LA NASCITA DEL PSI
La nascita del PSI: ragioni e significato La data di nascita del PSI è ben impressa nella memoria di molti socialisti e non socialisti: il 15 agosto 1892. Il luogo di nascita dovrebbe essere altrettanto conosciuto, ma a volte si fa confusione su di esso. Molti ritengono che sia a Genova, nella sala Sivori. Sbagliandosi, perché alla sala Sivori fu consumata la separazione tra anarchici e socialisti. Il nuovo partito, che non aveva ancora la denominazione di Partito socialista italiano, fu fondato invece il giorno successivo nella sala dei “Carabinieri genovesi”, il corpo dei fucilieri garibaldini. Si è voluto ravvisare, da più parti, quasi un significato simbolico in questa coincidenza, un trait d’union tra la tradizione risorgimentale impersonata dall’esponente di essa più sensibile alle istanze del socialismo nascente e le idealità del sorgente partito dei lavoratori Italiani. Senza dubbio qualche tratto di continuità c’è stato, specie se si fa riferimento ai numerosi garibaldini, e allo stesso Garibaldi, che si erano proclamati socialisti ben prima della nascita del partito. O anche ad alcuni “protosocialisti” di fede mazziniana, quali Carlo Bianco di Saint-Jorioz, oppure a un Carlo De Cristoforis, o allo stesso Pisacane.(1) Fisicamente, uomini di tradizione risorgimentale, tra i fondatori del partito, era possibile rintracciarne ben pochi. Erano, per la maggior parte, umili operai ed anche intellettuali di idee socialiste, troppo giovani per aver preso parte al moto risorgimentale. Tra essi, il gruppo di “Critica Sociale” che aveva da qualche tempo iniziato a far circolare in Italia le idee marxiste che rapidamente si stavano diffondendo, contrassegnando incontrovertibilmente l’identità ideologica del movimento. Un compito analogo si era assunto da parte sua Antonio Labriola, tuttavia assente a Genova perché critico verso l’impostazione che veniva data al nuovo partito. Esisteva un rapporto ideale tra il moto risorgimentale e quello di emancipazione dei lavoratori. C’erano però ben due ragioni storiche a distaccare da quel moto quest’esperienza dell’organizzazione che muoveva i suoi primi passi, per divenire ben presto adulta e protagonista della vita sociale e politica del paese. La prima risiedeva nel fatto che mentre il Risorgimento era stato, per sua natura e ragione storica, dominato dalla “questione nazionale”, la nascita del partito dei lavoratori era il risultato di un’altrettanto legittima ragione storica di segno diverso, quella che faceva assumere priorità assoluta alla “questione sociale”, rispetto anche alla stessa “questione nazionale”. Non per un caso il partito si qualificò immediatamente come internazionalista e pacifista. La tesi del “Risorgimento incompiuto”, cara a Gramsci e ai gramsciani di vecchio e nuovo conio, ha espresso il concetto – letterariamente seducente e non privo di efficacia propagandistica – dell’eredità, affidata al movimento dei lavoratori, di portare a compimento la rivoluzione risorgimentale non realizzata dalle classi dirigenti Italiane dell’800. Proprio il sorgere del partito dei lavoratori, e i modi in cui esso è nato e si è affermato, testimoniano la genericità di questa tesi e ne rappresentano una confutazione. In realtà, il Risorgimento e la conseguita unità nazionale si presentavano già sulla fine del secolo scorso come un processo storico-politico ben definito, che aveva trovato il suo compimento con la costruzione dello Stato monarchico-costituzionale sui fondamenti di un sistema politico liberale. Ancora fragile ma con connotazioni inconfondibili. La seconda, effettiva ragione storica che conduce alla costituzione del Partito socialista sta nel fatto che le classi subalterne, e tra di esse la classe operaia che s’era andata estendendo e irrobustendo negli ultimi decenni, erano e si sentivano del tutto escluse dalla vita e dalla gestione delle istituzioni liberali, rappresentative e di governo, da quelle centrali come da quelle locali. La stessa introduzione dei sistemi di rappresentanza elettiva, fondata su una ristrettissima base elettorale, rendeva palese la realtà di questa netta esclusione, che conduceva a una separazione conflittuale tra lo Stato e le grandi masse lavoratrici. Una esclusione sempre di più inaccettabile, a mano a mano che in Italia si sviluppano le basi di un’economia moderna in seguito all’estensione del sistema di produzione industriale. Avviene, in Italia, quel che era avvenuto e avveniva in Inghilterra, in Germania, in Francia e in molti altri Stati europei, con la Rivoluzione industriale e la susseguente nascita ed espansione della classe operaia: il mondo dei lavoratori, escluso dalla partecipazione alla gestione delle istituzioni e assoggettato alle strutture del potere economico, si autorganizzava come partito rappresentativo delle esigenze sociali emergenti e si configurava quale soggetto politico nuovo, che in breve volgere di tempo si ergeva a protagonista, in forme organizzative, propagandistiche, di lotta politica del tutto innovative rispetto alle tradizioni e ai comportamenti politici vigenti. Un soggetto sociale e politico di questa natura e di questa forza tendeva a contrapporsi non soltanto al potere delle controparti sociali, ma anche al potere delle istituzioni statuali, almeno fin quando non si trovasse ad essere in esse rappresentato. Tendeva a contrapporsi allo Stato, non soltanto alle classi dominanti, finendo per identificare queste con quello. In tale processo risiede, infatti, la ragione della fortuna che immediatamente ebbe, nei movimenti dei lavoratori della seconda meta dell’800, la formula marxista dello Stato come “comitato politico della borghesia”. Nelle diverse esperienze di formazione dei partiti dei lavoratori di ciascuna delle società europee industrializzate si rivela un tratto comune: la forma che tali partiti assumono (la “forma-partito”) si differenzia nettamente dalle forme tradizionali di altri soggetti politici collettivi ad essi preesistenti o anche coesistenti. Occorre qui fare una considerazione di natura più generale. Osserva opportunamente uno studioso italiano di storia dei partiti, il Brigaglia, che il termine “partito” ha una “valenza variabile sia da un punto di vista descrittivo che da un punto di vista valutativo”(2) aggiungendo che dal punto di vista descrittivo esso accomuna fenomeni diversi: “dai gruppi religiosi contrapposti alle fazioni parlamentari, alle organizzazioni sociali volte alla realizzazione di scopi politici”. Tra queste ultime, la forma-partito moderna, detta anche partito di massa, si contraddistingue, nelle sue varie fattispecie storiche, dalle forme-partito di epoche storiche diverse per una serie di caratteristiche relative all’organizzazione su base territoriale, ai rapporti con le strutture collettive sociali come il sindacato, le cooperative ecc. per la continuità del lavoro …