BRESCELLO, IL CINEMA E ANGELO RIZZOLI: MOSTRA FOTOGRAFICA SUL MONDO PICCOLO CINEMATOGRAFICO NEGLI ANNI ’50-‘60

Dopo 6 anni dalla prima esposizione, la Fondazione “Paese di Don Camillo e Peppone” ha pensato di riproporre al pubblico, ai visitatori, agli amanti del cinema, la mostra fotografica dedicata all’editore e produttore Angelo Rizzoli. Si tratta di una raccolta di 35 scatti provenienti dall’archivio storico RCS di Milano, materiali utilizzati da rotocalchi e riviste degli anni 50’ e 60’, nelle quali sono documentati numerosi incontri di Rizzoli con personalità del mondo dello spettacolo, del cinema, della cultura e della società italiana dell’epoca. Le immagini proposte testimoniano la ricchezza dei contesti e delle relazioni che il patron milanese intratteneva nella sua prolifica attività, nonché il ruolo illuminato che i produttori rivestivano a quel tempo nella promozione della cultura, nell’investimento verso il cinema, spesso con scelte innovative e coraggiose. Non a caso il nome di Rizzoli, attraverso la celebre casa “Cineriz”, accompagna la produzione di film non ortodossi, colti e complessi, che hanno poi fatto la storia del cinema mondiale, come “Deserto Rosso” di Michelangelo Antonioni e “La Dolce Vita” di Federico Fellini, due pellicole dirompenti che segnarono forse la fine delle illusioni del boom economico e, per certi versi, della Commedia all’Italiana di quella fortunata stagione. A Brescello Rizzoli viene però soprattutto ricordato con affetto e gratitudine per il contributo che diede alla prosecuzione delle produzioni cinematografiche su Don Camillo e Peppone. Dopo gli intramontabili film firmati da Julien Duvivier, nel 1955 produsse infatti “Don Camillo e l’Onorevole Peppone” e nel 1961 “Don Camillo monsignore… ma non troppo”, lasciando indelebili memorie nel paese, nonché testimonianze concrete nel paesaggio locale, che possiamo ammirare ancora oggi. Basti solo pensare al protiro della Chiesa di Santa Maria Maggiore – la Chiesa del paese e del Cristo parlante, insomma – edificato appositamente per il film del 1955. Le cronache raccontano anche fatti curiosi. Pare che Rizzoli si recasse molto volentieri a Brescello, poiché apprezzava molto i film, e aveva un debole per Guareschi. “…al contrario non l’ho mai visto sul set di “La dolce vita” di Fellini”, così raccontò l’attrice Valeria Ciangottini (interprete di “Don Camillo Monsignore…ma non troppo”). Così, insieme a Rizzoli, perennemente con la sigaretta in bocca, in queste foto possiamo incontrare gli amati Gino Cervi e Fernandel, come tutta una schiera di spalle e comprimari d’eccezione. Ma anche Walter Chiari, Gina Lollobrigida, lo stesso Fellini, Montanelli, Rosi, personaggi di spicco della politica e delle istituzioni, quali Fanfani e De Gasperi. Le immagini sono corredate da didascalie composte con l’aiuto dell’Archivio RCS, che nel 2011 concesse il materiale alla Fondazione di Brescello e, nel quadro d’insieme, mettono in scena quel “dietro le quinte” delle opere cinematografiche, quel mondo di relazioni e contatti del mondo dello spettacolo che permise la realizzazione di grandi capolavori e di momenti d’eccezione del costume italiano. La mostra, aperta al pubblico dal 6 agosto 2017 al 7 gennaio 2018, vuole anche porsi come preludio al 2018, prossima occasione per il ricordo della nascita, nel 1908, e della morte, nel 1968, di Giovannino Guareschi, per tornare a sottolineare anche il sottile rapporto che si venne a creare tra l’autore dei personaggi delle novelle e dei film e di colui che ha contribuito a rappresentarli sul grande schermo, tra lo scrittore e vignettista di Fontanelle e l’editore del Candido e del Bertoldo. L’allestimento è stato realizzato in collaborazione con il Centro Documentazione RCS Periodici, che ha concesso l’uso delle foto, con il prezioso aiuto di Ezio Aldoni, Virginio Dall’Aglio e con l’Associazione Pro-Loco di Brescello, ed è un’iniziativa complementare al sistema museale locale dedicato non solo al “Mondo Piccolo” dei film, ma anche al territorio della bassa, all’area del Po, alla storia e alle tradizioni emiliane di questo angolo di pianura padana. ———————————————————– Angelo Rizzoli (Milano, 31 ottobre 1889 – Milano, 24 settembre 1970) iniziò giovanissimo come tipografo, da prima in orfanotrofio, poi mettendosi in proprio, costituendo una ditta che nel 1911 prese il nome di “A.Rizzoli &C”. Arruolato dalla Grande Guerra si congedò nel 1917 e ritornò a Milano. Qui conobbe l’editore Calogero Tumminelli, che lo introdusse nel campo dell’editoria. E soprattutto, trascorso un decennio, lo convinse a rilevare alcune riviste d’epoca della Mondadori – tra cui Il Secolo Illustrato e La Donna, primo periodico femminile nella storia editoriale italiana – che attraversava grandi difficoltà finanziarie. Nel 1929 la ditta diventò società di capitali, incrementando fatturato e aumentando la propria offerta con altre testate: Novella, Annabella, Bertoldo, Candido, Omnibus, Oggi e L’Europeo. Dal 1929 iniziò anche la pubblicazione di libri e numerose collane, in particolare i romanzi classici della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), e un trentennio di progetti e investimenti variegati nel campo dell’editoria. Sposato con Anna Marzorati (1890-1976), dalla quale ebbe tre figli, iniziò poi ad occuparsi di attività cinematografiche, creando la celebre casa di produzione CineRiz, ampliando enormemente il proprio giro d’affari e consentendo la realizzazione di film pietre miliari della cinematografia italiana e internazionale, tra cui Francesco, giullare di Dio di Roberto Rossellini (1950), Umberto D. di Vittorio De Sica (1952), La dolce vita (1960) e 8½ (1963)di Federico Fellini, La contessa scalza di Joseph L. Mankiewicz (1954), Puccini, di Carmine Gallone (1953), Deserto rosso, di Michelangelo Antonioni (1964), Don Camillo e l’Onorevole Peppone di (1955) e Don Camillo monsignore… ma non troppo (1961) di Carmine Gallone Ottenne il titolo di Cavaliere del lavoro e, il 6 aprile 1967, il titolo di Conte dall’ex re d’Italia Umberto di Savoia, in esilio a Cascais. Morì nel 1970. ————————————————————— ORARI DI APERTURA Fino al 7 gennaio 2018 – da martedì a venerdì 9.30-12.30 / 14.30-17.30 – sabato, domenica e festivi 9.30-12.30 / 14.00-18.00 – chiuso il lunedì INGRESSO LIBERO Per informazioni Ufficio Turistico 0522/482564 – visitbrescello.it   CURIOSITA’ Giovanni Faraboli Tra giugno 1940 e il 23 dicembre1941 è stato rappresentante (vedi alla voce segretari) del PSI per la “Federazione del Sud-Ovest”. Lo scrittore Giovannino Guareschi, si è ispirato a lui per la creazione del personaggio letterario di Peppone.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) …

ORIANA FALLACI INTERVISTA SANDRO PERTINI

L’uomo non ha bisogno di presentazioni. Si sa tutto su Sandro Pertini, presidente della Camera. Si conosce il suo bel passato di antifascista condannato all’ergastolo e a morte, il suo bel presente di socialista privo di fanatismi e di dogmi, il suo coraggio, la sua onestà, la sua dignità, la sua lingua lunga. Nessun segreto da svelare su questo gran signore che della libertà ha fatto la sua religione, della disubbidienza il suo sistema di vita, del buon gusto la sua legge. Nessuna scoperta da annunciare su questo gran vecchio dilaniato dalle dolcezze e dai furori, collerico, impertinente, elegante di dentro e di fuori, con quelle giacche sempre impeccabili, quei pantaloni sempre stirati, quel corpo minuto, fragile, che nemmeno le legnate degli squadristi riuscirono a frantumare. È noto che ama la moglie, i quadri d’autore, le poesie, la musica, il teatro, la cultura, che è un uomo di cultura e uno dei pochissimi politici di cui possiamo andar fieri in Italia. È anche un uomo che ha tanto da dire, senza esser sollecitato. Infatti non si intervista Sandro Pertini. Si ascolta Sandro Pertini. Nelle sei ore che trascorsi con lui, sarò riuscita sì e no a piazzare quattro o cinque domande e due o tre osservazioni. Eppure furono sei ore di incanto. SANDRO PERTINI. Sicché gli ho detto: «Senta, la politica se non è morale non m’interessa. Io, se non è morale, non la considero nemmeno politica. La considero una parolaccia che non voglio pronunciare». E lui: «Ma caro Pertini! In politica, fare i morali è un’ingenuità!». E io: «Senta, mi dia pure del sentimentale o dell’ingenuo. Tanto non me ne offendo, per me anzi è un onore. Ma non esiste una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola, perbacco, e vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende non è un politico. È un affarista, un disonesto». Gli ho detto proprio così, cara Oriana, e aggiungo: se li esamina bene, questi che affermano in politica essere onesti è un’ingenuità, scopre che sono disonesti anche nella vita privata. Ladri di portafogli. Oh, la politica io l’ho sempre vista come una missione da assolvere nell’interesse del popolo, al servizio di una fede. L’ho scelta come una fede, come un lavoro, nello stesso spirito dei preti che dicono «Sacerdos sum in aeternum». Lo capiva anche mia madre. Mia madre non condivideva le mie idee: era una cattolica, lei, una credente. Però era fiera di me e ripeteva: «Ah, se il mio Sandro fosse stato un soldato di Cristo, che bel soldato di Cristo sarebbe!». E aveva ragione. Perché io non avrei fatto il parroco o il cardinale. Avrei fatto il missionario, il…   ORIANA FALLACI. Non a caso c’è quella sua frase: «Se mi volto a guardare la strada che ho percorso, posso dire di aver speso bene la mia vita». Sì. E posso dirlo in coscienza, Oriana. Io ho fatto una scelta da giovane e, se per un prodigio tornassi indietro, rifarei la stessa scelta. Perché era una scelta giusta. Vede, io di solito non vado ai ricevimenti. Preferisco stare con mia moglie, la sera, o leggermi un libro o recarmi a teatro. Ma a volte capita che debba andare ai ricevimenti e allora vedo quei professionisti ricchi e provo una tale pena per loro. Hanno conquistato il denaro, sì. Hanno conquistato il successo e il potere. Eppure sono frustrati perché si sono accorti di aver avuto una vita vuota. Non vorrei essere al posto loro quando viene l’ora dei lupi. Ingmar Bergman la chiama l’ora dei lupi, cioè l’ora antelucana, l’ora in cui ci troviamo soli anche se accanto c’è la compagna della nostra vita, e non possiamo mentire a noi stessi. La mia ora dei lupi è alle cinque del mattino, quando mi sveglio magari per riaddormentarmi, e nella penombra analizzo ciò che ho fatto il giorno prima. Ne esce un esame di coscienza che si allunga nel tempo, nel passato, e deve credermi, Oriana: non ci trovo errori. Oh, non che possa negare d’aver commesso errori. Chi cammina talvolta cade. Solo chi sta seduto non cade mai. Però i miei errori sono frange che invariabilmente nascono dal mio caratteraccio. Non sono errori sostanziali. Il mio caratteraccio… Sono sempre stato un passionale, un impetuoso. Anche da giovane e prima di finire in carcere, sa? Non posso darne la colpa al carcere, alle sofferenze, e anzi ora son migliorato. Questa mia carica, se non altro, ha servito a imbrigliare un poco le mie impazienze. A impormi un po’ di self-control. Oh, quante persone ho investito con le mie ire improvvise, i miei atteggiamenti rigidi, le mie interruzioni! Compagni di partito, colleghi. Perfino come presidente della Camera, sa? Chi è stato investito da me non immagina certo quanto me ne rammarichi, quanto me ne sia sempre rammaricato. A mia discolpa posso dire soltanto che la mia passionalità è sempre stata morale e non fisica, la mia violenza è sempre stata verbale e non materiale. Non ho mai fatto a pugni. Ho preso tante legnate dai fascisti e non gliele ho mai restituite. E sebbene ritenga giusto che un uomo di fede abbia violenze perché, quando una cosa è stonata, l’uomo di fede deve dirlo con violenza, dopo me ne dispiace. Così all’ora dei lupi brontolo: accidenti, ho fatto male a lasciarmi trascinare dall’ira con quel mio compagno, con quel mio collega. Oggi gli offro un caffè e cerco di farmi scusare. Io sono umano, Oriana. Ecco perché sono un cattivo politico. Un cattivo politico? Sì. In politica bisogna essere freddi, bisogna essere cinici. Io non sono né freddo né cinico e di conseguenza… Le racconto una cosa sola. Nel 1929 mi denunciò un fascista: Icardio Saroldi. Mi riconobbe per strada, mi fece seguire, arrestare, e fu in quell’occasione che rimasi dentro quindici anni. Tutta la mia giovinezza, cara Oriana. In carcere ci sono andato coi capelli neri e ne sono uscito coi capelli grigi. Ebbene, nel 1945, …

SOCIALISTI: FILIPPO TURATI, nell’83° anniversario della morte (Parigi 29 marzo 1932) “IL SECOLO E L’ IRONIA DELLA STORIA”

*Il tema: l’Ironia della Storia che sovente (come è stato anche nel caso anche del Psi di Craxi) ha dato la vittoria agli sconfitti contrariamente all’attesa del successo meritato di chi con ragione aveva invece previsto quelle sconfitte. Riprodotto in appendice della Storia dei Sequestri di Critica Sociale (Tamari editore in Bologna – 1983) l’articolo di Turati che pubblichiamo in celebrazione dell’anniversario della sua morte a Parigi in esilio, il 29 marzo 1932, non fu solo censurato ma addirittura fatto distruggere, per cui è sconosciuto in quanto non si trova nelle raccolte della rivista posseduta dalle biblioteche pubbliche e neppure negli Indici generali della Rivista così come negli archivi di Stato. Ovviamente per merito del tipografo qualche copia degli articoli veniva sempre salvata e Turati e la Kuliscioff ne passavano esemplari agli amici, da uno dei quali, cioè Ugo Guido Mondolfo, che allora curava l’edizione della rivista, io lo ebbi con l’intero fascicolo 9. Per cui esso costituisce anche una rarità bibliografica (Enrico Bassi). Ricerca a cura di Stefano Carluccio. “Trentaquattro anni fa nel 1891 si celebrò per la prima volta a Milano in un grande comizio al teatro della Canobbiana – oggi Teatro Lirico – il primo 1 maggio Italiano. Tema: La conquista della legge delle otto ore e di una legislazione sociale correlativa giusta le indicazioni proclamate dai congressi socialisti internazionali di Parigi di due anni prima (1889) nel centenario della grande rivoluzione borghese. Oratore, chi scrive queste righe. La città presentava l’aspetto di un mezzo stato d’assedio. La borghesia il governo erano seriamente, E allora sinceramente, impensieriti della possibilità di disordini. Gli allarmisti vedevano in quella prima celebrazione, L’inizio di un’aurora che, per il privilegio capitalistico, poteva essere l’inizio di un tramonto. Le fantasie galoppavano. Quei timori furono delusi. La celebrazione riuscì vivace ma ordinatissima. Il 2 maggio la borghesia sembrò tirare un gran respiro. Il discorso, che polemizzava contro le paure degli industriali i quali ravvisavano nelle otto ore la loro imminente rovina. Pubblicato in extenso dall’Italia di Dario Papa il raccolto quindi l’opuscolo fu diffuso a decine di migliaia di esemplari ed ebbe numerose edizioni. Quel 1 maggio fu davvero un “cominciamento”. ******* A questo graduale elevamento di tutto il popolo di tutte le classi lo scoppiare della guerra mondiale fu la formidabile puntata di arresto. Dell’indole della guerra, prodotto esclusivo delle cieche competizioni mercantili dei rivali capitalismi purtroppo reso inevitabile dalla immaturità della internazionale del lavoro, che sola avrebbe potuto sventarla, un solo partito in Europa libera chiara visione comprensione e fu il partito socialista. Dovremmo giungere, più degli altri forse il partito socialista Italiano previamente immunizzato in virtù delle proprie dottrine dalle illusioni e dagli inganni interessati che dovevano spianarle la via. Le terribili delusioni della guerra e del dopoguerra amaramente confessate scontate da quegli stessi che alla guerra avevano aderito partecipato con più schietto idealistico fervore, avrebbero dunque dovuto creare al partito socialista, col consenso delle grandi maggioranze, una situazione di deciso favore. E per un istante si poteva anche credere che ciò avvenisse. Ma alla fine, non infrequente ironia della storia, si verificò esattamente il contrario. ******* Così fu che il recente 1 maggio dopo 34 anni apparve un 1 maggio di desolazione un anticipato sul calendario giorno dei morti. Tuttavia da che parte stanno, in questo 1 maggio dei morti, i morti più veri? Quelli la cui resurrezione storicamente impossibile? Chi sa guardare oltre i crepuscoli numerosi dell’ora che fugge non ha dubbi per la risposta. Sarà chiaro allora anche il più mio piè sconsolati da quale parte la vita che par morte, da quale parte la morte chiuso le sembianze della vita. Attendiamo senza sconforto. “Salute o genti umane affaticate! Tutto trapassa E nulla può morir…” Filippo Turati, il 2 maggio 1925 Questo Testo censurato e distrutto per ordine del Prefetto con il n 9 della Critica Sociale. Assente in qualunque raccolta ne è stata salvata la matrice in Tipografia e data a U.G.Mondolfo Fonte: http://www.criticasociale.net/   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Sulle critiche alla Moneta Fiscale: una risposta a Roberto Perotti

di Stefano Sylos Labini Lunedì 16 ottobre su Repubblica, Roberto Perotti ha pubblicato un articolo intitolato “Il grande bluff della Moneta Fiscale” (1) pieno di inesattezze sulla proposta della moneta fiscale che, con Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e Giovanni Zibordi, abbiamo lanciato alla fine del 2014. L’articolo si conclude con delle affermazioni molto pesanti sugli ideatori della proposta e sui politici che la stanno prendendo in considerazione:  “I tantissimi politici che hanno abbracciato la proposta di moneta fiscale hanno una idea molto vaga di ciò che stanno approvando: gli viene detto che la moneta fiscale è un modo per “mettere in circolo potere d’acquisto che rimetterà in moto l’economia”, e questo per loro è sufficiente”. “Ma i cattivi maestri e i consiglieri del principe che sbandierano l’ennesima ricetta per trasformare il piombo in oro, promettendo scorciatoie attraenti ma inesistenti a problemi di difficile soluzione, si stanno assumendo una grave responsabilità”. Perotti dunque usa toni minacciosi: “Cattivi maestri che si stanno assumendo una grave responsabilità” dipingendoci come gli ideologi del terrorismo finanziario, poiché è ben consapevole che  la Moneta Fiscale è una proposta che mette in discussione il dogma dell’austerità che da circa venti anni sta strangolando l’economia italiana e di cui giornali come Repubblica, Corriere della Sera e Sole24Ore sono tra i più feroci sostenitori. Sul piano economico, è opportuno fare una serie di precisazioni per smentire diverse  inesattezze contenute nell’articolo di Roberto Perotti il quale considera i Certificati di Credito Fiscale (CCF) come un taglio delle tasse finanziato da debito pubblico. 1. La manovra non punta a immettere 200 miliardi di euro nell’economia ma circa 30 miliardi per tre anni arrivando ad un totale di 100 che rappresenta all’incirca l’output gap tra il valore del Pil attuale e quello del 2007; 2.I titoli fiscali permettono di creare potere d’acquisto evitando di chiedere soldi sui mercati finanziari. Dunque la Moneta Fiscale non è una componente né del deficit pubblico annuo, né del debito pubblico complessivo. Si tratta di un non-payable tax credit che i trattati e i regolamenti Eurostat non considerano debito finanziario (2); 3. Con la moneta fiscale si guadagnano due anni di crescita prima che ci sia un impatto sul bilancio pubblico perché la riduzione delle entrate si verificherà quando i CCF giungono a scadenza; ma, in una situazione di elevata disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata, il moltiplicatore del reddito permette di autofinanziare la manovra poiché la crescita dell’economia e quindi del gettito fiscale è tale da compensare le minori entrate che deriveranno dall’uso degli sconti fiscali (cfr. simulazioni Mediobanca, 3). Più precisamente, poiché gli sconti fiscali hanno un differimento di due anni prima che possano essere usati, il moltiplicatore potrà esercitare la sua azione nell’arco di un biennio permettendo di avere una crescita del Pil e del gettito fiscale sufficientemente ampia e prolungata. Per cui gli effetti del moltiplicatore vanno spalmati su due anni anziché su un anno solo riducendo i rischi della formazione di un disavanzo al momento in cui i CCF vengono incassati come pagamento delle tasse. Inoltre, esiste una relazione funzionale fra l’incremento della spesa pubblica e quello degli investimenti privati in quanto l’espansione delle commesse pubbliche e dei consumi privati esercita una spinta su produzione, occupazione e investimenti delle imprese generando degli effetti moltiplicativi tra i diversi settori economici. Nelle simulazioni del progetto Moneta Fiscale registriamo un graduale recupero del rapporto investimenti privati / PIL che in sei anni risale dal 14,3% al 15,9% (4). Comunque, se la manovra non riuscisse a mettere in moto una ripresa consistente dell’economia, abbiamo immaginato di far scattare delle clausole di salvaguardia (tagli di spesa e maggiori entrate) tali da neutralizzare le minori entrate prodotte dall’utilizzo degli sconti fiscali rendendo così la manovra a saldo zero (5); 4. L’aggancio alle tasse è il modo per garantire il controvalore monetario dei titoli (un titolo fiscale da 100 euro emesso domani, alla scadenza avrà quel valore) la cui funzione fondamentale è quella di aumentare immediatamente la capacità di spesa dell’economia e quindi la domanda pubblica e privata. Pertanto, non è corretto dire che questa manovra punta sull’abbassamento delle tasse per rilanciare la crescita perché la moneta fiscale ha l’obiettivo di sostenere il reddito delle fasce sociali in difficoltà che hanno le maggiori potenzialità di aumentare i consumi e di finanziare gli investimenti pubblici.  Dunque, la riduzione delle tasse è un fenomeno successivo all’emissione dei titoli fiscali che possono funzionare immediatamente come mezzo di pagamento per finanziare consumi e investimenti. Per evitare che l’effetto espansivo sulla domanda crei un peggioramento dei saldi commerciali abbiamo considerato la possibilità di assegnare i CCF alle aziende in funzione dei costi del lavoro privilegiando i settori più esposti alla concorrenza internazionale e le imprese che accresceranno investimenti ed occupazione specialmente nei territori più svantaggiati come il Mezzogiorno; 5. La tradizionale riduzione delle tasse spesso interessa le fasce sociali medio-alte perché quelle in condizioni di povertà non pagano le tasse o ne pagano molto poche, di conseguenza una manovra di questo tipo non garantisce una crescita adeguata della domanda effettiva dal momento che può determinare l’aumento del risparmio, investimenti finanziari e immobiliari. Per questi motivi il taglio delle tasse generalmente non produce una crescita dell’economia tale da autofinanziare la manovra; 6. Infine, l’affermazione di Perotti sul fatto che “negli ultimi venti anni il Pil è rimasto pressoché stagnante” lascia senza parole se consideriamo che la politica di austerità in atto da venti anni a questa parte ci ha portato a conseguire un avanzo primario medio del 2% all’anno, che, nell’intero periodo, è pari al 40 % del Pil. Ciò significa che al valore del Pil attuale, in venti anni sono stati drenati dall’economia reale circa 700 miliardi di euro soffocando qualsiasi possibilità di crescita. L’esempio più emblematico del fallimento delle politiche di austerità lo ha fornito il governo Monti sotto il quale il rapporto debito/Pil è aumentato dal 120 al 130%. Per concludere,  Roberto Perotti fa finta di dimenticare che oggi il Pil è ancora di circa 6 …

Eugenio Scalfari e il vivaio giovanile fascista

Eugenio Scalfari ha sempre sostenuto che il suo impegno giornalistico fascista fosse iniziato nella seconda metà del 1942 su “Roma fascista”. In realtà, diversi mesi prima, con gli articoli su “Gioventù italica” e “Conquiste d’Impero” ora ritrovati dal professore della Statale di Milano Dario Borso. Ne pubblichiamo qui alcuni stralci come contributo importante alla verità storica. Eugenio Scalfari è una figura centralissima della vita giornalistica, politica e in senso lato culturale dell’intero dopoguerra. Insieme a Arrigo Benedetti, e due anni dopo a Carlo Caracciolo, è il fondatore del gruppo editoriale l’Espresso che oggi si chiama GEDI, cui appartiene anche MicroMega, e di MicroMega è stato anzi per anni uno dei più autorevoli collaboratori. A Scalfari debbono molto i cittadini democratici per tante battaglie di cui l’Espresso prima (a partire dalla famosa inchiesta di Manlio Cancogni del 1955, “Capitale corrotta nazione infetta”) e Repubblica poi, sono stati protagonisti. A Eugenio (e prima ancora al direttore dell’Espresso Livio Zanetti) sono debitore anche sul piano personale, per le occasioni che mi sono state offerte di collaborare a due testate così importanti, mi sento perciò legato a lui da affetto oltre che da riconoscenza. Ma nella vita democratica la verità storica (le “modeste verità di fatto” di cui parlava Hannah Arendt, rinunciando alle quali si prepara seconda la Arendt la via alla mutazione totalitaria) è un bene più prezioso e irrinunciabile dell’affetto e della riconoscenza. Il breve testo di Dario Borso che qui presentiamo è un contributo importante alla verità storica. Fa parte di una ricerca più ampia che Borso sta svolgendo sugli intellettuali nel periodo del fascismo che precede il 25 luglio. Scalfari ha sempre sostenuto che il suo impegno giornalistico fascista fosse iniziato nella seconda metà del 1942 su “Roma fascista”. In realtà le lettere scambiate tra Scalfari e Italo Calvino (furono compagni di banco, come più volte ricordato da Scalfari, circostanza nota al grande pubblico per un intervento di Benigni che la sottolineò nella piazza dell’edizione 2014 di “Repubblica delle idee”) già riportavano indicazioni inequivocabili di come Scalfari già dal febbraio 1942 si vantasse con Calvino di essere entrato a far parte di un “vivaio giovanile” scrivendo su “Gioventù italica” e “Conquiste d’Impero”. Dario Borso è riuscito a ritrovare quegli articoli di difficilissima reperibilità, e ne pubblica qui gli stralci più importanti – che certamente arricchiscono la conoscenza della formazione fascista di tante personalità che avrebbero poi avuto ruoli preminenti nella vita civile e politica dell’Italia democratica – ripromettendosi di ritornarvi nel corso della sua più ampia ricerca, perché passare per tale formazione, riviste, Guf, Littoriali, per molti fu strada quasi “naturale”. Come Borso mi ha scritto nel biglietto di accompagnamento di questa scoperta storico-giornalistica: Quello che mi premerebbe passasse come messaggio, è che tutti sbagliamo, soprattutto in gioventù, ma la maturità dell’adulto, per non dire dell’anziano, sta nell’ammettere i propri errori, e non per se stesso, ma per le generazioni a venire (altrimenti a tramandarsi è la finzione ecc.). (pfd’a) di Dario Borso Più volte Eugenio Scalfari ha rimemorato i suoi esordi letterari facendoli invariabilmente risalire ad alcuni articoli usciti nella seconda metà del 1942 su Roma Fascista, settimanale del Gruppo Universitario Fascista1: ma è vero? Giunto nella capitale da Sanremo verso la fine dell’anno precedente, egli intrattenne regolare corrispondenza con l’ex-compagno di liceo Italo Calvino. Le lettere del primo non sono tuttora disponibili, quelle del secondo sì2. Stralciando limitatamente alla prima metà del 1942: 12 febbraio: «Stai diventando un fanatico, ragazzo mio, stai attento. Ti stai esaltando di queste idee, tanto da montarti la testa. Curati. Distraiti.» 1 marzo: «Dunque tu, Eugenioscalfari, scrivi su riviste letterarie giovanili? Scrivi articoletti sull’arte novissima, eh? Sei capitato in un vivaio giovanile? Ma che bravo! Bravo, bravo, mi compiaccio proprio. Ahahahahahaah!» 7 marzo: «La faccenda del vivaio giovanile non è molto chiara. Scrivi meno balle, racconta fatti e ambienti e persone. Adesso il giornalino non è più del vivaio, è dell’Azione Cattolica. Che casino! […] Quando la finirai di pronunciare al mio cospetto frasi come queste: “tutti i mezzi son buoni pur di riuscire” “seguire la corrente” “adeguarsi ai tempi”? Sono queste le idee di un giovane che dovrebbe affacciarsi alla vita con purezza d’intenti e serenità d’ideali?» 21 aprile: «Mandami, appena vede la luce, il numero di Gioventù Italica che porta il tuo battesimo dell’inchiostro tipografico. Siccome avrai naturalmente scritto delle gran frescate, polemizzerò con te. Quello che rimane per me un gran mistero è come facciano a vivere le varie Gioventù & Progenie, Roma & Ischirogeno, che pullulano dalle tue parti. E, quel che più conta, dove piglino i soldi da dare a degli sciagurati come te.» 29 aprile: «Fa piacere poter dire: sapete, stasera ho da scrivere a Eugenio Scalfari, il noto pubblicista, è mio amico, siamo stati compagni di scuola, sì, proprio lui, il più noto scrittore contemporaneo, quello che scrive nientedimeno che su Conquiste d’Impero. […] Ci scrive anche Giuseppe [Bottai], ma sì, proprio Giuseppe, sono colleghi, “il mio Peppino” lo chiama Scalfari. […] Ho atteso a risponderti alla tua doppia ultima perché attendevo la copia di Gioventù Italica che mi è arrivata oggi. […] Non posso definire il tuo articolo altrimenti che: strano. Strano che tu ti metta a scrivere di queste cose, strano che tu mostri una così sicura cognizione in fatto di tragedie greche che credo conoscerai quanto conosco io, cioè ben poco.» 21 maggio: «Per quanto io aspiri a un “modo di salire” e tu a un “salire ad ogni modo”, l’esempio dell’amico mi sarà certo di sprone. […] Manda roba: Conquiste d’Impero, tua tesi per quell’affare del convegnochesoio, Roma Fascista che – scusa – non ho capito bene che cosa è (un giornaletto del Guf)?» 10 giugno: «Tu che sempre hai vissuto in una sfera lontana dalla vera vita, uniformando il tuo pensiero all’articolo di fondo del giornale tale e talaltro, ignorando completamente uomini fatti cose adesso ti metti a scrivere di economia, di argomenti ai quali sono legati avvenire benessere prosperità di popolazioni. Questa più che faccia tosta mi sembra impudenza. …

LA SETTIMANA ROSSA

Il 7 giu­gno 1914 i cir­coli repub­bli­cani, anar­chici e socia­li­sti con­vo­cano, nell’anniversario dello Statuto Alber­tino, un grande comi­zio nazio­nale per l’abolizione delle Com­pa­gnie di Disci­plina nell’Esercito, per espri­mere soli­da­rietà e vici­nanza a tutte le vit­time del mili­ta­ri­smo e in par­ti­co­lare a due sol­dati anar­chici, dive­nuti sim­boli delle per­se­cu­zioni mili­ta­ri­ste. Il mura­tore Augu­sto Masetti, nato a Sala Bolo­gnese (Bo) il 12 aprile 1888, la mat­tina del 30 otto­bre 1911, alla caserma Cial­dini di Bolo­gna, gri­dando «Abbasso la guerra! W l’anarchia!», spara al colon­nello Stroppa che elo­gia la guerra di Libia, feren­dolo alla spalla. Giu­di­cato pazzo, è rin­chiuso nel mani­co­mio cri­mi­nale di Imola. Il tipo­grafo Anto­nio Moroni, nato a Milano il 17 ago­sto 1892, dalla Caserma di Napoli, in una let­tera al fra­tello, lamenta il duris­simo trat­ta­mento per le sue idee poli­ti­che. Pub­bli­cata dall’«Avanti! » il 23 dicem­bre 1912, gli costa l’incriminazione per dif­fa­ma­zione dell’esercito; prosciolto dal Tri­bu­nale di Cagliari il 27 aprile 1913, è tra­dotto alla com­pa­gnia di disci­plina di San Leo di Roma­gna (Pe). Gli spari, i morti Il comi­zio anti­mi­li­ta­ri­sta è vie­tato. Nella mat­ti­nata sono arre­stati alcuni anar­chici con Errico Malate­sta, agi­ta­tore e ora­tore molto cono­sciuto (nel 1897 ha fon­dato «L’Agitazione» e nel 1913 «Volontà»): la poli­zia teme voglia tur­bare la festa dello Sta­tuto. Gli ordini sono severi, proi­biti gli assem­bra­menti anche di due o tre per­sone. Un altro gruppo di lavo­ra­tori, con il gio­vane Pie­tro Nenni — che da poco dirige il perio­dico repub­bli­cano «Luci­fero», fon­dato nel 1870 — viene preso a pugni e a basto­nate. Mala­te­sta, che gode di molte sim­pa­tie per la coe­renza e il rigore poli­tico, avendo dato la sua parola che non sareb­bero avve­nuti disor­dini né tumulti, viene rila­sciato. Alla Casa del Pro­le­ta­riato con Mala­te­sta si deli­bera di tenere alle 16 in forma pri­vata il comi­zio di prote­sta a Villa Rossa, sede del Par­tito Repub­bli­cano. Alla mani­fe­sta­zione par­te­ci­pano gio­vani e repub­bli­cani. Pie­troni della Camera del Lavoro, Pie­tro Nenni e l’avvocato Oddo Mari­nelli per i repub­bli­cani, Mala­te­sta per gli anar­chici, Ercole Ciardi per i fer­ro­vieri e Pelizza per il Comi­tato di agi­ta­zione con­tro le com­pa­gnie di disci­plina, par­lano applau­di­tis­simi con­tro la guerra (già nell’aria: la scin­tilla avverrà il 28 giu­gno con l’attentato di Sara­jevo). Alle 18, votato un vibrante ordine del giorno con­tro la guerra, Mala­te­sta se ne va prima degli altri, e la folla trova davanti Villa Rossa due cor­doni di cara­bi­nieri che — temendo vogliano distur­bare la festa dello Sta­tuto — non per­met­tono di pas­sare. I mili­tari improv­vi­sa­mente spa­rano all’impazzata. È un fuggi fuggi fra urla di ter­rore. Sul sel­ciato di Via Tor­rioni giace il tap­pez­ziere anar­chico di 22 anni Atti­lio Giam­bri­gnone, col­pito al petto, men­tre il com­messo repub­bli­cano Anto­nio Casac­cia di 24 anni, spa­rato men­tre esce, muore all’ospedale. Il fac­chino repub­bli­cano Nello Budini di 17 anni muore il giorno dopo. Il comi­zio di Malatesta Nel comi­zio Mala­te­sta si limita a rim­pro­ve­rare i socia­li­sti e il loro quo­ti­diano per lo scarso appoggio alla cam­pa­gna anti­mi­li­ta­ri­sta. Rac­conta il «Luci­fero» la sera del 7: il tenente Opezzi, perduta la calma, aggre­di­sce ver­bal­mente Oddo Mari­nelli, che lo invita a fer­mare i cara­bi­nieri che — senza suo­nare i tre squilli di tromba — spa­rano, mirando chi è affac­ciato alle fine­stre di Villa Rossa e di Villa Sta­mura. Finita la spa­ra­to­ria Pie­tro Nenni e altri escono e si lan­ciano con­tro Opezzi, che giura di non aver ordi­nato il fuoco. Giun­gono cen­ti­naia di donne pian­genti ed imprecanti. Al que­store, Mari­nelli «indicò ad uno ad uno i fun­zio­nari che capeg­gia­vano il drap­pello degli assas­sini» e, dopo aver arrin­gato la folla, che gri­dava «Assas­sini!», ottiene il silen­zio della banda e il ritiro delle truppe. Al que­store chiede invano i nomi dei cara­bi­nieri e di ispe­zio­nare le rivol­telle per sapere chi ha spa­rato. Gli è detto che il con­trollo sarebbe avve­nuto in caserma; «Ma in mia pre­senza!» ribatte l’avvocato e la folla lo accom­pa­gna. Gra­zie a Mari­nelli «Luci­fero» pub­blica i nomi dei cara­bi­nieri che hanno spa­rato e il numero dei colpi che man­cano nelle loro pistole: a Giuseppe Di Cola ne man­cano 6, altret­tanti a Depan­filo, facendo pre­sente che, dotati di rifornimento, molti hanno spa­rato e rica­ri­cato i loro fucili. Le canne delle rivol­telle risul­tano pulite ma all’avvocato Mari­nelli non è con­sen­tito con­trol­larle. La que­stura, soste­nendo che ave­vano sparato dall’interno del salone, attri­bui­sce la colpa ai cit­ta­dini. È falso, i par­te­ci­panti erano tutti disar­mati. Il gior­nale com­menta: «Se le belve mon­tu­rate vole­vano spa­rare a tutti i costi, pote­vano almeno spa­rare in aria», smen­ti­sce il lan­cio di sassi, tavoli, barili ed altro ai cara­bi­nieri, tranne il lan­cio di un fascio di canne sec­che e di mani­fe­stini bian­chi scam­biati per una pie­tra. Un’ondata di indi­gna­zione si dif­fonde per la città. Ne «La Stampa» dell’8 giu­gno un testi­mone ocu­lare con­ferma che non sono stati lan­ciati sassi e che la riu­nione pri­vata era stata indetta per pro­te­stare con­tro il comi­zio vie­tato all’ultimo momento. All’uscita le vie sono sbar­rate. I cara­bi­nieri respin­gono e basto­nano i cit­ta­dini che gri­dano «Assas­sini! vigliac­chi! Lascia­teci pas­sare! Non vogliamo far niente!». Nella not­tata i ritrovi pub­blici sono chiusi in segno di lutto e la Camera del Lavoro proclama lo scio­pero gene­rale, che sarà con­ti­nuato oltre la sepol­tura dei morti. Eccidi pro­le­tari Alla noti­zia dell’ennesimo ecci­dio pro­le­ta­rio, che si dif­fonde rapi­da­mente, avven­gono mani­fe­tazioni spon­ta­nee di pro­te­sta, soprat­tutto nelle Mar­che e nelle Roma­gne. A Napoli gli eser­cizi pub­blici sono chiusi, i dimo­stranti al Con­so­lato russo, in Piazza Ple­bi­scito, al rifiuto di togliere la ban­diera italiana, fran­tu­mano i vetri; al Con­so­lato degli Stati uniti otten­gono il ritiro della ban­diera ita­liana e ame­ri­cana. Tre dimo­stranti muo­iono e quat­tro sono feriti. Nelle strade e nelle piazze sol­dati e caval­le­ria. La Camera del Lavoro par­te­cipa in forma solenne ai fune­rali. La que­stura, tra repubblicani e anar­chici, arre­sta trenta per­sone. Alla Camera l’8 giu­gno, l’onorevole Gra­zia­dei grida: «Que­sto degli eccidi pro­le­tari è un pri­mato dell’Italia tra le genti civili». Salan­dra — scrive «La Stampa» — «attra­versa un brutto quarto d’ora». Il Par­tito Socia­li­sta e la Camera del Lavoro pro­cla­mano lo scio­pero generale. Ad Ancora ferita, pal­lida sotto il sole velato, Mala­te­sta «si aderge tonante nei comizi che si moltipli­cano, e l’agitatore anar­chico padro­neg­gia la folla con la sua carat­te­ri­stica elo­quenza, che fa vibrare sen­ti­menti di dolore, di pietà, di ribel­lione». Vio­len­tis­simo, afferma la neces­sità della rivolta armata con­tro lo Stato, con­tro i suoi poteri e con­tro l’esercito. Il vice-commissario di pub­blica sicurezza è messo in fuga con gli agenti inse­guiti con sassi e bastoni. A fine comi­zio, alle 11, un’imponente colonna fischia la pre­fet­tura; al Muni­ci­pio chiede di esporre la ban­diera abbru­nata in segno di lutto. Lanci di sassi fran­tu­mano i vetri, …

PER UN RISORGIMENTO MERIDIONALE

Contro le falsificazioni della Storia. Contro le nostalgie di un eden borbonico mai esistito. Contro una classe dirigente che scarica sul passato le proprie responsabilità. Per una conoscenza autentica del Risorgimento meridionale. Per un nuovo Meridionalismo. Per un Sud Mezzogiorno d’Europa. Il 18 ottobre 1794 venivano giustiziati mediante impiccagione, per ordine del paterno governo borbonico, in piazza Castello a Napoli, Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani, rei di stato per aver “seminato nel popolo” le idee di libertà e di uguaglianza. Iniziava così il Risorgimento italiano. Ricordare il sacrificio dei giovani patrioti repubblicani meridionali oggi vuol dire respingere tutte le letture distorte e le falsificazioni che vogliono ridurre il Risorgimento a mera conquista regia dei Savoia a discapito degli altri Stati italiani, ad un evento diplomatico e militare, favorito da fantomatiche cospirazioni internazionali. Vuol dire riaffermare il carattere di rivoluzione politica e culturale del Risorgimento. Una rivoluzione che ha avuto il suo prezzo, come tutte le rivoluzioni, ma senza la quale non avremmo mai avuto la moderna nazione italiana, libera, democratica, repubblicana, aperta all’Europa, voluta da Mazzini e Garibaldi Una rivoluzione di cui il Sud non è stato spettatore passivo o peggio ancora vittima sacrificale, ma protagonista attivo. Vuol dire rivendicare l’attualità della Rivoluzione napoletana del 1799, dei moti del 1820-21 e del 1848, del sacrificio di Carlo Pisacane, dell’impresa garibaldina che vide partecipare decine di migliaia di meridionali a fianco dei volontari provenienti da tutta Italia e non solo, delle molteplici anime del Meridionalismo, della tradizione democratica mazziniane e garibaldina dei Bovio, dei Colajanni, degli Imbriani – del Secondo Risorgimento – la Resistenza – che ebbe nelle quattro giornate di Napoli uno dei suoi momenti più alti di partecipazione corale e popolare. Vuol dire ribadire la necessità di un Meridionalismo rinnovato, che si ricolleghi alle proprie radici illuministiche, risorgimentali e democratiche, la cui latitanza ha consentito il diffondersi di un sudismo piagnone e vittimista. Facciamo quindi appello all’opinione pubblica, alla società civile e al mondo culturale meridionali e italiani perché rifiutino la logica rituale della rievocazione di una memoria che, in quanto tale, non può che essere soggettiva e di parte ed altro non è oggi che l’alibi per classi dirigenti incapaci, pronte a scaricare sul passato la responsabilità dei propri fallimenti e – respingendo le suggestioni di un Sud folcloristico che altro non fa che riproporre riverniciati a nuovo tutti i più vieti stereotipi sul Mezzogiorno – animi una nuova stagione culturale di ricerca e di dibattito che, a partire dalla riscoperta autentica del Risorgimento meridionale in tutta la sua complessità, sappia imporre nuovamente la questione meridionale come grande questione nazionale, immaginando un Sud Mezzogiorno d’Europa, lontano da ogni chiusura identitaria e da ogni nostalgia reazionaria. Annita Garibaldi Jallet (Associazione Garibaldini) Mario Di Napoli  (Associazione Mazziniana Italiana) Clicca qui per aderire al Manifesto   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CARTA DELLO STATO SOCIALE – Approvata a Colonia l’8 Maggio 1996

La Repubblica federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale (Art. 20, comma i della Legge Fondamentale). Dalle dolorose esperienze della Repubblica di Weimar, nella consapevolezza del fallimento della prima democrazia in Germania, è stato dato alla nostra democrazia un fondamento basato sullo Stato sociale. La Repubblica federale di Germania è uno Stato federale democratico e sociale (Art. 20, comma i della Legge Fondamentale). Dalle dolorose esperienze della Repubblica di Weimar, nella consapevolezza del fallimento della prima democrazia in Germania, è stato dato alla nostra democrazia un fondamento basato sullo Stato sociale. Noi – Confederazione sindacale tedesca e i suoi sindacati, come pure la ‘Assistenza per il avoratori’, la ‘Opera del Diaconato’ della Chiesa evangelica tedesca, la’Associazione della Caritas tedesca’, la ‘Associazione della assistenza paritetica tedesca’, la ‘Associazione tedesca delle vittime della guerra e del servizio militare, degli invalidi e dei pensionati sociali’ e la ‘Associazione centrale d’assistenza degli ebrei in Germania’ – ci riconosciamo nell’imperativo dello Stato sociale contemplato nella Legge Fondamentale e lo vogliamo tutelare e rafforzare anche per il futuro. Infatti, lo Stato sociale crea le condizioni per la giustizia sociale e per la unione solidale della società. Il rispetto della dignità umana, l’ampia realizzazione dei diritti umani e civili e la qualità della vita sociale di una società presuppongono lo Stato sociale. Obiettivo minimo dello Stato sociale è quello di impedire la povertà materiale e la emarginazione sociale. Esso garantisce l’autonomia contrattuale come pure la sussidiarietà del libero lavoro sociale e dà il suo contributo affinché le forze sociali risolvano i loro conflitti di interesse inmaniera autonoma. I sindacati e le succitate associazioni concordano perciò ampiamente con entrambe le Chiese tedesche quando si tratta di difendere e tutelare lo Stato sociale. Oggi bisogna constatare che in questo Paese lo Stato sociale è messo in pericolo. Da una parte ciò è da ricondursi a una profonda crisi economica e sociale in cui sitrovano sia la Germania sia tutti gli Stati industriali. Dall’altra, però, lacrisi dello Stato sociale è conseguenza di errate impostazioni politiche che alzano il livello della disoccupazione, aumentano la povertà, aggravano le crisi settoriali e gli squilibri regionali accentuando così i problemi relativi al finanziamento dello Stato sociale. Le sfide non devono in alcun modo essere di pretesto per mettere in discussione lo Stato sociale. Piuttosto, tutti i gruppi e le forze sociali sono chiamate a raccolta per renderlo garante anche per il futuro. Lo Stato sociale non deve essere messo in discussione proprio quando le sue prestazioni sono necessarie al massimo per ragioni di dignità umana, di solidarietà e didemocrazia. La iniziativa riguardante il “Patto per il Lavoro” presa dai sindacati ha come obiettivo il raggiungimento di un compromesso socialemediante i contributi del mondo politico, di quello imprenditoriale e sindacale per ottenere una maggiore occupazione e per mantenere lo Stato sociale. Con questa Carta deve essere trovato un nuovo consenso contro i piani di demolizione e di distruzione dello Stato sociale. DGB, sindacati e le associazioni sociali e assistenziali,in contatto con le Chiese, presentano in questa Carta le loro proposte per losviluppo dello Stato sociale invitando la Federazione, le Regioni e i Comuni, le associazioni dei lavoratori, dei giovani e le ‘Iniziative dei cittadini’ a discutere su queste proposte e a concordare unitariamente le possibili modalità di realizzazione. Tutti gli importanti attori sociali del mondo politico, economico e sociale si devono sentire impegnati a bloccare la minaccia di un decadimento della società. E’ nelle loro responsabilità di preoccuparsi per il mantenimento equilibrato della nostra società e, con esso, della pace sociale. Ciò è sempre meno possibile in un quadro nazionale. Perciò si devono realizzare e tutelare, a dimensione mondiale, standards minimi in materia sociale ed ecologica. In considerazione delle tradizioni relative allo Stato sociale che sono operanti in molti Paesi europei, alla Unione Europea compete una responsabilità speciale.   1. Creare posti di lavoro attraverso la protezione dell’ambiente   Una società che rispetti la dignità umana deve avere come costante obbiettivo la messa a disposizione di posti di lavoro per tutti coloro che lo richiedano. La disoccupazione di massa e la progressiva diminuzione dei posti di lavoro sono motivo di grande preoccupazione. Quasi ogni donna e ogni uomo può essere minacciato dalla perdita del posto di lavoro. Per i disoccupati il tempo per un loro reimpiego è sempre più lungo. In particolare le donne, i disabili, gli stranieri e le persone anziane vengono espulsi dal mercato del lavoro. Il numero dei disoccupati di lungo periodo è in aumento e la loro condizione si fa più precaria. Per realizzare il ‘Patto del lavoro’ il governo federale, le associazioni imprenditoriali e finanziarie si sono impegnati a dare il loro contributo per dimezzare l’attuale disoccupazione entro il 2000. Ciò richiede due milioni di nuovi posti di lavoro. In effetti, in Germania è possibile creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro se si riesce a utilizzare le opportunità offerte dalla nuova tecnologia, a ristrutturare su basi ecologiche la società industriale, offrendo principalmente servizi sociali rispettosi della persona e procedendo a una diversa distribuzione del lavoro. Un sistema fiscale orientato ecologicamente deve contribuir ealla protezione delle risorse naturali e all’alleggerimento dei costi del fattore lavoro. La innovazione e gli investimenti in prodotti e in servizi ecologicamente compatibili, la tutela e la cura della vita ambientale aprono nuove possibilità di lavoro. Ristrutturare ecologicamente significa collegare la capacità concorrenziale a livello internazionale con la soluzione della crisi ambientale globale e con il superamento della disoccupazione di massa. Contro molte resistenze nella società i sindacati, con la loro politica della riduzione dell’orario di lavoro, hanno contribuito a tutelare e a creare centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ciò ha portato pure a una crescita del reddito delle lavoratrici e dei lavoratori. Noi siamo d’accordo sul fatto che, anche per il futuro, il lavoro venga distribuito più equamente attraverso la riduzione del tempo di lavoro reale e contrattuale. L’attuale progetto dei sindacati è così sintetizzabile: eliminare il lavoro straordinario compensandolo con il tempo libero; istituire ‘conti per …

8 SETTEMBRE 1902 L’ECCIDIO DI CANDELA

Candela ha un posto nella storia del movimento operaio italiano, e, più in generale, nella dura e sanguinosa storia delle lotte che i lavoratori italiani, già dalla fine del secolo scorso, hanno condotto per la loro emancipazione. Al nome di questo centro del Sub-appennino foggiano è legato un avvenimento di violenza e di sangue: l’eccidio dell’8 settembre 1902. Otto morti e venti feriti. Tutti lavoratori e popolani, fra i quali una donna. Per anni ed anni il nome del brigadiere dei carabinieri Centanni, autore principale dell’eccidio, fu il simbolo della repressione e della violenza antiproletaria, il simbolo stesso di uno Stato forte, soprattutto nei confronti delle plebi meridionali, aggredite dalla fame, dalla miseria, dalla prepotenza di un padronato rozzo ed esoso, al cui servizio l’apparato statale, in tutte le sue componenti, si era posto. L’eccidio di Candela si inserisce in quella serie di repressioni sanguinose che colpiscono sopratutto il Mezzogiorno, tra il 1902 e il 1906. Non solo nel corso di rivolte e di tumulti di plebi affamate e disorganizzate si interveniva con tutti i mezzi per « ristabilire l’ordine », ma l’intervento repressivo veniva adoperato, come strumento a difesa dell’assetto proprietario nelle campagne e del diritto allo sfruttamento più spietato dei lavoratori, anche là dove, come in Puglia e, segnatamente nella Capitanata, già dalla fine dello scorso secolo era venuto formandosi un movimento organizzato di braccianti e di contadini poveri, che trovava nelle sezioni socialiste e nelle Leghe di resistenza i suoi punti di forza. La rievocazione di questo avvenimento, a distanza di oltre secolo, vuole essere non solo un contributo alla conoscenza di un periodo di lotte aspre che i lavoratori della Capitanata hanno condotto per la difesa dei loro diritti, fra i quali quello di organizzarsi e di far valere l’unica vera arma di cui potessero disporre, l’unione, l’organizzazione, il collegamento su di un piano ideale e pratico, ma vuole essere, ad un tempo, un omaggio alla memoria di quei lavoratori che pagarono con la vita la loro aspirazione ad essere considerati uomini e non bestie da soma. — « Hanno votato ordini del giorno di protesta pei fatti di Candela: il Comitato giovanile socialista di Rovigo, la Sezione di Badolato, la Federazione socialista di Firenze (con un invito ai deputati socialisti ad abbandonare la benevola diffidenza per il Ministero), il Circolo Socialista e le leghe dei pastori e contadini di S. Nicandro Garganico, il Circolo di Romito, la Sezione di Cerignola, il Comitato centrale della Federazione delle leghe contadine della Lomellina, la Sezione di Arezzo, il Circolo giovanile di Poggibonsi, la Sezione di Moglia di Mantova, la Sezione di Catania, il Comitato centrale della Federazione calzolai di Milano ». — Il «Popolo romano » : « La questione di principio del concedere o no le onorificenze nei conflitti fra cittadini e soldati potrebbe farsi, tutt’al più, nelle lotte civili, ossia, che hanno specialmente carattere politico, nelle quali è costretta ad interviene la truppa. Giacché se si volessero sopprimere le ricompense al valore per i carabinieri e per gli agenti di pubblica sicurezza che affrontano ogni giorni con rischio della vita i malfattori, i facinorosi e i pazzi, bisognerebbe chiedere all’ufficioso allegro, che ha tanta fiducia nei mezzi morali, se crede proprio d’ispirare e di ricompensare gli eroismi dei carabinieri con la sola paga giornaliera, che è di lire 1.90 se a piedi, e 2.25 se a cavallo. « L’Avanti! » rispondendo al « Popolo romano » scrive : « Questo è cinismo. Perchè si può – come abbiamo fatto anche noi – deplorare che nella massa degli scioperanti si sia trovato qualche impulsivo o squilibrato, ma bisogna avere, come si dice, il pelo sullo stomaco per dimenticare che l’occasione di quelle impulsività si trova appunto in una lotta civile – lotta tra capitale e lavoro – che erompe dalle leggi incoercibili della costituzione sociale. Vorremmo poi sapere se la « ricompensa morale » che, secondo il « Popolo romano », dovrebbe servire da supplemento alla paga dei carabinieri ha da consistere nell’incoraggiarli alle carneficine che vanno oltre, ben oltre, alle necessità della legittima difesa e ai doveri dell’ufficio. Giacché, sin che le inchieste Barbato, Comandini e Lollini non siano smentite sulla circostanza in esse assodata che i carabinieri continuarono a sparare pazzamente anche dopo passato il loro personale pericolo, encomiarli di avere sparato a quel modo vorrebbe dire mettere le vite dei cittadini sulla bocca dei fucili e dei revolvers affidati alle mani di facinorosi e di pazzi ».       SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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FOCARDI: FRANK VITTIMA DEL NAZISMO MA CONTI ANCORA APERTI CON IL FASCISMO

di Carlo Patrignani Questa volta una forte reazione generale di fronte a un grave episodio, l’ultimo di una lunga serie di manifestazioni di antisemitismo e fascismo, almeno c’è stata: la speranza è che da questa reazione pressocchè unanime venga la spinta a fare i conti ancora aperti con il fascismo. E’ quel che pensa lo storico Filippo Focardi, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova, del preoccupante ritrovamento nella curva Sud dello stadio Olimpico di adesivi con la foto di Anna Frank in maglia giallorossa. L’analisi dello storico sull’episodio che ha indignato l’opinione pubblica mette subito a fuoco un’acuta osservazione: perchè è stata scelta la ragazza tedesca ebrea? Perchè vittima delle persecuzioni naziste e simbolo della Shoah. Famosissimo il suo diario edito in tutto il mondo in cui racconta la sua vita di perseguitata e di deportata nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Dopodiché, arriva il severo e puntuto monito: non è che il fascismo, per non aver fatto i campi di concentramento e le camere a gas, sia esente dalle persecuzioni contro gli ebrei: nel ’38 promulgò le Leggi Razziali dopo il Manifesto della Razza e con la Repubblica Sociale di Salò ebbe un ruolo di primo piano contribuendo alla cattura e deportazione degli ebrei in Germania. Le cifre della spietata, orrenda caccia agli ebrei avviata dalla Repubblica Sociale di Salò (Rsi) – rivela Focardi – parlano di circa 7 mila ebrei catturati e deportati in Germania nei campi  concentramento, tra cui Auschwitz: di questi circa 4 mila furono catturati dalle forze di polizia della Rsi e dalle famigerate bande nere, i restanti dalle SS: esclusi i morti ammazzati in Italia, le vittime della Shoah furono ben 5790. Indignarsi per l’episodio dell’Olimpico è necessario ma non sufficiente: puntare solo sull’antisimetismo dei nazisti è oscurare le responsabilità dei fascisti, perpetuando la tragica favola esplicitata dal titolo del best seller dello storico Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, in cui l’autore ricostruisce, minuziosamente, la campagna d’Africa voluta dal Duce e poi eseguita, con stermini e bombardamenti ai gas tossici, in Etiopia, Somalia e Libia, tra gli altri, da Rodolfo Graziani e da Pietro Badoglio, inseriti nella lista dei criminali di guerra  dell’Onu e mai puniti. Quel che si vuol perpetuare, in buona sostanza, è la totale assoluzione del fascismo, in nome della pacificazione nazionale come si fece cancellando la pregiudiziale repubblicana a partire dalla ‘svolta’ di Salerno per approdare al Governo di Pietro Badoglio del ’44. E’ proprio questo costante richiamo nostalgico al fascismo e alle sue radici [le manifestazioni rievocative del Regime, la marcia su Roma, il raduno di Predappio, l’esibizione dell’osceno saluto romano A noi ] che, unitamente alla crescente ostilità e xenofobia nei confronti  dei migranti, mi preoccupa assai: come se il Regime del Ventennio, tutto sommato, fosse stato una dittatura all’acqua di rose. Per me, è la conferma che il nostro Paese la resa dei conti con quel periodo di repressione, di oppressione e di violenza, non l’ha ancora affrontata, è la constatazione amara dello storico dell’Università di Padova. Ma non c’è rassegnazione alcuna: la speranza è che i conti con il fascismo si facciano, anche se tardi – è la conclusione di Focardi, la cui opera viene presentata domani a Roma alla Biblioteca Nelson Mandela insieme al saggio Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana di Davide Conti – E questa speranza sta nella significativa reazione dell’opinione pubblica e dei media al grave episodio dell’Olimpico. Insomma, i fatti, come diceva l’azionista Vittorio Foa, non possono essere annullati, devono sempre essere richiamati […] La memoria non è soltanto la ripetizione delle domande di ieri. La memoria è soprattutto il proporre delle domande nuove. Fonte: alganews.it     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it