed  il suo impegno  sindacale e parlamentare  per, e nel mondo del lavoro  sempre a fianco dei lavoratori, è strettamente legato e coerente con le finalità e gli obiettivi della nostra Associazione, la cui appartenenza ad un’area socialista, riconferma la centralità del lavoro non solo come parametro su cui costruire una nuova politica economica di moderno sviluppo, ma anche come valore della democrazia contemporanea, come fattore imprescindibile di coesione sociale e come sostanza dei principi della nostra Carta  Costituzionale. Ma la coesione sociale coerente con i principi del dettato costituzionale, non si realizza senza giustizia sociale che per noi di Socialismo XXI, significa innanzitutto superamento delle disuguaglianze nel mondo del lavoro. Socialismo e lavoro: un binomio che la storia del Movimento Operaio aveva reso iscindibile fino a farne sinonimo; che ha scritto pagine straordinarie scolpite nella Costituzione repubblicana; che ha animato le grandi battaglie di progresso sociale e civile ma che oggi, nell’era contemporanea va affrontata e risolta diversamente dal passato. Ecco quindi la domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi. Cosa avrebbe fatto Giacomo Brodolini di fronte alla crisi pandemica in atto che ha colpito tutte le economie del mondo occidentale, Italia compresa, e che è diventata crisi sociale per l’aggravarsi delle diseguaglianze e della disoccupazione? Siamo o no in presenza di un crisi di sistema determinato e voluto dalla rincorsa alle politiche neo liberiste anche da parte dei partiti della sinistra, o presunti tali, dove si è contrapposta l’economia finanziaria a quella dell’economia reale; le opportunità al posto delle sicurezze; i rapporti di forza al posto dei diritti; il consumatore al posto del produttore; il mercato al posto dello Stato; ed infine l’esaltazione delle disuguaglianze economiche e sociali come motore stesso della crescita, nell’illusoria convinzione di essere all’altezza della modernità del mondo globalizzato. Dopo lo Statuto dei lavoratori, la produzione legislativa degli anni1990/2000 è stata nei fatti di ripiegamento; quei diritti che 53 anni fa lo Statuto dei lavoratori aveva portato nelle fabbriche oggi sono sostanzialmente tornati indisponibili sul mercato del lavoro per milioni di persone; il precariato è diventato l’altra faccia di una disoccupazione endemica che da oltre un decennio viaggia ormai stabilmente su un valore a due cifre, creando nel contempo le condizioni per una concorrenza sempre più spietata del lavoro nero rispetto a quello legale. Dalla legge Biagi, al Job Act del 2014, al reddito di cittadinanza del 2018, nessun provvedimento ha permesso la consistente diminuzione della disoccupazione, ed è sbagliato a nostro avviso, difendere ossessivamente questa legge populista così come è, che non garantisce il lavoro, è diseducativa e oggetto di voti di scambio palesemente sotto gli occhi di tutti. La retorica del lavoro flessibile e dell’eliminazione del vincolo dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori o l’erogazione di sussidi a sostegno della ricerca del lavoro, hanno dimostrato che non era quella la strada da scegliere e da percorrere.   Socialismo XXI ritiene che il Job Act vada sottoposto ad una  revisione radicale, che venga reintrodotto l’art.18 dello Statuto, che venga drasticamente cambiato il reddito di cittadinanza, inefficace ed improduttivo ai fini della garanzia e dello sviluppo dell’occupazione, in particolare di quella giovanile.  Il dispositivo delle cosiddette “ tutele crescenti” combinato con l’abolizione dell’art.18 dello Statuto, si è rivelato uno strumento di potere discrezionale nelle mani dell’imprenditore. Doveva restituire una prospettiva positiva alle forme di lavoro flessibile, si è trasformato, nei fatti in un impulso degenerativo del mercato del lavoro,trasformando la flessibilità in precariato di massa. L’associazione politico culturale di Socialismo XXI, ritiene che vi sia un virtuale filo rosso che collega il vecchio Statuto dei lavoratori con il disegno di legge di iniziativa popolare “Della Carta dei diritti Universali del lavoro” e siamo convinti che Brodolini avrebbe condiviso questa nostra posizione politica. Di fatto  nell’ultima legislatura il convergere di posizioni populiste con quelle sovraniste hanno affossato i diritti costituzionali ed hanno ignominiosamente trasformato l’Articolo 1 della Costituzione Italiana da “ l’Italia è una Repubblica  democratica fondata sul lavoro”, in  una “fondata sul lavoro  PRECARIO”. La povertà non è stata abolita, ed a nostro avviso la classe politica e sindacale deve avere la forza ed il coraggio di distinguere l’assistenzialismo necessario per i meno abbienti ed i soggetti fragili della Società, dal diritto del lavoro, della sua dignità su cui si fonda la Repubblica Italiana ed il cui riferimento è stato il titolo del documento di maggioranza del recente congresso nazionale della CGIL ,” Il Lavoro Crea il …

GRANDE RIUSCITA DELLO SCIOPERO UNITARIO DEI METALMECCANICI

Ieri venerdì 7 Luglio, grande e riuscita giornata di lotta unitaria dei metalmeccanici FIM-FIOM-UILM del centro-nord a sostegno di un avvio di una seria ed urgente politica industriale per consolidare in termini strutturali la ripresa produttiva in varie aziende e settori e per risolvere le crisi esistenti in altre imprese, settori e filiere. La prossima settimana toccherà ai metallurgici del centro-sud dove la crisi morde con più forza in particolare sull’occupazione. SOCIALISMO XXI è vicina e sostiene le istanze dei metalmeccanici perché ora si tratta di passare da interventi isolati o “spot” alla programmazione concertata Governo/Imprese/Sindacati di progetti mirati di politica industriale di sviluppo compatibile, di innovazione, di riconversione di attività mature in prodotti nuovi e competitivi. Una seria politica ambientalista e di riconversione energetica può essere anche una opportunità di business e di sviluppo di nuove produzioni necessarie per concretizzare obiettivi virtuosi in materia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DURO LAVORO E SOPRATTUTTO COERENZA

Ripropongo pensando di fare cosa utile, la sintesi, con qualche integrazione, di un mio intervento svolto a Milano nel 2017. Sono convinto che ogni azione politica è sempre riconducibile a una matrice culturale che ne condiziona l’orientamento e traccia la strada da percorrere. Anche nella confusione che caratterizza l’emergere di nuovi movimenti o partiti, che apparentemente possono indurre a credere che le categorie concettuali tra destra e sinistra siano superate dagli eventi della storia contemporanea, se non ci si fermasse alla superficie, ma si valutassero le conseguenze delle azioni compiute si potrebbe facilmente capire da quale matrice culturale queste sono ispirate. Aggiungo che alla sinistra italiana, e non solo, servirebbe una sorta di Bad Godesgerg capace di rigenerare la sinistra. I socialisti italiani fecero in due tempi la loro Bad Godesberg. Prima con il famoso saggio craxiano che rivalutò Proudhon, successivamente a Rimini dove si indicò l’obiettivo di promuovere i meriti e di sostenere i bisogni, insomma una società che non fa dell’egualitarismo una condizione che comprime e trascura le potenzialità di chi può rappresentare una grande risorsa per lo sviluppo della società in tutti i campi, ma anche una società solidaristica capace di porre al centro del suo impegno il sostegno dei più deboli. Oggi per unire la sinistra italiana occorre che i post comunisti che scelsero il PD evitando di fare i conti con la loro storia non si rinchiudano nell’adorazione degli antenati in un Pantheon dove figurano Berlinguer o Gramsci, ovviamente la stessa raccomandazione riguarda i socialisti che non possono vivere solo di ricordi, ma sappiano entrambi mettere in discussione il proprio passato per ritrovare le ragioni di una nuova unità che ponga alla base i diritti dell’uomo e sappia guardare al futuro senza nostalgie e con l’ambizione di chi sa che la sconfitta dei populismi di destra e sinistra passa anche attraverso una sinistra capace di non essere sconfitta dalle proprie antiche storie fatte di risentimenti e di anacronistiche nostalgie di un passato che appartiene nel bene e nel male alla storia. E’ frequente ascoltare interventi che sostengono superate le divisioni fra destra e sinistra. Ovviamente le caratteristiche della destra e sinistra del ‘900 oggi si presentano in forme diverse rispetto al passato, ma questa condizione non può indurci a credere che le questioni di quel tempo siano superate e tutto si risolva in un tecnicismo che non abbia alcun riferimento alle categorie destra e sinistra. La liberalizzazione dei capitali, la pressante spinta verso le privatizzazioni in ogni campo, la richiesta di sempre meno tutele per il lavoro etc, sono tutte riconducibili a precise culture di riferimento ed in particolare alla scuola di pensiero di Milton Friedman e George Stigler che hanno posto il mercato e la libera concorrenza (libera da “interferenze” della politica) come naturale regolatore dell’economia, della finanza e infine delle condizioni dell’uomo. I primi sostegni a tale politica vennero in Italia da Gianni Agnelli, che in una intervista concessa il 30 gennaio 1975 al Corriere della Sera sostenne che “Probabilmente dovremo avere governi molto forti che siano in grado di far rispettare i piani a cui avranno contribuito altre forze oltre a quelle rappresentate in Parlamento; probabilmente il potere si sposterà dalle forze politiche tradizionali a quelle che gestiranno la macchina economica; probabilmente i REGIMI tecnocratici di domani ridurranno lo spazio delle libertà personali. Ma non sempre tutto ciò sarà un male.” Forse è il caso di ricordare che in precedenza fu pubblicato a cura della Trilateral Committee un rapporto il cui titolo era “The Crisis of Democraticy” A questo proposito forse è opportuno ricordare alcune osservazioni che emersero dalla Trilaterale. Nel bel libro di Nadia Urbinati e David Ragazzoni della Columbia University si rivelano alcune “perle” del lavoro prodotto in quella occasione che dopo aver esaminato gli ordinamenti parlamentari di diversi Paesi l’attenzione della Trilaterale si sofferma anche su quello italiano. Il rapporto della Trilaterale dopo aver affermato che ” i democratici sono inclini a schierarsi con l’umanità invece che con l’autorità e le istituzioni” osserva che la governabilità è garantita solo dall’autorità e dalle istituzioni. A tal proposito aggiunge che “l’incapacità delle istituzioni democratiche di resistere alle pressioni che provengono dai cittadini organizzati” è dovuta “all’attivismo sociale che lo Stato alimenta facendosi dispensatore di servizi- il welfare state sortisce l’effetto di debilitare l’autorità dello Stato”. Dopo aver aggiunto che occorre spostare il baricentro delle decisioni dal Parlamento all’esecutivo aggiunge che è indispensabile correggere il sistema istituzionale rafforzando l’apparato repressivo. La governabilità (secondo la declinazione della Trilaterale) diventa quindi un “obiettivo ideale da imporre a una società recalcitrante, in nome di una buona democrazia contro la cattiva”. “La diagnostica si traduce pertanto nel suggerimento, rivolto ai governi quanto agli attori economici delle democrazie occidentali, di intervenire su due fronti: in relazione allo Stato (con la riduzione delle politiche sociali) e in relazione dei cittadini (per correggere l’eccesso di partecipazione e debilitare, scoraggiare o delegittimare i movimenti di protesta). L’argomento esplicitamente usato è che il declino della partecipazione non è soltanto desiderabile, ma il segno della funzionalità del sistema: l’apatia è indice di buona salute delle istituzioni democratiche!” Che dire di più? Più recentemente sono poi venute allo scoperto le “cure al sistema democratico” sostenute con gran forza dal mondo dalla finanza ovvero la necessità, in particolare per l’Italia, di modificare la nostra Costituzione considerata a forte impronta socialista e pertanto da “riformare” in modo che la cultura neoliberista possa avere pieno riconoscimento costituzionale. Il recente referendum con la vittoria del no ha momentaneamente sconfitto questo disegno, ma sia l’orientamento dell’UE, sia l’incapacità del PSE che con le politiche presentate come modernizzazioni ha lentamente smarrito le tradizionali politiche socialdemocratiche e ha favorito l’affermarsi della cultura e dell’azione di governo ispirata al neoliberismo, rendono estremamente fragile la difesa rappresentata dalla Costituzione. I socialisti e la sinistra democratica, al contrario dei neoliberisti, pur sostenendo la libera iniziativa, pongono al centro della loro azione le condizioni dell’uomo e non sono disponibili ad alienare i diritti dei cittadini e dei lavoratori in nome delle forze economiche …

LE IDEOLOGIE POLITICHE AL TEMPO DEL POPULISMO. INTERVISTA A MANUEL ANSELMI

di Giulio Pignatti | Cosa ne è delle ideologie all’epoca del populismo, della disintermediazione e del dissolvimento dei partiti di massa? Un recente convegno, Cosa resta dell’ideologia? Concetti, teorie, metodi di ricerca, organizzato dagli Standing group “Teoria Politica” e “Politica e Storia” della Società Italiana di Scienza Politica e tenutosi alla sede di Brescia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il 4 e 5 maggio 2023, ha discusso, tramite l’apporto di metodi e discipline differenti, la permanenza e l’evoluzione delle ideologie politiche nei contesti contemporanei. Qui l’intervista, a partire dai temi del convegno, a Manuel Anselmi, uno dei relatori e ricercatore in Sociologia politica presso l’Università degli Studi di Bergamo. Anselmi si occupa principalmente di ideologie politiche e populismi e ha lavorato sul contesto europeo e latino-americano. Tra le sue pubblicazioni: Multiple Populisms. Italy as Democracy’s Mirror (Routledge 2019, curato con Paul Blokker), Populismo. Teorie e problemi (Mondadori Università 2019), Populism. An Introduction (Routledge 2017, con Paul Blokker) e Chavez’s Children. Ideology, Education, and Society in Latin America (Lexington Books 2015). Da anni la vulgata del senso comune sostiene il tramonto delle ideologie, innanzitutto di quelle protagoniste, nel bene e nel male, della storia del secolo scorso. Dovremmo quindi vivere in una società post-ideologica, ma allo stesso tempo è difficile non definire ideologici fenomeni caratteristici del presente, come ad esempio il nazionalismo. Dunque, innanzitutto, l’ideologia è viva o morta? Manuel Anselmi: Diciamo subito che nella storia degli studi sull’ideologia è già successo di annunciare la fine delle ideologie e poi ricredersi. Era capitato alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, ma poi per tutti gli anni Sessanta e Settanta abbiamo assistito ad una vera e propria renaissance degli studi sul tema. La vulgata a cui giustamente fa riferimento lei è invece un fenomeno che riguarda gli ultimi decenni ed è cruciale. Da circa la metà degli anni Ottanta si è ricominciato a parlare, anche insistentemente, di fine delle ideologie e di inizio di una fase post-ideologica. Queste tesi si sono sedimentate nel senso comune anche attraverso la pubblicistica – per cui capita ancora oggi di leggere e ascoltare questa storia della morte delle ideologie. È interessante notare che, d’altro canto, a livello di riflessione scientifica proprio in quegli anni si è continuato a produrre importanti studi sull’ideologia. C’è stata quindi una discrasia tra l’opinione pubblica, per la quale le ideologie erano ormai sepolte, e il discorso scientifico, grazie al quale sono state portate avanti forse le analisi più originali a riguardo: si pensi agli studi di Michael Freeden, di John B. Thompson, o alla ripresa di alcune intuizioni di Clifford Geertz, o ancora al neomarxismo di Stuart Hall. Ciò dimostra quindi che la fine delle ideologie è stato più che altro uno slogan, ideologico esso stesso, funzionale alla promozione di un vero e proprio senso comune riconducibile all’ideologia neoliberale. Oggi siamo in una fase in cui è possibile riconoscere quella lunga fase ideologica e non a caso si stanno riproponendo saggi o pamphlet che tematizzano la questione ideologica come il recente libro di Carlo Galli edito da il Mulino (Ideologia). Molto probabilmente siamo in una fase in cui si torna a parlare di ideologie, anche nella sfera pubblica. Ma la questione non è solo intellettuale: sono le vicende politiche più recenti che hanno decretato un significativo cambio di prospettiva. Il 2022 è stato in effetti un anno di cambiamenti epocali, innanzitutto per lo scoppio della guerra in Ucraina: abbiamo definitivamente liquidato l’immaginario ottimistico della globalizzazione, dopo che era già stato duramente messo alla prova con la crisi economica del 2008. Un immaginario che era parte della costellazione del pensiero post-ideologico, sulla base del quale si pensava che fossimo ormai in un’epoca in cui regnasse solo il soft power, che la politica di potenza fosse ormai un fatto del passato, che l’integrazione economica globale sarebbe stata sempre prioritaria rispetto ai fenomeni politici. Dominava la convinzione di un Novecento ormai abbandonato, ma la guerra ha sepolto questo lungo incanto. In Italia, poi, dopo la fase della Seconda Repubblica, del berlusconismo e del populismo, con la vittoria di Giorgia Meloni e di un partito che ha le sue radici nel post-fascismo, siamo tornati a vedere all’azione un soggetto politico che si avvale certamente di strumenti populistici ma che insegue un programma ideologico conservatore chiaro e distinto. È tornata al governo una destra strutturalmente di destra, e quell’evanescenza ideologica che pensavamo di percepire durante il lungo arco berlusconiano non c’è più. Ma del resto non poteva essere altrimenti: è impossibile pensare una politica senza ideologie. Il pensiero politico, infatti, ha sempre una componente ideologica. Questo è un principio critico che non si può dimenticare o eludere nell’analisi dei fenomeni sociali – ideologia e critica sono due opposti che si accompagnano sempre, se si vuole l’ideologia è l’ombra della critica. Insomma, non esiste una forma di pensiero sociale e politico aideologico, chi lo sostiene mente ideologicamente. Che radici sociali e culturali ha allora il discorso, svelato come ideologico, sull’”epoca della fine delle ideologie”? Manuel Anselmi: A mio avviso l’autore più utile in tal senso è Stuart Hall, il quale, in quel contesto privilegiato che era la fucina neoliberale thatcheriana, parlò della nascita di un common sense neoliberalism, cioè di un senso comune egemonico che si sarebbe diffuso su scala transnazionale grazie ai processi della globalizzazione e che ha trovato un ulteriore impulso con la fine della Guerra fredda. La riflessione situata di Stuart Hall, che riprende con un’intelligenza unica il pensiero gramsciano in un contesto totalmente diverso, quello della Gran Bretagna degli anni Ottanta, riesce a decostruire il discorso nascente e trionfante di Margaret Thatcher, che si proponeva come modernizzante e aideologico. Stuart Hall aveva capito che quel discorso stava producendo una nuova egemonia a livello globale – che raggiungerà un’ampiezza e un radicamento che non ha pari per nessun’altra ideologia contemporanea. Certo, la categoria di neoliberalismo o di neoliberismo a volte può risultare problematica: nella collana che dirigo (Lessico democratico, per Mondadori Università), Giulio Moini, ad esempio, ha provato a ricostruire il percorso …

ASSOCIAZIONE SOCIALISMO XXI E AREA COSTITUENTE VERSO IL PARTITO DEL LAVORO DELLA TOSCANA

COMUNICATO STAMPA La riunione congiunta tra Socialismo XXI e Area Costituente “Verso il Partito del Lavoro” della Toscana, ha discusso la situazione politica nazionale ed internazionale, affrontato i problemi politici e sociali nella nostra Regione, in particolare sul lavoro, sulla sanità, nella scuola, per l’ambiente e per le autonomie differenziate delle regioni, oltre ai problemi sociali ed economici della Toscana. L’incontro, come primo elemento importante, del Paese e nella nostra regione, è stato sui problemi del lavoro che cambia, a causa delle innovazioni tecnologiche e della climatizzazione, in particolare sui diritti negati dei lavoratori, sul salario che resta il più basso in Europa e dove i lavoratori pur lavorando sono poveri, sulla dignità del lavoro elemento determinante della persona, per una legge sulla rappresentanza delle organizzazioni sindacali che sono abilitate a firmare i contratti di lavoro e abolire i contratti pirata firmati dai sindacati non rappresentativi. Sul lavoro, inoltre sono presenti le questioni della riorganizzazione industriale e della programmazione economica, sui fondi d’investimento a fondo perduto e la partecipazione dei lavoratori; su questo le due organizzazioni si sono impegnate a realizzare un convegno regionale nel mese di ottobre 2023, con l’impegno ad invitare alla discussione le forze politiche e le varie liste civiche locali, i sindacati generali, le diverse categorie imprenditoriali, le Istituzioni pubbliche, le associazioni del volontariato, l’università e alcuni economisti per il loro contributo. La riunione si è conclusa, con l’impegno delle due organizzazioni a essere presente nella politica della Regione Toscana, al fine di affrontare le tematiche sopra richiamate e congiuntamente, continuare il proprio impegno nell’azione politica locale e nazionale. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GOVERNARE L’INFLAZIONE

Dopo anni, in cui si era calmata, l’inflazione è tornata a colpire la nostra economia e ci siamo trovati ancora in difficoltà per combatterla. In questa sede voglio affrontare solo quel tipo di inflazione detta “esogena” che cioè deriva dall’incremento del prezzo di materie prime o di energia che provengono da paesi terzi verso i quali siamo degli importatori. Ritengo tuttavia che la classica inflazione da TQM (teoria quantistica della moneta) non sia estranea all’inflazione odierna, anzi per molti commentatori i quantitative easings, erogati dalle banche centrali nei recenti anni, hanno sicuramente una quota di responsabilità nell’inflazione odierna. In tale ipotesi le banche centrali hanno grosse capacità di intervento, generalmente operando sul tasso ufficiale di sconto. Questo strumento, tuttavia, è scarsamente utile nella lotta contro l’inflazione esogena (anche se la Lagarde pare non condividere questa opinione). Mi soffermerò, nei miei ragionamenti, all’inflazione esogena, quella che ha colpito il nostro paese negli anni 70 con l’aumento del prezzo del petrolio, e che si è ripresentata recentemente per l’aumento del prezzo del gas. Le politiche atte a contrastare il pericolo da inflazione esogena sono, a mio parere, di due nature: una politica preventiva che diminuisca la dipendenza da fonti inflattive e, nel momento in cui l’inflazione si scatenasse, una politica concertativa capace di governare i conflitti di classe insieme alla competitività internazionale. Politiche preventive            Sono quelle più importanti e lungimiranti, ma anche quelle che richiedono una capacità di governo che poco si riscontra in questi anni di privatizzazioni, liberalizzazioni e di quello che io definisco “shortismo”, ovvero quella miopia che ha invaso i partiti politici senza più cultura ideologica, sovrastata da un pragmatismo di stampo elettoralistico. Per esempio negli anni 70 si impostò una risposta al problema energetico che giunse a programmare ben 60 centrali nucleari di cui se ne realizzarono cinque. Esse furono chiuse dopo il referendum post Chernobyl. Il referendum fu uno strumento legittimo per una scelta a mio parere sbagliata (e ciò fa pensare ai limiti della democrazia diretta), quello che conta, nel mio argomentare, è che successivamente al referendum i nostri governanti non hanno elaborato un’altra strategia di lunga visione e si sono nel tempo resi troppo dipendenti dalla Russia. A dimostrazione delle conseguenze di quella scelta basta guardare come è diversificato il paniere energetico 2020: Europa  Germania Francia Italia Rinnovabili 12    5 8 11 Petrolio 36 35 31 36 Carbone 11 15 2 4 Gas naturale                 25 26 17 41 Energia idroelettrica      5 1 6 7 Nucleare  11 5 36 0 Ancora l’imprudenza dei nostri governanti si riscontra nella scelta del sistema di determinazione del prezzo che, mentre in passato era calcolato sui prezzi effettivamente pagati dalle imprese importatrici. In Italia l’ENI e la SNAM importavano a prezzi contrattuali molto contenuti  che legavano il prezzo al fatto che, specialmente per il gas, si dovevano avere quantitativi concordati e connessi all’ammortamento del costo del gasdotto costruito e quindi comportanti la norma del take or pay, secondo la quale se non si importavano i quantitativi preconcordati si doveva comunque pagarne il prezzo. Nel mito del “libero mercato” abbiamo invece scelto di determinare il prezzo basandolo sul mercato borsistico di Amsterdam TTF. Su questi mercati gli operatori (speculatori) che ricercano di operare col meccanismo D-D’, prevedendo un aumento del costo del gas dovuto alle frizioni (poi sfociate nella guerra Ucraina) tra Russia e paesi occidentali, incrementano la domanda con i contratti “futures” comprando ora (causando l’ulteriore aumento del prezzo), potranno più in là nel tempo rivendere a prezzi esplosi a livelli mai visti. Una ulteriore debolezza dei nostri governanti consiste nella presunzione di agire per il bene del paese non acquistando più né petrolio né gas dalla Russia e ciò per evitare di finanziare l’aggressore. Ecco allora le sanzioni che penalizzano i paesi europei favorendo le esportazioni USA verso l’Europa; la differenza tra i costi energetici USA e il costo energetico europeo è nel rapporto di 1 a 5. I Russi hanno sostituito le esportazioni verso l’Europa con esportazioni verso la Cina (sostituzione facile per il petrolio, meno per il gas che richiede la costruzione di gasdotti, che comunque sono stati costruiti o sono in costruzione). Ma quello che è meno noto è che molti paesi occidentali rispettando il divieto di importazione di petrolio dalla Russia, hanno aumentato le importazioni di petrolio russo riciclato in paesi che non aderiscono alle sanzioni, finanziando così, indirettamente, l’aggressore. Politica concertativa Il fenomeno inflattivo ha una caratteristica tipica, quella per cui c’è una parte della popolazione, ovvero gli operatori economici, che riesce a scaricare sul prezzo dei prodotti, che produce o rivende, l’incremento dei costi esogeni e c’è un’altra parte della popolazione, ovvero i percettori di reddito fisso, che non ha la capacità di scaricare gli effetti inflattivi, se non con una lotta rivendicativa per mantenere lo stesso potere di acquisto. Decisamente l’attore più forte è quello che riesce a scaricare l’aumento dei costi, agendo sui prezzi; più debole è la posizione dei percettori a reddito fisso, posizione che è stata colta di sorpresa dai recenti fatti inflattivi dopo che per anni questo non era stato un problema. Molti sindacati avevano accantonato il problema che, per altro era gestito, parlo dei paesi europei, in modo differenziato. I sistemi adottati nei vari paesi si differenziavano per avere: alcuni paesi, una indicizzazione automatica indipendente dagli aumenti negoziati; altri avevano accordi detti “all in” che mettono in connessione gli aumenti negoziati con quelli inflattivi; inoltre l’indicizzazione può riguardare l’aumento del costo della vita con panieri che contengono tutti i prodotti di consumo; altri panieri invece escludono beni come alcool e tabacco ma molti escludono (come quello italiano) i costi dei prodotti energetici; ancora l’indicizzazione può essere basata sugli aumenti verificatisi nel periodo precedente, o, al contrario, basati su una inflazione programmata con adeguamento o meno a quella che effettivamente si concretizza. Va comunque rilevato che in molti paesi (ad esempio Svezia, Danimarca, Finlandia e Germania) i sistemi di indicizzazione dei salari sono praticamente assenti. Prendendo in considerazione un sistema con indicizzazione totale, basata sul tasso di …

“SOTTO” IL DECRETO LAVORO NIENTE!

Le politiche del governo all’insegna delle privatizzazioni e della contrazione del welfare| Ci sono vari indici riguardanti la situazione della nostra economia in rapporto a quella dei principali Paesi della U.E. che segnano da mesi “bel tempo” e ciò riguarda – con i suoi alti e bassi – l’andamento della produzione e delle attività terziarie, l’andamento dell’export (per l’Italia, Paese di trasformazione e privo di materie prime,  valore fondamentale), l’andamento della Borsa e dello spread costantemente al di sotto dei 170 punti. Alcune misure, decise dai precedenti Governi per combattere la crisi economica derivante da Covid-19 (agevolazioni e sostegni all’impresa per la trasformazione digitale e i vari bonus edilizia), hanno prodotto questa ripresa, anche se ora si sente molto il bisogno di consolidarla non con provvedimenti “spot ” ma  con una programmazione di rilancio e consolidamento strutturale della nostra economia che NON  ci sembra essere all’odg degli impegni e della politica  dell’attuale Governo. Il Governo Meloni sembra interessato piu’ che altro a “ripagare” in maniera corporativa gli interessi dei ceti sociali che l’hanno votato, non senza qualche contraddizione viste le divisioni che – al pari della opposizione e della sinistra – sussistono anche all’interno della sua maggioranza pur mascherandole con  rinvii e omissioni. Restano, invece, irrisolte pesanti criticità. Intanto l’inflazione che vede l’Italia, immediatamente dopo la Germania (6,8 %), a registrare ancora il tasso piu’ alto (6,7 %) al di sotto della media dell’Eurozona (5,5 %) con Francia al 5,3%, Belgio e Spagna all’1,6% e la Grecia al 2,7% per citare i Paesi a noi vicini. Siamo d’accordo con la critica alle reiterate decisioni della BCE ed in particolare della sua Presidente Lagarde che pensa di aggredire il flagello inflazionistico con l’aumento dei tassi bancari, ma ci aspetteremmo dal nostro Governo scelte (e non solo critiche alla BCE) alternative tenendo conto – come hanno ammesso anche il governatore di Bankitalia e del Prof. Draghi che si tratta di una inflazione da eccesso di profitti e non di salari e consumi. E qui veniamo al punto di questa nostra nota. Siamo ancora alle prese con due grandi criticità sociali che “Socialismo XXI” ha messo in evidenza –  anche di recente –  fin dalla nostra Conferenza programmatica di Rimini del 2019: la questione salariale e le contraddizioni e le fragilità del nostro mercato del lavoro, rispetto alle quali sono state date da precedenti Governi risposte inadeguate e contradditorie. Su questa strada ha proseguito  anche l’attuale Esecutivo con la recente approvazione parlamentare del c.d. “decreto lavoro”. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, dobbiamo registrare certamente non per merito di questo Governo un risultato positivo in termini generali nel senso che abbiamo raggiunto la cifra degli occupati a maggio scorso di 27.471.000 unità (piu’ 383.000 rispetto a maggio 2022) mai raggiunto anche prima della crisi economica a conferma del dato di fine 2022 di circa + 500.000 unità rispetto all’anno precedente con un aumento dei contratti a tempo indeterminato ed una consistente riduzione dei contratti a tempo determinato. Le statistiche vanno però interpretate:  sarebbe importante conoscere quanto lavoro autonomo si registra nel dato generale dell’occupazione e se dentro questo lavoro autonomo vi è parecchio lavoro di false “partite iva” o contratti di collaborazione continuativa, forme apparentemente meno subalterne del lavoro dipendente classico ma, in molti casi, piu’ carico di sfruttamento anche perché – data la natura del rapporto – non regolato da un CCNL. Sul dato poi dell’incremento dell’occupazione a tempo indeterminato, data la contemporanea riduzione dei rapporto di lavoro a tempo determinato, piu’ che di nuova occupazione aggiuntiva si potrebbe intenderla per larga parte una trasformazione dei rapporti di lavoro  a scadenza in rapporti a tempo determinato, dettata anche  dal fatto che, nella aree produttive a piu’ alta densità di occupazione le imprese, come richiamato dagli appelli delle Confindustrie locali e delle sezioni territoriali  di Confcommercio e Turismo, non riescono a trovare nuove disponibilità di prestazioni lavorative. Certamente, come abbiamo piu’ volte spiegato, esiste un gap nella formazione e nell’addestramento professionale che non prepara adeguatamente personale da adibire in nuove modalità lavorative caratterizzate dalla introduzione delle nuove tecnologie informatiche, della meccatronica, della automazione e – per quanto riguarda le attività commerciali e turistiche –  da nuovi e moderni approcci con una clientela più esigente. L’arretratezza su questo campo è grande e diffusa ed ha responsabilità sia pubbliche che dell’imprenditoria interessata. L’altro motivo riguarda la remunerazione del lavoro, anche quando è qualificato, che rende poco attrattivo per le nuove generazioni l’impiego nella maggioranza delle occasioni loro offerte. E la statistica ci viene in soccorso. Non solo il livello di occupazione in Italia, anche dopo i recenti incrementi suaccennati, è sotto la media europea, ma il dato più sconfortante è rappresentato dall’aumento della disoccupazione GIOVANILE (15-24 anni) che registra un + 0,9 %  salendo al 21% dell’area (uno dei dati peggiori in assoluto in Europa) ed al quale si aggiunge un piu’ 0,7 % dell’occupazione femminile, il cui dato assoluto è anch’esso fra i piu’ bassi in Europa. Infatti, sempre le statistiche europee ci spiegano che nei tassi di attrattività dei giovani all’impiego, le Regioni italiane si trovano in coda: La Lombardia al 38° posto con un tasso del 47,76 %, il Veneto al 58° posto con un tasso del 44,69 %, il Lazio al 62° posto e subito dopo l’Emilia con il 44 % e via via le altre mentre le tre migliori in Europa registrano un tasso di oltre il 60% e sono la regione di Stoccolma, quella di Parigi e l’Alta Baviera di Monaco. Ci precedono altre 34 Regioni di vari Paesi d’Europa. I motivi della “fuga” di giovani all’estero: la facilità di trovare lavoro ben retribuito, la richiesta di competenze intellettuali, la presenza di grandi imprese che possono offrire opportunità di carriera, la possibilità di spostarsi facilmente e rapidamente, l’elevata cultura imprenditoriale che promuove innovazioni e produzioni attrattive nei mercati mondiali. Di tutto questo nel recente “decreto lavoro” non c’è nulla, si ignorano le condizioni negli altri Paesi anche a noi vicini e si pensa che lo sviluppo di attrattive opportunità occupazionali possa …

IL RICORDO DEL 30 GIUGNO 1960 E L’ANTIFASCISMO MILITANTE

di Franco Astengo | Il 30 Giugno 1960 dopo un grande comizio tenuto da Sandro Pertini in piazza della Vittoria (u brichettu, fu appellato in quell’occasione il futuro Presidente della Repubblica) e Genova scendeva nelle strade per respingere il tentativo fascista di svolgere il proprio congresso nella città medaglia d’oro della Resistenza. Seguirono giorni di grande tensione e mobilitazione popolare in tutto il Paese, con una forte repressione poliziesca: vi furono 5 morti a Reggio Emilia, a Roma i carabinieri a cavallo caricarono i partecipanti a una manifestazione antifascista a Porta San Paolo ferendo deputati comunisti e socialisti, vi furono altri morti a Licata, Palermo e Catania.   Alla fine di quei giorni convulsi la democrazia vinse e il governo Tambroni fondato sull’alleanza tra democristiani e fascisti fu costretto alle dimissioni e si aprì, per il nostro Paese, una pagina nuova. Non dobbiamo mai dimenticare quei fatti in particolare adesso, nella più stretta attualità: in Italia è in atto, ormai da molto tempo, ma ora in maniera molto più esplicita e diretta una vera e propria svolta autoritaria attaccando i capisaldi della Costituzione Repubblicana. Serve subito la messa in campo di una forte opposizione sociale e politica. Sotto questo aspetto non si può perdere altro tempo: siamo chiamati ritrovare subito una nostra identità e una nostra autonoma capacità d’iniziativa. L’esempio del Luglio ’60 non dovrà rappresentare un semplice riferimento al passato ma un modello cui richiamarsi. Occorre creare le condizioni per una forte tensione sociale sui grandi temi del lavoro, della sanità, del welfare, della qualità della democrazia, della pace cui collegare una altrettanto decisa prospettiva politica. Senza indulgere nella retorica serve un’opposizione consapevole del fatto che prima di tutto è in gioco l’idea di Repubblica nata dalla Resistenza ed espressa nella Costituzione. Mai come adesso il ricordo di quelle giornate dell’estate 1960 si deve collegare ad un’azione di indispensabile antifascismo militante. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it