CAPORETTO 24 OTTOBRE 1917

I socialisti italiani, contrari all’entrata in guerra dell’Italia nella I guerra mondiale con lo slogan “Né aderire, né sabotare”, prendono atto del cambiamento della natura del conflitto da guerra di conquista a guerra di difesa del territorio nazionale. Sono i leaders riformisti Filippo Turati e Claudio Treves, con parole che arrivano anche nelle trincee, a chiamare i lavoratori ed il popolo alla solidarietà nazionale. – “Quando la patria è oppressa, quando il fiotto invasore minaccia di chiudersi su di essa, le stesse ire contro gli uomini e gli eventi che la ridussero a tale sembrano passare in seconda linea, per lasciare campeggiare nell’anima soltanto l’atroce dolore per il danno e il lutto, e la ferma volontà di combattere e di resistere fino all’estremo”. Filippo Turati e Claudio Treves, “Proletariato e resistenza”, Critica Sociale del 1-15 novembre 1917 — – “Voi avete detto, onorevole Orlando: ‘Grappa è la nostra patria!’ Orbene, ciò è per tutti noi, per tutta l’Assemblea! … le ore difficili le attraversiamo anche noi, le ore dell’angoscia le viviamo anche noi … noi non crediamo che la guerra possa condurre a quei fini che voi credete … Grappa è la nostra patria, ma la patria si serve da ciascuno secondo i propri ideali e la propria coscienza”. Filippo Turati, Discorso alla Camera dei Deputati del 23 febbraio 1918 (battaglia del Grappa) — – Nel giugno 1918, nel momento della battaglia del Piave, Filippo Turati dichiarava che non avrebbe votato la fiducia al governo, ma esprimeva la solidarietà anche dei socialisti “con l’esercito che in questo momento combatte per la difesa del Paese”. “Noi ci sentiamo tutti rappresentanti della nazione in armi”, e i socialisti si sentono “anche più di altri”, i rappresentanti di “questo popolo che oggi soffre, combatte e muore”. Per Turati quella non era “l’ora delle discussioni teoriche, delle recriminazioni e delle polemiche”, perché “non è l’ora delle parole, mentre lassù si combatte, si resiste, si muore, per così vasto e profondo arco di confine italiano, e le nostre anime sono tutte egualmente protese nella angoscia, nella speranza, nello scongiuro, nell’augurio”. Era il momento in cui “quando parlano i fatti, quando il sangue cola a fiotti dalle vene aperte di una nazione, di una stirpe, quando tutte le responsabilità più formidabili si addensano su uomini, su partiti, su classi, su istituzioni, bisognava capire che “grondante di sangue e di lacrime, onusta di fato, si affaccia e passa la Storia”. Turati ricordava che la Camera dei Deputati, “di cui tutti sappiamo le umane deficienze” è “la sola espressione legittima, la più vera, la più sincera, la sola espressione possibile oggi del Paese e del popolo”. E ammoniva il Governo: “non perda mai, ma invochi, ma pretenda, il contatto con la Camera, che è la sua legittimità, la sua forza, la sua ragione”. Con il voto “noi diciamo arrivederci, arrivederci presto, arrivederci tutti quanti – ai colleghi e al Governo. E il saluto questa volta non è vacuo cerimoniale di galateo. E’ anche – dei socialisti italiani – l’arrivederci augurale all’Italia “ Discorso alla Camera dei Deputati del 12 giugno 1918 (battaglia del Piave).   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Nel Mediterraneo è guerra ai migranti

COMUNICATO STAMPA Nominare l’innominabile La giornalista Flore Murard-Yovanovitch denuncia la «la guerra ai migranti» in atto nel Mediterraneo, di cui il codice Minniti è l’apice. Appuntamento oggi 25 ottobre alla Libreria Fahrenheit di Roma con Tommaso Di Francesco («il manifesto»), dalle ore 18. Link all’evento C’è un abisso, una faglia tra Africa ed Europa, dove migliaia di migranti stanno scomparendo ieri e oggi. Fatti sparire. Presi a tenaglia tra due fronti: gli abusi e i conflitti nei paesi di origine e i muri europei. Questa frattura e la guerra ai migranti, è al centro dell’ultimo libro della giornalista e studiosa francese Flore Murard-Yovanovitch, esperta di questioni migratorie. Un libro più che mai attuale. Come è stato possibile arrivare al Codice Minniti dell’estate 2017 e violare così impunemente il principio del soccorso a mare? Chiudere la rotta libica, leggittimare la strage e la detenzione dei migranti in piena Europa del 21esimo secolo? La svolta epocale del 2017 è l’atto conclusivo di una strategia europea di lungo corso in tema migratorio: bloccare i migranti e i profughi a tutti costi. Tra questi, respingerli o trattenerli per anni negli hotspot o nei lager libici, purché l’imbarazzo degli sbarchi si allontani il più possibile dalle nostre coste. Dopo la sospensione di Mare Nostrum, l’Italia si è trasformata nell’alfiere più combattivo di questa strategia, firmando accordi bilaterali con alcuni paesi africani, per bloccare e trattenere i migranti alle partenze. Le consequenze? L’incarcerazione o la sparizione di massa di migliaia di persone in fuga, in mare e nel deserto. L’odierna guerra dell’Europa ai migranti, pianificata da anni, si sviluppa su due fronti: la politica dei respingimenti, da un lato, e, dall’altro, una politica di spostamento dei confini europei nel cuore dell’Africa e dei Balcani, attraverso una serie di accordi con alcuni regimi dittatoriali , cui si delegano torture e respingimenti. L’abisso svela le conseguenze di questo passaggio geopolitico e da un nome al processo storico in corso: «la guerra al soggetto migrante». Questo libro è anche un grido di allerta contro la progressiva cristalizzazione in Europa di un nuovo Fascismo della Frontiera, che entra in una pericolosa risonanza con la riemergenza della xenofobia e del nazionalismo di estrema destra cui si assiste in molte elezioni europee. Esiste un modo per combattere questa deriva? Sì, e sta nel trasformare la cronaca in testimonianza e poi in memoria, e da lì in Storia. L’abisso è la terza parte, conclusiva, della trilogia “Piccolo mosaico del disumano”, cominciata da Flore Murard-Yovanovitch nel 2009. L’AUTRICE. Flore Murard-Yovanovitch è scrittrice e giornalista nata in Francia. Laureata in Storia, ha lavorato dieci anni per le Nazione Unite e per diverse Ong nei Paesi del Sud del mondo. È autrice di Derive (Stampa Alternativa, 2014) e La Negazione del Soggetto migrante (Stampa Alternativa, 2015), primi due volumi della trilogia. IL LIBRO. L’abisso. Piccolo Mosaico del disumano. Postfazione di Alessandro Dal Lago. pp. 144 € 12.00 Maggiori informazioni Ufficio Stampa Riccardo Antoniucci | ufficiostampa@stampalternativa.it | +39 340 7642693 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

La famiglia Rosselli tra storia, politica e cultura

La Soprintendenza archivistica per la Toscana era da tempo a conoscenza dell’esistenza dell’archivio della famiglia Rosselli, conservato a pochi chilometri da Firenze, nella villa dell’Apparita, che era stata tra l’altro l’ultima residenza di Nello Rosselli, vero e proprio rifugio in cui poteva portare avanti il suo lavoro di storico, lontano dalla quotidiana retorica imposta dal regime fascista. L’archivio infatti era stato in precedenza utilizzato da alcuni studiosi per le loro pubblicazioni sui fratelli Rosselli; ad esempio lettere e documenti del carteggio di Nello erano stati pubblicati già nel 1979 nel volume Nello Rosselli: uno storico sotto il fascismo: lettere e scritti vari, 1924-1937, a cura di Zeffiro Ciuffoletti (Firenze, La nuova Italia, 1979). Anche se era stato possibile effettuare alcune visite (in particolare nel 1988 e nel 1992), che avevano portato alla stesura di relazioni descrittive, non fu possibile però riuscire a prendere visione delle carte in maniera sistematica, per una serie di motivi, tra cui le precarie condizioni di salute di Maria Todesco, vedova di Nello. Le descrizioni realizzate in queste due circostanze erano quindi estremamente sommarie, anche se facevano intuire almeno parzialmente la rilevanza di questo patrimonio documentario; in particolare venivano relativamente evidenziati i documenti di Nello Rosselli, mentre le restanti carte di altri esponenti della famiglia (in particolare quelle della madre, la scrittrice Amelia Pincherle Rosselli e quelle del fratello maggiore, Aldo, caduto al fronte nella Prima guerra mondiale) erano descritte in forma ancora più sommaria. Per inciso, all’Apparita si trovavano anche le carte prodotte da Carlo Rosselli fino al momento dell’esilio, il 1929 (i documenti posteriori sono da molti anni conservati all’Istituto storico della Resistenza in Toscana -ISRT nel fondo denominato Giustizia e Libertà). Fu comunque possibile emanare la dichiarazione di notevole interesse storico in data 23 maggio 1991 e, successivamente, elaborare una scheda descrittiva del fondo, pubblicata nella Guida agli archivi di personalità della cultura in Toscana tra ‘800 e ‘900 (Firenze, Olschki, 1996). Le vicende successive portarono gli eredi di Maria Todesco (nel frattempo deceduta) alla decisione di vendere l’archivio ad un ente che ne garantisse la conservazione e la fruizione. La scelta cadde sulla Fondazione Rosselli di Torino. Prima del trasferimento a Torino fu però possibile alla Soprintendenza di prendere visione in forma più sistematica della documentazione; in tale occasione fu redatto un elenco di consistenza più esaustivo di tutte le carte, che cronologicamente partivano dagli anni del Risorgimento per arrivare a coprire tutta la prima metà del Novecento. A Torino, a partire dal settembre 2002, iniziò un intervento che ha portato ad un’inventariazione quasi totale delle carte, ad opera di tre archiviste, Carla Ceresa, Valeria Mosca e Daniela Siccardi, che hanno usato per tale descrizione il software Guarini. L’inventario è al momento solo parzialmente consultabile online, in un portale comunque utile per gli studiosi e ricco di informazioni storico-archivistiche. La Fondazione Rosselli di Torino ha però avuto, in particolare negli ultimi anni, una vita travagliata che ha determinato, alla fine, la messa in liquidazione di tutto il patrimonio dell’ente. A questo punto, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, al fine di evitare il rischio di un’eventuale dispersione dell’archivio e della biblioteca (tra l’altro unitariamente vincolati da un decreto emesso il 27 dicembre 1994 dall’Ufficio centrale per i beni librari e gli istituti culturali del Ministero per i beni culturali e ambientali, che li aveva dichiarati “di interesse eccezionale”) ha deciso di acquistare tale patrimonio e di destinarlo a Firenze, ritenendolo la sede naturale in cui conservare archivio e biblioteca, dati gli stretti legami esistenti tra la famiglia Rosselli ed il territorio fiorentino, dove tra l’altro sono conservati molti archivi di famiglie e di persone che ebbero rapporti con i Rosselli. È stato possibile così ricomporre un’unitarietà del fondo di Nello Rosselli, in quanto Maria Todesco aveva a suo tempo donato a quell’Archivio di Stato molte carte relative agli studi storici sul Risorgimento di Nello Rosselli, in particolare su Giuseppe Montanelli. Inoltre, come già ricordato, gran parte dell’archivio di Carlo Rosselli si trova all’ISRT. Tra gli impegni presi dal Ministero al momento dell’acquisizione vi è il completamento in tempi rapidi del lavoro di inventariazione e la sua pubblicazione integrale sul web. Infine, il 9 giugno 2017, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’uccisione dei fratelli Rosselli, l’Archivio di Stato di Firenze ha inaugurato una mostra dal titolo I Rosselli: una famiglia tra risorgimento e antifascismo, curata da Emilio Capannelli e Loredana Maccabruni, e ha organizzato un incontro di studio nel quale sono intervenuti Valdo Spini per la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze, Zeffiro Ciuffoletti per l’Università degli studi di Firenze, Simone Neri Serneri per l’Istituto Storico per la Resistenza in Toscana, Tomaso Montanari per l’Associazione “Libertà e Giustizia”, oltre al Direttore generale archivi, Gino Famiglietti, al direttore dell’Archivio di Stato di Firenze, Carla Zarrilli, alla soprintendente archivistica e bibliografica della Toscana, Diana Toccafondi, alla soprintendente archivistica e bibliografica del Piemonte, Monica Grossi. La mostra, rimasta aperta dal 9 al 23 giugno 2017, ha esposto documenti, carteggi, fotografie, giornali, pubblicazioni e manoscritti delle opere di Carlo e Nello Rosselli, che hanno illustrato e documentato le tappe salienti della loro storia familiare, personale e culturale e del loro impegno politico: il legame con l’eredità politica e culturale del Risorgimento del ramo familiare Nathan Rosselli; l’appartenenza all’ambiente della cultura ebraica; il coinvolgimento nell’interventismo e la partecipazione alla Prima guerra mondiale; le vicende del Primo dopoguerra, la militanza antifascista e la creazione del Movimento “Giustizia e Libertà”; i processi, le condanne al confino, l’esilio e l’assassinio di Carlo e Nello in Francia da parte del regime fascista il 9 giugno 1937; le loro opere di argomento politico e storico, le recensioni e la loro eco nella stampa. Fonte: ilmondodegliarchivi.org SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA CARTA DI ALGERI

Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna LA CARTA DI ALGERI (Lelio Basso) Proclamata da Lelio Basso ad Algeri il 4 luglio 1976, data simbolica in quanto duecentesimo anniversario della Dichiarazione d’Indipendenza americana, stabilisce i diritti fondamentali dei popoli all’ esistenza, alla autodeterminazione, alle risorse, alla cultura, all’ambiente, anticipando concetti e principi che successivamente saranno – almeno parzialmente – acquisiti dal Diritto internazionale. Preambolo Noi viviamo tempi di grandi speranze, ma anche di profonde inquietudini; – tempi pieni di conflitti e di contraddizioni; – tempi in cui le lotte di liberazione hanno fatto insorgere i popoli del mondo contro le strutture nazionali e internazionali dell’imperialismo e sono riusciti a rovesciare i sistemi coloniali; Ma questi sono anche tempi di frustrazioni e di sconfitte, in cui nuove forme di imperialismo si manifestano per opprimere e sfruttare i popoli. L’imperialismo, in forza di meccanismi e di interventi perfidi o brutali, con la complicità di governi spesso da esso stesso imposti, continua a dominare una parte del mondo. Attraverso l’intervento diretto o indiretto, utilizzando le società multinazionali, appoggiandosi sulla corruzione delle polizie locali, prestando il suo aiuto a regimi militari fondati sulla repressione poliziesca, la tortura e la distruzione fisica dei suoi avversari, servendosi di tutte le strutture e attività alle quali è stato dato il nome di neo-colonialismo, l’imperialismo estende il suo controllo su molti popoli. Coscienti di interpretare le aspirazioni della nostra epoca, ci siamo riuniti ad Algeri per proclamare che tutti i popoli del mondo hanno pari diritto alla libertà: il diritto di liberarsi da qualsiasi ingerenza straniera e di darsi il governo da essi stessi scelto, il diritto di lottare per la loro liberazione, nel caso fossero in condizioni di dipendenza, il diritto di essere assistiti nella loro lotta dagli altri popoli. Convinti che il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo implica il rispetto dei diritti dei popoli, abbiamo adottato la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli. Che tutti coloro che nel mondo conducono, a volte con le armi in pugno, la grande lotta per la libertà di tutti i popoli trovino in questa dichiarazione la conferma della legittimità della loro lotta. SEZIONE I DIRITTO ALL’ESISTENZA Articolo 1 Ogni popolo ha diritto all’esistenza. Articolo 2 Ogni popolo ha diritto al rispetto della propria identità nazionale e culturale. Articolo 3 Ogni popolo ha il diritto di conservare pacificamente il proprio territorio e di ritornarvi in caso di espulsione. Articolo 4 Nessuno, per ragioni di identità nazionale o culturale, può essere oggetto di massacro, di tortura, persecuzione, deportazione, espulsione, o essere sottoposto a condizioni di vita tali da compromettere l’identità o l’integrità del popolo a cui appartiene. SEZIONE II DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE POLITICA Articolo 5 Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna. Articolo 6 Ogni popolo ha il diritto di liberarsi da qualsiasi dominazione colonialeo straniera diretta o indiretta e da qualsiasi regime razzista. Articolo 7 Ogni popolo ha il diritto a un governo democratico che rappresenti l’insieme dei cittadini, senza distinzione di razza, di sesso, di credenza o di colore e capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti. SEZIONE III DIRITTI ECONOMICI DEI POPOLI Articolo 8 Ogni popolo ha il diritto esclusivo sulle proprie ricchezze e risorse naturali. Esso ha il diritto di rientrarne in possesso se ne è stato spogliato e di recuperare gli indennizzi pagati ingiustamente. Articolo 9 Poiché il progresso scientifico e tecnico fa parte del patrimonio comune all’umanità, ogni popolo ha il diritto di parteciparvi. Articolo 10 Ogni popolo ha diritto a che il proprio lavoro sia valutato giustamente e che gli scambi internazionali avvengano a condizioni paritarie ed eque. Articolo 11 Ogni popolo ha il diritto di darsi il sistema economico e sociale da lui stesso scelto e di perseguire la propria via di sviluppo economico in piena libertà e senza ingerenze esterne. Articolo 12 I diritti economici sopra enunciati devono esercitarsi in uno spirito di solidarietà tra i popoli del mondo e tenendo conto dei loro rispettivi interessi. SEZIONE IV DIRITTO ALLA CULTURA Articolo 13 Ogni popolo ha il diritto di parlare la propria lingua, di preservare e sviluppare la propria cultura, contribuendo così all’arricchimento della cultura dell’umanità. Articolo 14 Ogni popolo ha diritto alle proprie ricchezze artistiche, storiche e culturali. Articolo 15 Ogni popolo ha diritto a che non gli sia imposta una cultura ad esso estranea. SEZIONE V DIRITTO ALL’AMBIENTE ED ALLE RISORSE COMUNI Articolo 16 Ogni popolo ha diritto alla conservazione, alla protezione e al miglioramento del proprio ambiente. Articolo 17 Ogni popolo ha diritto all’utilizzazione del patrimonio comune dell’umanità come l’alto mare, il fondo dei mari, lo spazio extraatmosferico. Articolo 18 Nell’esercizio dei diritti sopra elencati, ogni popolo deve tenere conto della necessità di coordinare le esigenze del proprio sviluppo economico e quelle della solidarietà fra tutti i popoli del mondo. SEZIONE VI DIRITTI DELLE MINORANZE Articolo 19 Quando un popolo rappresenta una minoranza nell’ambito di uno stato, ha il diritto al rispetto della propria identità, delle tradizioni, della lingua, del patrimonio culturale. Articolo 20 I membri della minoranza devono godere senza discriminazione degli stessi diritti che spettano agli altri cittadini e devono partecipare in condizioni di uguaglianza alla vita pubblica. Articolo 21 L’esercizio di tali diritti deve realizzarsi nel rispetto degli interessi legittimi della comunità presa nel suo insieme e non può autorizzare lesioni dell’integrità territoriale e dell’unità politica dello stato, quando questo si comporti in conformità con tutti i principi enunciati nella presente Dichiarazione. SEZIONE VII GARANZIE E SANZIONI Articolo 22 Qualsiasi inosservanza delle disposizioni contenute nella presente Dichiarazione costituisce una trasgressione di obblighi verso la comunità internazionale tutta intera. Articolo 23 Ogni pregiudizio derivante dall’inosservanza della presente Dichiarazione deve essere integralmente riparato da parte di colui che l’ha provocato. Articolo 24 Ogni arricchimento realizzato a detrimento di un popolo in violazione delle disposizioni della presente Dichiarazione esige la …

Un partito senza simbolo

Da tempo io SOCIALISTA, non ho un simbolo. Ho un’organizzazione che ha sì un simbolo, ma appunto questo SPARISCE nel momento in cui DOVREBBE CONCORRERE alla determinazione della politica nazionale. Nella storia dell’uomo le filosofie, i centri studi, i movimenti ecc, sono esistiti da quando la preistoria è diventata STORIA. Alla stessa maniera sono nati i popoli. Ogni popolo, volente o nolente, ha qualcuno che lo comanda/governa, come abbiamo saputo e viviamo anche in epoca contemporanea. “L’ètat c’est moi”, mi pare disse Luigi XIV°, prima entità di Stato organizzato. Ciò costrinse anche altri a costituirsi in Stato, mentre prima esistevano agglomerati. Filippo II° invece affermava: “sotto il mio regno non tramonta mai il sole”. Ci hanno convinti ed io intimamente ha creduto, che la demo-crazia è il migliore dei sistemi per governare. Come sappiamo essa comporta delle contrapposizioni tra le fazioni che intendono assumere il potere. Esse si definiscono PARTITI, cioè parte dell’ambiente sociale, definito NAZIONE (nello sport internazionale, ad esempio, devono essere CITTADINI gli atleti selezionati) e in seguito STATO! Da noi, dopo varie vicissitudini, lo Stato democratico nato col referendum del 2 giugno 1946 è rappresentato da “forze politiche” che concorrono alla formazione del GOVERNO. Onore ai Partigiani, però è tempo di ammettere che lo Stato fu liberato da centinaia di migliaia di bombe scaricate sul popolo dai nostri nemici, in seguito diventati ALLEATI. Il mio grande compagno Egidio Meneghetti, capo della Resistenza Veneta, ebbe moglie e figlia uccise da un terrribile bombardamento “alleato”. Ho fatto tutta questa contumelia per concludere che finalmente l’art. 49 della Costituzione riconosce la formazione di “partiti”. Ogni partito, che concorre DEMOCRATICAMENTE a “determinare la politica nazionale”, ha normalmente un proprio SIMBOLO. Da tempo io SOCIALISTA, non ho un simbolo. Ho un’organizzazione alla quale mi iscrivo regolarmente, corrispondendo anche qualcosa in più del richiesto, oltre al tempo reso “gratuitamente”. Questa organizzazione come sappiamo ha sì un simbolo, ma appunto questo SPARISCE nel momento in cui DOVREBBE CONCORRERE alla determinazione della politica nazionale. E possibile che sia giusto. In diritto esistono le FATTISPECIE, cioè dei principi giuridici diversi gli uni dagli altri. se fossero uguali risulterebbero ovviamente una sola fattispecie. Siccome dopo roboanti e combattuti congressi, si corre sotto l’ala dell’ “onesto” alleato, sostenendo in toto i suoi uomini con qualche aggregato dei “nostri” che ricorda tanto gli “indipendenti di sinistra dell’ex PCI, capisco perché non si ritiene di presentarsi con un simbolo: ci va bene il “simbolo” e certamente anche i “programmi” degli altri. Che senso ha quindi CLONARE un gigante che già bada sufficientemente a se stesso, anche se sta assumendo il carattere di un litigatoio (muoversi divisi per colpire uniti?). In pratica ci viene consentito di “giocare” con la politica fintantoché non subentrano le cose serie (elezioni), dove intervengono probabilmente i padroni del vapore che ci dicono: “bambino fatti in la e lasciaci lavorare”, regalando qualche caramella a quelli che gli sono più simpatici o che non hanno rotto più di tanto gli zebedei. In compenso io mi ritrovo una miriade di “particole” dentro e fuori “facebook” che, se mi dovesse essere richiesto un obolo per aderirvi dovrei inventarmi un lavoro ben retribuito per farvi fronte. Finora però – anche perché ho dei giovani meravigliosi che ci credono ancora – continuo ad avere una simbolica tessera che mi dice che quel “partito” esiste. Però, devo sapere che non si presenta (almeno per conoscere se ha senso esistere!) alle ELEZIONI! Secondo voi, PUO’ AVERE SENSO TUTTO CIO’ se solo consideriamo quanti sacrifici, quanto bene alla Patria, quanti grandi UOMINI hanno condiviso questa idea, quanta STORIA (se non c’amazzan i crucchi!) avremo da raccontare. Pero mi pare che chi ci sta portando al congresso ora non sia interessato. Meglio per lui un posticino caldo – anche se da servitore – vicino ai comandanti del momento. Continuiamo ad adeguarci? Giampaolo Mercanzin SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

1956: LA RIVOLUZIONE UNGHERESE

di Aron Coceancig Il 23 ottobre 1956 il popolo ungherese insorge. Una rivolta per conquistare libertà e indipendenza. I fedelissimi del regime stalinista vengono sbaragliati facilmente dagli ungheresi in armi che però non avevano fatto i conti con gli equilibri internazionali. L’Ungheria, piccolo paese uscito con le ossa rotte dal secondo conflitto mondiale, si ritrova a combattere contro una superpotenza militare, l’Unione Sovietica. Davide contro Golia, ma in questo caso la storia è stata drammaticamente sfavorevole a Davide. L’invasione sovietica stronca l’animo rivoluzionario dei giovani ungheresi che muoiono sotto i colpi dei carri armati. L’Ungheria viene “normalizzata” e dei giovani del 1956 non se ne parlerà più, se non clandestinamente, fino al 1989. Una rivoluzione epocale, che ha un posto importante nella storia europea e che è ancora oggi fonte di dibattito tra storici e politici sul ruolo che ha avuto e sugli obiettivi che i rivoluzionari si proponevano. Il 1956 ungherese è stato senza ombra di dubbio un avvenimento europeo che ha racchiuso al suo interno le contraddizioni di un continente uscito da due guerre mondiali ed appena immerso in una lotta ideologica che non lasciava scampo. Anche per questo la Rivoluzione è stata interpretata come movimento nazionale per l’indipendenza, come rivolta operaia e operaista, come insurrezione anti-comunista o come movimento per un socialismo democratico. Tante diverse interpretazioni che partono dal presupposto di una violenta ribellione del popolo ungherese contro il totalitarismo degli anni ’50. L’Ungheria stalinista Dopo la seconda guerra mondiale l’Ungheria vive una breve parentesi democratica dal 1945 al 1948. Nel dopoguerra la costruzione del socialismo ungherese procede difficilmente tanto è vero che alle elezioni del 1945 il Partito Comunista è appena terzo, uno dei partiti più deboli dell’Europa orientale. Il leader stalinista Rákosi inizia così un tenace lavoro di conquista del potere ed in meno di 3 anni, grazie alla tattica del salame da lui inventata, riesce a neutralizzare le opposizioni e a creare un regime totalitario. Gli anni del regime Rákosi sono contrassegnati dal culto della personalità, dal regime poliziesco, dalle requisizioni nelle campagne e da una profonda crisi economica. Rákosi si vanta di essere più stalinista di Stalin, un biglietto da visita non molto digeribile per il popolo ungherese. E proprio la morte di Stalin apre nuovi scenari a livello internazionale ma anche in Ungheria dove l’ala riformista del partito comunista trova nuove energie grazie alla nuova leadership di Mosca. Imre Nagy, capo di quest’area diventa primo ministro (1953) e apre una fase nuova contrassegnata da: rallentamento delle misure contro i contadini, rilascio dei prigionieri politici, stabilizzazione della situazione economica. Questo nuovo corso dura però poco, perchè nel 1955 gli stalinisti in Ungheria riprendono forza e potere marginalizzando Nagy. Il ritorno al potere della cricca di Rákosi (in primis Ernő Gerő) è mal digerito dalla popolazione ungherese. L’ottobre ungherese Le rivoluzioni si sa iniziano da intellettuali e studenti, ma possono trionfare solo con gli operai. E nella rivoluzione ungherese ci sono tutti e tre questi protagonisti. Sono gli intellettuali del Circolo Petőfi che nei mesi precedenti l’ottobre si riuniscono per criticare il potere. Sono gli studenti, prima a Szeged e poi a Budapest, che si riuniscono in associazioni e indicono la manifestazione del 23 ottobre. Corteo al quale si uniscono nel pomeriggio gli operai che terminavano il loro turno di lavoro. Il 23 ottobre così il popolo ungherese si trova di fronte al parlamento e scandisce con forza il nome di Imre Nagy. Giovani Rivoluzionari Ungheresi La stessa sera iniziano anche i primi scontri armati nelle vicinanze della Radio. Da lì si susseguono giorni frenetici. Imre Nagy diventa primo ministro; un po’ ovunque sorgono Consigli Operai e Gruppi rivoluzionari; l’esercito ungherese appoggia la rivoluzione. E tra giorni di festa per la riconquistata libertà e di lutto per le stragi compiute dalla polizia stalinista (“giovedì di sangue”, il 25 ottobre, muoiono centinaia di persone), la rivoluzione trionfa. L’AVH (polizia politica) viene sciolta, le truppe sovietiche si ritirano e nasce un governo di coalizione guidato da “zio Imre“. La storia ungherese però non lascia spazio a rivoluzioni vittoriose, le tragedie sono sempre dietro l’angolo. E questa volta dall’angolo spunta l’esercito di una superpotenza contro la quale si può fare ben poco. La rivoluzione viene abbattuta con l’invasione del 4 novembre. 3.000 carri armati, 100.000 fanti contro una città difesa soprattutto da giovani e operai mal armati. Grande è ancora il dibattito storico sul secondo intervento sovietico, sulla situazione internazionale (la crisi di Suez), sul ruolo di Kádár (il grande traditore) e sugli obiettivi socio-politici che avevano i rivoluzionari. Il fatto indiscutibile è però che l’Ungheria viene schiacciata. La repressione Gli scontri terminano poco prima di Natale e lasciano sulle strade di una Budapest distrutta 3.000 morti. Mentre a comandare la città tornano i tanto odiati sovietici. Negli anni successivi la mano del governo Kádár non sarà affatto morbida. Migliaia gli ungheresi incarcerati, centinaia quelli che vengono giustiziati tra cui l’appena diciottenne Péter Mansfeld. Duecentomila lasciano il paese. La nuova Ungheria kadariana fonderà il suo potere su una grande bugia: “il 1956 è stata una contro-rivoluzione“. Fonte: ungherianews.com     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Legge elettorale, Besostri: Ricorso contro Italicum, monito per Rosatellum 2

COMUNICATO STAMPA La Presse, lunedì 23 ottobre 2017 L.elettorale, Besostri: Ricorso contro Italicum, monito per Rosatellum-2- L.elettorale, Besostri: Ricorso contro Italicum, monito per Rosatellum-2- Venezia, 23 ott. (LaPresse) – L’art.116 del regolamento Camera si trova, infatti, nella Parte Terza e non nella Parte Seconda, che appunto si intitola ‘Procedimento legislativo’ (articoli da 68 a 109) e quindi non rientra nel procedimento legislativo normale. “Si tratta di un conflitto di attribuzione di nuova generazione – ha spiegato Besostri – teorizzato anche dal grandissimo giuspubblicista tedesco Georg Jellinek all’inizio del secolo scorso e più recentemente dal Professor Nicolò Zanon, nel suo scritto ‘Il libero mandato parlamentare’ pubblicato nel 1991”. “Nel presentare questo ricorso siamo anche confortati dall’autorevolezza del Professor Umberto Cerri e da quanto scrive nel suo manuale ‘Corso di giustizia costituzionale plurale’ del 2012 – ha aggiunto l’avvocato Felice Besostri -bisogna sperimentare tutte le strade, quando si tratta di difendere la Costituzione dalle leggi elettorali incostituzionali, già due, come accertato con la sentenza n. 1/2014 contro il cosiddetto Porcellum e con la sentenza n. 35/2017 contro l’Italicum”.  Ha poi concluso il coordinatore degli Avvocati Antitalicum a nome dei ricorrenti e del collegio difensivo. “La presentazione del ricorso che riguarda secondo la nostra opinione una fiducia illegittimamente accordata nel 2015 dalla Presidente Boldrini, vuole essere un monito anche per l’imminente discussione in Aula del Rosatellum 2.0 al Senato e con inizio domani”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I massimalisti russi

I massimalisti russi è il titolo di un articolo che inizia a centro pagina sull’ADL dell’11 agosto 1917 e va a concludersi nelle tre colonne di spalla. La sigla “a.g.” e l’indicazione di provenienza da “Il Grido del popolo di Torino” segnalano che l’autore qui è un ventiseienne di nome Antonio Gramsci. Non sappiamo se il giovane dirigente socialista sia a co­no­scenza o me­no dell’evoluzione politica in Russia in tutte le sue deter­minanti. Non pare, per esempio, che Gramsci sappia già della fuga di Lenin in Fin­lan­dia o delle determinazioni di Kerenskij circa la con­ti­nuazione della guerra. Certo è che Lenin e Kerenskij, anche per il fu­tu­ro fondatore del PCdI, sono i gran duellanti di Russia, l’uno campione massimalista, l’altro dei socialisti moderati. Quel che emerge dallo scrit­to non è “l’ana­lisi concreta di una si­tua­zione concreta”, ma piut­to­sto un ragio­na­mento speculativo, con retro­gusto di sapore neo-idealista. Aleksandr Kerenskij e i socialisti moderati «sono l’oggi della Rivoluzione, sono i realizzatori di un primo equilibrio sociale», questa la premessa gramsciana. Grazie ai moderati dell’oggi: «la Russia ha avuto però questa fortuna: che ha ignorato il giacobinismo». Nella nuova Russia nata dalla Rivoluzione di Febbraio vige il pluralismo. Perciò si sono formati numerosi gruppi politici «ognuno dei quali è più audace, e non vuole fermarsi, ognuno dei quali crede che il momento definitivo che bisogna raggiungere sia più in là, sia ancora lontano». La lotta va avanti: «tutti vanno avanti perché c’è almeno un gruppo che vuole sempre andare avanti, e lavora nella massa, e suscita sempre nuove energie proletarie, e organizza nuove forze sociali che minac­ciano gli stanchi, che li controllano e si addimostrano capaci di sosti­tuirli, di eliminarli se non si rinnovano… Così la rivoluzione non si ferma, non chiude il suo ciclo» (ADL 11.8.1917). La constatazione dell’instabilità politica russa assume in Gramsci i contorni di un’ontologia del movimento storico. In esso la Rivoluzione per propria natura intrinseca: «Divora i suoi uomini, sostituisce un gruppo con un altro più audace e per questa instabilità, per questa sua mai raggiunta perfezione è veramente e solamente rivoluzione». In Gramsci la storia stessa sembra procedere in analogia con il lavoro umano e – così come c’è un lavoro “morto” che vediamo imprigionato nel capitale e nei mezzi di produzione e c’è un lavoro “vivo” che ve­diamo sprigionarsi dall’attività operaia – così c’è una storia “morta” dentro la stabilità delle istituzioni, in contrasto con l’azione rivo­lu­zio­naria che è storia viva. Di più, la rivoluzione e “vita” tout court, e anzi: «Tutta la vita è diventata veramente rivoluzionaria: è un’attività sempre attuale, è un continuo scambio, una continua escavazione nel blocco amorfo del popolo» (ADL 11.8.1917). Con chiaroveggenza divinatoria è evocata l’immagine dell’incendio cosmico, che «si propaga, brucia cuori e cervelli nuovi, ne fa fiaccole ardenti di luce nuova, di nuove fiamme… La rivoluzione procede fino alla completa sua realizzazione». In questo stato nascente vengono suscitate nuove energie e propagate nuo­ve “idee-forze”, sicché gli stadi graduali dell’evoluzionismo sociale possono essere bypassati dal pen­siero vitalistico-rivoluzionario. Esso in via di fatto «nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie fra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale. Queste espe­rien­ze basta che si attuino nel pensiero perché siano superate e si possa procedere oltre» (ADL 11.8.1917). Ma i massimalisti devono ora entrare in scena come “ultimo anello logico di questo divenire rivoluzionario”. Il punto d’arrivo dell’intero movimento non può abitare nella casa dei riformisti che rappre­sentano solo uno stadio dialettico transitorio. Ma tutto deve approdare infine ai massimalisti che incarnano l’essenza dell’evento e «sono la continuità della rivoluzione, sono il ritorno della rivoluzione: perciò sono la rivoluzione stessa» (ADL 11.8.1917). Se Kerenskij è la stazione di partenza, quella d’arrivo si chiama dunque Lenin. E il futuro fondatore dell’URSS ha ormai «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo. Sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti» (ADL 11.8.1917). La tempesta vitalistica scompone e ricompone gli «aggregati sociali senza posa e impedisce… il formarsi delle paludi stagnanti, delle mor­te gore». Dopodiché, seconda divinazione di Gramsci, financo «Lenin e i suoi compagni più in vista possono essere travolti nello scatenarsi delle bufere che essi stessi hanno suscitato». Ed è proprio questo il travolgimento che, in effetti, accadrà già a partire dalle prime dure repliche della storia. E a quel punto Antonio Gramsci, non più ventiseienne in Torino, inizierà a lavorare al nucleo della sua riflessione filosofica più propria, l’idea-forza di una “egemonia culturale” intesa come conditio “so­vra­strut­tu­rale” della rivoluzione proletaria. L’egemonia deve avere luogo anzitutto nella coscienza delle masse. Senza il loro consenso s’in­stau­rerebbe, infatti, soltanto un “dominio” fattizio: un’oppressione vio­lenta, “giacobina”, sostanzialmente instabile. In questo modo, però, l’idea-forza gramsciana approderà a un luogo molto distante rispetto a quello dell’assalto alle casematte del potere che il “massimalismo” leniniano si appresta a celebrare con la presa del Pa­lazzo d’Inverno. La sua “egemonia culturale” si collocherà semmai nei pressi della teoria della “rivoluzione sociale” che il riformista Tu­rati tratteggerà a Livorno nel gennaio del 1921. Fonte: L’Avvenire del Lavoratore SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Jeremy Corbyn ai partiti socialisti europei: «Abbandonate il neoliberismo per tornare a vincere»

Jeremy Corbyn ha avvertito i partiti socialisti europei che, se vogliono tornare a vincere, devono seguire il suo esempio e abbandonare le politiche neoliberiste del «centro» immaginario. Il leader laburista – come riporta Jon Stone oggi sull’Independent – è stato accolto come un eroe alla conferenza “Europe Together”, a Bruxelles, dove è stato presentato come «il nuovo primo ministro della Gran Bretagna» e ha ricevuto due standing ovation da parte di un auditorium pieno zeppo. I leader socialisti guardano al Labour di Corbyn come a un modello per ridare vigore ai loro partiti. In tutta Europa – dalla Francia alla Germania, dall’Austria ai Paesi Bassi, dalla Spagna alla Grecia – i partiti socialdemocratici, un tempo potenti, sono ridotti a un’ombra di ciò che erano in passato. Il Labour rappresenta un’eccezione degna di nota. Corbyn ha detto che tasse basse, deregulation e privatizzazioni non hanno portato prosperità per i popoli d’Europa e che, se i partiti socialdemocratici continueranno ad appoggiare queste politiche, allora continueranno a perdere le elezioni. Ha poi rimproverato la leadership del centro-sinistra, dicendo che «per troppo tempo le voci più eminenti del nostro movimento sono apparse come fuori dal mondo, troppo inclini a difendere lo status quo e l’ordine precostituito, in un tentativo disperato di proteggere ciò che è visto come il centro politico. Per poi scoprire che il centro si è spostato o non è mai stato dove le élite pensavano che fosse». Citando l’ascesa dell’estrema destra in paesi come Austria e Francia, Corbyn ha poi affermato che l’abdicazione delle politiche più radicali da parte della sinistra ha creato lo spazio per partiti reazionari. «Il nostro sistema malato ha fornito terreno fertile per la crescita delle politiche di stampo nazionalista e xenofobo. […] Sappiamo tutti che la politica dell’odio, della colpa e delle divisioni non è la risposta, ma se non offriremo un’alternativa netta e radicale, soluzioni credibili per i problemi che abbiamo davanti, la possibilità di cambiare questo sistema malato e una speranza per un futuro più prospero, spianeremo la strada all’estrema destra che penetrerà ancora più a fondo all’interno delle nostre comunità. Il loro messaggio di paura e divisione diventerà il mainstream politico». «Ma noi possiamo offrire un’alternativa radicale, abbiamo le idee per rendere le politiche progressiste la forza dominante di questo secolo. Però se non facciamo chiarezza sul nostro messaggio, se non difendiamo i nostri valori fondanti, se non stiamo dalla parte del cambiamento, allora affonderemo e stagneremo». […] «Il modello economico neoliberista è fallato. Non funziona per la maggior parte delle persone. Le disuguaglianze e le tasse basse per i più ricchi stanno facendo del male ai nostri cittadini e colpendo l’economia, come riconosce anche il Fondo Monetario Internazionale. […] Se il nostro messaggio sarà coraggioso e radicale, se ascolteremo ciò che davvero vuole la maggioranza, smentiremo le élite e gli esperti». Corbyn è a Bruxelles negli stessi giorni in cui Theresa May partecipa al vertice del Consiglio Europeo. Ha sfruttato questa occasione per mettere in guardia contro una Brexit senza accordo, accusando il primo ministro e il suo partito di avere creato il «caos». «Non raggiungere un accordo sarebbe […] catastrofico per i lavoratori nell’industria manifatturiera. E avremmo grossi problemi in tutti i settori dell’economia. Non voglio assistere a una cosa del genere […]. Ecco perché stiamo facendo del nostro meglio affinché un accordo venga raggiunto». […] Fonte: largine.it (Foto: Ansa) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Risposta a Boldrini. Fiducia, i precedenti sono altri

Non voglio nemmeno adombrare che la Presidente della Camera Boldrini non abbia agito in buona fede: sarebbe inquietante pensare il contrario. Resta il fatto che, venuta meno la prassi di nominare alla presidenza di una camera parlamentari di lungo corso, con pratica di vicepresidenti, ovvero di esponenti dell’opposizione, chi presiede rischia di prendere per oro colato i suggerimenti degli uffici, per i  quali la prassi è Vangelo; fosse Talmud sarebbe invece dialettica. Tuttavia ci sono momenti in cui, in relazione alla sensibilità politica, istituzionale e soprattutto costituzionale della materia, occorre verificare fino in fondo la prassi. Si racconta che quando dissero a Fanfani che nella prassi regolamentare non c’erano precedenti, nel senso da lui auspicato, rispose :«Se non c’è un precedente lo si crea!». In effetti l’unico precedente che giustifica la Presidente Boldrini sulla fiducia al Rosatellum è quello da Lei stessa creato ammettendo tre voti di fiducia sull’Italicum nel 2015. Tutti gli altri precedenti alla Camera non riguardano leggi elettorali nel loro complesso. Trattandosi di un articolo della Costituzione, non modificato, come l’articolo 72 della Costituzione, poiché siamo ancora un sistema bicamerale paritario, si poteva richiamare il precedente del Senato nella domenica delle Palme, 8 marzo 1953. Gli uffici della presidente Boldrini non l’hanno fatto, credo, per tre ragioni. La prima che è ogni camera è gelosa della propria prassi. La seconda per non evocare l’unico precedente a Costituzione invariata, collegato a una legge conosciuta come «legge truffa». La terza e più importante, perché il Presidente, della seduta, Giuseppe Paratore, fece mettere a verbale, fatto inusitato, «Quindi questo non rappresenta un precedente». Quel precedente non andava evocato soprattut-to perché Paratore, non avendo gradito l’imposizione del Presidente del Consiglio De Gasperi (non Gentiloni) si dimise il 24 marzo, 16 giorni dopo. Ma era un uomo di 77 anni e non agli esordi di una carriera politica. L’argomento che l’articolo 116 comma 4 del regolamento della Camera non esclude le leggi elettorali prova troppo, cioè nulla perché non esclude nemmeno le leggi in materia costituzionale. Cosa dovremmo aspettarci, grazie a questa prassi regolamentare? Una Costituzione approvata a colpi di voti di fiducia? In-fine invece che la Presidente lotti del 1990, gli uffici avrei bero dovuto dare alla Presidente Boldrini copia del Lodo lotti del 1980. Dal quale risulta chiaro che quando si chiede la fiducia la procedura da normale diventa speciale. Fonte: Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it