Questo interessantissimo volume scritto da Massimo Pieri* e recentemente pubblicato dall’editore Mimesis tratta di un argomento sicuramente poco noto ai lettori italiani, ma non per questo meno importante per la storia del socialismo rivoluzionario: il Bund, ovverosia l’Unione dei Lavoratori Ebrei di Russia, Polonia e Lituania e cioè il movimento socialista rivoluzionario ebraico, fondato a Vilna (Vilnius) nell’ottobre del 1897, molto attivo nelle province nord occidentali dell’impero zarista ad altissima presenza ebraica askenazita e decisivo anche per la nascita di poco successiva, nel marzo del 1898, del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR). Come spiega Valentina Sereni nella Prefazione, Doikeyt è un’espressione yiddish che corrisponde al tedesco Da-keit e significa all’incirca “stare qui”, essere coscientemente “qui”, in un ben preciso luogo ed “ora”, in un determinato e particolare momento. Pertanto, lo slogan usato dai bundisti “Doikeyt. Noi siamo qui ora!” è un’espressione carica di consapevolezza pratico-politica e di progettualità conflittuale; indica la coscienza di essere un qualcosa – classe, movimento, gruppo nazionale – in un luogo e in un tempo precisi al fine di sostenere una legittima e necessaria lotta per la conquista dei diritti, per il cambiamento delle strutture economico-sociali e dei rapporti di produzione, per l’abolizione della società classista e del capitalismo. Ma a questi obiettivi si aggiungono poi quelli propriamente ebraici – definibili come “nazionali”, seppur con un’accezione parecchio diversa da quella solitamente in uso – che richiedono il riconoscimento delle tradizioni e delle abitudini di vita di un popolo, della lingua yiddish, dell’identità e della cultura ebraiche e che sfociano nella difesa armata contro l’antisemitismo e i pogrom, ancora molto frequenti in Russia a cavallo tra XIX e XX secolo. Tutto questo grazie alla formazione di un movimento politico e di un programma rivoluzionari, alla intrapresa di iniziative di lotta non solo radicali ed incisive nel contesto dell’impero russo, ma anche decisamente originali e spesso non comprese appieno né condivise all’interno dell’internazionalismo socialista tra fine 800 e inizio 900. Molto attivo nelle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917, il Bund incontrò la diffidenza del partito bolscevico per profonde divergenze ideologiche riguardo al modo di intendere forma e compiti del partito e riguardo alla “questione nazionale”, che l’Unione dei lavoratori ebrei intendeva nei termini della rivendicazione di una identità nazionale e culturale all’interno di un quadro e secondo logiche autenticamente federaliste ed “internazionaliste”, antistataliste, anticentraliste ed antiautoritarie. Un’idea di nazione senza nazionalismo e senza stato, di nazione senza territorio che risultò eccentrica rispetto alle categorie teoriche del marxismo leninista che tacciò di separatismo, particolarismo e ambiguità reazionaria le idee espresse dal Bund, che negli anni Venti e Trenta continuò la propria attività politica soprattutto in Polonia, dove al momento dello scoppio della guerra nel ’39 contava centomila iscritti e otteneva buoni risultati elettorali. Le analisi e le considerazioni di Pieri iniziano con un dettagliato excursus storico sui rapporti tra ebraismo e società e cristianesimo russi, a partire dal XV secolo e dall’assunto di fondo per cui da sempre il cristianesimo ortodosso fu inteso come base dello Stato russo e in tal modo fu stretto un insolubile legame tra le istituzioni politiche e quelle religiose, tra lo zar e il patriarca, tra l’autorità, anche divina, del monarca e l’autorità, anche politica, della Chiesa: una sorta di simbiosi tra cesaropapismo zarista e ierocrazia ortodossa che produsse l’effetto della totale identità e della sovrapposizione tra cristianità, stato russo e suolo russo. In un contesto di questo tipo, le possibilità di inserimento ed integrazione sociali e culturali degli ebrei furono minime se non inesistenti, a meno che non intervenissero la conversione al cristianesimo ed il battesimo. Insomma – potremmo aggiungere – è la situazione che Raul Hilberg, nel suo libro fondamentale sulla shoah, La distruzione degli ebrei d’Europa, descrive con le espressioni: “se rimanete ebrei, non potete vivere tra noi” (per indicare le politiche di conversione forzata praticate nell’Europa cristiana dal medioevo in poi); oppure con l’espressione “non potete vivere tra noi” (per indicare le politiche di espulsione o di respingimento delle moderne monarchie assolute cristiane). Le accuse e i pregiudizi antiebraici – ricorda l’autore sulla scorta soprattutto delle ricerche e degli studi di Leon Poliakov – erano anche in Russia i medesimi diffusi in tutta l’Europa cristiana e quasi tutti declinazioni e varianti del paradigma deicida. Violentissimo fu l’atteggiamento delle autorità politiche e militari che in più occasioni ordinarono e perpetrarono stragi, come nel caso dell’annessione dell’Ucraina orientale nel 1645, quando circa trecentomila ebrei ucraini furono massacrati dai cosacchi, oppure nel corso della guerra polacco-svedese del 1655-56, quando i russi occuparono Bielorussia e Lituania e si accanirono contro gli ebrei del luogo. Di seguito fu imposto l’interdetto agli ebrei affinché non entrassero nel territorio della “vecchia Russia” e in particolare a Mosca e lo stesso interdetto fu fatto valere per la nuova capitale dell’impero, San Pietroburgo, ai tempi di Pietro il Grande (1682-1725). Un aumento considerevole della presenza ebraica in Russia si registrò a seguito delle tre cosiddette “spartizioni polacche” (1772, 1793, 1795), dopo l’età napoleonica, con il Congresso di Vienna e quindi con l’annessione della Bessarabia e delle regioni baltiche e di una parte dell’antico Regno di Polonia ben più estesa di quella già precedentemente sotto il potere dei Romanov. In tal modo proprio la Russia che aveva sempre manifestato ostilità assoluta contro gli ebrei divenne il paese con la quota maggiore di popolazione ebraica in tutta Europa. Con Caterina II si stabilirono le regioni e le città in cui gli ebrei potessero vivere, lavorare, commerciare e questo di fatto portò ad una politica di reclusione degli ebrei nelle regioni di Ucraina, Bielorussia, Lituania e Polonia, che andarono a formare la cosiddetta Zona. L’imperatrice dichiarò anche di voler espellere tutti gli ebrei che non si convertissero al cristianesimo greco-ortodosso, ma il progetto non si realizzò; iniziò invece la politica di ghettizzazione, che doveva confinare la presenza degli ebrei di Russia in territori e sottoporli ad una legislazione speciale rispetto ai sudditi cristiani (p. 21). Al confino fisico si aggiunsero ben presto altre forme di isolamento e discriminazione, di …
Leggi tutto “Socialisti, Ebrei, Rivoluzionari: LA STORIA DEL BUND”