Mondoperaio

Presenza costante fra le riviste politico-culturali del secondo dopoguerra, nata come “rassegna politica settimanale”, Mondo Operaio si propone di intervenire prevalentemente sui problemi di politica estera che Nenni considerava “la politica per eccellenza”. Diventato organo del Partito Socialista Italiano e quindicinale nel 1953, per adottare nello stesso anno una periodicità mensile, Mondo Operaio si arricchisce di nuovi temi che troveranno una loro prima collocazione nel Congresso di Torino del 1955 dove viene elaborata la politica del dialogo con i cattolici. Francesco De Martino Nel primo numero del 1956 Francesco De Martino assume la condirezione (rimanendo Pietro Nenni direttore fino al 1958) e, con l’editoriale Prospettive della politica socialista, fissa i nuovi compiti della rivista. Raniero Panzieri Fino al 1959 il periodico affronta in modo organico i temi dello stalinismo, dei rapporti tra socialismo e democrazia, del controllo operaio con l’aiuto dell’allora nuovo giovane condirettore Raniero Panzieri. Si arricchiscono anche i temi di interesse culturale e vengono pubblicati a puntate testi di Balzac, di Brecht, di Blasco Ibáñez per poi approdare, tra il marzo e il dicembre 1958, ad un supplemento scientifico-letterario redatto da Carlo Muscetta e Carlo Castagnoli. Nelle pagine letterarie escono così articoli di scrittori critici emergenti come Giorgio Bassani, Franco Fortini, Giuseppe Petronio, Pier Paolo Pasolini, Alberto Asor Rosa e altri. https://disabledaccess.co.uk/ Quando nel 1959 Panzieri abbandona Mondo Operaio e il Partito Socialista, la rivista assume sempre di più la fisionomia di testata partitica, fino alla rifondazione, nel 1973, da parte del nuovo direttore Federico Coen. La rivista ospita dibattiti che innovano radicalmente la cultura politica italiana: nel 1975 Norberto Bobbio critica la dottrina marxista dello Stato; nel 1976 Massimo Luigi Salvadori critica la dottrina gramsciana dell’egemonia; nel 1977 Giuliano Amato apre la discussione sulla necessità di riforme istituzionali. A Mondoperaio collaborano assiduamente anche Francesco Forte, Giorgio Ruffolo, Gino Giugni, Luciano Cafagna, Stefano Rodotà, Giuseppe Bedeschi, Luciano Pellicani, Ruggero Guarini, Ernesto Galli della Loggia e Giampiero Mughini; la redazione vede, accanto a Coen, Mario Baccianini, Luciano Vasconi, Francesco Gozzano. Nel 1985 a Coen subentra Luciano Pellicani. Nel 1994 la rivista sospende le sue pubblicazioni, a causa dello scioglimento del PSI. Claudio Martelli Dal 1998, diretta dall’ex ministro Claudio Martelli, viene pubblicata dallo SDI fino al 2000, con una nuova veste editoriale, formato libro e un’identità politicamente schierata, ma laica e liberale, con sguardi all’Europa. Tra le firme: Emanuele Macaluso, Predrag Matvejević, Francis Fukuyama, Arnaldo Colasanti, Attilio Scarpellini, Giuliano Cazzola, Adriano Sofri, Stefano Folli, Paolo Franchi, Ferdinando Imposimato, Anna Germoni, Federico Bugno, Piero Melograni, Luigi Fenizi. Luigi Covatta Dopo Martelli, subentra alla direzione nuovamente Pellicani fino al 2008; nel 2009 è la volta di Luigi Covatta, con una nuova serie rinnovata nei contenuti e nella grafica, con un comitato di redazione nel quale fanno parte molti di coloro che negli anni Settanta crearono un grande dibattito intorno a Mondoperaio: tra questi si ricordano Gennaro Acquaviva, Salvo Andò, Alberto Benzoni, Daniela Brancati, Simona Colarizi, Biagio De Giovanni, Antonio Ghirelli, Walter Pedullà, Giuseppe Tamburrano; la segretaria di redazione è Giulia Giuliani, mentre il direttore editoriale è Roberto Biscardini. Attualmente Mondoperaio è la rivista ufficiale del Partito Socialista Italiano, ricostituito nel 2007 dall’unione tra lo SDI e altri movimenti politici d’ispirazione laica e liberalsocialista. Fonte: Wikipedia   [cycloneslider id=”mondoperaio”] SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Viva la lotta degli operai ebrei per la Dignità’ e la Libertà’: IL CASO DEL BUND

Autore: Mario Fuà, Gherush92 Committee for Human Rights Un libro sulle vicende del Bund, il potente partito operaio ebraico e del suo ruolo nella rivoluzione, potrebbe sembrare appannaggio di pochi appassionati. La sua lettura rivela, invece, una storia ricca di spunti di sorprendente attualità, un testo intenso che offre una nuova linfa vitale a una sinistra ormai da troppi anni in crisi. Nello sposare le tesi del Bund, l’interessante saggio di Massimo Pieri con la prefazione di Valentina Sereni, Gherush92, si pone quasi come un manifesto politico. Nello scritto si evidenzia ciò che i rivoluzionari del Bund furono in grado di capire dal contatto con il proletariato ebraico, allora recluso nella Zona di residenza, soggetto a leggi speciali antisemite, sfiancato da usuranti orari di lavoro e salari irrisori, e senza dignità: la lotta di classe non può e non deve prescindere dalla specificità cultural nazionale ebraica e non può ignorare la particolarità di ciascuna componente nazionale di quel crogiolo di lingue e culture che formano l’Impero Russo. Intuendo che la lotta di liberazione passa inevitabilmente per la libera espressione della lingua e delle tradizioni di un popolo, i bundisti fanno della questione nazional culturale un punto cardine della loro lotta, rivendicando in quanto nazione una certa autonomia di governo. La richiesta di autogoverno in seno al Partito Operaio Socialdemocratico Russo è percepita come una minaccia all’unità e alla forza rivoluzionaria della classe operaia. Le rivendicazioni di tipo federalista dei bundisti portano allo scontro frontale, con il Bund suo malgrado costretto a lasciare il Partito che pochi anni prima ha contribuito a fondare. Lenin sceglie un modello di controllo centralizzato in cui le diversità culturali e nazionali devono annullarsi in nome della lotta della classe operaia oppressa dai padroni e dal capitalismo. Il centralismo bolscevico propone, di fatto, l’annullamento o l’assimilazione delle specificità nazionali, e di quella ebraica in particolare, non considerata una vera nazione perché priva di territorio. Il Bund si contrappone anche alla stessa borghesia ebraica che nulla fa per riscattare la collettività ebraica, praticando invece una politica della mediazione che non la pone apertamente in conflitto con la temuta autorità. Il Bund è invece determinato a rovesciare quel mondo e così riconquistare la dignità degli ebrei: quanto più questi terranno la bocca chiusa, quanto più chineranno la testa, tanto maggiore sarà l’oppressione che graverà su di loro. Solo dalle classi oppresse di un popolo oppresso, ritiene il Bund, può nascere la forza del riscatto. I rivoluzionari perseguono con tenacia i loro obiettivi, anche con la lotta armata contro l’autarchia e i pogrom che colpiscono le comunità ebraiche, e portano avanti con coraggio, nell’incomprensione delle grandi correnti di pensiero del tempo, la loro battaglia esistenziale. Se in Russia il Bund è assorbito dalla corrente dei bolscevichi che rimangono, nonostante le posizioni divergenti, unici difensori degli ebrei nei pogrom e contro l’antisemitismo, in Polonia il Bund, divenuto assai radicato e importante, è annientato nella Shoah. Oggi che il mondo multiculturale ci pone di fronte a sfide simili, dove nazioni diverse si trovano a stretto contatto e si fanno portatrici, ciascuna a suo modo, di istanze sindacali, di classe e di caratteri culturali e nazionali, le risposte del Bund meritano di essere studiate e comprese e il libro di Massimo Pieri è un valido strumento per farlo. Le identità che, oggi come ieri, si confrontano, infatti, sono intrinsecamente non assimilabili, per ciascuna vale il grido rivoluzionario di battaglia del Bund: Doikeyt, noi siamo qui ora, non fuggiremo, non ci assimilerete, non ci annienterete, dovrete fare i conti con noi e con quello che siamo, qui e adesso. Fonte: Gherush92 – Comitato per i Diritti Umani SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Lotta di Classe

Numero unico delle associazioni operaie democratiche socialiste di Milano per le elezioni amministrative. Numero unico delle associazioni operaie democratiche socialiste di Milano per le elezioni amministrative. N. unico (18 giu. 1892). Milano, [s.n.], 1892 (Milano, tip. Bortolotti dei fratelli Rivara), 46 cm. Gerente resp.: Angelo Bottagisi. N. unico (18 giu. 1892). Milano, [s.n.], 1892 (Milano, tip. Bortolotti dei fratelli Rivara), 46 cm. Gerente resp.: Angelo Bottagisi. “[…] Critica sociale, nel suo numero del 16 giugno 1892 ne annunciò l’uscita per il giorno 18 dello stesso mese, e della cui avvenuta pubblicazione diede poi notizia nel numero del 1° luglio […] all’infuori del duplice annuncio della Critica sociale, nessun’altra testimonianza poté rinvenire dell’effettiva esistenza di questo numero unico. Di esso non trovasi traccia neppure nelle bibliografie della stampa operaia. […] esso presenta i candidati socialisti e annuncia per le ore 20,30 del 18 giugno una riunione elettorale alla sede del Consolato Operaio in via Crocifisso 15, ove i tredici candidati presenti avrebbero potuto rispondere a qualunque domanda di schiarimenti e di informazioni come pure a qualunque critica fosse stata loro mossa. Tuttavia l’importanza del foglio va al di là della semplice contingenza amministrativa. Esso è infatti chiaramente il preannuncio di quello che sarà di lì a poche settimane il foglio di battaglia preparato dal gruppo socialista milanese nella lotta contro gli altri gruppi (operaistico, anarchico) per la leadership del movimento operaio, e che, dopo il successo riportato al Congresso, diventerà l’organo ufficiale del partito fondato a Genova. Questa continuità risulta non soltanto da dati estrinseci, e cioè il titolo (che il settimanale riprenderà sopprimendo peraltro l’articolo “La”) e la persona del gerente Angelo Bottagisi, ma altresì dal contenuto del numero unico […]. better Il foglio milanese invece imposta una battaglia dichiaratamente politica: nell’appello ai lavoratori e agli amici dei lavoratori, con cui si apre il giornale, dopo aver detto “è il programma che vi presentiamo, non i candidati”, e dopo aver invitato alla riunione elettorale del 18 giugno, si dà semplicemente la lista dei candidati e si aggiungono queste parole: “Votate compatti questa lista: non cancellatevi alcun nome: affermate solennemente il principio della LOTTA DI CLASSE”. E tutto il contenuto del foglio è poi dedicato agli aspetti ideologici e politici della lotta di classe e della partecipazione elettorale socialista, ben sapendo i redattori che il solo fatto di scendere in lotta per una battaglia elettorale, per la conquista legale di una parte di potere, sia pure semplicemente in sede amministrativa, implicava una scelta ideologico-politica che aveva in quel periodo un particolare significato: sarà intorno a questo problema che si qualificheranno a Genova i fondatori del partito in polemica con gli anarchici […]” (L. Basso, Alle origini del Partito socialista italiano. Il numero unico «La lotta di classe» (18 giugno 1892), «Rivista storica del socialismo», mag.-ago. 1960, n. 10, pp. 471-477). Fonte: Fondazione Lelio Basso Fonte:     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Critica Sociale

Critica Sociale è un periodico politico italiano di ispirazione socialista. “Critica Sociale” venne ufficialmente fondata a Milano il 15 gennaio 1891 da Filippo Turati. Tra il 1891 ed il 1898, la rivista fu testimone della presenza politica e dell’autonomia del socialismo italiano e nelle sue pagine diventò l’interprete del periodo dell’intransigenza del partito che si stava fondando. Nacque in questo periodo la polemica contro gli anarchici e gli operaisti e nello stesso tempo iniziò l’opera di promozione dell’autonomia nei confronti della Sinistra borghese, repubblicana e radicale. Il 1º gennaio 1893 “Critica Sociale”, che aveva pienamente accettato il programma del Partito dei Lavoratori Italiani approvato nell’agosto del 1892 al Congresso di Genova, cambiò il sottotitolo della testata Rivista di studi sociali, politici e letterari in Rivista quindicinale del socialismo scientifico ed iniziò ad affrontare tutti i gravi problemi pubblici degli anni Novanta (scandali bancari, repressione dei fasci siciliani, guerra di Abissinia, moti popolari per il pane) con articoli di forte denuncia. In occasione dei Moti di Milano, il 1º maggio 1898 la rivista venne sequestrata e quindi interrotta a causa della condanna del suo direttore. Terminò così la prima fase della rivista, quella senza dubbio più animata e ricca di prospettive. Le uscite ripresero dopo più di un anno, il 1º luglio 1899. Dal 1901 al 1921 Dal 1901 al 1921 La nuova fase per la “Critica sociale” si aprì nel 1901, in corrispondenza del periodo giolittiano. In questa fase la rivista diventò l’espressione della tendenza riformista all’interno del partito socialista[1]. Vi trovarono ospitalità autori come Luigi Einaudi, Friedrich Engels, Gabriele Rosa, Corso Bovio, Giovanni Montemartini, Claudio Treves, Leonida Bissolati, Carlo Rosselli, Alessandro Levi, Giacomo Matteotti e molti altri artefici del pensiero socialista e dell’azione riformista[2] che diede unità sociale alla nuova unità politica della govane nazione italiana. Tra il 1902 ed il 1913 la rivista affrontò i problemi della scuola, discutendo il ruolo degli insegnanti, la loro organizzazione, l’edilizia scolastica, l’igiene e la refezione scolastica e non mancò di contestare il bilancio del ministero della guerra che – sottolineò – doveva essere ridotto a vantaggio dei bisogni della scuola. Critica Sociale adottò, nel discutere di letteratura, una metodologia critica positivista e marxista e, convinta dell’efficacia del libro, dell’istruzione e delle biblioteche, offrì ai lettori, indifferentemente, i versi sociologici di Pietro Gori accanto alle poesie di Ada Negri e alle pagine di narrativa di Italo Svevo. Anche se non sempre attenta a cogliere i fenomeni ideologici-letterari dell’epoca, “Critica Sociale” cercò di informare i suoi lettori sulle nuove tendenze, dando giudizi e valutazioni filtrate attraverso la mentalità socialista. Le tendenze superomistiche nietzschiane e dannunziane vennero poco o nulla accettate da “Critica Sociale”, convinta che gli intellettuali dovessero aprirsi e promuovere nuove forme di cultura moderna, ma intonate alla realtà e alle esigenze della vita sociale. Quando l’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale venne deciso nel maggio 1915 “Critica sociale” non smise il suo neutralismo né le proprie ragioni riformiste e allo scoppio della rivoluzione bolscevica nell’ottobre del 1917, pur non negando la legittimità del metodo rivoluzionario dei bolscevichi, contestò la possibilità della sua applicazione in Italia. Il conflitto tra le due principali tendenze socialiste si accentuò e diventò insanabile. Al Congresso di Livorno nel gennaio del 1921, la corrente maggiormente filo-rivoluzionaria, di cui Amadeo Bordiga era il rappresentante più autorevole, uscì dal partito e fondò il Partito Comunista d’Italia del quale egli diventò il primo segretario. Dal 1922 alla soppressione click for more info Dal 1922 alla soppressione Dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922) e la presa del potere dei fascisti, “Critica Sociale” venne sottoposta a censure e sequestri e con lealtà, ma priva di strategie, difese con coraggio l’ordine democratico travolto dal regime. Gli ultimi articoli militanti uscirono all’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924). Al termine dell’anno 1925 “Critica Sociale” si rifugiò sul terreno culturale-ideologico, ma viene comunque soppressa con la legge fascista che vietava la stampa d’opposizione. L’ultimo fascicolo, il n. 18-19, riporta la data 16 settembre – 15 ottobre 1926. Un mese dopo i partiti d’opposizione furono sciolti. Il secondo dopoguerra Il secondo dopoguerra “Critica Sociale” riprese le pubblicazioni nel 1945 con l’autorizzazione del comando alleato in Italia firmato l’11 agosto. La dirigevano Antonio Greppi, il futuro primo sindaco di Milano dopo la Liberazione, e Ugo Guido Mondolfo, che la “ereditò” direttamente da Filippo Turati a Parigi (dove uscì un unico numero per impedire che alcuni esponenti vicini al PCI si impossessassero della testata). In questo periodo vi collaborava Giuseppe Pera, dietro lo pseudonimo di Arturo Andrei. Non era una rivista di partito, anche se al primo congresso del PSI dopo la Liberazione (aprile del 1946 a Firenze) “Critica Sociale” presentò una mozione contro la fusione tra comunisti e socialisti. Appoggiando Giuseppe Saragat con un apporto del 14 per cento circa di voti congressuali, diede un contributo che permise a Saragat di vincere il congresso e di proporre un più blando “patto di unità d’azione” tra PSI e PCI. Il patto durerà solo un anno: nel 1947 a Palazzo Barberini, Saragat romperà contestando il Fronte popolare che si stava organizzando per le elezioni politiche del 1948. Da allora la rivista fece sempre riferimento a Giuseppe Faravelli e, poi, a Beonio Brocchieri della sinistra del PSDI di Saragat, scontando un certo isolamento politico che porterà alla crisi della casa editrice durante gli anni ’70. Fu Bettino Craxi, appena eletto segretario del PSI nel 1976, a voler raccogliere le azioni della casa editrice di “Critica Sociale” per impedirne la scomparsa. Da allora la rivista sostenne sempre la linea cosiddetta “autonomista” del nuovo leader socialista, impegnandosi in modo particolare sul terreno della solidarietà ai gruppi del dissenso anti-sovietico nei paesi dell’Est europeo, pubblicando in cirillico e in inglese il periodico LISZY di Jiri Pelikan, attivo organizzatore di collegamenti tra dissidenti dopo la Primavera di Praga, periodico redatto e stampato a Milano presso la “Critica Sociale” negli anni ’70. La direzione di Ugoberto Alfassio Grimaldi (1974-81) dette alla rivista un notevole rilancio, caratterizzandola anche con una maggiore apertura …

L’Asino

L’Asino fu una rivista di satira politica che nacque a Roma il 27 novembre 1892, l’anno del primo ministero Giolitti e della costituzione del Partito Socialista Italiano. La rivista fu ideata da Guido Podrecca, uno studente universitario carducciano, positivista e socialista, e da Gabriele Galantara, ex studente di matematica, disegnatore e pupazzettista geniale, anch’egli socialista. I due assunsero gli pseudonimi di “Goliardo” (Podrecca) e di “Rata Langa” (Galantara), e con questi soprannomi firmarono le uscite del settimanale. Il nome e la scelta socialista Gabriele Galantara, locandina de L’Asino del 1892 Il nome e la scelta socialista Il nome e la scelta socialista Nella scelta del titolo per il loro settimanale politico-satirico i due giovani si rifecero al motto di Francesco Domenico Guerrazzi “come il popolo è l’asino: utile, paziente e… bastonato”.[1][2][3] Nella prima fase della rivista, che va dal 1892 al 1901 venne portato avanti un programma di difesa e rivendicazione degli sfruttati e delle posizioni socialiste più aperte, (che costerà a Galantara l’arresto): le vignette[4] del giornale si scagliavano contro Giolitti, contro gli scandali politici di quegli anni, la corruzione, le brutalità poliziesche. Il giornale arrivò a conquistarsi un grosso numero di lettori, e una tiratura molto elevata. L’anticlericalismo Gabriele Galantara, “La scuola clericale”, cartolina di propaganda della rivista satirica L’Asino del 1906. L’anticlericalismo L’anticlericalismo A cominciare dal 1901 le cose cambiarono. Gabriele Galantara, “Il povero Cristo moderno”, copertina de L’Asino del 15 aprile 1906. I cattolici si stavano organizzando per preparare il loro ingresso nella vita politica del paese. Gabriele Galantara, “Quando la gente è incontentabile”, vignetta per L’Asino del 4 febbraio 1906. I redattori dell’Asino intrapresero così la strada della controffensiva contro il clero e il Vaticano. Nelle vignette venivano descritte la corruzione della Chiesa, l’atteggiamento aggressivo e superstizioso dei preti; il loro successo fra la popolazione portò ad un aumento ulteriore della tiratura. Tuttavia, a causa delle campagne anticlericali, la rivista venne frequentemente sequestrata per “oltraggio al pudore”. La posizione interventista nella Grande Guerra Gabriele Galantara, “Domani a conti fatti – Pantalone: Valeva proprio la pena?”, vignetta per L’Asino sulla guerra di Libia, 1911. La posizione interventista nella Grande Guerra La posizione interventista nella Grande Guerra Nel 1911 la guerra italo-turca fu la causa di un grave dissidio con Podrecca, che nel 1909 era stato eletto deputato nelle liste del PSI e si era schierato a favore dell’impresa coloniale, mentre Galantara espresse posizioni anticolonialiste. Il giornale riuscì a dare spazio a entrambe le posizioni, ma senza dubbio le grandi vignette a colori contro la guerra risultavano più efficaci degli articoli di Podrecca, che nel 1912 venne espulso dal Partito Socialista Italiano, assieme al fondatore dell’Avanti! Leonida Bissolati e ad Ivanoe Bonomi. Gabriele Galantara, “Il grido di … domani: Abbasso la guerra!”, copertina de L’Asino del 9 agosto 1914, basata sul concetto: “questa è l’ultima guerra”. Nonostante l’intento della vignetta fosse pro-intervento, essa è divenuta nel tempo un’immagine pacifista ed antimilitarista. I contrasti tra i due furono in parte superati quando, alla vigilia della prima guerra mondiale, entrambi si ritrovarono d’accordo sulla linea interventista espressa da Bissolati. Il cambiamento di rotta di Galantara trovava una spiegazione nella simpatia che egli nutriva per la Francia democratica e nell’avversione nei confronti degli Imperi centrali, e in particolare dell’Austria, considerati i baluardi della reazione e del clericalismo. E perciò, pur avendo rotto con il Partito socialista, Galantara continuò a rivendicare la propria coerenza con i principî socialisti. Gabriele Galantara, copertina antiaustriaca de L’Asino del 6 giugno 1915. Diede il suo apporto alla causa interventista e alla propaganda di guerra con le caricature, divenute famose, di “Guglielmone” e di “Cecco Beppe” e predicando l’ostilità verso la “barbarie teutonica”. Le sue vignette vennero ripubblicate su altri giornali dei paesi dell’Intesa e furono esposte nel luglio 1916 alle “Leicester Galleries” di Londra, mentre altre vignette apparvero sul periodico parigino «L’Europe antiprussienne» e sul giornale di trincea «Signor sì». Per le posizioni assunte nei confronti dell’intervento e – poi – degli eventi rivoluzionari russi del 1917 (Lenin e i bolscevichi venivano rappresentati come agenti tedeschi), «L’Asino» si alienò ulteriormente le simpatie delle masse socialiste e perse consenso tra i suoi lettori. La rottura tra Galantara e Podrecca e la persecuzione fascista Gabriele Galantara, “Un incontro”, da L’Asino del 20 agosto 1923. trusted La rottura tra Galantara e Podrecca e la persecuzione fascista La rottura tra Galantara e Podrecca e la persecuzione fascista Nel numero del 25-31 gennaio 1921, L’Asino ritornò alle stampe sotto la direzione del solo Galantara (nel frattempo 1918 – 1920, Podrecca era diventato fascista), con l’editoriale “Ritorno”, nel quale Galantara fece un consuntivo e un’autocritica del suo operato precedente. Gabriele Galantara, “LUI”, caricatura di Mussolini, “L’Asino”, 1924. L’Asino, a questo punto, aderì alla corrente massimalista del Partito Socialista e si schierò con la stampa di opposizione al regime. Diventò così un “Asino” antifascista, chiaramente contrario alla dittatura di Mussolini: il periodico sarà costretto a sospendere le pubblicazioni nella primavera del 1925, dopo una lunga serie di minacce, persecuzioni e di interventi delle squadracce fasciste in redazione. Galantara verrà nuovamente incarcerato, in un clima di repressione molto più duro rispetto a quello della fine dell’Ottocento. Dopo la sua scarcerazione collaborò in forma anonima ad altre riviste di satira politica, come il Becco giallo e Marc’Aurelio. Fonte: Wikipedia Fonte [cycloneslider id=”lasino”] SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VOLPEDO 10 “Documento conclusivo”

La sinistra in tutte le sue accezioni corre concretamente il rischio di essere esclusa dal Parlamento nazionale nelle elezioni 2018, confermando a distanza di 10 anni il tragico risultato del 2008, con il fallimento della Sinistra Arcobaleno. Un’esclusione dalla rappresentanza parlamentare confermata dalle elezioni europee del 2009 e alla quale è sfuggita per il rotto della cuffia nelle europee del 2014. Tra i motivi vi sono la formazione del PD e l’introduzione di meccanismi quali le soglie di accesso e i premi di maggioranza, che hanno alterato una equa rappresentanza proporzionale delle forze politiche; ma tali fatti sono al più concause. Una rappresentanza consistente delle varie anime della sinistra, compresa la variante rosso-verde, è assicurata in Parlamento in tutta Europa, anche se esistono – soglie di accesso più elevate (Germania 5%), – soglie implicite derivanti dalla dimensione dei collegi (Spagna) – o addirittura sistemi elettorali maggioritari (Francia). Sono sorti o si sono stabilizzati nuovi soggetti politici a sinistra in Grecia, Francia, Germania e Spagna ovvero sono in forte ripresa partiti tradizionali come il Labour in Gran Bretagna. In Italia l’unica nuova consistente aggregazione politica elettorale è stata rappresentata dal M5S, che, anche per sua scelta, non può far parte di una aggregazione di governo alternativa. Soltanto grazie alla crisi e alle sconfitte del PD, in particolare al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 si sono creati i presupposti per una nuova dinamica a sinistra; allo stato come possibilità e speranza, senza un’unica e consolidata direzione e di incerto sbocco. La sinistra ha, a differenza della legislatura 2008-2013, una consistenza parlamentare con 60 deputati e 25 senatori, ma è frutto dell’incostituzionale premio di maggioranza di cui hanno beneficiato come componenti della coalizione “Italia Bene Comune”. Quale sia l’effettiva percentuale di consenso si potrà conoscere solo quando, e finalmente, si voterà con un sistema proporzionale, dopo l’ubriacatura della “governabilità ad ogni costo“, artificialmente ottenuta con premi di maggioranza eccessivi, tanto da meritare ben 2 annullamenti della Corte Costituzionale con le storiche sentenze n. 1/2014 e 35/2017. Per queste sentenze i socialisti del Gruppo di Volpedo ringraziano gli avvocati democratici e di alta sensibilità costituzionale, che hanno proposto i ricorsi. La sinistra deve però ritrovare un radicamento politico-sociale venuto meno negli anni proprio perché non ha mai indicato una chiara proposta di cambiamento della società e di alternativa ai rapporti di forza politici, economici e sociali che si sono consolidati con il liberismo. Negli anni sono stati penalizzati i lavoratori e le classi popolari, ma anche la classe media, le professioni indipendenti, l’artigianato e la piccola imprenditoria, anche quella innovativa, a favore dei gruppi di potere finanziario, delle multinazionali oligopoliste, delle corporazioni burocratiche e dell’intreccio tra evasione fiscale, criminalità organizzata, corruzione e malamministrazione. Prima di discutere di candidature e di leadership si debbono affrontare i nodi di fondo, a cominciare da una legge elettorale e da un PROGETTO POLITICO E SOCIALE di lungo respiro, sia per ricostituire una presenza nel futuro parlamento nazionale, quanto per le elezioni regionali, ben 20 da ora al 2020 e per le europee del 2019. Un progetto di tale portata non si costruisce su un pletorico programma per quanto condiviso, ma su un progetto di rinnovamento politico-sociale, per un progresso economico che riduca le diseguaglianze sociali e territoriali, per salvaguardare l’ambiente ed il territorio, con interventi pubblici programmati e non dettati da una sola logica di profitto speculativo. Un tale Progetto NON può però essere assunto da una SINISTRA GENERICA, di pura protesta o testimonianza, ma – secondo il Gruppo di Volpedo – da una formazione politica unitaria e di chiara ispirazione SOCIALISTA. SOCIALISTA Volpedo, Piazza Quarto Stato 17 settembre 2017 Volpedo, Piazza Quarto Stato have a peek at this site SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“Rosatellum 2.0? Il solito SKIFELLUM 3.0”

DICHIARAZIONE DI FELICE BESOSTRI “ Mi scuso per un giudizio così tranchant senza sfumature- ha dichiarato l’avv. Felice Besostri coordinatore degli avvocati ANTITALIKUM, che hanno affondato la legge n. 52/2015-, ma come insegna la Bibbia, il libro per eccellenza della tradizione giudeo-cristiana, “ Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo “ (Ecclesiaste 3.1) e questo è il momento di dire BASTA! alle manomissioni della Costituzione per via surrettizia attraverso la terza legge elettorale incostituzionale, La seconda partorita da un Parlamento eletto con una legge INCOSTITUZIONALE, il Porcellum (Skifellum 1.0) dopo l’Italikum (Skifellum 2.0): una coazione a ripetere alla ricerca di una legittimazione a posteriori malgrado la pesante sconfitta al referendum costituzionale del 4 DICEMBRE dello scorso anno. Le leggi elettorali sono complicate e la maggioranza eterogenea conta sull’assuefazione e stanchezza della pubblica opinione. Eppure la questione è semplice l’Italia è una Repubblica democratica, nella quale la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1 Cost.). La forma è quella Parlamentare e perciò di assemblee rappresentative elette con voto universale e diretto (artt. 56 e 58 Cost.), dai cittadini e dalle cittadine con voto personale, uguale, libero e segreto (art. 48.2 Cost.). Non solo i cittadini e le cittadine hanno il diritto di scegliere i loro rappresentanti, ma tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art. 51.1 Cost.). Nella nuova proposta non è così; due terzi dei parlamentari, deputati e senatori, sono nominati da capi-partito e considerati i collegi uninominali sicuri potrebbero essere il 90% del totale. I partiti non sono libere associazioni di cittadini, come richiede l’art. 49 Cost., ma macchine di potere costituiti da tribù nel migliore dei casi, quando non dipendono da un capo o da un padrone, unico detentore del potere di nomina dei candidati anche in violazione dei propri statuti. Dovrebbero avere un potere di proposta non di nomina. Il voto non è personale né diretto, perché si vota in blocco per candidati uninominali e per liste bloccate, con possibilità di pluricandidature.  Un rifiuto in blocco delle candidature non partecipando al voto non avrebbe nessun effetto, mentre nelle democrazie popolari, che molto democratiche non erano, se non partecipava al voto la metà degli elettori si dovevano ripetere. Un ultima chicca non si possono formare nuovi soggetti politici di protesta, perché devono raccogliere decine di migliaia di firme, mentre i gruppi politici presenti in parlamento anche quelli che non si sono presentati alle elezioni del 2013 non devono nemmeno fare la fatica di raccogliere le firme. Il Presidente del Senato ha giustamente chiesto, con la sensibilità tipica dell’uomo di legge e seconda carica dello Stato, leggi elettorali omogenee e costituzionali- ha concluso l’avv. Besostri: “è stato accontentato con una legge omogeneamente incostituzionale”. “Non credo che sarà possibile dirlo e dimostrarlo neppure nella televisione pubblica” è l’amaro commento finale. Monica Pepe 340 807 1544 Felice Besostri 335 294 617 – 393 922 9493 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

BESOSTRI ANTITALIKUM: “IL ROSATELLUM E’ L’ENNESIMA LEGGE ELETTORALE DI NOMINATI”

LA SCELTA DEI RAPPRESENTANTI NON E’ UN SUPERMERCATO.  NON RAPPRESENTANO LA NAZIONE: HANNO IL VINCOLO DI MANDATO Comunicato stampa Roma, 23 settembre 2017 “La nuova proposta di Legge elettorale cosiddetta Rosatellum nega i principi di sovranità popolare dettati dalla nostra Costituzione perché i due terzi dei parlamentari, deputati e senatori, sono nominati da capi partito, e dal momento che parliamo di collegi uninominali sicuri potrebbero arrivare al 90% del totale degli eletti”. A dirlo è l’Avv. Felice Besostri, Coordinatore degli Avv. Antitalikum. Prosegue “Il voto non è libero, perché non posso scegliere il candidato da eleggere e non è neppure diretto perché votando per il candidato o per la lista indirettamente scelgo anche l’altro candidato che non gradisco”.  Sottolinea Besostri che è la combinazione tra voto congiunto e liste bloccate che porta questa legge fuori d’alveo costituzionale e che i partiti dovrebbero avere un potere di proposta non di nomina.  “La scelta di rappresentanti non è un supermercato dove scegli uno e te ne regalano altri, da 3 a 6 come se ci fossero i saldi e valessero poco – incalza Besostri. “Così infatti quei candidati non rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato, come chiede l’art. 67 Cost., ma chi li ha nominati. In questa situazione non potranno adempiere alle loro funzione pubblica con onore, come chiede l’art. 54.2 della Costituzione”.  Besostri richiama poi le parole di Grasso “Il Presidente del Senato ha giustamente chiesto, in qualità di seconda carica dello Stato, leggi elettorali omogenee e costituzionali ed è stato accontentato con una legge omogeneamente incostituzionale”.  “Le leggi elettorali sono complicate ma sono la stella polare della democrazia di un paese e la cinghia di trasmissione della rappresentanza – conclude Besostri – Al contrario sui temi della legge elettorale da anni i partiti insistono nel generare confusione nella pubblica opinione con proposte che tendono ad utilizzare il voto dei cittadini per auto-nominarsi, piuttosto che preoccuparsi di garantire la dovuta rappresentatività per la formazione di Governi, espressione reale del popolo sovrano e dei suoi interessi”. Per informazioni alla Stampa Monica Pepe cell. 340 8071544 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Il Di Pietro pentito

“C’è sempre uno più puro che ti epura”, diceva Nenni, rivolto probabilmente verso quei moralisti faciloni e manichei che dividono il mondo in buoni e cattivi. I buoni, ovviamente, sono loro. Il resto, tutti all’inferno. Con possibilità, al massimo, di scegliersi il girone dantesco in cui acquartierarsi. Poi però la coperta si rivela spesso corta. I proclami di purezza assumono il tono di starnazzamenti gridati alla luna. E il “tutto” che doveva cambiare, rimane, se va bene, uguale a prima. Se va male, peggiora, e di molto. Voglio pensare che dietro le parole pronunciate da Di Pietro durante la trasmissione L’aria che Tira, su La7 ci sia la lettura meditata di Nenni. Già: perché quello che fu prima il volto più noto della vicenda di Mani Pulite, e poi il capo indiscusso e incontrastato di un partito che ne doveva rappresentare la longa manus politica, ha testualmente affermato: “Bisogna prendere atto di una verità sacrosanta, di cui sono parte interessata […] Se si cerca il consenso con la paura si possono ottenere voti a tre giorni, a un’elezione, ma poi si va a casa. Io ne sono testimone, io che ho fatto una politica sulla paura e ne ho pagato le conseguenze […] Io porto con me una conseguenza: ho fatto l’inchiesta Mani pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la prima Repubblica. Il male, e ce n’era tanto con la corruzione: ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali. I Di Pietro, i Bossi, i Berlusconi, sono partiti che durano quanto una persona: e io personalmente, prima di mettere gli occhi al cielo, vorrei rendermi conto che non basta una persona”. Da questa assunzione di responsabilità bisogna tenere ben distinti i due aspetti che hanno caratterizzato la vicenda personale di Di Pietro: quello giudiziario e quello politico. Su quello giudiziario, l’ex pubblico ministero non dice nulla di particolare, se non rilevare sia il dato della corruzione esistente all’epoca di Mani Pulite, sia la fine dei grandi partiti tradizionali con le loro idee e ideologie. E questa è storia. E’ sulla vicenda politica che invece c’è una piena assunzione di responsabilità. Con una chiara auto-stigmatizzazione del modo in cui si è cercato il consenso elettorale: con la paura, appunto. Il cui potenziale di infiammabilità è stato usato per fare terra bruciata nell’agone politico. Ma, così come la laicità di un paese non si misura con la mancanza o meno di volontà di una religione di permearne le istituzioni, ma attraverso l’impermeabilità e la capacità di queste ultime di resistere ad ogni tentativo di penetrazione della morale religiosa nelle leggi, l’opera di Di Pietro non ha avuto buon gioco solo per sue incapacità: anche per la “mollezza” dei corpi intermedi rimasti in piedi in quel momento in Italia. Cosa faceva la stampa in quel periodo, viene da chiedersi. Basta andare a rivedere le prime pagine di tutti i principali quotidiani dell’epoca per rendersene conto. Giocavano al tiro al piccione, mentre intorno ci si inebriava di furore iconoclasta con il quale si vaporizzavano tanti corpi sociali, perdendone irrimediabilmente la fiducia. check that Quando Di Pietro, in modo teatrale, si tolse la toga e si tuffò in politica, trovò Berlusconi pronto ad offrirgli un ministero, in caso di vittoria alle elezioni politiche. Avergli messo a disposizione le sue televisioni, evidentemente, era poco. Qualche anno dopo, però, l’ex Pm una casa sicura la trovò nel collegio blindato del Mugello, gentilmente messogli a disposizione da Massimo D’Alema. E per non essergli da meno, il suo storico rivale per la leadership, Veltroni, fresco segretario del neonato Pd, designò Di Pietro come unico alleato di coalizione nelle elezioni del 2008 (con tutti i benefici che ne derivavano grazie alla legge elettorale), lasciando per strada i socialisti di Boselli. Senza dimenticare, ovviamente, gli anni in cui Di Pietro ebbe un ministero tutto suo. Come si vede, il “fenomeno Di Pietro”, con il suo modo di fare politica attraverso l’uso della paura (che porta all’odio), ha trovato consensi e aperture dappertutto, ma particolarmente a sinistra. Arrivando al suo capolinea per “naturale” consunzione, e non per vera sconfitta politica. Sposando Di Pietro la sinistra ha smarrito il garantismo come parte fondante della sua natura: arrivando a far proprie parole e slogan di destra, tra cui spiccano “legge e ordine”. Se l’ex Pm può essere annoverato tra gli “imprenditori della paura”, è certo che ha avuto tanti buoni acquirenti, con il “Pacchetti Sicurezza” come prodotto per tutte le stagioni: mentre nella prima Repubblica si aveva il coraggio di varare la legge sulla dissociazione dal terrorismo in anni ancora vicini a quel fenomeno tremendo. Oggi sarebbe possibile, con le sbornie securitarie nazionali vecchie e nuove? Qualcuno ricorda, per caso, il fuoco di sbarramento contro il deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia, al quale fu impedito di divenire segretario d’aula a Montecitorio? La deriva a destra di Di Pietro era scritta anche nel nome del suo partito: Italia dei Valori. Quali valori? Valori solo suoi? Di certo valori buoni a sparare contro l’indulto, o per bocciare la commissione di indagine sui misfatti della polizia a Genova, durante il G8. La sinistra deve riappropriarsi del garantismo come valore e bussola politica. Questo è uno dei modi migliori per battere l’antipolitica dominante, che pare tenda più a leggere la “Psicologia delle Folle” di Le Bon che alla risoluzione dei problemi reali del paese, partendo da una veritiera rappresentazione dei fatti. Solo così Di Pietro, che ha giocato su una rappresentazione falsa e manichea del nostro paese, sarà un (degenere) fenomeno passeggero, e non un seme messo a coltura nella sinistra italiana. Raffaele Tedesco Raffaele Tedesco Fonte: Mondoperaio Fonte: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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BUON COMPLEANNO PRESIDENTE! Sandro Pertini. Strenuo difensore dei diritti civili e della Costituzione

Passato alla storia come il Presidente più amato dagli italiani. Un uomo che si trovò ad affrontare i sanguinosi colpi di coda del terrorismo, lo scandalo della Loggia massonica P2, l’attentato alla stazione di Bologna, il terremoto in Irpinia. Combattente della Grande Guerra, medaglia d’argento al valor militare, socialista, partigiano, e membro della Costituente, presidente della Camera e figura capace di reinterpretare il ruolo del Capo dello Stato, Sandro Pertini è stato tutto questo, ma anche tanto altro. Pertini è stato soprattutto l’uomo che ha riavvicinato il Paese alle istituzioni in un momento di grande crisi istituzionale. Il suo primo discorso fu già un manifesto della sua presidenza: “Svuotate gli arsenali e riempite i granai”: quel discorso racchiude la sintesi del suo fascino. Questo era un linguaggio inusuale con il sapore immaginifico, come quando dice: la nostra Repubblica giusta e incorrotta, forte e appassionata. Tra le sue celebri frasi: Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame. Ho vissuto a Milano una esperienza che mi ha confermato nell’idea che il nostro popolo è capace delle più grandi cose quando lo anima il soffio della libertà e del socialismo. “Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.” Il ricordo di Pertini è sempre vivo nella memoria degli italiani. Il suo esempio di lotta per la libertà e la democrazia deve essere trasmesso ai giovani, che non hanno ben chiaro che cosa stia succedendo oggi in Italia.  Questo momento storico lo avrebbe vissuto male e ci avrebbe indotto a reagire agli attacchi perpetrati verso i principi cardini della democrazia. C’è un continuo alimentare di confusione e si sono persi gli ideali per i quali lui ha combattuto e mancano importanti punti di riferimento politici. Al centro del pensiero e dell’impegno di Pertini c’è un’idea forte e irrinunciabile di eguaglianza che ha come sua conseguenza la negazione di ogni privilegio e consorteria. Il Presidente più amato dagli italiani, simbolo per tutti di una nazione possibile e sognata, voleva che l’Italia divenisse una «Repubblica declinata al plurale», dove a prevalere fossero il dialogo sul sopruso, la condivisione sull’egoismo, il bene comune sull’interesse privato. Pertini rappresenta un mondo politico e sociale che non c’è più e al quale tutti guardiamo con nostalgia, auspicandone il ritorno! “Ma dovete credermi, e ve lo dico senza iattanza, senza presunzione, se vi dico che noi, con il nostro passato, con la nostra vita, sacrificando anche la nostra giovinezza, abbiamo lavorato anche per voi… perché voi possiate essere, come io voglio che siate, sempre degli uomini liberi, degli uomini liberi in piedi, padroni dei vostri pensieri, dei vostri sentimenti, non dei servitori in ginocchio.” – Sandro Pertini V.L.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it