L’Avvenire del Lavoratore ha tagliato il traguardo dei 120 anni

120 anni dalla parte dei lavoratori, dei migranti e dei diritti dell’uomo: una vecchia bandiera rossa che continua a sventolare sfidando il tempo e l’arroganza del potere. Questa testata nasce a fine Ottocento, in seguito ai vari “pogrom” anti-italiani che stavano avvenendo in quegli tempi nelle varie città europee e che si ripeterono, da ultimo, a Zurigo nel 1896. «Il 26.7.1896 nel quartiere operaio di Aussersihl a Zurigo scoppiarono dei tumulti, protrattisi per diversi giorni, a seguito di una rissa in cui un Alsaziano era morto accoltellato da un muratore. Come già avvenuto durante la rivolta del Käfigturm a Berna nel 1893, la collera popolare si scatenò dapprima contro gli Italiani per poi rivolgersi, dopo l’intervento della polizia e dell’esercito, anche contro le autorità», così si legge nel Dizionario storico della Svizzera. «La sommossa fu una protesta spontanea delle classi popolari, priva di rivendicazioni concrete, e può essere considerata l’espressione di una crisi legata alla modernizzazione», prosegue il Dizionario, concludendo che: «Gli immigrati italiani, perlopiù lavoratori stagionali impiegati nell’edilizia, divennero il capro espiatorio del profondo disagio causato dai rivolgimenti economici e sociali dell’epoca.» Nelle analisi politiche dei nostri antichi predecessori, però, la ragione di quei pogrom anti-italiani risiedeva “materialisticamente” nella concorrenza salariale dei nostri migranti verso i lavoratori autoctoni. Da ciò conseguiva, per il PSI in Svizzera e in modo particolare per Giacinto Menotti Serrati allora alla guida del partito in emigrazione, la necessità di rafforzare massimamente il sindacato locale, anche tra i connazionali. E fu così che il PSI in Svizzera – insieme all’Unione sindacale e alla Federazione Muraria – fondò questo giornale come organo di stampa comune, che iniziò le pubblicazioni nel settembre del 1897, un anno e un mese dopo i “Tumulti antiitaliani” di Zurigo. Nel corso del tempo questa testata ha cambiato dicitura due volte. All’atto di nascita si chiamava “Il Socialista”, come ricorda Claude Cantini nel suo Quaderno sulla stampa italiana in Svizzera. Con il 1° luglio 1899 muterà in “L’Avvenire del lavoratore” (al singolare) per poi essere lievemente ritoccata al plurale in “L’Avvenire dei lavoratori” da Ignazio Silone nel 1944. Dopo la “prima fase”, dedicata alla fondazione del sindacato in lingua italiana, la linea editoriale dell’ADL si sposta verso tematiche sempre più politiche. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, viene abbracciata decisamente la causa pacifista, sotto la direzione di Angelica Balabanoff, segretaria generale del movimento di Zimmerwald. In questa “seconda fase”, l’originario entusiasmo per la rivoluzione russa si raffredda gradualmente, fino a spegnersi e a invertire la rotta in senso anti-sovietico dopo la rivolta di Kronstadt e il rientro della Balabanoff in Occidente nel 1922. Nel biennio 1921-1922, dalla Scissione di Livorno alla Marcia su Roma, lo stato liberale italiano subisce intanto un vero e proprio collasso. Inizia la “terza fase” dell’attività editoriale dell’ADL, che deve assumere su di sé i compiti legati al proprio nuovo status: l’essere rimasta l’unica testata libera della politica italiana. Gli altri giornali di partito vengono soppressi con l’avvento del fascismo-regime, don Luigi Sturzo viene esiliato a Londra con avvallo papale, la stampa collegata al Pci è assoggettata alle tiranniche direttive staliniane. Nella seconda metà degli anni Venti viene stampato a Zurigo l’Avanti! parigino in coedizione con l’ADL e con il determinante sostegno economico del movimento cooperativo italiano in Svizzera. Ma nell’estate del 1940 le armate hitleriane occupano Parigi e il “Centro estero” socialista deve riparare nella Francia sud-occidentale, a Tolosa. Di lì, nel 1941, il “Centro Estero” è trasferito in Svizzera, a Zurigo, sotto la guida di Ignazio Silone. In questa “quarta fase” Silone avvia un importante tentativo di rinnovamento del socialismo italiano – di concerto con Eugenio Colorni che da Roma conduce le attività del “Centro Interno” e dirige l’Avanti! clandestino. Come scrive Ariane Landuyt, questo tentativo s’impernia sull’idea degli “Stati Uniti d’Europa” in prospettiva strategica filo-occidentale e antisovietica. Colorni però cade in uno scontro a fuoco con le milizie fasciste e, all’indomani della Liberazione, la linea siloniana verrà sconfitta dal neo-frontismo di Nenni e Togliatti, ma quel tentativo di rinnovamento riemerge oggi, attualissimo, nella sua straordinaria capacità anticipatrice. Dopo il rientro in Italia dei fuoriusciti, la “quinta fase” – quella del secondo Dopoguerra – è caratterizzata da personalità del mondo po­litico e giornalistico svizzero che, come Ezio Canonica e Dario Rob­biani, si impegnarono fortemente a contrastare la xenofobia anti-stra­nieri esplosa in questo Paese con grande virulenza a partire dalla lunga ondata migratoria proveniente soprattutto dal Mezzogiorno d’Italia. La “sesta fase”, quella in cui ci troviamo, è stata inaugurata dalla caduta del Muro di Berlino, dal crollo dell’Urss, dalla fine della “guerra fredda” e dalla crisi della “Prima Repubblica”, che ha portato anche alla fine del PSI in Italia (ma non del “Centro Estero”). Noi non disconosciamo il desiderio di mora­liz­zazione che aveva mosso l’opinione pubblica all’epoca di “Mani pulite”, ma giudichiamo altamente pericolose per la democrazia nel nostro Paese le spinte demagogiche sviluppatesi insieme al cosiddetto “circolo mediatico-giudiziario” fin dal 1992. Purtroppo, venticinque anni di cosiddetto “nuovo che avanza” mostrano risultati ormai evidenti a tutti. La lunghissima crisi economica ha provocato nuovi apici di disoccupazione giovanile e nuovi flussi migratori. È nato e si è diffuso un sentimento xenofobo, antipolitico e anti-europeo che si assomma azzardosamente alla crisi degli stati nazionali e allo scarso senso civico degli Italiani. La confusione, l’improvvisazione e l’approssimazione con cui pezzi d’establishment della “seconda Repubblica” hanno tentato revisioni costituzionali e riforme elettorali a proprio uso, stanno mettendo ulteriormente alla prova la tenuta delle istituzioni. A fronte dei problemi sul tappeto e delle sfide future, le nostre forze sono quasi del tutto trascurabili. Ma – non mollare! diceva Carlo Rosselli – resteremo impegnati, in controtendenza rispetto all’eclissi della politica italiana, nella salvaguardia attiva di un patrimonio ideale di sinistra, che appartiene a tutti e che rimane ineludibile rispetto a qualunque tentativo serio che l’Italia vorrà intraprendere per uscire dall’attuale “costellazione weimariana”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo …

Gramsci in cella e in clinica. I paradossi di una prigionia

Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». È la frase che avrebbe pronunciato il pubblico ministero nel processo contro Antonio Gramsci. In tanti ci è capitato almeno una volta di citarla. La notizia la dà Togliatti nell’articolo scritto nel 1937 per commemorare la recente morte del compagno. Quella frase non è stata mai detta da nessun giudice. Chi volesse controllare non ha che da leggere gli atti del processo, pubblicati da Domenico Zucaro nel 1961. Il falso storico del 1937 è il punto di partenza di altre falsificazioni su Gramsci e il fascismo. Molte sono note, anche se non sono mai state adeguatamente valorizzate. Ne ricordo alcune tra le più eclatanti. Ancora Togliatti, nel 1944 appena arrivato in Italia, scriverà che la cognata Tania i Quaderni era riuscita «a trafugarli dalla cella la sera stessa della sua morte, grazie al trambusto creatosi». Gramsci non è morto in una «cella», ma in una delle cliniche più costose di Roma, la Quisisana. Era accusato di avere attentato alla sicurezza dello Stato. In presenza di un tale capo di imputazione anche i regimi liberal-democratici adottano misure di rigido controllo di ciò che il detenuto scrive. Mussolini, se avesse voluto sequestrare i Quaderni , non aveva che da applicare leggi e regolamenti. Nessuna astuzia di compagni e cognata sarebbe stata efficace. I Quaderni uscirono dalla clinica col consenso o nel disinteresse totale del fascismo. Perché? Escluderei il ricorso all’inefficienza dell’apparato repressivo. La documentazione disponibile mette sotto gli occhi un paradosso che attende una spiegazione. Gramsci al momento dell’arresto era coperto da immunità parlamentare. Il suo arresto fu illegale, la sentenza o infondata o eccessiva. Una volta condannato (ecco il paradosso) si ha la sensazione che si sia formata una specie di rete protettiva governata direttamente da Mussolini. I fatti che orientano verso questa supposizione sono tanti. Gramsci dispone di una cella tutta sua che, stando alla descrizione che il detenuto fa alla madre il 31 settembre 1931, è «una cella molto grande, forse più grande di ognuna delle stanze di casa». La lettera non trascura alcuni particolari: «Ho un letto di ferro, con una rete metallica, un materasso e un cuscino di crine e un materasso e un cuscino di lana e ho anche un comodino». A partire da febbraio 1929 può usare carta, penna e libri diversi da quelli della biblioteca del carcere. Privilegio non concesso agli altri detenuti politici. A volte il direttore gli proibisce la lettura di determinati libri. Gramsci scrive direttamente a «S.(ua) E.(ccellenza) il Capo del Governo» e l’autorizzazione alla lettura arriva. Nella lettera dell’ottobre 1931 indirizzata a Mussolini, ad esempio, scrive: «Ricordando come ella mi abbia fatto concedere l’anno scorso una serie di libri dello stesso genere, La prego di volersi compiacere di farmi concedere in lettura queste pubblicazioni». Tra esse ci sono: La révolution défigurée di Trotsky, Le opere complete di Marx e Engels, le Lettres à Kugelmann di Marx con prefazione di Lenin. Non pare proprio che Mussolini abbia voluto impedire al cervello di Gramsci di funzionare. A partire dal dicembre 1933 fino alla morte (aprile 1937) Gramsci non è più in carcere ma nella clinica Cusumano, a Formia, prima, nella costosa clinica romana Quisisana dopo. Dodici dei trentatré quaderni a noi pervenuti non hanno timbro carcerario e sono stati interamente redatti nelle cliniche. Correttezza filologica vorrebbe che venissero chiamati Quaderni del carcere e delle cliniche. La conoscenza del periodo delle cliniche è molto lacunosa. Il cordone protettivo si rafforza. Ruoli importanti vi svolgono l’economista Piero Sraffa e lo zio Mariano D’Amelio, senatore e primo presidente della Corte di Cassazione. È un periodo che presenta molti buchi neri e che potrebbe riservare sorprese. Prendiamo gli ultimi venti mesi prima della morte, dal 24 agosto 1935 al 27 aprile 1937. Li trascorre nella clinica Quisisana frequentata dalla buona borghesia romana. Al mantenimento delle spese contribuisce la Banca commerciale italiana tramite il banchiere Raffaele Mattioli. Il ministero dell’Interno dispone la vigilanza solo esterna. La Questura più volte scrive al ministero per lamentarsi che, dati i numerosi ingressi della clinica e il poco personale disponibile, non è nelle condizioni di garantire un vero controllo. Cito un passaggio della Nota riservata della Questura datata 14 novembre 1935: «La vigilanza esterna non offre neppure la possibilità di alcun controllo sulle persone che si recano a visitare il Gramsci, in quanto trattasi di una clinica vasta, di lusso, in cui sono ricoverati numerosi malati di agiate condizioni e che quindi vengono visitati da persone che vi si recano quasi sempre in automobile». Non risulta che il ministero abbia risposto o preso provvedimenti. Segno che così era stato deciso nelle alte sfere del governo. Il fascismo è crollato da più di settant’anni. Dalla morte di Gramsci sono passati settantanove anni. Il muro di Berlino è stato abbattuto ventisette anni fa. I tempi sono più che maturi per esplorare senza pregiudizi ideologici un capitolo fondamentale della storia d’Italia. Se non ora quando? Franco Lo Piparo Franco Lo Piparo continue reading SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PRAGA ’68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA

Per ricordare la fine della “Primavera di Praga“ pubblico le riflessioni del compagno Franco Astengo, un compagno comunista, perché è una testimonianza delle occasioni perdute dalla sinistra italiana. A mio avviso sarebbe dovuta cominciare già con la rivolta operaia di Berlino del 1953, quella che ispirò il feroce epigramma di Brecht (L’ufficio politico della SED decise che il popolo aveva perso la fiducia del Governo) e proseguire con la rivoluzione (già con il linguaggio inizia la verità, basta parlarne come i ”  fatti d’Ungheria”) ungherese del 1956. “Primavera di Praga“ Primavera di Praga Ma il confronto Est-Ovest e altri fatti internazionali potevano giustificare il ritardo: per la Cecoslovacchia, invece, non c’erano giustificazioni. La riforma era addirittura guidata dal Partito anche se preparata nella società da un fermento intellettuale senza precedenti. In gioco era la riformabilità del comunismo realizzato. Se un sistema non è riformabile può solo crollare, come è avvenuto. Il tragico è che le macerie del Muro di Berlino hanno colpito anche  il socialismo democratico, perché il fatto dominante negli anni successivi non è stato dato dalla liberazione democratica, ma dalla restaurazione capitalistica. La fine del campo sovietico è stata utilizzata, come se nulla giustificasse più lo stesso compromesso socialdemocratico e, quindi, potessero essere erose le conquiste sociali ottenute in Occidente e il ruolo stesso dello Stato in economia. Nei paesi dell’Est, specialmente in Russia, si è dimostrato che all’ombra del ruolo dirigente del Partito unico (di fatto quello comunista anche nei paesi che avevano salvato un pluralismo politico di  facciata -DDR, Polonia, Cecoslovacchia-, che in ogni caso escludeva l’esistenza di altri partiti di sinistra), si era creata una nuova classe, che deteneva il potere politico e quello economico. Quest’ultimo fu mantenuto e rafforzato con le privatizzazioni, che furono  vere e proprie appropriazioni (per rendere l’idea operazioni tipo Benetton e Società autostrade su una scala immensa). In una prima fase anche il potere politico  non andò agli oppositori o agli esiliati, ma a ex comunisti. Prepariamoci al 50° anniversario dell’invasione  della Cecoslovacchia, come non ci siamo preparati al Centenario di Zimmerwald e Kiental, magari discutendo di Venezuela: non sull’oggi, su questo la sinistra latino-americana e italiana è già divisa: giocano sempre meccanismi reattivi pavloviani, ma su quello che avremmo potuto fare prima nella fase di costruzione dell’esperimento: unire socialismo e democrazia. Difficile quando le decisioni dei gruppi politici dipendono dalla cronaca, dai sondaggi di opinione e dalla conservazione del potere personale ad ogni costo e non da un’analisi della società e delle forze sociali in campo. Ma insistiamo perché la speranza non è mai morta, se crediamo che un mondo migliore è non solo necessario, ma anche possibile. Felice C. Besostri Felice C. Besostri — PRAGA ’68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA di Franco Astengo Mi auguro sia permesso avviare questo intervento con un ricordo personale. Ero a casa, in ferie forzate perché l’ufficio stava chiuso una settimana (chi mi ha conosciuto sa quanto non mi siano mai piaciute le ferie). Le 5,30 del mattino: mio padre si stava preparando per il turno in fabbrica e ascoltava, come sempre, la radio. Ad un certo punto irruppe nella stanza che dividevo con mio fratello ed esclamò (tutto il dialogo rigorosamente in dialetto, naturalmente) “ I russi hanno invaso Praga”. Mi alzai seguendolo ad ascoltare il notiziario: camminavo nervosamente su e giù per la cucina e ad un certo punto, mentre stava per uscire di casa, lo appellai perentorio. “ Papà, questa volta rompiamo con Mosca” 21 Agosto 1968: i carri armati del Patto di Varsavia entrano a Praga, spezzando l’esperienza della “Primavera”, il tentativo di rinnovamento portato avanti dal Partito Comunista di Dubcek. 1968: l’anno dei portenti, l’anno della contestazione globale, del “maggio parigino”, di Berkeley, Valle Giulia, Dakar, della Freie Universitaat di Berlino: quell’anno magico vive in quel momento la svolta verso il dramma. Si chiude bruscamente un capitolo importante nella storia del ‘900. Come mi accade ogni anno, e a rischio di apparire assolutamente ripetitivo, mi permetto di disturbare un certo numero d’interlocutrici e interlocutori per ricordare i fatti di Praga. Una riflessione sui risvolti che quell’avvenimento ebbe sulla sinistra italiana: si compirono, in quel frangente, scelte che poi avrebbero informato la realtà politica della sinistra italiana per un lungo periodo. Prima di tutto l’invasione di Praga spezzò lo PSIUP: a distanza di tanti anni possiamo ben dire che si trattò di un fatto politico importante. Il partito, rappresentativo dell’esperienza della sinistra socialista che aveva rifiutato nel 1963 l’esperienza di governo con la DC, aveva appena ottenuto (il 19 Maggio) un notevole risultato alle elezioni politiche (il 4,4% dei voti con 24 deputati) e su di esso si era appuntata l’attenzione di molti giovani che avevano cominciato a ritenerlo l’espressione di un avanzato rinnovamento a sinistra. Lo PSIUP si spaccò in due, da un lato il vecchio gruppo dei “carristi” approvò incondizionatamente l’invasione con toni da antico Comintern (come nessun altro settore della sinistra italiana, usando un’enfasi non adoperata neppure dalla corrente del PCI vicina a Secchia); dall’altra esponenti di spicco del “socialismo libertario”, epigoni della lezione di Rosa Luxemburg, come Lelio Basso si misero da parte; ma soprattutto furono i giovani, al momento protagonisti del ’68, a ritrarsi. Lo PSIUP iniziava così la china discendente, che sarebbe culminata nell’esclusione dal Parlamento con le elezioni del 1972: un evento ripetiamo di un peso rilevante sulle future sorti della sinistra, in particolare al riguardo delle possibilità di aggregazione, iniziativa politica, capacità di rappresentanza di quella che sarebbe stata la “nuova sinistra” di origine sessantottesca. Il peso più importante, però, della drammatica vicenda praghese ricadde, ovviamente, sul PCI. Il più grande partito comunista d’Occidente si trovava, in quel momento, in una fase di forte espansione elettorale (il 19 Maggio aveva raccolto 1.000.000 di voti in più rispetto all’Aprile 1963) ma in difficoltà organizzativa, in calo d’iscritti, non avendo ancora superato il trauma dell’aver svolto un congresso inusitatamente combattuto come l’XI del 1966, il primo celebratosi dopo la morte di Togliatti, e contrassegnato dallo scontro (ovattato, ovviamente, com’era costume dell’epoca, …

I fiori secchi del togliattismo

«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto». La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto Chi ha detto queste parole non è un politico neo-georgico, ma un maturo leader, veterano dei partiti e delle istituzioni. È Pier Luigi Bersani che così ha chiuso una lunga intervista rilasciata a “L’Espresso” (n. 23, 4 giugno 2017). Diciamo subito che non si può, sulla frase in sé, che concordare; tuttavia l’ammonimento fa un po’ sorridere, per non dire di peggio, se si pensa da quale storia viene Bersani: quella di prima e quella più recente; da una storia che ha liquidato l’idea stessa di sinistra per dar vita al Partito democratico che, a essa, è geneticamente allergico. L’uscita – un po’ strascicata in vero – che il gruppo di cui egli è il capofila ha ritenuto di farla finita con la formazione di Matteo Renzi. Il porre la questione in aura poetica nulla toglie a tutta la cattiva prosa di un’esperienza che di sinistra non ha mai avuto niente e di cui i comunisti, che ne ha hanno scritto una buona parte, sono responsabili e non assolvibili. Sulle ragioni e la dinamica che hanno portato al Pd si è scritto molto: esso è stato l’approdo finale della linea togliattiana che, qualunque sia stato il nome che via via venivano assumendo, i comunisti hanno pervicacemente perseguito dalla fine del loro vecchio partito. Sempre la stessa linea, sempre la stessa innata convinzione della propria diversità accompagnata dal senso naturale che a loro spettasse l’esercizio di una inscalfibile egemonia che si sarebbe perpetrata nel nuovo soggetto dell’incontro con una pezzo di democrazia cristiana. Rimanendo alla bucolica metafora di Bersani non si può non osservare che, se la sinistra è un fiore di campo, quel fiore sono stati loro per primi a reciderlo. I fiori di campo – lo sanno tutti – nascono spontanei, ma per la sinistra non è così. Essa è il frutto storico delle lotte del lavoro per un mondo migliore, più libero,  più giusto, più democratico. È il frutto di una scelta consapevole di milioni di uomini per liberarsi dallo sfruttamento, dal disconoscimento della loro dignità, per avere, in quanto uomini, il diritto riconosciuto a istruirsi, curarsi, esprimersi, non essere socialmente ricattati, improntare la vita sociale sulla pace e sui principi della solidarietà. La sinistra, politicamente, ha rappresentato l’umanesimo forte che ha attraversato due secoli travagliati e difficili alla conquista di quei doveri che oggi talora sono minacciati quando non addirittura misconosciuti. Altro che fiore di campo!. È stata, concretamente, un campo largo della storia dell’uomo: socialisti, comunisti, radicali, liberali, democratici aperti e avanzati al di là delle rispettive culture, forme organizzative, fedi religiose, ora in accordo, talora in disaccordo, ma sempre schierati sul versante fermo della democrazia e della sua nozione sociale. Un grande movimento che ha permesso alle società libere di costruire futuro dopo futuro anche a prezzi altissimi; quel futuro che oggi non sta nemmeno sull’orizzonte ampio del mondo globalizzato. Quanto suona beffarda e vera, a fronte di tutto ciò, la definizione stessa di orizzonte quale linea che si allontana quanto più credi di avvicinartici. Chissà se a Bersani, che oggi teme che l’idea di sinistra non finisca nel mazzo giusto, è mai capitato di pensare quanto sarebbe stata diversa la vicenda italiana se, non potendo più esistere il partito comunista italiano, la sua forza si fosse incamminata verso i lidi del socialismo. Erano in tanti a sperarlo e quella speranza, considerato il presente, presentiva il giusto e la verità. Si riteneva quale evoluzione naturale, dato anche il suicidio del partito socialista – non dei socialisti, intendiamoci – che l’unica forza storica della sinistra rimasta in piedi non ammainasse la bandiera, ma ne alzasse una nuova per riprendere il cammino delle conquiste democratiche. Il campo, ricordiamocelo, nel 1994 lo aveva costituito l’insieme dei progressisti. Le elezioni furono perse, ma il risultato, ben consistente, dava egualmente forza al disegno evolutivo dell’intesa elettorale. Solo che il disegno non c’era ed è proprio il caso di dire che il bambino fu buttato via con l’acqua sporca. Quella coalizione aveva tutte le caratteristiche, anche pluralistiche, per divenire un soggetto politico. Tutto fu invece gettato alle ortiche e di quanto era successo con le elezioni del 1994 mai si è avuta un’analisi e un’interpretazione da chi aveva il dovere di darle. La sinistra, contravvenendo alle sue tradizioni, non aprì nemmeno il dibattito. I comunisti su cui gravava la responsabilità della situazione aprirono un sanguinoso fronte interno; fecero tra loro quei conti che fino ad allora non avevano potuto fare e continuarono da postcomunisti a muoversi secondo il canone di sempre. Ma invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Così, il nuovo che avevano sempre perseguito, ha finito per scomporli, triturarli, annientare pure il senso della loro cultura storica; subalterni – quelli rimasti – nel Pd aperti alla poesia bonaria quelli usciti. Non c’è che dire: il fallimento non avrebbe potuto essere più completo. In tanti, crediamo, vorrebbero riunirsi intorno a quel fiore di campo, ma esso, per essere colto o meglio fatto crescere come di deve, dovrebbe essere in un campo socialista che non c’è e chissà ancora per quanto tempo non ci sarà. Per onestà dobbiamo riconoscere che quel fiore sembra essere stato raccolto dal Papa se si pensa alle chiare prese di posizione assunte da Francesco sullo sfruttamento prodotto dal liberismo finanziario, a difesa della dignità dell’uomo, alla condanna di ogni tipo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Recentemente il Papato si è mosso, e con quale autorevolezza, sul problema della corruzione. Per ora quel fiore è lì. Il Papato, però, non è un partito e …

Appello: SE HAI IDEE CHIARE USI PAROLE SEMPLICI

Si sta per approvare una nuova legge elettorale. Il risultato finale non è ancora soddisfacente. Ma un punto fermo è che il prossimo Parlamento sia eletto con un sistema proporzionale per un’esigenza di verità dopo tre parlamenti eletti con una legge maggioritaria incostituzionale. Tuttavia i gruppi di potere che si sono impadroniti di Partiti, che non sono libere associazioni di cittadini per determinare con metodo democratico al loro interno e in concorrenza tra loro, come avrebbe voluto l’art. 49 Cost., se fosse stato attuato, non hanno rinunciato a manipolare il risultato finale predeterminando la composizione del futuro Parlamento per avere docili esecutori di decisioni prese da gruppi di interesse, di potere economico e finanziario, di corporazioni, sia italiani che stranieri. La nostra Costituzione vuole parlamentari che rappresentino esclusivamente la Nazione (art. 67 Cost.) e che esercitino la loro funzione pubblica con disciplina (morale non di partito) e onore (art. 54 Cost.) e che rappresentino degnamente il popolo, cui appartiene la sovranità (art. 1 c.2 Costituzione), che è stata calpestata con bel due leggi dichiarate incostituzionali in parti importanti. Le nostre istituzioni democratiche sarebbero in pericolo se avessimo una terza legge incostituzionale. E’ una preoccupazione che il Presidente del Senato, Grasso, ha espresso ad alta voce in questi giorni e che speriamo sia condivisa nel suo pensoso ed isolato silenzio dal Presidente della Repubblica Mattarella. Preoccupano le spinte ad accelerare la data delle elezioni, non perché si condivida la politica di questo governo, ma per la chiara intenzione di votare comunque prima di un  pronunciamento della Corte Costituzionale sulle parti non modificate delle leggi elettorali e su quelle nuove. Si ripeterebbe  lo scandaloso paradosso  del Parlamento eletto nel febbraio 2013 con una legge dichiarata incostituzionale  nel gennaio 2014 e che nella sua maggioranza ha tramato contro la democrazia approvando una legge elettorale incostituzionale l’Italikum e che ha persino tentato di manomettere la Costituzione con una deforma,  che con l’art. 40 c.3 ultimo periodo del ddl costituzionale Renzi-Boschi voleva sanare affari  coperti dall’autodichia delle Camere: una parola difficile, ma che significa che la giustizia ordinaria non si deve occupare non solo dell’elezione dei Parlamentari (art. 66 Cost.), ma neppure del personale e dei contratti con i privati , che forniscano beni e servizi alla Camere o facciano lavori per esse. Questo documento è stato preceduto da una consultazione informale ed anche casuale tra persone di diverso orientamento politico e culturale e con diverse esperienze di vita. Anche per questo è stato complicato trovare una conclusione sulla natura e caratteristiche del quarto polo. Sia chiaro che non voglio promuovere nulla, gli impegni come coordinatore degli avvocati antitalikum sono sufficienti. No sarò il primo firmatario, ma inserirò il mio nome quando saranno pervenute qualche decina di adesioni all’indirizzo di posta elettronica in CC: (avvocatiantitalikum@googlegroups.com) Di questo appello nessuno è padrone, purché siano mantenute le richieste minime  per la futura legge elettorale ciascuno è libero di definire secondo le  sue inclinazioni, aspirazioni, persino speranze o sogni le caratteristiche del quarto polo che dovrà nascere, per impedire che la soglia di sbarramento escluda dalla rappresentanza ben più del 5% complessivo degli elettori/elettrici, anche perché si gioca con le carte truccate  del voto utile, e congiunto, con la contemporanea richiesta di un’abnorme quantità di firme per i nuovi e l’esenzione totale per forze già  in Parlamento alla data del 1° gennaio 2014. Buona Costituzione a tutti Felice C. Besostri — SE HAI IDEE CHIARE USI PAROLE SEMPLICI Le leggi elettorali sono complesse, tutti i sistemi elettorali hanno pregi e difetti, ma è chiaro che in democrazia la cosa più importante è che rappresentino  le cittadine e i cittadini e che rendano impossibile  imporre di forza le candidature di ubbidienti seguaci. Lo scorso 4 Dicembre 19.421.025 di italiani, pari al 59,12%  hanno detto NO alla democrazia dell’uomo solo al comando. I sostenitori del SI’, quindi, non rappresentano la maggioranza degli italiani e delle italiane e ne devono ascoltare la voce e rispettare la volontà. Camera dei Deputati e Senato della Repubblica sono state confermati come assemblee elettive, quindi deputati/deputate e senatori/senatrici devono essere eletti da tutti e non nominati da Renzi, Berlusconi, Grillo, Salvini o altri capi o capetti di partito. Questo Parlamento è stato eletto con una legge incostituzionale: una gran parte grazie ad un premio di maggioranza, cioè contro la volontà degli elettori dei collegi di candidatura; tutti perché candidati in liste bloccate, cioè non per un voto libero, eguale e personale (art.48 Cost.), né diretto per la Camera (art.56 Cost.) e il Senato (art. 58 Cost.). Invece di ringraziare la provvidenza hanno prima approvato una nuova legge elettorale incostituzionale censurata dalla Corte Costituzionale su iniziativa degli avvocati antitalikum  con la sentenza n. 35/2017 e poi tentato di manomettere la Costituzione repubblicana, figlia della Liberazione, contro la maggioranza del Paese. Le elezioni andavano fatte subito dopo la sentenza n.1/2014 di annullamento del Porcellum, ora la  data non la decidono i capi partito, se trovano un accordo su una legge con dubbi di costituzionalità, ma il Presidente della Repubblica Mattarella, sentiti la Presidente della Camera Boldrini e il Presidente del Senato Grasso, perché è quello che prevede l’art. 88 della Costituzione. Dopo tre Parlamenti eletti con una legge elettorale incostituzionale nel 2006, 2008 e 2013 e una sbornia maggioritaria ultraventennale, che ha moltiplicato artificialmente i partiti occorre un momento di verità, cioè sapere chi rappresenta veramente il popolo italiano, il solo soggetto cui appartiene la sovranità in questa Repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1 Cost.), quindi una legge fondamentalmente proporzionale: solo un Parlamento rappresentativo può adottare una legge elettorale, che sappia trovare un equilibrio tra rappresentanza e stabilità, anche con l’introduzione della sfiducia costruttiva. Non si fanno cadere governi al buio, senza che sia subito pronta un’alternativa. Alla sera delle elezioni si deve solo sapere chi sono coloro che rappresentano gli italiani e come si propongono di governare, con quali programmi e con quali alleanze. Quindi serve una legge che assicuri che i deputati e  le deputate,/le senatrici e i senatori li eleggiamo tutti e …

Relazione introduttiva al convegno: Colorni e la scomparsa della sinistra in Europa

“Il percorso politico di Eugenio Colorni” titolo “Colorni e la scomparsa della Sinistra in Europa” Eugenio Colorni scriveva su l’Avvenire dei Lavoratori del 1 febbraio del 1944: “Socialismo, umanismo, federalismo, unità europea sono le parole fondamentali del nostro programma politico.” review Vi era indubbiamente un clima politico culturale se l’idea di Unità Europea, legata sempre a programmi di riforma sociale, venivano da gruppi francesi come «Combat», «France-Tireur» e «Liberté» ovvero come ricorda sempre Silone dal Movimento del lavoro libero in Norvegia o dal Movimento Vrij Nederland in Olanda ed anche da sparsi gruppi di tedeschi antinazisti. La collaborazione di Colorni alla redazione e soprattutto alla diffusione del Manifesto di Ventotene, a mio avviso, ne fa uno degli autori a ricordare al pari di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Sicuramente è un suo merito la diffusione nel mondo socialista Ignazio Silone, allora a capo del Centro Estero di Zurigo del PSI e dell’Avvenire dei Lavoratori ebbe già sentore del Manifesto di Ventotene nell’autunno del 1941 e più tardi ricevette un appello analogo, dal Movimento «Li bérer et Fédérer» di Tolosa, nel quale militava Silvio Trentin, il padre di Bruno. Internazionalismo l’Europa moderna ed il socialismo sono termini storici intimamente connessi. Il socialismo moderno infatti è nato in Europa nel corso del secolo passato, contemporaneamente all’Europa moderna. Le fasi di sviluppo e le crisi del socialismo moderno sono coincise con il progresso e le difficoltà dell’Europa Il problema più grave è che le grosse perdite socialiste non si trasferiscono massicciamente alla loro sinistra e spesso vi sono perdite dell’intero schieramento teoricamente alternativo che comprenda anche i Verdi e in generale gli ecologisti. In nessun paese europeo, ad eccezione della Gran Bretagna, ma ora in fuoriuscita dall’UE, la sinistra è rappresentata da un solo partito, che possa aspirare al governo. Formalmente vi è una Grande Coalizione PPE-PSE, ma il PPE ha una posizi0one centrale ed è riuscita la trasformazione da Partito Democristiano e Socialcristiano in partito di centro conservatore in armonia con i cosiddetti poteri, di cui il Presidente della Commissione, Juncker, è un vassallo. Per togliere ogni dubbio il suo partito non è più il PPCS (Partito Popolare Cristiano Sociale), ma semplicemente il PD affiliato al PPE, per non confondersi con il PD affiliato al PSE. Il PSE non ha, invece, un’identità precisa e un programma alternativo all’austerità e su dossier delicati come i fenomeni migratori posizione differenziate. Il quadro europeo è ancora instabile mancano i risultati delle legislative francesi di giugno 2017, delle britanniche dello stesso mese e soprattutto di quelle tedesche del 24 settembre, per non parlare di quelle italiane oscillanti tra la fine del 2017 e l’inizio 2018 a dio piacendo e al Presidente Mattarella. Riuscirà la sinistra in senso lato a compiere quella riflessione auspicata da Colorni e Silone nel 1994, cioè legare il suo destino a quello di un processo di integrazione europea, che abbia come centro la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, le cui norme hanno lo stesso valore giuridico dei Trattati per l’art. 6 TUE e una politica economica che salvaguardi la coesione sociale e le conquiste del welfare state e persegua con coerenza una politica di pace e cooperazione per uno sviluppo economico equo e solidale? Felice Besostri Felice Besostri   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

«Il “Fianum” è assolutamente incostituzionale»

COMUNICATO STAMPARoma, 24 maggio 2017Legge elettorale, dichiarazione di Felice Besostri, coordinatore degli avvocati anti Italicum,esecutivo Comitato per la Democrazia Costituzionale: «Il “Fianum” è assolutamente incostituzionale.Non siamo al supermercato dove compri uno e te ne danno due» «L’ultimo progetto di legge elettorale presentato dal Pd, che per comodità chiamiamo Fianum, è assolutamente incostituzionale. Non solo per il motivo che il voto non è uguale, come avveniva nel Porcellum e nell’Italicum, ma anche perché non è nemmeno libero e personale come richiede l’articolo 48 della Costituzione e neppure diretto come richiedono l’articolo 56 per la Camera dei deputati e l’articolo 58 per il Senato. Per salvare questo pdl bisogna farlo diventare un vero e proprio germanicum cioè con il cinquanta per cento di eletti nel proporzionale e il cinquanta per cento in collegi uninominali da scorporare se superano la percentuale ottenuta nei collegi plurinominali proporzionali. Non siamo al supermercato dove compri uno e te ne danno due. Quindi deve essere ammesso il voto disgiunto tra collegio uninominale maggioritario e collegio plurinominale proporzionale» Un gruppo di lavoro diretto e coordinato dall’avv. Felice Besostri e composto dal dr. Giampiero Buonomo e dall’avv. Giuseppe Sarno hanno predisposto per il CDC una serie di emendamenti per trasformare il PdL In un vero e proprio germanicum. Saranno a disposizione di tutti quelli, compreso Renzi, che a parole dicono di voler trovare un accordo sulla base del sistema elettorale tedesco” SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Gran Bretagna, Corbyn rieletto leader dei laburisti “Ora dobbiamo unire il partito”

LONDRA – Hanno cercato di fermarlo in tutti i modi. Non ci sono riusciti. Jeremy Corbyn viene rieletto leader del partito laburista, con una percentuale ancora più alta di quella già massiccia di un anno fa: hanno votato per lui, nelle primarie del Labour, il 61,8 per cento degli iscritti. Nel settembre 2015 si era imposto con il 59 per cento. Dodici mesi di polemiche anche feroci all’interno della sinistra britannica dunque sono apparentemente servite soltanto a rafforzarlo. Il candidato rivale, Owen Smith, ha ottenuto il 38 per cento. In tutto hanno votato più di mezzo milione di iscritti su 600 mila circa aventi diritto. E Corbyn ha prevalso in tutte le categorie: militanti, sindacalisti, semplici sostenitori che si sono registrati per votare versando 25 sterline a testa. “La nostra famiglia laburista deve affrontare il futuro insieme, dobbiamo unire il partito per proteggere gli interessi dei lavoratori e riconquistare il potere”, dice il riconfermato leader nel suo primo discorso della vittoria, a Liverpool, aprendo l’annuale congresso laburista, giacca grigia, camicia bianca e come quasi sempre cravatta rossa. “Nelle elezioni si dicono cose a volte esagerate, le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono, non abbiamo avuto paura di discutere apertamente e dobbiamo essere orgogliosi. Abbiamo il più grande partito per numero di iscritti in tutta Europa, abbiamo triplicato il numero di iscritti in un anno e mezzo. Adesso è il momento di concentrare tutte le nostre energie nell’obiettivo di sconfiggere i conservatori, Theresa May ha cambiato gli slogan di David Cameron ma la sostanza è sempre la stessa, quella di un governo di destra. Quattro milioni di bambini in Gran Bretagna vivono in povertà, sei milioni di lavoratori sono pagati meno del minimo salariale, se credete come me che questo sia scandaloso nella sesta economia mondiale, allora il Labour può vincere le prossime elezioni. Io non ho dubbi che, lavorando insieme, potremo farlo”. Corbyn aggiunge che è sua responsabilità unire il partito, al congresso, in parlamento, nel paese, ma aggiunge che è anche responsabilità degli altri membri – un’allusione alle divisioni e al voto di sfiducia nei suoi confronti da parte della maggioranza dei deputati laburisti, l’episodio che ha aperto la crisi che ha portato a indire, dopo appena un anno, nuove elezioni primarie. Per comprendere quello che è accaduto è necessario ricapitolare le puntate precedenti. Facendo un lungo passo indietro. Nel 2010, dopo la vittoria di David Cameron alle elezioni contro Gordon Brown, che aveva preso il posto del dimissionario Tony Blair a metà della precedente legislatura, il Labour elesse a sorpresa Ed Miliband come nuovo leader, grazie ai voti dei sindacati che si schierarono in massa per lui percependolo come più di sinistra rispetto all’altro candidato, suo fratello maggiore David Miliband, un blairiano più tradizionale. Ed Miliband cambiò le regole per eleggere il leader: in futuro non avrebbero votato più solo iscritti e sindacati, ma chiunque volesse registrarsi come militante del Labour, pagando appena 3 sterline. Alle elezioni del 2015 il Labour ha perso di nuovo: Ed Miliband è stato nettamente battuto, il conservatore Cameron è rimasto a Downing street. Miliband, come è la prassi in caso di sconfitta elettorale, si è dimesso. Mezza dozzina di candidati sono scesi in lizza al suo posto. Fra questi, Jeremy Corbyn, la primula rossa del partito, forse il deputato più a sinistra nel gruppo parlamentare del Labour. Nessuno pensava che potesse vincere, neppure molti dei 35 deputati che firmarono per appoggiare la sua candidatura, come prevede il regolamento: dissero di averlo fatto per ampliare il dibattito e dare più democrazia interna al partito. Ma grazie alla riforma fatta approvare da Miliband, ovvero grazie al voto di decine di migliaia di militanti, attirati dal suo idealismo, dal suo messaggio di sinistra senza compromessi, senza se e senza ma, è stato lui a prevalere nelle primarie di un anno fa, con una larghissima affermazione. Il bilancio di un anno di leadership di Corbyn è contraddittorio: il Labour ha vinto le elezioni per sindaco a Londra (con Sadik Khan, che tuttavia non è un Corbyniano), a Liverpool, a Bristol; ha perso seggi alle amministrative, anche se meno del previsto; ha perso di fatto il referendum sull’Unione Europea, in cui era schierato per Remain, cioè per rimanere nella Ue, ma Corbyn non si è battuto con grande passione per evitare Brexit. La base lo ha accolto come una star, i giovani accorrono ai suoi comizi dichiarando che Corbyn ha ridato loro fiducia nella politica; ma i sondaggi nazionali indicano che il Labour ha 11 punti di distacco dai conservatori e verrebbe travolto alle urne. Per questo, all’inizio dell’estate, i deputati laburisti hanno indetto un voto di sfiducia nei suoi confronti, passato 172-40. In teoria, a quel punto, Corbyn avrebbe dovuto dimettersi. Ma ha rifiutato di farlo, dichiarando che era stato eletto da centinaia di migliaia di membri e che non bastavano 172 deputati per costringerlo alle dimissioni. I ribelli hanno insistito. L’unica soluzione è apparsa quella di convocare, anzi riconvocare dopo appena un anno nuove primarie. Formalmente, per presentarsi Corbyn avrebbe avuto bisogno del sostegno di almeno 50 deputati e difficilmente lo avrebbe avuto. Un dibattito che è andato fino all’Alta Corte di Londra, fra mozioni, appelli, contro mozioni, ha infine convinto il comitato direttivo del partito a permettergli di essere automaticamente in lizza, in quanto leader in carica. L’opinione dominante era che, forte del sostegno della base e dei sempre più numerosi iscritti, sarebbe stato riconfermato. I rappresentanti più in vista dell’ala moderata, riformista, blairiana o post-blairiana, comunque la si chiami, come Chukka Umunna, un avvocato di origine nigeriana soprannominato “l’Obama inglese”, o Dan Jarvis, un ex-ufficiale dei parà, non si sono candidati. L’unico avversario rimasto, Owen Smith, un ex-giornalista della Bbc, ha pensato che fosse impossibile sconfiggere Corbyn con un messaggio troppo diverso dal suo e quindi ha fatto campagna affermando di essere di sinistra come e più di Corbyn, di avere le sue stesse idee e i suoi programmi, ma di avere una personalità diversa e un’immagine …

PIETRO NENNI E LA NASCITA DELLA REPUBBLICA

Si avvicina il grande giorno: il 2 giugno. Quel giorno gli italiani decideranno tra la monarchia e la repubblica. E’ una scelta fondamentale: per Nenni lo è più che per chiunque altro. Dalla prima giovinezza ha sognato la repubblica: da quando ha articolato i primi suoni politici ha esaltato la repubblica. E alla repubblica egli ha dedicato la volontà e la passione di ogni sua giornata da quando è tornata la libertà in Italia. il “vento del Nord” e la “lotta contro l’orologio”: il lavoro da lui svolto per la Consulta; le rinunce, i compromessi, il “senno”; tutto è fatto perché si arrivi al voto, al più presto, in condizioni di tranquillità. Egli sentiva che ogni minuto era un voto in meno alla repubblica perché calava la tensione della Resistenza, il vecchio Stato e le vecchie idee riemergevano, la paura del comunismo cresceva e la repubblica era temuta come l’anticamera del comunismo. La destra rialzava la testa, i moderati, preoccupati dei risultati elettorali, guardavano a destra. Le provocazioni dirette a ritardare il momento della decisione si moltiplicavano. E la sinistra commetteva errori seri: come quello di minacciare per legge una epurazione che era contro i principi fondamentali del diritto e poi di non farla, anzi di concludere con una amnistia, quella di Togliatti, che vanificava tutto, e implicitamente suonava ammissione di errori se non di colpe. A mano a mano che ci si avvicina alla data del 2 giugno crescono le inquietudini per l’ordine pubblico. Il 9 maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto che diventa re. Grandi furono i timori per questa mossa della monarchia, e si deve a Nenni se prevalse nel Consiglio dei Ministri l’orientamento del “niente è cambiato”. Ma i monarchici intanto sono attivi. Il 2 giugno Nenni annota nel diario: “Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti, una giornata noiosa. Sono stato tappato in casa tutta la giornata. E’ comunque e in ogni caso la ‘mia’ giornata. ad essa è legata l’opera mia di capo di partito e di ministro. Trascorro la serata in solitaria attesa leggendo Le zero et l’infini di Koestler”. Ma il 5 giugno – finalmente noti i risultati – è “una grande giornata che può bastare per la vita di un militante”. La repubblica ha vinto, seppure di misura, di una misura tanto stretta che si accusò il ministro dell’interno, il socialista Giuseppe Romita, di avere favorito qualche forzatura elettorale. Niente di vero né di verosimile: ma l’esiguità del margine di maggioranza – solo poco più del 4 % – dimostra che le preoccupazioni di Nenni erano fondate: il tempo logorava la battaglia repubblicana, erodeva i margini del consenso della sinistra, che era stato grandissimo dopo la Liberazione. A mano a mano che il filo della “continuità” si irrobustiva, diventava una corda intorno al collo della rivoluzione democratica; a mano a mano che si indeboliva la collaborazione tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica e cresceva la campagna contro il comunismo, le simpatie repubblicane del ceto medio si illanguidivano. La posizione di indifferenza istituzionale assunta dalla Dc consentì all’apparato cattolico, e specie alle parrocchie, di “consigliare” i fedeli a votare trono e altare, monarchia e Dc: la formula perfetta che garantiva contro ogni “avventura” di destra e di sinistra. Aveva ragione Nenni di premere perché si arrivasse al più presto al voto. Il titolo dell’editoriale dell’Avanti! scritto da Silone, “Grazie Nenni”, fu felicissimo; e anche obiettivamente esatto. La maggioranza per la Repubblica è stata striminzita: il 51,01 % dei voti. Ma è fatta ! L’Assemblea Costituente elegge capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola. Si volta pagina. . dal libro di Giuseppe Tamburrano “Pietro Nenni”, Laterza 1986 . “Si avvicina il grande giorno: il 2 giugno. Quel giorno gli italiani decideranno tra la monarchia e la repubblica. E’ una scelta fondamentale: per Nenni lo è più che per chiunque altro. Dalla prima giovinezza ha sognato la repubblica: da quando ha articolato i primi suoni politici ha esaltato la repubblica. E alla repubblica egli ha dedicato la volontà e la passione di ogni sua giornata da quando è tornata la libertà in Italia. Il “vento del Nord” e la “lotta contro l’orologio”: il lavoro da lui svolto per la Consulta; le rinunce, i compromessi, il “senno”; tutto è fatto perché si arrivi al voto, al più presto, in condizioni di tranquillità. Egli sentiva che ogni minuto era un voto in meno alla repubblica perché calava la tensione della Resistenza, il vecchio Stato e le vecchie idee riemergevano, la paura del comunismo cresceva e la repubblica era temuta come l’anticamera del comunismo. La destra rialzava la testa, i moderati, preoccupati dei risultati elettorali, guardavano a destra. Le provocazioni dirette a ritardare il momento della decisione si moltiplicavano. E la sinistra commetteva errori seri: come quello di minacciare per legge una epurazione che era contro i principi fondamentali del diritto e poi di non farla, anzi di concludere con una amnistia, quella di Togliatti, che vanificava tutto, e implicitamente suonava ammissione di errori se non di colpe. […] A mano a mano che ci si avvicina alla data del 2 giugno crescono le inquietudini per l’ordine pubblico. Il 9 maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto che diventa re. Grandi furono i timori per questa mossa della monarchia, e si deve a Nenni se prevalse nel Consiglio dei Ministri l’orientamento del “niente è cambiato”. Ma i monarchici intanto sono attivi. […] Il 2 giugno Nenni annota nel diario: “Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti, una giornata noiosa. Sono stato tappato in casa tutta la giornata. E’ comunque e in ogni caso la ‘mia’ giornata. ad essa è legata l’opera mia di capo di partito e di ministro. Trascorro la serata in solitaria attesa leggendo Le zero et l’infini di Koestler”. Ma il 5 giugno – finalmente noti i risultati – è “una grande giornata che può bastare per la vita di un militante”. La …

ANPI e PD dallo scontro al confronto

Ieri lunedì si è tenuto uno dei pochi confronti tra sostenitori del SI’ e del NO al referendum costituzionale di ottobre. Luogo di incontro, promosso dall’ANPI e dalla sezione PD Pietro Calamandrei ,la Sala Trasparenza in Via della Libertà a Cesano Boscone. Il mio interlocutore è stato un deputato del PD, Matteo Mauri. Ho esordito parlando della necessità che si moltiplichino i confronti tra il Sì e il No, come al tempo del referendum sul divorzio per avere un voto consapevole. Ai banchetti per la raccolta delle firme mi è capitato di incontrare elettori convinti che il Senato fosse stato abolito e non ridotto ad un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci. Non capisco perché gli organizzatori mi abbiano qualificato come ex senatore DS: nostalgia del passato o soddisfazione che non sia più in Senato? Comunque preferisco essere un ex senatore che un ex di sinistra se fossi rimasto nei DS per confluire nel PD. In effetti una proposta di revisione costituzionale, come la Renzi Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare in una Commissione Affari Costituzionali dove ero il capogruppo dei DS e era presieduta dal prof. Massimo Villone e non dalla senatrice Finocchiaro. In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie ad un ballottaggio, cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica con forma di governo parlamentare. Malgrado un art. 92 Cost. Potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del consiglio dei ministri un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista, che dispone almeno di 340 seggi su 630 della Camera? No! La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 parlamentari eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l’art. 1 Cost. togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato. L’elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione: quella vera e che avrebbe avuto ampio consenso era la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200 in totale 600 invece di 730: un risprmio maggiore dei costi della politica. L’altra soluzione sensata era d ovvero passare ad un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale corretta da una soglia di accesso. Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva i premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare sono in contrasto con l’art. 67 Cost., che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano ,come nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività. L’art. 57 Cost. Revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori con metodo proporzionale, impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato. Con un popolo informato la vittoria dei NO è scontata, ma questo deve essere evitato ad ogni costo. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal FMI e dalla BCE: alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dal nostro art. 48 della Costituzione. Fonte: dal blog di Felice Besostri (presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale) Felice Besostri (presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale) presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale)   go wholesale Il Video dell’evento: Il Video dell’evento: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it