Lina Merlin una madre della Repubblica

Lina Merlin, dopo il confino in Sardegna, perseguitata dal fascismo, si trasferisce a Milano che elegge a sua città di adozione. Vive e lavora nel quartiere Lambrate in Via Catalani 63, dove si riuniscono i promotori dell’insurrezione milanese del 1945. Insegna in casa e poi al Caterina da Siena, per l’impegno profuso dalla Preside Ines Saracchi, fonda i Gruppi di Difesa della Donna ed è tra le promotrici dell’Unione Donne Italiane a Milano. Il 27 aprile 1945 viene nominata Vicecommissario alla Pubblica Istruzione nel Comitato di Liberazione Nazionale della Lombardia e il 29 giugno è chiamata a far parte della direzione nazionale del partito socialista, in qualità di responsabile della commissione femminile. A Milano, con Carla Barberis Voltolina, raccoglie e pubblica le lettere a lei spedite dalle prostitute italiane. Eletta prima Senatrice della Repubblica Italiana nel 1948, nel 1958 è poi eletta alla Camera dei Deputati nella circoscrizione di Verona-Padova- Vicenza -Rovigo, ma tiene comunque una casa in periferia a Milano, in Via Martignoni, dove stabilisce rapporti con la Società Umanitaria per un progetto per il “suo” Polesine. Trasferitasi ormai bisognosa di assistenza a Padova, esprime la volontà di essere sepolta a Milano, e la città a cui era tanto legata decide che Lina Merlin trovi posto nel Famedio del Cimitero Monumentale. Una figura dunque importante nella storia d’Italia, e di Milano in particolare, che si vuole non solo ricordare ma far conoscere soprattutto alle nuove generazioni, per l’impegno politico e sociale da lei profuso e per affrontare questioni, come quella dello sfruttamento della prostituzione, da lei aperte ma mai fino in fondo risolte anche ai giorni nostri.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Dopo il Che, come e più del Che: Thomas Sankara vive!

di Carlo Felici Non si è ancora spenta l’eco delle commemorazioni del cinquantenario della morte del Che, che dovrebbe iniziare la celebrazione di un altro straordinario Comandante-Presidente che fu, in tutto e per tutto, allievo del Che in Africa. Eppure, stentiamo a vedere manifesti o altro che lo riguardi. Perciò, per quanto ci è possibile, cerchiamo di colmare questo vuoto, forse dovuto al fatto che questo altro grandissimo personaggio del XX secolo è andato ancora più avanti, nel suo progetto di contestazione globale dell’imperialismo e del capitalismo, rispetto al Che, in una realtà più vicina a quella nostra contemporanea, e pertanto risulta ancora più “scomodo”. Thomas Sankara fu assassinato 30 anni fa, dopo avere cambiato radicalmente il volto e persino il nome del Paese di cui fu Presidente, dal 1983 al 1987. Fu inzialmente Primo Ministro di un governo che lo epurò e lo mise in prigione per le sue idee alquanto controcorrente, dopo soli quattro mesi dal suo insediamento. Ma, in seguito a tumultuose rivolte popolari, dopo essere stato liberato a furor di popolo, si prese la rivincita impadronendosi del potere con una rivoluzione armata. Si insediò in uno dei più poveri paesi africani, con un progetto ambiziosissimo che entrò nella nuova Costituzione: rendere felice il suo popolo. Innanzitutto cambiò nome a quello che allora si chiamava Alto Volta, una vecchia colonia francese sottomessa in tutto e per tutto a nuove forme di neocolonialismo che l’avevano resa completamente dipendente dalle importazioni, e con un debito crescente di proporzioni catastrofiche. Chiamò quel paese Burkina Faso, la “terra degli uomini liberi e integri”, con lo scopo di risollevare le sorti del suo popolo, sottraendolo non solo al colonialismo economico, ma anche a quello culturale. Diceva infatti Sankara: “Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”. Così, dopo un vasto programma per sottrarre terra alla desertificazione ed incrementare la produzione agricola, sviluppò la produzione per l’industria tessile locale, favorendo l’acquisto ed il consumo interno di manufatti prodotti nel suo paese. Come il Che, era convinto che solo l’esempio potesse trascinare il popolo e spingerlo ad una mobilitazione generale, di conseguenza ridusse il suo stipendio e tutto quello della classe dirigente del suo paese, azzerando l’uso delle auto blu ed utilizzando solo una utilitaria, con i risparmi promosse una campagna di vaccinazione di massa, contro il morbillo, la meningite e la febbre gialla, furono costruiti nuovi ospedali e dispensari di medicine nei vari villaggi. Venne varato un vasto programma di scolarizzazione con la costruzione di nuove scuole ed una lotta capillare all’analfabetismo, che tolse dalla strada quasi tutti i bambini del Burkina Faso. Sankara capì che i programmi del FMI, varati per sostenere il cosiddetto sviluppo del suo paese, non erano altro che forme subdole per incrementare il debito, privatizzare le risorse e rendere servi i suoi concittadini, rifiutò pertanto gli aiuti, mise in atto un piano di autosufficienza alimentare basato sullo sviluppo delle campagne e delle risorse locali per produrre e diffondere beni di prima necessità, a partire dal pane per il quale non fu più utilizzato il mais che doveva essere importato, ma la farina di miglio prodotta in loco. Tutto ciò potè garantire a tutti almeno due pasti al giorno e circa 5 litri d’acqua quotidiani pro capite, un vero e proprio miracolo di autopromozione mai realizzato prima in Africa, e dovuto in gran parte al grandissimo entusiasmo ed alla partecipazione di tutta la popolazione a tale sforzo di crescita, in particolare delle donne. Le donne, infatti, ricevettero da Sankara una grandissima attenzione nel loro processo di emancipazione, un evento straordinario per un continente in cui per millenni erano state condannate ad una condizione di sudditanza, e tuttora un esempio di grandissima rilevanza, considerando l’estendersi di un radicalismo islamico che continua a relegarle ad un ruolo subordinato alle esigenze maschili. Sankara fu un ecosocialista, un grandissimo innovatore: 1) sul piano ecologico, perché comprese che valorizzare le risorse ambientali avrebbe contribuito enormemente ad incrementare le risorse sociali, 2) sul piano umano, perché capì che una mobilitazione di massa non può prescindere dal coinvolgimento delle donne come protagoniste contemporaneamente della loro emancipazione e di quella del loro paese, 3) e sul piano economico perché fu pianamente consapevole che la servitù dei paesi poveri è incrementata dal loro debito e che tale catena non va allentata a poco a poco, ma spezzata definitivamente. Sankara fu ucciso perché ebbe l’ardire di contestare il suo partner principale: la Francia, paese che lo aveva colonizzato, rimproverando persino senza mezzi termini ad un presidente socialista come Mitterand di fare affari con un paese razzista come il Sudafrica, e perché ambiva a creare un esempio da diffondere in tutto il continente su come fosse possibile e necessario sfuggire alla schiavitù neocoloniale. La stessa che spinge gli abitanti del continente più ricco al mondo di materie prime ad essere i più poveri del globo, e a fuggire altrove, affollando le rotte migratorie verso l’Europa per nuove forme di schiavitù salariale. Se l’Africa fosse diventata come Sankara la voleva, non avremmo mai avuto masse così imponenti di migranti affacciarsi alle nostre coste, né miliardi affluire nelle tasche dei più loschi e crudeli trafficanti di ogni genere, in combutta con le peggiori mafie. Sankara pronunciò un discorso epocale contro il debito che tuttora è un capolavoro di denuncia e consapevolezza contro un mondo in cui la globalizzazione a senso unico neoliberista produce al contempo disastri sociali ed ambientali di proporzioni apocalittiche. Ne citiamo alcuni passaggi emblematici anche per la lotta contro certi inconcludenti integralismi religiosi alimentati ad arte proprio per contestare tali forme autentiche di socialismo quali quelle messe in atto dallo stesso Sankara a prezzo della sua vita: “La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino …

“Le prerogative parlamentari umiliate”

“… il raffronto tra la legge Acerbo e le condizioni in cui fu votata nel 1923 e la vostra legge e le condizioni in cui sta per essere votata è sulle labbra di tutti. Potremmo dirvi: ‘Buon appetito, signori, e arrivederci’. Non lo diciamo. Con il nostro atteggiamento nell’imminente voto di fiducia, intendiamo richiamarvi alla nozione esatta della situazione ed a una valutazione non esagerata dell’idea che vi fate dei vostri mezzi. Nelle condizioni create dagli arbitrii governativi e della maggioranza, di fronte all’incostituzionalità della procedura ed alle clamorose violazioni del regolamento e della prassi parlamentare, il modo più eloquente che ha la sinistra per separare le proprie responsabilità da quelle del Governo e della maggioranza, è di non partecipare alla votazione al fine di meglio sottolinearne la illegalità. Perciò l’opposizione ha deciso di non partecipare alle votazioni. Essa confida nel Senato della Repubblica perché le prerogative parlamentari umiliate in questo ramo del Parlamento siano ristabilite nella loro integrità; essa si riserva di informare il Presidente della Repubblica della situazione che si è creata alla Camera; essa fa appello al popolo perché dia di nuovo alla Repubblica e alla democrazia il suo vero volto, il volto della Resistenza”. Pietro Nenni – Camera dei Deputati, 18 gennaio 1953 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

XLVII Congresso Psi 1994

XLVII Congresso – Roma 11-12 novembre 1994 Il XLVII congresso, svoltosi l’11 e il 12 novembre 1994, decise a maggioranza lo scioglimento definitivo del Psi. La maggioranza dell’Assemblea, preso atto della gravissima crisi politica e dell’insostenibile situazione finanziaria in cui versava il partito, decise la messa in liquidazione del PSI e, di fatto, il suo scioglimento.       SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ANOMALIE A SINISTRA

(In questo numero de “Le ragioni del Socialismo” fu pubblicato un articolo di Gino Giugni , il quale intervenne nel dibattito aperto dalla rivista sulle prospettive della sinistra e sulla diaspora socialista). La natura non fa salti, e meno che mai accetta fughe in avanti. E in questa trappola rischia davvero di cadere l’alternativa tra partito democratico o dell’Ulivo e ipotetico partito socialdemocratico, punto di arrivo del grande travaglio del socialismo italiano: un travaglio che dura, a dir poco, dal lontanissimo giorno della scissione di Livorno. E’ risultato evidente che l’area dell’Ulivo, come ha dimostrato lo scarto positivo di quest’ultima rispetto all’esito proporzionale, gode di un vantaggio. Ma non è affatto detto che il modulo della coalizione, quello che ha presieduto alle positive sorti dell’Ulivo stesso, conduca ad una coincidenza necessaria tra quest’ultimo e l’area del partito che occupi, nell’ambito della coalizione stessa, la posizione di sinistra. Quest’ultima corrisponde oggi, la si chiami come si vuole, al modulo della socialdemocrazia. Ed essa poggia su consistenti basi. In primo luogo, vien da considerare l’organizzazione compatta e capillare che si è formata intorno al Pci, e che già dopo la Liberazione era divenuta patrimonio proprio, contestato debolmente, ed un po’ anche irresponsabilmente, dal Psi di allora. E’ una constatazione che va messa in primo piano: le solide e profonde radici di quello che fu all’origine un partito della Terza Internazionale hanno potuto attraversare un’autentica mutazione genetica (mai tale espressione fu impiegata così a proposito) grazie alla scelta di darsi un’organizzazione di massa, capace di resistere e, in larga misura, di manifestarsi poco sensibile al mutamento ideologico che veniva a svolgersi per lo meno dagli anni Sessanta in avanti. In secondo luogo, l’appello europeo dovrebbe operare come una spinta alla “normalizzazione” rispetto alla anomalia italiana, costituita dal venir meno di una rappresentanza socialista nelle istituzioni europee e determinata dal collasso del partito socialista, ormai scomparso anche dalla scena parlamentare. Le anomalie, da questo punto di vista, alla fine dei conti sono due, simmetriche tra loro: ossia, la scomparsa dell’entità socialista o socialdemocratica e il consolidamento egemonico, nell’ambito della sinistra, di quella anomala creatura che è il Pds, partito di fisionomia ben radicata nella realtà politica italiana, ma tuttora non assimilabile a nessuno dei modelli europei, o almeno a quelli dell’Europa occidentale, e forse unico nel suo genere: ed infatti l’accostamento a partiti postcomunisti, all’Est ma anche all’Ovest, sarebbe approssimativo e ingannevole. L’anomalia italiana occulta una realtà non decifrabile a prima vista. Quanti pensano ad una tabula rasa, o alla Storia che viene riscritta ex novo, si pongono fuori da ogni realistica interpretazione di vicende umane. Il Pds custodisce una sua memoria collettiva, di cui è anzi tutore molto geloso. Ma il passaggio che si tende a rimuovere è quella parte di quella storia che appartiene al “passato di un’illusione”, per usare qui la fortunata espressione di Furet. E questo passato è quello del Pci, che ad esso non può contrapporre l’artificio di un nuovismo ideologico, impiantato sul tronco di qualche pianta esotica, oppure sulla ricerca di una filosofia indigena che potrebbe nutrirsi anch’essa di una generosa e nuova illusione. Il tentativo più rigoroso compiuto negli anni Sessanta e Settanta fu quello che venne banalizzato nella definizione di cattocomunismo, e che in termini volgarizzati si espresse nell’idea di una “diversità” e di una separatezza in gran parte costruita sull’impervio impianto di una etica esclusiva di partito. A questa ipotesi “autoctona” o “indigena” è possibile invece opporne un’altra, quella che ci dovrebbe far entrare pienamente nell’area politica ma, prima ancora, in quella culturale della socialdemocrazia europea. Beninteso: la stessa terminologia “socialdemocrazia” allude ad una realtà tutt’altro che semplice e semplificabile. La socialdemocrazia in versione europea, oltre ad assumere identità diverse in ragione di percorsi storici propri, è in realtà un crogiolo, un crocevia in cui si ritrovano culture diverse; è, se vogliamo, una spugna la cui efficacia è stata dimostrata dalla capacità di assimilare esperienze diverse, dal pensiero sociale di varie appartenenze confessionali, fino alle grandi realizzazioni del liberalismo, da Roosevelt a Beveridge. La via orientabile a superare l’anomalia italiana è costituita, pertanto, invece dall’innesto della corposa realtà del postcomunismo italiano sulle antiche radici del socialismo e principalmente sulla memoria collettiva e storica segnata dalla appartenenza comune dei due partiti storici. Non è qui in gioco il tema, pur non trascurabile, del recupero di energie, quadri, appartenenze che si chiamarono un tempo socialiste senza ulteriori qualificazioni. Né è in questione in questa sede il tema delle varie diaspore da cui il socialismo italiano è uscito letteralmente distrutto. La diaspora socialista presenta vari aspetti, tra loro difficilmente ricomponibili, alcune delle quali che vanno dalle appartenenze nuove, visibilmente incompatibili con l’identità socialista, e interpretabili soltanto attraverso il modulo della mutazione genetica, fino al transito verso la destinazione finale in cui si comprendano le due sponde postcomuniste. E’ un aspetto che merita attenzione. Ma quello che interessa in questa sede, per rispondere alla domanda posta all’inizio, è se il percorso innovativo dovrà essere scelto nella ricerca della via tutta nuova di una identità diversa che riesca a procedere innanzi rispetto alla tradizione postcomunista e a quella non meno profondamente solcata nella nostra storia, del cattolicesimo democratico, o se riterrà di appoggiarsi al dato di una continuità interrotta, ma visibile nella nostra storia come nella nostra appartenenza geografica. Sono due strade legittime e rispettabili. Ma, forse, la prima di esse, l’Ulivo che tutto copre e comprende, potrebbe assomigliare un pò al sogno dei grandi navigatori, che partirono per buscar el poniente por el levante. E infatti, approdarono in terre nuove. Ci scoprirono l’America, ma la popolazione indigena ne pagò un caro prezzo. Gino Giugni Le Ragioni del Socialismo – Mensile di Politica e Cultura diretto da Emanuele Macaluso – Giugno 1996   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una …

MIGRANTI: MARRAMAO, NO RAZZE MA ESSERI UMANI UGUALI E DIFFERENTI

di Carlo Patrignani Umano e inumano: è su questi due aggettivi, tornati prepotentemente alla ribalta per l’inedito fenomeno dell’emigrazione con i suoi conflitti etnici e nazionali, con le lotte a dominanza religiosa connesse, che la sinistra si gioca il suo futuro, la sua esistenza, nel mondo gliobalizzato, come fosse una partita a scacchi. Cos’è, dunque, l’umano e il suo opposto, l’inumano? Qual’è la linea di demarcazione tra i due? Le grandi, inumane tragedie del ‘900: Auschwitz e i forni crematori per l’eliminazione, non solo fisica, di ebrei, omosessuali, malati di mente, di chi non si riteneva degno di far parte della razza ariana, è l’immediata, secca risposta del filosofo Giacomo Marramao, ordinario di Filosofia teoretica presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo Università degli Studi Roma Tre, che accusa, alla luce dei vergognosi lager libici dove rinchiudere i migranti, le élites politiche italiane e europee di pochezza culturale, perchè senza una visione alta del fenomeno destinato a durare a lungo. Dopodichè, il filosofo di fama mondiale e già direttore scientifico della Fondazione Lelio Basso-Issoco, senza esitazione alcuna, declina cos’è che, per lui, fa l’umano, da non legare mai – scandisce – alla superiorità, parola cardine del nazismo. Cos’è che, per me, fa l’umano? E’ l’affermazione, indiscutibile, del principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani, a prescindere dalla cultura, dal colore della pelle, dalla religione professata, dalla lingua parlata. Attenzione, però. L’uguaglianza deve andar insieme, accompagnarsi sempre, a un’altra parola: la differenza, dell’altro naturalmente, per evitare la perniciosa deriva dell’assimilazione e dell’omologazione, come dell’integrazione e della stessa accoglienza, già fallite in Europa, che tolgono senso e valore alla differenza, che, oltre a essere un arricchimento culturale e una risorsa, è il solo criterio per costruire l’uguaglianza. Marramao, non le manda a dire: il coraggio e la competenza ne sono la formidabile leva e così, senza tanti giri di parole, ribadisce la sua adesione, entusiastica, alla teoria della nascita dello psichiatra dell’Analisi collettiva, Massimo Fagioli, per il quale: tutti gli esseri umani sono uguali per la nascita, non per un fatto culturale o politico, e poi diventano diversi per identità e per pensiero. Con Massimo ho avuto tante belle discussioni e molti interessanti incontri – come, due anni fa circa, l’affollatissima Aula Magna del 2015 per festeggiare i 40 anni dell’Analisi collettiva – di altissimo profilo culturale: il suo è stato, è un pensiero rivoluzionario, in cui mi ci sono ritrovato e mi ci ritrovo. Non ci sono le razze umane, ma gli esseri umani, uguali e differenti o diversi, come non ha valore alcuno la logica identitaria o d’appartenenza, causa dei mali – razzismo, xenofobia, discriminazione – che affliggono il mondo e soprattutto le società occidentali. Il punto di partenza, anche di una nuova antropologia umana, dev’essere la battaglia e l’affermazione dell’universalità della differenza o della diversità se si vuole costruire l’uguaglianza. Ci sta, nella appassionata conversazione, il richiamo che Marramao fa, di passaggio, al ’68, all’esplosione, 40 anni fa, di una ribellione, fallita, allo status quo: la libertà assoluta tanto declamata più che cambiare il mondo finì nella lotta armata, nella droga, nella conversione religiosa e nell’abbraccio con il capitalista da abbattere. Rispetto ad oggi, quella generazione, cui appartengo, aveva una visione cosmopolita del mondo: oggi l’incontro con l’altro, il migrante, non è vissuto con l’atteggiamento di una straordinaria occasione di apertura e arricchimento culturale, di curiosità e di socializzazione come allora. Non c’era il terrore dell’altro visto come un intruso da respingere. C’è stata, quarant’anni dopo il ’68, una mutazione antropologica negativa che ha soppiantato il cosmopolitismo sostituendolo con la logica identitaria e d’appartenza, che, per certi aspetti, non esito a definire patologica. La stella polare, di bobbiana memoria, dell’uguaglianza, per distinguere destra e sinistra, oggi si deve coniugare, accompagnare con l’altra parola: la differenza o la diversità, perchè in ballo non c’è soltanto il migrante, ma anche la donna. E’ questo dell’uguaglianza e della differenza o diversità, il test decisivo per il futuro della sinistra: un test che riguarda tanto il migrante quanto la donna, alla quale va riconosciuto, senza se e senza ma, non solo di essere un essere umano, ma di avere una sua specifica, originale differenza, per identità e per pensiero soprattutto, quindi non solo fisica, dall’uomo. E’ questa una sfida culturale enorme e difficile, ma non impossibile, conclude Marramao. Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Tre fiducie, poi altre tre

di Andrea Fabozzi Legge elettorale. Cambia la maggioranza, a chiedere la fiducia sul Rosatellum sono il Pd con Forza Italia, Lega e Ap. Gentiloni “non era entusiasta” ma si adegua grazie alla copertura del Quirinale. Mattarella preoccupato soprattutto di andare al voto con le attuali leggi non omogenee. Renzi vuole andarci presto e per questo la forzatura, sulla quale protrebbe essere chiamata presto la Corte costituzionale, si ripeterà al senato Non si sente niente. Quando la presidente della camera Boldrini dà la parola alla ministra Finocchiaro per consentirle di porre la questione di fiducia sulla legge elettorale, dai banchi M5S si urla «venduta» e si lanciano fascicoli e rose rosse («per simboleggiare la morte della democrazia»), dai banchi di Sinistra italiana e Mdp si grida «vergogna». La ministra fa la sua comunicazione resistendo a un tentativo di placcaggio di La Russa, poi quasi scappa via. Si vede che non è contenta, nei giorni scorsi aveva lasciato intendere che la fiducia non era necessaria, appartiene alla corrente del ministro Orlando che è l’unico ad aver sollevato dubbi nel governo. Gentiloni, che per mesi ha ripetuto di voler solo «seguire» e «spronare» il lavoro del parlamento sulla legge elettorale, «non era affatto entusiasta» della richiesta di mettere la fiducia arrivata dal Pd, per conto anche di Forza Italia, Lega e Ap. Il racconto è del capogruppo democratico Rosato e l’auto-retroscena fa parte dell’accordo con il capo del governo: il Pd mette in scena con il massimo della teatralità una richiesta prevedibile, perché già sperimentata con l’Italicum. Da Mattarella, oggi come allora, arriva il via libera, con una nota in cui si liquida la questione fiducia come «attinente al rapporto parlamento governo» ma si insiste sul valore positivo della riforma elettorale. Il comunicato del Colle è identico a quello con cui due anni fa Mattarella non si oppose alla fiducia sull’Italicum, deludendo le opposizioni (anche, all’epoca, Forza Italia e Lega). In più adesso c’è la preoccupazione del presidente della Repubblica per un risultato elettorale affidato alle due leggi «non omogenee» consegnate dalla Consulta (risultato che toccherà a lui gestire) e la considerazione che ancora più pesante, perché senza reali precedenti, sarebbe stato un decreto elettorale. Sotto l’ombrello del Quirinale si posiziona anche la presidente Boldrini – «la fiducia è una prerogativa del governo» – che due anni fa aveva riconosciuto «una logica» a chi faceva notare come per il regolamento della camera non si possono chiedere fiducie quando è prescritto il voto segreto, che è sempre possibile sulle leggi elettorali. Non mancano altri argomenti, visto che l’articolo 72 della Costituzione impone «la procedura normale di esame e approvazione» per le leggi elettorali. In questo caso gli unici due precedenti contrari precedenti all’Italicum non fanno testo, perché uno risale al fascismo (legge Acerbo) e l’altro alla legge «truffa» quando l’ostruzionismo bloccava l’aula e il presidente del senato si dimise. È infatti il precedente dell’Italicum a consentire la nuova fiducia. Allora Napolitano non era più al Quirinale, ma caldeggiò la fiducia malgrado anche quella legge contenesse l’indicazione del «capo della forza politica» che, adesso il presidente emerito ha chiesto di correggere. Fuori tempo massimo e invano. Perché non ci sarà nessuna discussione sugli emendamenti, soprattutto quelli a voto segreto (un centinaio) che avrebbero potuto fermare il Rosatellum. Oggi le prime due fiducie, domani quella sull’articolo tre – una delega che in pratica il governo dà a se stesso per ridisegnare i collegi – e i voti sugli ultimi due articoli (senza rischi, contengono norme favorevoli a Mdp sulla raccolta delle firme). Poi, forse venerdì, il voto finale. Inevitabilmente segreto, ma che preoccupa meno il Pd rispetto agli emendamenti. Il margine di vantaggio è ampio, circa duecento voti. Proprio l’inevitabilità alla camera dell’ultimo voto segreto, dove i franchi tiratori potrebbero conquistare il bottino pieno, abbattendo la legge, aveva alimentato gli scetticismi sulla fiducia. La giornata di ieri ha chiarito che la vera ragione di questa mossa è quella di fare presto, per ripetere lo stesso aut aut ai senatori. Dai primi di novembre – orientativamente dalla settimana che comincia il 6, ma anche in questo caso è il governo che dà le carte – il senato sarà in sessione di bilancio; l’obiettivo del Pd è di far approvare definitivamente la legge, ancora con la fiducia, entro quella data. Servirà un’altra corsa, una settimana di lavoro in commissione e una in aula. I numeri con cui ieri a palazzo Madama è passata la legge europea (solo 118 sì) testimoniano la difficoltà. Se alla camera i berlusconiani non hanno dovuto votare la fiducia, al senato l’assenza al momento della chiama potrebbe non dare sufficienti garanzie. Ma è un altro il rischio che governo e maggioranza accettano di correre, approvando ancora una legge elettorale con la fiducia. È vero che la precedente, l’Italicum, non è stata sanzionata dalla Corte costituzionale per questa ragione (lo è stata com’è noto per altre) ma solo perché nessun tribunale aveva sollevato il problema davanti ai giudici delle leggi. Che anzi, rifiutando di auto assegnarsi il quesito, nulla avevano detto sulla pertinenza di questo genere di dubbi di costituzionalità. Accade adesso che già venerdì (a Messina) e poi per tutto il mese di ottobre, quattro tribunali (gli altri sono Lecce, Venezia e Perugia) potrebbero accogliere queste nuove osservazioni sollecitate dall’avvocato Besostri. Il problema della fiducia sulle leggi elettorali, allora, può arrivare comunque alla Consulta. A ridosso delle prossime elezioni Fonte: Il Manifesto SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

XLVI Congresso Psi 1991

XLVI Congresso – Bari 27-30 giugno 1991 A Bari il Psi celebra il XLVI Congresso è un congresso straordinario. La scelta cadde su Bari poichè all’epoca risultò essere, relativamente alla geografia politico-elettorale, la città più socialista d’Italia. Il congresso di Bari fu preceduto qualche mese prima in quel di Rimini dalla nascita del Partito Democratico della Sinistra (Pds) pensato dopo l’ultimo congresso di Bologna del Partito Comunista italiano nel 1990. A seguito di quella svolta ci fu la successiva nascita di Rifondazione Comunista. Bettino Craxi sollecita l’intera sinistra a intraprendere la strada del riformismo e del progresso per i futuri sviluppi dell’Italia. Il messaggio è: “Unire i socialisti Rinnovare la Repubblica”. «Avanti! 28 giugno 1991»   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISMO E’ TORNATO!

Il socialismo è tornato, per il sommo dispiacere di coloro che lo avevano dichiarato morto e sepolto alla “fine della storia” negli anni ’90. Quando il New Republic, a lungo l’house organ del neoliberismo americano, arriva a pubblicare un articolo dal titolo “Il socialismo di cui ha bisogno adesso l’America“, è chiaro che qualcosa è fondamentalmente cambiato. Il neoliberismo temperato rappresentato da Tony Blair e Bill Clinton […] ha esaurito la propria attrattiva. E non solo nel mondo anglofono. In tutta Europa, nuovi movimenti, a sinistra, sono emersi per sfidare o spodestare i partiti socialdemocratici ormai screditati dalle politiche di austerità del decennio passato. Il sostegno per il socialismo è particolarmente forte fra gli under 30, la cui esperienza economica è stata dominata dalla crisi finanziaria globale e dal successivo decennio di stagnazione economica e disuguaglianze sempre più profonde. L’esempio più significativo è rappresentato dalle recenti elezioni britanniche, dove Jeremy Corbyn ha conquistato più del 60% degli elettori fra i 18 e i 25 anni. Anche per Bernie Sanders i sostenitori più entusiasti sono rappresentati dai giovani. Per la maggioranza dell’attuale classe politica, formatasi negli ultimi decenni del XX secolo, la superiorità del mercato sui governi è una convinzione così profondamente radicata che non è nemmeno più vista come una convinzione. Si tratta piuttosto di una questione di “buon senso”, una cosa che “tutti sanno”. Qualunque sia il problema, la risposta è sempre la stessa: abbassare le tasse, privatizzare e fare riforme orientate al mercato. Prevedibilmente, le persone stanno cercando un’alternativa; e molti guardano al passato, ai decenni del dopoguerra in cui la ricchezza era diffusa. Alcuni si sono rivolti a una tribale politica della nostalgia (Make America Great Again […]). Ma è evidente che quello rappresenta un vicolo cieco. […] Ma cosa intendono i socialisti di oggi con “socialismo”? […] La cosa più evidente è che il socialismo implica un rifiuto senza riserve del sistema del capitalismo finanziario […] emerso dal caos economico degli anni ’70. Il neoliberismo ha enormemente arricchito l’1%, e in particolar modo il settore finanziario, mentre ha causato insicurezza economica e standard di vita stagnanti per la maggior parte della popolazione. Questo è ovvio negli Stati Uniti, ma le stesse tendenze emergono nelle economie di mercato di tutto il mondo. Ma, soprattutto, il socialismo contemporaneo ripudia il capitalismo vagamente umanizzato spacciato dalla Terza Via; rompe con quei socialdemocratici e liberali che hanno abbracciato, o si sono arresi, all’austerità in seguito alla crisi […]. D’altra parte, però, non emerge nessun entusiasmo per un’economia pianificata come quella dell’ex-Unione Sovietica e della Cina di Mao. […] Nel modo in cui viene usato oggi, il termine socialismo […] comunica un atteggiamento che potrebbe essere descritto come “socialdemocrazia senza remore” o, nel contesto degli Stati Uniti, come “liberalismo con una spina dorsale”. […] Dopo decenni in cui il focus è stato sulla critica del neoliberismo, il compito di pensare ad alternative positive e propositive è urgente, ma gli sforzi in questa direzione sono appena iniziati. Il dibattito sulle politiche economiche da un punto di vista socialista è confinato a una manciata di piccole pubblicazioni, come ad esempio Jacobin Magazine […]. Altrettanto significativa è la rinascita della sinistra nell’economia mainstream, rappresentata da Paul Krugman, Thomas Piketty e Joseph Stiglitz. Nonostante non siano esplicitamente socialisti (il blog di Krugman è intitolato “La coscienza di un liberale”), questi economisti hanno portato l’attenzione su problemi come disuguaglianze e disoccupazione e sulle politiche progressiste con cui rispondervi. Questi, però, sono solo i primi passi. Per sviluppare una seria alternativa socialista, abbiamo bisogno di guardare indietro, al periodo socialdemocratico degli anni ’50 e ’60, e avanti, con la prospettiva di una genuina sharing economy basata su internet e su altri progressi tecnologici. La metà del XX secolo ha rappresentato un periodo unico di prolungata crescita economica e ricchezza ampiamente diffusa e condivisa, garantite da una gestione macroeconomica keynesiana. […] In un contesto simile, la distribuzione degli utili fra salari e profitti, e fra i lavoratori, tende naturalmente verso una maggiore uguaglianza. Al contrario, come abbiamo visto sin dagli anni ’70, quando i governi sono guidati dalla necessità di soddisfare i mercati finanziari, il risultato inevitabile sono le disuguaglianze in costante crescita. La prova più evidente è l’aumento dei redditi per l’1% più ricco, come documentato da Piketty e altri. Il successo dello stimolo keynesiano subito dopo la crisi globale e i risultati disastrosi dell’abbraccio con l’austerità dopo il 2010 dimostrano come la gestione economica keynesiana sia più vitale che mai. Andando oltre la gestione della crisi, i governi socialisti riprenderebbero l’impegno verso la piena occupazione e la consoliderebbero attraverso politiche che […] assicurerebbero la disponibilità di un lavoro a tempo pieno per chiunque sia stato disoccupato per un periodo minimo. […] La combinazione di un lavoro garantito e un reddito di base universale libererebbe i lavoratori dalla dipendenza verso i datori di lavoro. Ma questo sarebbe fattibile solo se la società potesse assicurare una produzione adeguata di beni e servizi essenziali, senza dipendere dai desideri della grande industria. Il primo passo in questa direzione è resuscitare un termine che era ampiamente utilizzato e che è ancora pertinente […]: l’economia mista. […] In quel contesto, il settore pubblico forniva le infrastrutture – come elettricità, acqua e collegamenti stradali – e i servizi alla persona – come salute e istruzione. […] Il mercato, invece, forniva ai consumatori i beni […] assieme a un’ampia gamma di altri servizi. La spinta alla privatizzazione, iniziata con la Thatcher negli anni ’80, era basata sulla premessa che la proprietà privata e la competizione di mercato avrebbero portato a risultati migliori rispetto a quelli ottenuti dal pubblico. […] Le privatizzazioni hanno prodotto alcuni successi. […] Ma molti di più sono stati i fallimenti disastrosi. […] In sostanza, i monopoli pubblici sono stati rimpiazzati da monopoli privati e da oligopoli. Gli investitori e i top manager se la sono cavata bene, mentre i lavoratori e i consumatori hanno perso. Le persone hanno da tempo perso le speranze nelle promesse legate alle privatizzazioni e …

EMERGENZA DEMOCRATICA

Siamo in una situazione di emergenza democratica di eccezionale gravità. Non si è neppure certi di poter contare fino in fondo sugli stessi organi di garanzia. In assenza di un ricorso diretto alla Corte Costituzionale del tipo in vigore in Spagna e Germania Federale non sappiamo se la leggfe chimata Rosarellum 2.0 possa essere esaminata dalla Consulta prima del voto. Chi la vuol approvare con forzatura dei tempi, a questo punta la fiducia su una legge elettorale, ha dalla sua inquietanti precedenti: fu posta nel 1923 sulla legge Acerbo e nel 1953 sulla  legge truffa e 2015  su una legge elettorale incostituzionale. Non importa se dopo le elezioni sia dichiarata incostituzionale, tanto resterebbero al loro posto i parlamentari illegittimi, come è successo con il Porcellum. Scusate  se i destinatari appaiono eterogenei, ma la difesa della Costituzione non è riserva di caccia per nessuno e mi sono rivolto in primo luogo alle formazioni politiche che hanno sottoscritto i ricorsi antitalikum. Felice C. Besostri EMERGENZA DEMOCRATICALa discussione in aula è iniziata male. Tempi ed emendamenti contingentati, non ammissione delle questioni i pregiudiziali di costituzionali in nome di  una prassi regolamentare, applicata senza criterio di merito che si tratta di una legge elettorale a rischio  di incostituzionalità. Dobbiamo tenere presente che abbiamo una presidente, che ha concesso il voto di fiducia sull’Italikum: un precedente inquietante, dopo la fiducia sulla legge Acerbo nel 1923 e sulla legge Truffa nel 1953, ma quest’ultima con una differenza il Presidente che la concesse Paratore fece mettere a verbale che era un “NON PRECEDENTE” ed ebbe il coraggio civile di dimettersi e non aspirare più a incarichi politici. Ora sembra più sicura una riproposizione della questione di fiducia, un secondo precedente grave: la prima volta la Presidente poteva invocare la sua inesperienza di deputata di prima nomina, ora non più.  Anche il Governo Gentiloni esce dalla sua iniziale proclamata neutralità. Non si può consentire che passi per una procedura ordinaria e normale, come richiesto dall’art. 72.4 Cost., contrariamente all’opinione di una grande, autorevole e sincera democratica Presidente della Camera, come Nilde Iotti, che nel 1980 definì procedura speciale l’iter legislativo, quando fosse posta la fiducia. L’illegittimità della procedura di approvazione è stata posta in luce come primo motivo nei 22 ricorsi, presto 23, proposti dagli avvocati antitalikum, ora occorre come implicitamente auspicato dalla Corte Costituzionale,  quando non ha ammesso l’autorimessione sul punto, che un giudice la rimetta alla Corte Costituzionale in una delle prossime udienze.. Malgrado le autorevoli opinioni dei prof. Onida e Ainis il Rosatellum 2.0 è incostituzionale, ma sono nascoste meglio in norme particolari. Le liste corte che servono a far eleggere i candidati uninominali in collegi perdenti, ma pluricandidati nelle liste proporzionali, sono un formale omaggio ad un passaggio secondario della sentenza n. 1/2014. Lo scopo è di arrivare ad approvare la legge elettorale e sciogliere la Camere subito dopo il DEF, per votare al riparo di decisioni della Consulta, contando sulla rassegnazione del Presidente della Repubblica. Si deve impedirlo e ci sono strumenti per farlo in tempi brevi, basta assumersi la responsabilità di non lasciare nulla di intentato: la Costituzione non può essere violata in nome dell’autodichia del Parlamento, come se le norme regolamentari, dopo la caduta di quelle elettorali,  siano l’ultima zona sottratta al controllo di costituzionalità. Nei gruppi parlamentari di opposizione e tra i giuristi e gli stessi funzionari parlamentari, fedeli alla Costituzione, ci sono le risorse e le competenze per sperimentare tutte le forma di tutela della Costituzione.  Basta chiamarli a raccolta.. Felice C. Besostri SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it