L’Asino

L’Asino fu una rivista di satira politica che nacque a Roma il 27 novembre 1892, l’anno del primo ministero Giolitti e della costituzione del Partito Socialista Italiano. La rivista fu ideata da Guido Podrecca, uno studente universitario carducciano, positivista e socialista, e da Gabriele Galantara, ex studente di matematica, disegnatore e pupazzettista geniale, anch’egli socialista. I due assunsero gli pseudonimi di “Goliardo” (Podrecca) e di “Rata Langa” (Galantara), e con questi soprannomi firmarono le uscite del settimanale. Il nome e la scelta socialista Gabriele Galantara, locandina de L’Asino del 1892 Il nome e la scelta socialista Il nome e la scelta socialista Nella scelta del titolo per il loro settimanale politico-satirico i due giovani si rifecero al motto di Francesco Domenico Guerrazzi “come il popolo è l’asino: utile, paziente e… bastonato”.[1][2][3] Nella prima fase della rivista, che va dal 1892 al 1901 venne portato avanti un programma di difesa e rivendicazione degli sfruttati e delle posizioni socialiste più aperte, (che costerà a Galantara l’arresto): le vignette[4] del giornale si scagliavano contro Giolitti, contro gli scandali politici di quegli anni, la corruzione, le brutalità poliziesche. Il giornale arrivò a conquistarsi un grosso numero di lettori, e una tiratura molto elevata. L’anticlericalismo Gabriele Galantara, “La scuola clericale”, cartolina di propaganda della rivista satirica L’Asino del 1906. L’anticlericalismo L’anticlericalismo A cominciare dal 1901 le cose cambiarono. Gabriele Galantara, “Il povero Cristo moderno”, copertina de L’Asino del 15 aprile 1906. I cattolici si stavano organizzando per preparare il loro ingresso nella vita politica del paese. Gabriele Galantara, “Quando la gente è incontentabile”, vignetta per L’Asino del 4 febbraio 1906. I redattori dell’Asino intrapresero così la strada della controffensiva contro il clero e il Vaticano. Nelle vignette venivano descritte la corruzione della Chiesa, l’atteggiamento aggressivo e superstizioso dei preti; il loro successo fra la popolazione portò ad un aumento ulteriore della tiratura. Tuttavia, a causa delle campagne anticlericali, la rivista venne frequentemente sequestrata per “oltraggio al pudore”. La posizione interventista nella Grande Guerra Gabriele Galantara, “Domani a conti fatti – Pantalone: Valeva proprio la pena?”, vignetta per L’Asino sulla guerra di Libia, 1911. La posizione interventista nella Grande Guerra La posizione interventista nella Grande Guerra Nel 1911 la guerra italo-turca fu la causa di un grave dissidio con Podrecca, che nel 1909 era stato eletto deputato nelle liste del PSI e si era schierato a favore dell’impresa coloniale, mentre Galantara espresse posizioni anticolonialiste. Il giornale riuscì a dare spazio a entrambe le posizioni, ma senza dubbio le grandi vignette a colori contro la guerra risultavano più efficaci degli articoli di Podrecca, che nel 1912 venne espulso dal Partito Socialista Italiano, assieme al fondatore dell’Avanti! Leonida Bissolati e ad Ivanoe Bonomi. Gabriele Galantara, “Il grido di … domani: Abbasso la guerra!”, copertina de L’Asino del 9 agosto 1914, basata sul concetto: “questa è l’ultima guerra”. Nonostante l’intento della vignetta fosse pro-intervento, essa è divenuta nel tempo un’immagine pacifista ed antimilitarista. I contrasti tra i due furono in parte superati quando, alla vigilia della prima guerra mondiale, entrambi si ritrovarono d’accordo sulla linea interventista espressa da Bissolati. Il cambiamento di rotta di Galantara trovava una spiegazione nella simpatia che egli nutriva per la Francia democratica e nell’avversione nei confronti degli Imperi centrali, e in particolare dell’Austria, considerati i baluardi della reazione e del clericalismo. E perciò, pur avendo rotto con il Partito socialista, Galantara continuò a rivendicare la propria coerenza con i principî socialisti. Gabriele Galantara, copertina antiaustriaca de L’Asino del 6 giugno 1915. Diede il suo apporto alla causa interventista e alla propaganda di guerra con le caricature, divenute famose, di “Guglielmone” e di “Cecco Beppe” e predicando l’ostilità verso la “barbarie teutonica”. Le sue vignette vennero ripubblicate su altri giornali dei paesi dell’Intesa e furono esposte nel luglio 1916 alle “Leicester Galleries” di Londra, mentre altre vignette apparvero sul periodico parigino «L’Europe antiprussienne» e sul giornale di trincea «Signor sì». Per le posizioni assunte nei confronti dell’intervento e – poi – degli eventi rivoluzionari russi del 1917 (Lenin e i bolscevichi venivano rappresentati come agenti tedeschi), «L’Asino» si alienò ulteriormente le simpatie delle masse socialiste e perse consenso tra i suoi lettori. La rottura tra Galantara e Podrecca e la persecuzione fascista Gabriele Galantara, “Un incontro”, da L’Asino del 20 agosto 1923. trusted La rottura tra Galantara e Podrecca e la persecuzione fascista La rottura tra Galantara e Podrecca e la persecuzione fascista Nel numero del 25-31 gennaio 1921, L’Asino ritornò alle stampe sotto la direzione del solo Galantara (nel frattempo 1918 – 1920, Podrecca era diventato fascista), con l’editoriale “Ritorno”, nel quale Galantara fece un consuntivo e un’autocritica del suo operato precedente. Gabriele Galantara, “LUI”, caricatura di Mussolini, “L’Asino”, 1924. L’Asino, a questo punto, aderì alla corrente massimalista del Partito Socialista e si schierò con la stampa di opposizione al regime. Diventò così un “Asino” antifascista, chiaramente contrario alla dittatura di Mussolini: il periodico sarà costretto a sospendere le pubblicazioni nella primavera del 1925, dopo una lunga serie di minacce, persecuzioni e di interventi delle squadracce fasciste in redazione. Galantara verrà nuovamente incarcerato, in un clima di repressione molto più duro rispetto a quello della fine dell’Ottocento. Dopo la sua scarcerazione collaborò in forma anonima ad altre riviste di satira politica, come il Becco giallo e Marc’Aurelio. Fonte: Wikipedia Fonte [cycloneslider id=”lasino”] SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VOLPEDO 10 “Documento conclusivo”

La sinistra in tutte le sue accezioni corre concretamente il rischio di essere esclusa dal Parlamento nazionale nelle elezioni 2018, confermando a distanza di 10 anni il tragico risultato del 2008, con il fallimento della Sinistra Arcobaleno. Un’esclusione dalla rappresentanza parlamentare confermata dalle elezioni europee del 2009 e alla quale è sfuggita per il rotto della cuffia nelle europee del 2014. Tra i motivi vi sono la formazione del PD e l’introduzione di meccanismi quali le soglie di accesso e i premi di maggioranza, che hanno alterato una equa rappresentanza proporzionale delle forze politiche; ma tali fatti sono al più concause. Una rappresentanza consistente delle varie anime della sinistra, compresa la variante rosso-verde, è assicurata in Parlamento in tutta Europa, anche se esistono – soglie di accesso più elevate (Germania 5%), – soglie implicite derivanti dalla dimensione dei collegi (Spagna) – o addirittura sistemi elettorali maggioritari (Francia). Sono sorti o si sono stabilizzati nuovi soggetti politici a sinistra in Grecia, Francia, Germania e Spagna ovvero sono in forte ripresa partiti tradizionali come il Labour in Gran Bretagna. In Italia l’unica nuova consistente aggregazione politica elettorale è stata rappresentata dal M5S, che, anche per sua scelta, non può far parte di una aggregazione di governo alternativa. Soltanto grazie alla crisi e alle sconfitte del PD, in particolare al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 si sono creati i presupposti per una nuova dinamica a sinistra; allo stato come possibilità e speranza, senza un’unica e consolidata direzione e di incerto sbocco. La sinistra ha, a differenza della legislatura 2008-2013, una consistenza parlamentare con 60 deputati e 25 senatori, ma è frutto dell’incostituzionale premio di maggioranza di cui hanno beneficiato come componenti della coalizione “Italia Bene Comune”. Quale sia l’effettiva percentuale di consenso si potrà conoscere solo quando, e finalmente, si voterà con un sistema proporzionale, dopo l’ubriacatura della “governabilità ad ogni costo“, artificialmente ottenuta con premi di maggioranza eccessivi, tanto da meritare ben 2 annullamenti della Corte Costituzionale con le storiche sentenze n. 1/2014 e 35/2017. Per queste sentenze i socialisti del Gruppo di Volpedo ringraziano gli avvocati democratici e di alta sensibilità costituzionale, che hanno proposto i ricorsi. La sinistra deve però ritrovare un radicamento politico-sociale venuto meno negli anni proprio perché non ha mai indicato una chiara proposta di cambiamento della società e di alternativa ai rapporti di forza politici, economici e sociali che si sono consolidati con il liberismo. Negli anni sono stati penalizzati i lavoratori e le classi popolari, ma anche la classe media, le professioni indipendenti, l’artigianato e la piccola imprenditoria, anche quella innovativa, a favore dei gruppi di potere finanziario, delle multinazionali oligopoliste, delle corporazioni burocratiche e dell’intreccio tra evasione fiscale, criminalità organizzata, corruzione e malamministrazione. Prima di discutere di candidature e di leadership si debbono affrontare i nodi di fondo, a cominciare da una legge elettorale e da un PROGETTO POLITICO E SOCIALE di lungo respiro, sia per ricostituire una presenza nel futuro parlamento nazionale, quanto per le elezioni regionali, ben 20 da ora al 2020 e per le europee del 2019. Un progetto di tale portata non si costruisce su un pletorico programma per quanto condiviso, ma su un progetto di rinnovamento politico-sociale, per un progresso economico che riduca le diseguaglianze sociali e territoriali, per salvaguardare l’ambiente ed il territorio, con interventi pubblici programmati e non dettati da una sola logica di profitto speculativo. Un tale Progetto NON può però essere assunto da una SINISTRA GENERICA, di pura protesta o testimonianza, ma – secondo il Gruppo di Volpedo – da una formazione politica unitaria e di chiara ispirazione SOCIALISTA. SOCIALISTA Volpedo, Piazza Quarto Stato 17 settembre 2017 Volpedo, Piazza Quarto Stato have a peek at this site SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“Rosatellum 2.0? Il solito SKIFELLUM 3.0”

DICHIARAZIONE DI FELICE BESOSTRI “ Mi scuso per un giudizio così tranchant senza sfumature- ha dichiarato l’avv. Felice Besostri coordinatore degli avvocati ANTITALIKUM, che hanno affondato la legge n. 52/2015-, ma come insegna la Bibbia, il libro per eccellenza della tradizione giudeo-cristiana, “ Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo “ (Ecclesiaste 3.1) e questo è il momento di dire BASTA! alle manomissioni della Costituzione per via surrettizia attraverso la terza legge elettorale incostituzionale, La seconda partorita da un Parlamento eletto con una legge INCOSTITUZIONALE, il Porcellum (Skifellum 1.0) dopo l’Italikum (Skifellum 2.0): una coazione a ripetere alla ricerca di una legittimazione a posteriori malgrado la pesante sconfitta al referendum costituzionale del 4 DICEMBRE dello scorso anno. Le leggi elettorali sono complicate e la maggioranza eterogenea conta sull’assuefazione e stanchezza della pubblica opinione. Eppure la questione è semplice l’Italia è una Repubblica democratica, nella quale la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1 Cost.). La forma è quella Parlamentare e perciò di assemblee rappresentative elette con voto universale e diretto (artt. 56 e 58 Cost.), dai cittadini e dalle cittadine con voto personale, uguale, libero e segreto (art. 48.2 Cost.). Non solo i cittadini e le cittadine hanno il diritto di scegliere i loro rappresentanti, ma tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art. 51.1 Cost.). Nella nuova proposta non è così; due terzi dei parlamentari, deputati e senatori, sono nominati da capi-partito e considerati i collegi uninominali sicuri potrebbero essere il 90% del totale. I partiti non sono libere associazioni di cittadini, come richiede l’art. 49 Cost., ma macchine di potere costituiti da tribù nel migliore dei casi, quando non dipendono da un capo o da un padrone, unico detentore del potere di nomina dei candidati anche in violazione dei propri statuti. Dovrebbero avere un potere di proposta non di nomina. Il voto non è personale né diretto, perché si vota in blocco per candidati uninominali e per liste bloccate, con possibilità di pluricandidature.  Un rifiuto in blocco delle candidature non partecipando al voto non avrebbe nessun effetto, mentre nelle democrazie popolari, che molto democratiche non erano, se non partecipava al voto la metà degli elettori si dovevano ripetere. Un ultima chicca non si possono formare nuovi soggetti politici di protesta, perché devono raccogliere decine di migliaia di firme, mentre i gruppi politici presenti in parlamento anche quelli che non si sono presentati alle elezioni del 2013 non devono nemmeno fare la fatica di raccogliere le firme. Il Presidente del Senato ha giustamente chiesto, con la sensibilità tipica dell’uomo di legge e seconda carica dello Stato, leggi elettorali omogenee e costituzionali- ha concluso l’avv. Besostri: “è stato accontentato con una legge omogeneamente incostituzionale”. “Non credo che sarà possibile dirlo e dimostrarlo neppure nella televisione pubblica” è l’amaro commento finale. Monica Pepe 340 807 1544 Felice Besostri 335 294 617 – 393 922 9493 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

BESOSTRI ANTITALIKUM: “IL ROSATELLUM E’ L’ENNESIMA LEGGE ELETTORALE DI NOMINATI”

LA SCELTA DEI RAPPRESENTANTI NON E’ UN SUPERMERCATO.  NON RAPPRESENTANO LA NAZIONE: HANNO IL VINCOLO DI MANDATO Comunicato stampa Roma, 23 settembre 2017 “La nuova proposta di Legge elettorale cosiddetta Rosatellum nega i principi di sovranità popolare dettati dalla nostra Costituzione perché i due terzi dei parlamentari, deputati e senatori, sono nominati da capi partito, e dal momento che parliamo di collegi uninominali sicuri potrebbero arrivare al 90% del totale degli eletti”. A dirlo è l’Avv. Felice Besostri, Coordinatore degli Avv. Antitalikum. Prosegue “Il voto non è libero, perché non posso scegliere il candidato da eleggere e non è neppure diretto perché votando per il candidato o per la lista indirettamente scelgo anche l’altro candidato che non gradisco”.  Sottolinea Besostri che è la combinazione tra voto congiunto e liste bloccate che porta questa legge fuori d’alveo costituzionale e che i partiti dovrebbero avere un potere di proposta non di nomina.  “La scelta di rappresentanti non è un supermercato dove scegli uno e te ne regalano altri, da 3 a 6 come se ci fossero i saldi e valessero poco – incalza Besostri. “Così infatti quei candidati non rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato, come chiede l’art. 67 Cost., ma chi li ha nominati. In questa situazione non potranno adempiere alle loro funzione pubblica con onore, come chiede l’art. 54.2 della Costituzione”.  Besostri richiama poi le parole di Grasso “Il Presidente del Senato ha giustamente chiesto, in qualità di seconda carica dello Stato, leggi elettorali omogenee e costituzionali ed è stato accontentato con una legge omogeneamente incostituzionale”.  “Le leggi elettorali sono complicate ma sono la stella polare della democrazia di un paese e la cinghia di trasmissione della rappresentanza – conclude Besostri – Al contrario sui temi della legge elettorale da anni i partiti insistono nel generare confusione nella pubblica opinione con proposte che tendono ad utilizzare il voto dei cittadini per auto-nominarsi, piuttosto che preoccuparsi di garantire la dovuta rappresentatività per la formazione di Governi, espressione reale del popolo sovrano e dei suoi interessi”. Per informazioni alla Stampa Monica Pepe cell. 340 8071544 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Il Di Pietro pentito

“C’è sempre uno più puro che ti epura”, diceva Nenni, rivolto probabilmente verso quei moralisti faciloni e manichei che dividono il mondo in buoni e cattivi. I buoni, ovviamente, sono loro. Il resto, tutti all’inferno. Con possibilità, al massimo, di scegliersi il girone dantesco in cui acquartierarsi. Poi però la coperta si rivela spesso corta. I proclami di purezza assumono il tono di starnazzamenti gridati alla luna. E il “tutto” che doveva cambiare, rimane, se va bene, uguale a prima. Se va male, peggiora, e di molto. Voglio pensare che dietro le parole pronunciate da Di Pietro durante la trasmissione L’aria che Tira, su La7 ci sia la lettura meditata di Nenni. Già: perché quello che fu prima il volto più noto della vicenda di Mani Pulite, e poi il capo indiscusso e incontrastato di un partito che ne doveva rappresentare la longa manus politica, ha testualmente affermato: “Bisogna prendere atto di una verità sacrosanta, di cui sono parte interessata […] Se si cerca il consenso con la paura si possono ottenere voti a tre giorni, a un’elezione, ma poi si va a casa. Io ne sono testimone, io che ho fatto una politica sulla paura e ne ho pagato le conseguenze […] Io porto con me una conseguenza: ho fatto l’inchiesta Mani pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la prima Repubblica. Il male, e ce n’era tanto con la corruzione: ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali. I Di Pietro, i Bossi, i Berlusconi, sono partiti che durano quanto una persona: e io personalmente, prima di mettere gli occhi al cielo, vorrei rendermi conto che non basta una persona”. Da questa assunzione di responsabilità bisogna tenere ben distinti i due aspetti che hanno caratterizzato la vicenda personale di Di Pietro: quello giudiziario e quello politico. Su quello giudiziario, l’ex pubblico ministero non dice nulla di particolare, se non rilevare sia il dato della corruzione esistente all’epoca di Mani Pulite, sia la fine dei grandi partiti tradizionali con le loro idee e ideologie. E questa è storia. E’ sulla vicenda politica che invece c’è una piena assunzione di responsabilità. Con una chiara auto-stigmatizzazione del modo in cui si è cercato il consenso elettorale: con la paura, appunto. Il cui potenziale di infiammabilità è stato usato per fare terra bruciata nell’agone politico. Ma, così come la laicità di un paese non si misura con la mancanza o meno di volontà di una religione di permearne le istituzioni, ma attraverso l’impermeabilità e la capacità di queste ultime di resistere ad ogni tentativo di penetrazione della morale religiosa nelle leggi, l’opera di Di Pietro non ha avuto buon gioco solo per sue incapacità: anche per la “mollezza” dei corpi intermedi rimasti in piedi in quel momento in Italia. Cosa faceva la stampa in quel periodo, viene da chiedersi. Basta andare a rivedere le prime pagine di tutti i principali quotidiani dell’epoca per rendersene conto. Giocavano al tiro al piccione, mentre intorno ci si inebriava di furore iconoclasta con il quale si vaporizzavano tanti corpi sociali, perdendone irrimediabilmente la fiducia. check that Quando Di Pietro, in modo teatrale, si tolse la toga e si tuffò in politica, trovò Berlusconi pronto ad offrirgli un ministero, in caso di vittoria alle elezioni politiche. Avergli messo a disposizione le sue televisioni, evidentemente, era poco. Qualche anno dopo, però, l’ex Pm una casa sicura la trovò nel collegio blindato del Mugello, gentilmente messogli a disposizione da Massimo D’Alema. E per non essergli da meno, il suo storico rivale per la leadership, Veltroni, fresco segretario del neonato Pd, designò Di Pietro come unico alleato di coalizione nelle elezioni del 2008 (con tutti i benefici che ne derivavano grazie alla legge elettorale), lasciando per strada i socialisti di Boselli. Senza dimenticare, ovviamente, gli anni in cui Di Pietro ebbe un ministero tutto suo. Come si vede, il “fenomeno Di Pietro”, con il suo modo di fare politica attraverso l’uso della paura (che porta all’odio), ha trovato consensi e aperture dappertutto, ma particolarmente a sinistra. Arrivando al suo capolinea per “naturale” consunzione, e non per vera sconfitta politica. Sposando Di Pietro la sinistra ha smarrito il garantismo come parte fondante della sua natura: arrivando a far proprie parole e slogan di destra, tra cui spiccano “legge e ordine”. Se l’ex Pm può essere annoverato tra gli “imprenditori della paura”, è certo che ha avuto tanti buoni acquirenti, con il “Pacchetti Sicurezza” come prodotto per tutte le stagioni: mentre nella prima Repubblica si aveva il coraggio di varare la legge sulla dissociazione dal terrorismo in anni ancora vicini a quel fenomeno tremendo. Oggi sarebbe possibile, con le sbornie securitarie nazionali vecchie e nuove? Qualcuno ricorda, per caso, il fuoco di sbarramento contro il deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia, al quale fu impedito di divenire segretario d’aula a Montecitorio? La deriva a destra di Di Pietro era scritta anche nel nome del suo partito: Italia dei Valori. Quali valori? Valori solo suoi? Di certo valori buoni a sparare contro l’indulto, o per bocciare la commissione di indagine sui misfatti della polizia a Genova, durante il G8. La sinistra deve riappropriarsi del garantismo come valore e bussola politica. Questo è uno dei modi migliori per battere l’antipolitica dominante, che pare tenda più a leggere la “Psicologia delle Folle” di Le Bon che alla risoluzione dei problemi reali del paese, partendo da una veritiera rappresentazione dei fatti. Solo così Di Pietro, che ha giocato su una rappresentazione falsa e manichea del nostro paese, sarà un (degenere) fenomeno passeggero, e non un seme messo a coltura nella sinistra italiana. Raffaele Tedesco Raffaele Tedesco Fonte: Mondoperaio Fonte: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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BUON COMPLEANNO PRESIDENTE! Sandro Pertini. Strenuo difensore dei diritti civili e della Costituzione

Passato alla storia come il Presidente più amato dagli italiani. Un uomo che si trovò ad affrontare i sanguinosi colpi di coda del terrorismo, lo scandalo della Loggia massonica P2, l’attentato alla stazione di Bologna, il terremoto in Irpinia. Combattente della Grande Guerra, medaglia d’argento al valor militare, socialista, partigiano, e membro della Costituente, presidente della Camera e figura capace di reinterpretare il ruolo del Capo dello Stato, Sandro Pertini è stato tutto questo, ma anche tanto altro. Pertini è stato soprattutto l’uomo che ha riavvicinato il Paese alle istituzioni in un momento di grande crisi istituzionale. Il suo primo discorso fu già un manifesto della sua presidenza: “Svuotate gli arsenali e riempite i granai”: quel discorso racchiude la sintesi del suo fascino. Questo era un linguaggio inusuale con il sapore immaginifico, come quando dice: la nostra Repubblica giusta e incorrotta, forte e appassionata. Tra le sue celebri frasi: Battetevi sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame. Ho vissuto a Milano una esperienza che mi ha confermato nell’idea che il nostro popolo è capace delle più grandi cose quando lo anima il soffio della libertà e del socialismo. “Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.” Il ricordo di Pertini è sempre vivo nella memoria degli italiani. Il suo esempio di lotta per la libertà e la democrazia deve essere trasmesso ai giovani, che non hanno ben chiaro che cosa stia succedendo oggi in Italia.  Questo momento storico lo avrebbe vissuto male e ci avrebbe indotto a reagire agli attacchi perpetrati verso i principi cardini della democrazia. C’è un continuo alimentare di confusione e si sono persi gli ideali per i quali lui ha combattuto e mancano importanti punti di riferimento politici. Al centro del pensiero e dell’impegno di Pertini c’è un’idea forte e irrinunciabile di eguaglianza che ha come sua conseguenza la negazione di ogni privilegio e consorteria. Il Presidente più amato dagli italiani, simbolo per tutti di una nazione possibile e sognata, voleva che l’Italia divenisse una «Repubblica declinata al plurale», dove a prevalere fossero il dialogo sul sopruso, la condivisione sull’egoismo, il bene comune sull’interesse privato. Pertini rappresenta un mondo politico e sociale che non c’è più e al quale tutti guardiamo con nostalgia, auspicandone il ritorno! “Ma dovete credermi, e ve lo dico senza iattanza, senza presunzione, se vi dico che noi, con il nostro passato, con la nostra vita, sacrificando anche la nostra giovinezza, abbiamo lavorato anche per voi… perché voi possiate essere, come io voglio che siate, sempre degli uomini liberi, degli uomini liberi in piedi, padroni dei vostri pensieri, dei vostri sentimenti, non dei servitori in ginocchio.” – Sandro Pertini V.L.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’Avvenire del Lavoratore ha tagliato il traguardo dei 120 anni

120 anni dalla parte dei lavoratori, dei migranti e dei diritti dell’uomo: una vecchia bandiera rossa che continua a sventolare sfidando il tempo e l’arroganza del potere. Questa testata nasce a fine Ottocento, in seguito ai vari “pogrom” anti-italiani che stavano avvenendo in quegli tempi nelle varie città europee e che si ripeterono, da ultimo, a Zurigo nel 1896. «Il 26.7.1896 nel quartiere operaio di Aussersihl a Zurigo scoppiarono dei tumulti, protrattisi per diversi giorni, a seguito di una rissa in cui un Alsaziano era morto accoltellato da un muratore. Come già avvenuto durante la rivolta del Käfigturm a Berna nel 1893, la collera popolare si scatenò dapprima contro gli Italiani per poi rivolgersi, dopo l’intervento della polizia e dell’esercito, anche contro le autorità», così si legge nel Dizionario storico della Svizzera. «La sommossa fu una protesta spontanea delle classi popolari, priva di rivendicazioni concrete, e può essere considerata l’espressione di una crisi legata alla modernizzazione», prosegue il Dizionario, concludendo che: «Gli immigrati italiani, perlopiù lavoratori stagionali impiegati nell’edilizia, divennero il capro espiatorio del profondo disagio causato dai rivolgimenti economici e sociali dell’epoca.» Nelle analisi politiche dei nostri antichi predecessori, però, la ragione di quei pogrom anti-italiani risiedeva “materialisticamente” nella concorrenza salariale dei nostri migranti verso i lavoratori autoctoni. Da ciò conseguiva, per il PSI in Svizzera e in modo particolare per Giacinto Menotti Serrati allora alla guida del partito in emigrazione, la necessità di rafforzare massimamente il sindacato locale, anche tra i connazionali. E fu così che il PSI in Svizzera – insieme all’Unione sindacale e alla Federazione Muraria – fondò questo giornale come organo di stampa comune, che iniziò le pubblicazioni nel settembre del 1897, un anno e un mese dopo i “Tumulti antiitaliani” di Zurigo. Nel corso del tempo questa testata ha cambiato dicitura due volte. All’atto di nascita si chiamava “Il Socialista”, come ricorda Claude Cantini nel suo Quaderno sulla stampa italiana in Svizzera. Con il 1° luglio 1899 muterà in “L’Avvenire del lavoratore” (al singolare) per poi essere lievemente ritoccata al plurale in “L’Avvenire dei lavoratori” da Ignazio Silone nel 1944. Dopo la “prima fase”, dedicata alla fondazione del sindacato in lingua italiana, la linea editoriale dell’ADL si sposta verso tematiche sempre più politiche. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, viene abbracciata decisamente la causa pacifista, sotto la direzione di Angelica Balabanoff, segretaria generale del movimento di Zimmerwald. In questa “seconda fase”, l’originario entusiasmo per la rivoluzione russa si raffredda gradualmente, fino a spegnersi e a invertire la rotta in senso anti-sovietico dopo la rivolta di Kronstadt e il rientro della Balabanoff in Occidente nel 1922. Nel biennio 1921-1922, dalla Scissione di Livorno alla Marcia su Roma, lo stato liberale italiano subisce intanto un vero e proprio collasso. Inizia la “terza fase” dell’attività editoriale dell’ADL, che deve assumere su di sé i compiti legati al proprio nuovo status: l’essere rimasta l’unica testata libera della politica italiana. Gli altri giornali di partito vengono soppressi con l’avvento del fascismo-regime, don Luigi Sturzo viene esiliato a Londra con avvallo papale, la stampa collegata al Pci è assoggettata alle tiranniche direttive staliniane. Nella seconda metà degli anni Venti viene stampato a Zurigo l’Avanti! parigino in coedizione con l’ADL e con il determinante sostegno economico del movimento cooperativo italiano in Svizzera. Ma nell’estate del 1940 le armate hitleriane occupano Parigi e il “Centro estero” socialista deve riparare nella Francia sud-occidentale, a Tolosa. Di lì, nel 1941, il “Centro Estero” è trasferito in Svizzera, a Zurigo, sotto la guida di Ignazio Silone. In questa “quarta fase” Silone avvia un importante tentativo di rinnovamento del socialismo italiano – di concerto con Eugenio Colorni che da Roma conduce le attività del “Centro Interno” e dirige l’Avanti! clandestino. Come scrive Ariane Landuyt, questo tentativo s’impernia sull’idea degli “Stati Uniti d’Europa” in prospettiva strategica filo-occidentale e antisovietica. Colorni però cade in uno scontro a fuoco con le milizie fasciste e, all’indomani della Liberazione, la linea siloniana verrà sconfitta dal neo-frontismo di Nenni e Togliatti, ma quel tentativo di rinnovamento riemerge oggi, attualissimo, nella sua straordinaria capacità anticipatrice. Dopo il rientro in Italia dei fuoriusciti, la “quinta fase” – quella del secondo Dopoguerra – è caratterizzata da personalità del mondo po­litico e giornalistico svizzero che, come Ezio Canonica e Dario Rob­biani, si impegnarono fortemente a contrastare la xenofobia anti-stra­nieri esplosa in questo Paese con grande virulenza a partire dalla lunga ondata migratoria proveniente soprattutto dal Mezzogiorno d’Italia. La “sesta fase”, quella in cui ci troviamo, è stata inaugurata dalla caduta del Muro di Berlino, dal crollo dell’Urss, dalla fine della “guerra fredda” e dalla crisi della “Prima Repubblica”, che ha portato anche alla fine del PSI in Italia (ma non del “Centro Estero”). Noi non disconosciamo il desiderio di mora­liz­zazione che aveva mosso l’opinione pubblica all’epoca di “Mani pulite”, ma giudichiamo altamente pericolose per la democrazia nel nostro Paese le spinte demagogiche sviluppatesi insieme al cosiddetto “circolo mediatico-giudiziario” fin dal 1992. Purtroppo, venticinque anni di cosiddetto “nuovo che avanza” mostrano risultati ormai evidenti a tutti. La lunghissima crisi economica ha provocato nuovi apici di disoccupazione giovanile e nuovi flussi migratori. È nato e si è diffuso un sentimento xenofobo, antipolitico e anti-europeo che si assomma azzardosamente alla crisi degli stati nazionali e allo scarso senso civico degli Italiani. La confusione, l’improvvisazione e l’approssimazione con cui pezzi d’establishment della “seconda Repubblica” hanno tentato revisioni costituzionali e riforme elettorali a proprio uso, stanno mettendo ulteriormente alla prova la tenuta delle istituzioni. A fronte dei problemi sul tappeto e delle sfide future, le nostre forze sono quasi del tutto trascurabili. Ma – non mollare! diceva Carlo Rosselli – resteremo impegnati, in controtendenza rispetto all’eclissi della politica italiana, nella salvaguardia attiva di un patrimonio ideale di sinistra, che appartiene a tutti e che rimane ineludibile rispetto a qualunque tentativo serio che l’Italia vorrà intraprendere per uscire dall’attuale “costellazione weimariana”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo …

Gramsci in cella e in clinica. I paradossi di una prigionia

Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». È la frase che avrebbe pronunciato il pubblico ministero nel processo contro Antonio Gramsci. In tanti ci è capitato almeno una volta di citarla. La notizia la dà Togliatti nell’articolo scritto nel 1937 per commemorare la recente morte del compagno. Quella frase non è stata mai detta da nessun giudice. Chi volesse controllare non ha che da leggere gli atti del processo, pubblicati da Domenico Zucaro nel 1961. Il falso storico del 1937 è il punto di partenza di altre falsificazioni su Gramsci e il fascismo. Molte sono note, anche se non sono mai state adeguatamente valorizzate. Ne ricordo alcune tra le più eclatanti. Ancora Togliatti, nel 1944 appena arrivato in Italia, scriverà che la cognata Tania i Quaderni era riuscita «a trafugarli dalla cella la sera stessa della sua morte, grazie al trambusto creatosi». Gramsci non è morto in una «cella», ma in una delle cliniche più costose di Roma, la Quisisana. Era accusato di avere attentato alla sicurezza dello Stato. In presenza di un tale capo di imputazione anche i regimi liberal-democratici adottano misure di rigido controllo di ciò che il detenuto scrive. Mussolini, se avesse voluto sequestrare i Quaderni , non aveva che da applicare leggi e regolamenti. Nessuna astuzia di compagni e cognata sarebbe stata efficace. I Quaderni uscirono dalla clinica col consenso o nel disinteresse totale del fascismo. Perché? Escluderei il ricorso all’inefficienza dell’apparato repressivo. La documentazione disponibile mette sotto gli occhi un paradosso che attende una spiegazione. Gramsci al momento dell’arresto era coperto da immunità parlamentare. Il suo arresto fu illegale, la sentenza o infondata o eccessiva. Una volta condannato (ecco il paradosso) si ha la sensazione che si sia formata una specie di rete protettiva governata direttamente da Mussolini. I fatti che orientano verso questa supposizione sono tanti. Gramsci dispone di una cella tutta sua che, stando alla descrizione che il detenuto fa alla madre il 31 settembre 1931, è «una cella molto grande, forse più grande di ognuna delle stanze di casa». La lettera non trascura alcuni particolari: «Ho un letto di ferro, con una rete metallica, un materasso e un cuscino di crine e un materasso e un cuscino di lana e ho anche un comodino». A partire da febbraio 1929 può usare carta, penna e libri diversi da quelli della biblioteca del carcere. Privilegio non concesso agli altri detenuti politici. A volte il direttore gli proibisce la lettura di determinati libri. Gramsci scrive direttamente a «S.(ua) E.(ccellenza) il Capo del Governo» e l’autorizzazione alla lettura arriva. Nella lettera dell’ottobre 1931 indirizzata a Mussolini, ad esempio, scrive: «Ricordando come ella mi abbia fatto concedere l’anno scorso una serie di libri dello stesso genere, La prego di volersi compiacere di farmi concedere in lettura queste pubblicazioni». Tra esse ci sono: La révolution défigurée di Trotsky, Le opere complete di Marx e Engels, le Lettres à Kugelmann di Marx con prefazione di Lenin. Non pare proprio che Mussolini abbia voluto impedire al cervello di Gramsci di funzionare. A partire dal dicembre 1933 fino alla morte (aprile 1937) Gramsci non è più in carcere ma nella clinica Cusumano, a Formia, prima, nella costosa clinica romana Quisisana dopo. Dodici dei trentatré quaderni a noi pervenuti non hanno timbro carcerario e sono stati interamente redatti nelle cliniche. Correttezza filologica vorrebbe che venissero chiamati Quaderni del carcere e delle cliniche. La conoscenza del periodo delle cliniche è molto lacunosa. Il cordone protettivo si rafforza. Ruoli importanti vi svolgono l’economista Piero Sraffa e lo zio Mariano D’Amelio, senatore e primo presidente della Corte di Cassazione. È un periodo che presenta molti buchi neri e che potrebbe riservare sorprese. Prendiamo gli ultimi venti mesi prima della morte, dal 24 agosto 1935 al 27 aprile 1937. Li trascorre nella clinica Quisisana frequentata dalla buona borghesia romana. Al mantenimento delle spese contribuisce la Banca commerciale italiana tramite il banchiere Raffaele Mattioli. Il ministero dell’Interno dispone la vigilanza solo esterna. La Questura più volte scrive al ministero per lamentarsi che, dati i numerosi ingressi della clinica e il poco personale disponibile, non è nelle condizioni di garantire un vero controllo. Cito un passaggio della Nota riservata della Questura datata 14 novembre 1935: «La vigilanza esterna non offre neppure la possibilità di alcun controllo sulle persone che si recano a visitare il Gramsci, in quanto trattasi di una clinica vasta, di lusso, in cui sono ricoverati numerosi malati di agiate condizioni e che quindi vengono visitati da persone che vi si recano quasi sempre in automobile». Non risulta che il ministero abbia risposto o preso provvedimenti. Segno che così era stato deciso nelle alte sfere del governo. Il fascismo è crollato da più di settant’anni. Dalla morte di Gramsci sono passati settantanove anni. Il muro di Berlino è stato abbattuto ventisette anni fa. I tempi sono più che maturi per esplorare senza pregiudizi ideologici un capitolo fondamentale della storia d’Italia. Se non ora quando? Franco Lo Piparo Franco Lo Piparo continue reading SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PRAGA ’68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA

Per ricordare la fine della “Primavera di Praga“ pubblico le riflessioni del compagno Franco Astengo, un compagno comunista, perché è una testimonianza delle occasioni perdute dalla sinistra italiana. A mio avviso sarebbe dovuta cominciare già con la rivolta operaia di Berlino del 1953, quella che ispirò il feroce epigramma di Brecht (L’ufficio politico della SED decise che il popolo aveva perso la fiducia del Governo) e proseguire con la rivoluzione (già con il linguaggio inizia la verità, basta parlarne come i ”  fatti d’Ungheria”) ungherese del 1956. “Primavera di Praga“ Primavera di Praga Ma il confronto Est-Ovest e altri fatti internazionali potevano giustificare il ritardo: per la Cecoslovacchia, invece, non c’erano giustificazioni. La riforma era addirittura guidata dal Partito anche se preparata nella società da un fermento intellettuale senza precedenti. In gioco era la riformabilità del comunismo realizzato. Se un sistema non è riformabile può solo crollare, come è avvenuto. Il tragico è che le macerie del Muro di Berlino hanno colpito anche  il socialismo democratico, perché il fatto dominante negli anni successivi non è stato dato dalla liberazione democratica, ma dalla restaurazione capitalistica. La fine del campo sovietico è stata utilizzata, come se nulla giustificasse più lo stesso compromesso socialdemocratico e, quindi, potessero essere erose le conquiste sociali ottenute in Occidente e il ruolo stesso dello Stato in economia. Nei paesi dell’Est, specialmente in Russia, si è dimostrato che all’ombra del ruolo dirigente del Partito unico (di fatto quello comunista anche nei paesi che avevano salvato un pluralismo politico di  facciata -DDR, Polonia, Cecoslovacchia-, che in ogni caso escludeva l’esistenza di altri partiti di sinistra), si era creata una nuova classe, che deteneva il potere politico e quello economico. Quest’ultimo fu mantenuto e rafforzato con le privatizzazioni, che furono  vere e proprie appropriazioni (per rendere l’idea operazioni tipo Benetton e Società autostrade su una scala immensa). In una prima fase anche il potere politico  non andò agli oppositori o agli esiliati, ma a ex comunisti. Prepariamoci al 50° anniversario dell’invasione  della Cecoslovacchia, come non ci siamo preparati al Centenario di Zimmerwald e Kiental, magari discutendo di Venezuela: non sull’oggi, su questo la sinistra latino-americana e italiana è già divisa: giocano sempre meccanismi reattivi pavloviani, ma su quello che avremmo potuto fare prima nella fase di costruzione dell’esperimento: unire socialismo e democrazia. Difficile quando le decisioni dei gruppi politici dipendono dalla cronaca, dai sondaggi di opinione e dalla conservazione del potere personale ad ogni costo e non da un’analisi della società e delle forze sociali in campo. Ma insistiamo perché la speranza non è mai morta, se crediamo che un mondo migliore è non solo necessario, ma anche possibile. Felice C. Besostri Felice C. Besostri — PRAGA ’68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA di Franco Astengo Mi auguro sia permesso avviare questo intervento con un ricordo personale. Ero a casa, in ferie forzate perché l’ufficio stava chiuso una settimana (chi mi ha conosciuto sa quanto non mi siano mai piaciute le ferie). Le 5,30 del mattino: mio padre si stava preparando per il turno in fabbrica e ascoltava, come sempre, la radio. Ad un certo punto irruppe nella stanza che dividevo con mio fratello ed esclamò (tutto il dialogo rigorosamente in dialetto, naturalmente) “ I russi hanno invaso Praga”. Mi alzai seguendolo ad ascoltare il notiziario: camminavo nervosamente su e giù per la cucina e ad un certo punto, mentre stava per uscire di casa, lo appellai perentorio. “ Papà, questa volta rompiamo con Mosca” 21 Agosto 1968: i carri armati del Patto di Varsavia entrano a Praga, spezzando l’esperienza della “Primavera”, il tentativo di rinnovamento portato avanti dal Partito Comunista di Dubcek. 1968: l’anno dei portenti, l’anno della contestazione globale, del “maggio parigino”, di Berkeley, Valle Giulia, Dakar, della Freie Universitaat di Berlino: quell’anno magico vive in quel momento la svolta verso il dramma. Si chiude bruscamente un capitolo importante nella storia del ‘900. Come mi accade ogni anno, e a rischio di apparire assolutamente ripetitivo, mi permetto di disturbare un certo numero d’interlocutrici e interlocutori per ricordare i fatti di Praga. Una riflessione sui risvolti che quell’avvenimento ebbe sulla sinistra italiana: si compirono, in quel frangente, scelte che poi avrebbero informato la realtà politica della sinistra italiana per un lungo periodo. Prima di tutto l’invasione di Praga spezzò lo PSIUP: a distanza di tanti anni possiamo ben dire che si trattò di un fatto politico importante. Il partito, rappresentativo dell’esperienza della sinistra socialista che aveva rifiutato nel 1963 l’esperienza di governo con la DC, aveva appena ottenuto (il 19 Maggio) un notevole risultato alle elezioni politiche (il 4,4% dei voti con 24 deputati) e su di esso si era appuntata l’attenzione di molti giovani che avevano cominciato a ritenerlo l’espressione di un avanzato rinnovamento a sinistra. Lo PSIUP si spaccò in due, da un lato il vecchio gruppo dei “carristi” approvò incondizionatamente l’invasione con toni da antico Comintern (come nessun altro settore della sinistra italiana, usando un’enfasi non adoperata neppure dalla corrente del PCI vicina a Secchia); dall’altra esponenti di spicco del “socialismo libertario”, epigoni della lezione di Rosa Luxemburg, come Lelio Basso si misero da parte; ma soprattutto furono i giovani, al momento protagonisti del ’68, a ritrarsi. Lo PSIUP iniziava così la china discendente, che sarebbe culminata nell’esclusione dal Parlamento con le elezioni del 1972: un evento ripetiamo di un peso rilevante sulle future sorti della sinistra, in particolare al riguardo delle possibilità di aggregazione, iniziativa politica, capacità di rappresentanza di quella che sarebbe stata la “nuova sinistra” di origine sessantottesca. Il peso più importante, però, della drammatica vicenda praghese ricadde, ovviamente, sul PCI. Il più grande partito comunista d’Occidente si trovava, in quel momento, in una fase di forte espansione elettorale (il 19 Maggio aveva raccolto 1.000.000 di voti in più rispetto all’Aprile 1963) ma in difficoltà organizzativa, in calo d’iscritti, non avendo ancora superato il trauma dell’aver svolto un congresso inusitatamente combattuto come l’XI del 1966, il primo celebratosi dopo la morte di Togliatti, e contrassegnato dallo scontro (ovattato, ovviamente, com’era costume dell’epoca, …

I fiori secchi del togliattismo

«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto». La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto Chi ha detto queste parole non è un politico neo-georgico, ma un maturo leader, veterano dei partiti e delle istituzioni. È Pier Luigi Bersani che così ha chiuso una lunga intervista rilasciata a “L’Espresso” (n. 23, 4 giugno 2017). Diciamo subito che non si può, sulla frase in sé, che concordare; tuttavia l’ammonimento fa un po’ sorridere, per non dire di peggio, se si pensa da quale storia viene Bersani: quella di prima e quella più recente; da una storia che ha liquidato l’idea stessa di sinistra per dar vita al Partito democratico che, a essa, è geneticamente allergico. L’uscita – un po’ strascicata in vero – che il gruppo di cui egli è il capofila ha ritenuto di farla finita con la formazione di Matteo Renzi. Il porre la questione in aura poetica nulla toglie a tutta la cattiva prosa di un’esperienza che di sinistra non ha mai avuto niente e di cui i comunisti, che ne ha hanno scritto una buona parte, sono responsabili e non assolvibili. Sulle ragioni e la dinamica che hanno portato al Pd si è scritto molto: esso è stato l’approdo finale della linea togliattiana che, qualunque sia stato il nome che via via venivano assumendo, i comunisti hanno pervicacemente perseguito dalla fine del loro vecchio partito. Sempre la stessa linea, sempre la stessa innata convinzione della propria diversità accompagnata dal senso naturale che a loro spettasse l’esercizio di una inscalfibile egemonia che si sarebbe perpetrata nel nuovo soggetto dell’incontro con una pezzo di democrazia cristiana. Rimanendo alla bucolica metafora di Bersani non si può non osservare che, se la sinistra è un fiore di campo, quel fiore sono stati loro per primi a reciderlo. I fiori di campo – lo sanno tutti – nascono spontanei, ma per la sinistra non è così. Essa è il frutto storico delle lotte del lavoro per un mondo migliore, più libero,  più giusto, più democratico. È il frutto di una scelta consapevole di milioni di uomini per liberarsi dallo sfruttamento, dal disconoscimento della loro dignità, per avere, in quanto uomini, il diritto riconosciuto a istruirsi, curarsi, esprimersi, non essere socialmente ricattati, improntare la vita sociale sulla pace e sui principi della solidarietà. La sinistra, politicamente, ha rappresentato l’umanesimo forte che ha attraversato due secoli travagliati e difficili alla conquista di quei doveri che oggi talora sono minacciati quando non addirittura misconosciuti. Altro che fiore di campo!. È stata, concretamente, un campo largo della storia dell’uomo: socialisti, comunisti, radicali, liberali, democratici aperti e avanzati al di là delle rispettive culture, forme organizzative, fedi religiose, ora in accordo, talora in disaccordo, ma sempre schierati sul versante fermo della democrazia e della sua nozione sociale. Un grande movimento che ha permesso alle società libere di costruire futuro dopo futuro anche a prezzi altissimi; quel futuro che oggi non sta nemmeno sull’orizzonte ampio del mondo globalizzato. Quanto suona beffarda e vera, a fronte di tutto ciò, la definizione stessa di orizzonte quale linea che si allontana quanto più credi di avvicinartici. Chissà se a Bersani, che oggi teme che l’idea di sinistra non finisca nel mazzo giusto, è mai capitato di pensare quanto sarebbe stata diversa la vicenda italiana se, non potendo più esistere il partito comunista italiano, la sua forza si fosse incamminata verso i lidi del socialismo. Erano in tanti a sperarlo e quella speranza, considerato il presente, presentiva il giusto e la verità. Si riteneva quale evoluzione naturale, dato anche il suicidio del partito socialista – non dei socialisti, intendiamoci – che l’unica forza storica della sinistra rimasta in piedi non ammainasse la bandiera, ma ne alzasse una nuova per riprendere il cammino delle conquiste democratiche. Il campo, ricordiamocelo, nel 1994 lo aveva costituito l’insieme dei progressisti. Le elezioni furono perse, ma il risultato, ben consistente, dava egualmente forza al disegno evolutivo dell’intesa elettorale. Solo che il disegno non c’era ed è proprio il caso di dire che il bambino fu buttato via con l’acqua sporca. Quella coalizione aveva tutte le caratteristiche, anche pluralistiche, per divenire un soggetto politico. Tutto fu invece gettato alle ortiche e di quanto era successo con le elezioni del 1994 mai si è avuta un’analisi e un’interpretazione da chi aveva il dovere di darle. La sinistra, contravvenendo alle sue tradizioni, non aprì nemmeno il dibattito. I comunisti su cui gravava la responsabilità della situazione aprirono un sanguinoso fronte interno; fecero tra loro quei conti che fino ad allora non avevano potuto fare e continuarono da postcomunisti a muoversi secondo il canone di sempre. Ma invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Così, il nuovo che avevano sempre perseguito, ha finito per scomporli, triturarli, annientare pure il senso della loro cultura storica; subalterni – quelli rimasti – nel Pd aperti alla poesia bonaria quelli usciti. Non c’è che dire: il fallimento non avrebbe potuto essere più completo. In tanti, crediamo, vorrebbero riunirsi intorno a quel fiore di campo, ma esso, per essere colto o meglio fatto crescere come di deve, dovrebbe essere in un campo socialista che non c’è e chissà ancora per quanto tempo non ci sarà. Per onestà dobbiamo riconoscere che quel fiore sembra essere stato raccolto dal Papa se si pensa alle chiare prese di posizione assunte da Francesco sullo sfruttamento prodotto dal liberismo finanziario, a difesa della dignità dell’uomo, alla condanna di ogni tipo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Recentemente il Papato si è mosso, e con quale autorevolezza, sul problema della corruzione. Per ora quel fiore è lì. Il Papato, però, non è un partito e …