18 GIUGNO 1975 ROCCAMENA (PA). UCCISO CALOGERO MORREALE, 35 ANNI, SINDACALISTA E ATTIVISTA SOCIALISTA

di Antonio Ravidà | Calogero (Lillo) Morreale era un dirigente socialista dell’Alleanza contadina. Colpevole di aver sospettato imbrogli che giravano intorno ai lavori per l’invaso Garcia. “Una grande abbuffata” che ha favorito potenti “famiglie” siciliane. Diga per la quale morirono anche il colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo e il suo amico-confidente Filippo Costa (20/08/77) e il giornalista (cronista giudiziario del Giornale di Sicilia) Mario Francese (26/01/79) che aveva scritto sull’ “affare” della diga. E’ stata la “mafia agraria” a uccidere l’attivista Psi? Palermo: una nuova pista seguita nelle indagini. Calogero Morreale è il ventisettesimo sindacalista assassinato in Sicilia – Suo padre, nel ’46, organizzò occupazioni di terre incolte – L’agguato dei “killers” sulla strada Palermo, 19 giugno. Soltanto sospetti e mezze frasi. Poi molta paura di parlare e persino di stare a sentire. Questa è la cupa impressione, passando nelle piccole strade di Roccamena (3 mila abitanti a una settantina di chilometri da Palermo) dove è stato ucciso il segretario della sezione del Psi, Calogero Morreale, 35 anni, sposato e padre di due figli. Poco oltre la periferia del paese, a circa quattro chilometri sulla strada che entra nella valle del Belice, si raggiungono i luoghi del terremoto del 1968. E’ qui che ieri, nel primo pomeriggio, è stato assassinato Morreale, che era anche presidente del locale ente comunale di assistenza, delegato di zona dell’Alleanza contadina e agente dell’Unipol, compagnia assicuratrice. L’hanno ucciso due o tre killers che, lungo la strada, gli avevano fatto segno di fermarsi. Morreale, che probabilmente li conosceva, ha rallentato e ha spento il motore. E’ probabile che non gli abbiano dato neppure il tempo di parlare: gli hanno sparato con tiro incrociato a lupara e con rivoltelle calibro 38 a canna lunga. Subito dopo, i killers sono fuggiti su un’auto lasciata nei pressi. Nessuna delle persone che, nella mezz’ora seguente sono passate di lì, si è fermata o ha dato l’allarme. Eppure Morreale, insanguinato e chino sullo sterzo della sua «500» azzurra, era ben visibile. Solo più tardi, intorno alle 15.00, due agricoltori, padre e figlio, superando con la mietitrebbia l’utilitaria, hanno riconosciuto Morreale, sono scesi sperando di poterlo soccorrere, ma visto che era già morto sono corsi a dare l’allarme. A Roccamena, dove dal giugno 1973 è in carica una giunta socialcomunista, i concittadini del segretario socialista ucciso non hanno dubbi: il delitto è stato ordinato da un clan mafioso infastidito dalle iniziative sindacali di Morreale. Ma quale dei tre o quattro gruppi di mafia che da generazioni «pesano» sulla zona? «Morreale è nuovo martire socialista sulla via insanguinata della protesta contadina contro la mafia e le cricche di potere in Sicilia», ha detto Filippo Fiorino, segretario provinciale socialista. «Quest’ultima vile e rabbiosa risposta della reazione siciliana — ha aggiunto Fiorino — ancora una volta ha troncato la vita di un onesto e combattivo lavoratore socialista, marito e padre affettuoso». Ha detto il padre della vittima, Pietro Morreale, agli inquirenti: «Cercano di intimorirci. Ci hanno provato venti anni fa senza riuscirci, ora hanno ucciso mio figlio. Ma noi non ci fermeremo». C’è un’altra pista che gli inquirenti seguono: può darsi che Calogero Morreale abbia saputo qualcosa sul sequestro dell’enologo Franco Madonia, rapito l’8 settembre scorso fra Roccamena e la vicina Monreale e rilasciato il 15 aprile, ma dopo il pagamento di un miliardo. Le proprietà del nonno materno di Madonia, Giuseppe Garda, confinano con il podere dei Morreale che con i Garda sono sempre stati in ottimi rapporti. L’omicidio di Calogero Morreale, nel dominio mafioso di Liggio, Coppola, Rimi, ha più di un precedente. Dal dopoguerra ad oggi in Sicilia 13 sindacalisti della Cgil e 14 esponenti politici di vari partiti, anche della dc, sono stati assassinati. L’anziano padre del segretario socialista ucciso fu uno degli organizzatori dell’occupazione delle terre nel 1946-’47 poco prima della riforma agraria in Sicilia, quando i contadini s’installarono nei feudi incolti. Il vecchio Morreale afferma oggi che nel 1950 sfuggì per poco ad un agguato. L’elenco delle vittime è aperto da Angelo Macchiarella, sindacalista ucciso a Ficarazzi, nel Palermitano, il 19 febbraio 1947; sei giorni dopo, venne assassinato, a Partinico, Carmelo Silvia pure sindacalista, il primo maggio successivo, nella strage di Portella delle Ginestre, a breve distanza da Roccamena, la banda Giuliano si scatenò contro un corteo di lavoratori: 11 morti e 56 feriti furono il bilancio della tragica ritorsione della quale, secondo più d’una testimonianza, Giuliano si rese autore in nome e per conto di alcuni agrari e mafiosi di Palermo. Il 21 marzo 1948 la «cosca» mafiosa di Corleone, ancora dominata dal medico Michele Navarra, poi sostituito da Liggio, che lo eliminò a sventagliate di mitra e lupara, uccise il segretario della Camera del Lavoro, Placido Rizzotto. Dopo altri omicidi, il 16 maggio 1955 a Sciara, nell’altro versante del Palermitano, fu trucidato Salvatore Carnevale e, il 24 marzo ’56, a Tusa, al confine tra le province di Messina e Palermo, Carmine Battaglia. Come Morreale anche gli ultimi due erano sindacalisti socialisti. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LEOPARDI ERA SOCIALISTA?

La rilettura e la più corretta interpretazione del pensiero filosofico di Giacomo Leopardi evidenzia un suo modo preoccupato, molto preoccupato, di vedere lo stato della società e l’atteggiamento dei singoli. Leopardi ha la speranza in un miglioramento, in un cambiamento, in una visione non egoistica ma umana, rispettosa di valori che poi il socialismo sistematizzerà. Il servizio su Leopardi induce ad una riflessione sull’origine del suo pessimismo. La causa del suo pessimismo veniva attribuita dai commentatori agli effetti della sua condizione fisica sul carattere. Probabilmente si aggiungeva un fattore paraomosessuale di cui non si è mai parlato perché argomento tabu nelle scuole e non solo nelle scuole. Le sue passioni platoniche, irrealizzate, per donne e uomini dotti lo pone in una posizione di dubbio che autori recenti hanno commentato pur negandola (non avendo, però, elementi per farlo e, tuttavia, neanche per affermarlo). Il servizio (video) della chiara professoressa Mariangela Priarolo inserisce un nuovo elemento sulla visione pessimistica che potrebbe essere la constatazione dell’egoismo diffuso e, quindi, della poca speranza in un mondo solidale e diverso. La sua constatazione è all’interno di una convinzione filosofica, non è un commento incidentale. Credo che il suo pensiero e quello di Schopenhauer non siano assimilabili, così come ci dicevano a scuola, nel filone pessimista. Entrambi pessimisti si, ma, mi viene da pensare, non omogenei nell’origine delle convinzioni e quindi nelle cause del rispettivo pessimismo e del suo contenuto. Leopardi morì prima che fosse pubblicato il Manifesto nel 1840, quindi non direi che il socialismo di Leopardi sia collegabile al socialismo di Marx, ma piuttosto sia una visione solidaristica, non egoista e, in questo senso, socialistica. Mi rimetto a chi ne sa di filosofia per un commento migliore. Mauro Scarpellini Non posso che condividere il sevizio su Leopardi e il commento di Mauro Scarpellini.Purtroppo, per decenni, nelle scuole la narrazione principale che si è fatta del pensiero di Leopardi è quella di un irrimediabile pessimista: a causa della sua cagionevole salute e della sua vita solitaria, il poeta e filosofo di Recanati avrebbe costruito una filosofia del pessimismo, che addirittura scolasticamente veniva chiamato “pessimismo cosmico”.In verità non c’è nulla di più lontano dal pensiero del poeta, e fortunatamente negli ultimi anni si sta sostituendo questa interpretazione di Leopardi ad una più vera, più genuina, e soprattutto meno categorizzante: il pensiero del filosofo può sembrare disperato, ma solo perché alla costante ricerca della solidarietà, della comunione, dell’armonia. Il pessimismo non è altro che speranza, a volte disperata, ma mai vana. Leopardi era in realtà così ottimista da ricercare costantemente, attraverso la filosofia e l’arte poetica, la bellezza, la felicità, la comunione umana.Non stupisce che una delle ultime opere del pensatore fosse “La ginestra”, che ha per oggetto questo splendido fiore che fiorisce, potente nella sua fragilità, sulla pietra lavica del Vesuvio. La ginestra è simbolo di speranza: la speranza di una comunione degli uomini e di una lotta collettiva contro le cattiverie del mondo e della natura, la speranza che gli uomini, pur nella loro fragilità simile a quella della ginestra, riescano a combattere contro il destino, in una “socialista” fratellanza.Come ci ha ricordato Scarpellini, il socialismo di Leopardi non può di certo collegarsi al socialismo di Marx, pena una visione anacronistica del suo pensiero, ma è corretto parlarne se si ha a mente la ricerca leopardiana di una fratellanza sociale, di un villaggio felice nel giorno di festa. Professoressa Federica Burgo – docente di Storia e Filosofia e Vice Presidente dell’Associazione Terni Valley. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA MODA DEL CIVISMO

Quando la politica è in crisi si ricorre a surrogati che danno l’impressione di rimediare alle carenze della politica. Da qualche tempo il civismo sembra essere la soluzione del problema. Certo quando in una amministrazione comunale la politica non riesce a dare risposte alle esigenze dei cittadini, il civismo, che per definizione nella maggior parte dei casi è espressione di una convergenza di diverse esigenze, ma senza il collante di una cultura comune, può offrire la risposta necessaria per superare le carenze amministrative. Ciò che invece lascia perplessi sono i tentativi di trasformare il civismo in partiti nazionali. In questo caso le domande non riguardano come amministrare una comunità locale, ma quale politica estera attuare; come atteggiarsi nei confronti della UE; cosa si vuole sostenere in materia fiscale; cose si pensa dei beni comuni ad esempio la gestione delle risorse idriche; come si pensa della sanità pubblica e di quella privata; quale politica economica si intende promuovere; quali scelte si privilegiano nel campo della Giustizia e delle Istituzioni; quali orientamenti verranno adottati per sostenere la scuola pubblica; come considerare il rapporto con i corpi intermedi (sindacati, associazioni imprenditoriali, ecc…). L’elenco è incompleto, ma già offre l’idea della complessità della politica che non è solo buona amministrazione dell’esistente, ma è una visione del futuro. E senza un riferimento valoriale comune, senza una tradizione culturale di orientamento la babilonia è assicurata. I contenitori frutto di convergenze culturalmente diverse possono servire per una gestione condominiale o per gestire, senza una autentica visione razionale del futuro che non può prescindere dalle scelte strategiche europee e nazionali, una amministrazione di una modesta comunità comunale, ma oltre questo confine resta solo una indistinta aggregazione di potere spesso velleitaria destinata, alla prima scelta impegnativa, a manifestare la propria fragilità. LA TRASFORMAZIONE DEL CIVISMO IN ORGANIZZAZIONI NAZIONALI: UNA VARIANTE DEL POPULISMO La moda di trasformare le organizzazioni locali in organizzazioni nazionali è cresciuta, grazie all’antipolitica, alla demonizzazione dei partiti e agli errori commessi da quest’ultimi. La sommatoria di tante diverse motivazioni che sono alla base del civismo nato nelle istituzioni locali, ha bisogno di un federatore capace di unire le diverse insoddisfazioni in un movimento che essendo eterogeneo non si caratterizza per i principi ispiratori e nemmeno per programmi di ampio respiro, ma si affida alla guida del capo. Ad esso si conferisce il compito di sviluppare l’azione politica. E’ un processo che purtroppo si è ampiamente sviluppato negli ultimi 30 anni anche in alcuni partiti che somigliano sempre di più a comitati elettorali. Questa deriva compromette la funzione del Parlamento e della rappresentanza, favorisce e consolida il ruolo delle oligarchie politiche. Si fa strada l’dea che la rappresentanza sia inutile, e ciò che resta della funzione parlamentare, grazie anche a leggi elettorali di dubbia costituzionalità, rischia di diventare una finzione democratica tradendo lo spirito e la lettera della Costituzione. A questo proposito è illuminante l’affermazione rilasciata da Giorgetti (adesso ministro dell’attuale governo) alla “La Repubblica” il 21-8-2018 sostenendo che “il Parlamento non conta più nulla perché non è più sentito dai cittadini elettori che ci vedono il luogo della inconcludenza della politica”.. “se continuiamo a difendere il feticcio della democrazia rappresentativa non facciamo un bene alla stessa democrazia”! Questo fenomeno, che non molto tempo fa fu definito populismo, ha bisogno di un capo a cui si affida la sorte del Paese. Osserva Nadia Urbinati, che “il partito dal quale il leader populista può emergere, quando non ne costruisce uno suo proprio, passa in seconda fila, mentre centrale è al sua figura, nella quale le varie rivendicazioni che compongono il movimento si incarnano. In tal modo si compromettono i fondamenti della democrazia così come disegnata dalla Costituzione e si aprono le porte alla democratura. A questo proposito è illuminante il libro di Ece Temelkuran “Come sfasciare un Paese in sette mosse” che racconta come dal populismo si possa giungere all’autoritarismo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL POPULISMO DELLA SCHLEIN: UNA OPPOSIZIONE SENZA IDEE

Quanto è accaduto in questi anni, ha letteralmente ridotto il profilo o l’appeal dei partiti. Da sale della democrazia oggi sono considerati un freno o, peggio, uno strumento obsoleto. Da rottamare. Ma rottamare i partiti vuol dire rottamare la democrazia. Certo è che i partiti non se la passano bene in Italia complice una classe dirigente che in questi trent’anni ne ha delegittimato la portata e la funzione. E si naviga a vista senza valori e contenuti, e conseguentemente senza idee e proposte. Ciò ha causato quella disaffezione degli elettori che si sono trincerati dietro un astensionismo senza precedenti in Italia oppure caratterizzandosi nella volatilità che porta in auge qualsivoglia movimento, di destra o di sinistra, per poi sgonfiarlo nella successiva tornata elettorale a vantaggio di altri soggetti politici. Oramai per catturare le simpatie degli elettori un po’ tutte le forze politiche si rivolgono alla pancia degli italiani. Si tratta delle solite chiacchiere da bar che nell’immediato hanno un certo effetto, senza dubbio, ma che nel tempo non producono i risultati sperati. Per parafrasare Bauman siamo passati dai partiti solidi ai partiti liquidi. E si continua su questa strada nonostante le condanne e i propositi di una necessaria inversione di rotta dei leader politici nostrani. Perseverare è diabolico soprattutto perchè il tema è significativo e minaccia la tenuta democratica del nostro Paese. Ma poco importa. Ciò che conta è portare a casa il risultato. A qualunque costo. Anche i cosiddetti intellettuali hanno la loro fetta di responsabilità pur di mantenere vantaggi e privilegi. Ma finchè la barca va… Un male che attraversa anche la sinistra e che ha portato alcune forze politiche sullo stesso terreno degli antagonisti. Parlare alla pancia dei cittadini, attraverso slogans, incuranti di una proposta politica. E’ il caso del segretario del PD Elly Schlein che dopo una certa indecisione, e nonostante i mugugni interni, ha deciso di partecipare con il M5S alla manifestazione del 17 giugno a Roma contro la precarietà nel mondo del lavoro e per un salario minimo piu’ elevato. Argomenti sacrosanti, si intende, ma tralasciando gli anni al Governo del Pd e del M5S, senza incidere sulle grandi questioni economiche e sociali sventolate come un mantra nella manifestazione di ieri, quale proposta politica è emersa, oltre gli slogans, per tentare di risolvere il problema? Nessuna! Da una classe dirigente, anche di opposione francamente mi aspettavo molto di più. Ma è quello che oggi passa il convento, direbbero i nostri nonni. Insomma, il populismo ha infettato anche il PD e il suo segretario, ma la sinistra dovrebbe rappresentare altro. Se solo leggessero sui temi di ieri la posizione ufficiale della nostra Associazione troverebbero delle formidabili soluzioni. E allora continuare su questo terreno dilata la costruzione nel tempo di una vera opposizione a vantaggio della maggioranza di governo. Il concetto è fin troppo semplice. Senza idee e proposte non si va da nessuna parte. Col populismo non si costruisce assolutamente nulla. Ed in particolare, quella opposizione in Parlamento e nel Paese contro una destra tesa a modificare in peius la nostra Costituzione e a cancellare quel principio universalistico in materie fondamentali quali scuola e sanità, dando il via alla stagione delle privatizzazioni verso una società non inclusiva né equa né giusta né libera. E può farlo in maniera indisturbata, per mancanza di una vera opposizione. Tornare ai partiti, con basi valoriali solide, significa tornare a fare politica, quella con la P maiuscola, per intenderci. E’ il messaggio di Socialismo XXI, non recepito da una classe politica sorda e disattenta, alla base della nostra azione politica per costruire la vera alternativa alla destra oggi al governo, con idee e proposte che guardano al futuro attraverso un nuovo soggetto politico chiaramente di ispirazione e/o orientamento socialista. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COMBATTERE L’INFLAZIONE

Da anni l’inflazione è una parola desueta, non era più quella situazione di sconvolgimento dei prezzi sempre in aumento con gli stipendi o le pensioni che perdevano sempre più potere d’acquisto creando insicurezza e crollo della domanda con conseguente crisi della produzione e nei conti pubblici. Ora invece i prezzi sono saliti alle stelle e fare la spesa è divenuto un incubo, e nonostante la nostra premier continui ad insistere che l’economia va bene, anche se la produzione industriale è crollata del 7%, temiamo che le conseguenze di questa inflazione ci perseguiteranno per parecchio tempo. Ho iniziato a leggere il libro di Ignazio Visco INFLAZIONE E POLITICA MONETARIA dove viene fatto un interessante confronto tra la crisi inflazionistica degli anni ’70 e quella attuale. Le due crisi hanno la stessa natura infatti l’inflazione può avere due cause: a) un eccesso di moneta in circolazione, un eccesso di domanda un surriscaldamento quindi della situazione economica; b) una causa esogena, generata cioè da fatti esterni alla nostra economia quali ad esempio la crisi del petrolio negli anni ’70 e quella del gas ai giorni nostri. Le due crisi in esame sono quindi generate da cause esogene anche se negli anni ’70 l’istituto della contingenza adeguava automaticamente salari e pensioni all’incremento dei prezzi, generando una spinta inflazionistica da domanda. Nella situazione attuale non esiste assolutamente alcuna pressione dovuta alla rincorsa prezzi/salari come invece si registrò nella crisi precedente. Le due crisi hanno un elemento in comune: il problema energetico; allora fu la crisi del petrolio oggi quella del gas. Ma mentre a quel tempo si ricercò una soluzione alla causa originante la crisi programmando ben 80 centrali nucleari, soluzione vanificata dal referendum post Chernobyl, oggi non stiamo affrontando con ugual determinazione il problema perché ci siamo rivolti ad altri fornitori di gas (dopo aver improvvidamente cancellato la Russia dai fornitori) e poco stiamo facendo con le rinnovabili. Ma veniamo al libro di Visco, elenca dapprima le differenze che c’erano negli anni ’70: prima di tutto c’era ancora la lira e quindi la politica monetaria oltre alla stabilità dei prezzi doveva affrontare anche la politica dei cambi in un particolarissimo momento, dopo che nell’agosto del 1971 il presidente Nixon dichiarava sepolto il sistema di Bretton Woods annullando la convertibilità del dollaro in oro, determinando la fine dei cambi fissi e quindi una loro variabilità da governare. Ma la cosa che più ha inciso, secondo il governatore Visco, è stato il sistema della contingenza che è alla base della inarrestabile rincorsa prezzi/salari. Leggiamo infatti a pagina 18 :” ma la tassa dello sceicco (il prezzo del petrolio) sarebbe stata assorbita senza effetti cumulativi, anche se con costi elevati per la perdita di ragioni di scambio, se non si fosse innescata, su un’inflazione già in espansione una debolezza della lira mai più annullata dopo la fine del sistema di Bretton Woods e soprattutto l’indicizzazione pressoché  immediata delle retribuzioni ai prezzi al consumo. La riforma della scala mobile l’aveva infatti portata, alla metà degli anni ’70, su valori non distanti dal 100 per cento; ne derivava una vana quanto dannosa rincorsa trimestrale tra prezzi e salari, accentuata dai tentativi di riaprire il ventaglio salariale, continuamente compresso dall’operare del punto unico di contingenza che comportava scatti uguali per tutti i livelli retributivi.”   Dopo gli anni settanta sono intervenuti moltissimi accadimenti che hanno mutato la situazione economica del nostro paese: è stata svalutata la lira, siamo entrati nello SME e ne siamo usciti; il meccanismo della scala mobile è stato profondamente mutato; il protocollo Ciampi lega i soli minimi contrattuali all’aumento del costo della vita, depurato però dalla componente energetica; siamo entrati nell’euro (senza tener conto degli avvertimenti di Baffi sulle conseguenze implicite in questa scelta); nel 2007/2008 il disastro dei subprimes ha causato conseguenze pesantissime sull’economia travolgendo poi i bilanci degli stati sovrani e si è infine scaricata su venti milioni di lavoratori disoccupati; la BCE attua il quantitative easing e la BCE acquista i nostri titoli di stato; il superbonus 110% crea PIL con il debito ma i prezzi delle materie prime aumentano ed innescano inflazione; il prezzo del gas, basato sul mercato inficiato dai futures del TTF non tiene conto del prezzo veramente pagato, sale ai massimi e di conseguenza aumentano tutti i prezzi; poi il costo del gas diminuisce sostanzialmente ma i prezzi non diminuiscono gonfiando l’inflazione; i prezzi dei generi alimentari che non sono legati ai costi dell’energia aumentano comunque. Ma tutti questi elementi, pur elencati dal governatore, non lo preoccupano, essendo la sua relazione concentrata sul pericolo che si riproduca la vana e dannosa rincorsa prezzi/salari anche se ai nostri giorni il pericolo “scala mobile” è decisamente inattuale. Quello che il governatore teme è che i rinnovi contrattuali scaduti nella fase di rinnovo siano orientati a recuperare gli effetti inflattivi occorsi. Ragionando in termini di classi, possiamo sintetizzare la situazione come segue: non possiamo agire sulla causa esterna principalmente l’energia; è giusto che le imprese energivore o meno rivedano i loro prezzi in funzione dell’aumento del costo dell’energia; tali aumenti si riverseranno sui consumatori finali cui dobbiamo impedire il recupero della perdita di potere d’acquisto e occorre allora evitare che si metta in moto una spirale vana e dannosa di rincorsa prezzi/salari. E’ chiara in proposito la lettera che Guido Carli scriveva a Ugo La Malfa nel dicembre 1973, essa recitava: A seguito della crisi energetica “la capacità produttiva disponibile subirà una menomazione e la politica di regolazione della domanda globale non potrà non tenerne conto. L’espansione dei redditi monetari dei settori non collegati direttamente al processo produttivo creerà inflazione aggiuntiva, se, come sembra essere certo, l’offerta reale sarà depressa per mancanza di energia. L’aggiustamento si farà con maggior sofferenza dei ceti direttamente produttivi; pagheranno gli operai”. Lasciare alla Banca d’Italia o alla BCE la gestione della lotta all’inflazione è, a mio avviso, un errore strategico stante la filosofia seguita da questi enti, filosofia che tra l’altro si dimostra con i continui innalzamenti del tasso di interesse fissato dalla BCE, innalzamento che …

IL BERLUSCONISMO E LA SUA RELIGIONE

di Vito Mancuso filosofo teologo «Il berlusconismo ha stabilito il primato del successo personale su qualsiasi tensione verso l’altro. L’applauso è diventato la misura del valore di tutto e i cittadini si sono trasformati in spettatori». L’articolo del prof.#VitoMancuso su #LaStampa del 13 giugno 2023 Insegna l’antico proverbio: “De mortuis nihil nisi bonum”, vale a dire: “Di chi è appena morto, o si tace o si parla bene”. Di Silvio Berlusconi io non avrei scritto nulla, non avendo per parte mia molto di buono da riconoscergli, laddove “buono” lo intendo nel senso radicale del termine che rimanda al Bene in quanto sommo valore che coincide con la Giustizia e la Verità (concetti che scrivo al maiuscolo per indicare la loro superiorità rispetto al mero interesse privato). Se però, ciononostante, ne scrivo, è per cercare di mettere a fuoco la frase del cantautore Gian Piero Alloisio, talora attribuita a Gaber (cito a memoria): “Non temo Berlusconi in sé, ma il Berlusconi che è in me”. Non parlerò quindi di Berlusconi in sé, bensì del Berlusconi in noi, convinto come sono che quanto dichiarato da Alloisio valga per milioni di italiani, forse per tutti noi, che portiamo al nostro interno, qualcuno con gioia, qualcun altro con fastidio o addirittura con vergogna, quella infezione che è, a mio avviso, il “berlusconismo”. Cosa infetta precisamente il berlusconismo? Risponderò presto, prima però voglio ricordare questa frase di Hegel: “La filosofia è il proprio tempo colto nei pensieri”. Io penso che quello che vale per la filosofia, valga, a maggior ragione, per l’economia e la politica: il loro successo dipende strettamente dalla capacità di saper cogliere e soddisfare il desiderio del proprio tempo. Berlusconi è stato molto abile in questo. Con le sue antenne personali (al lavoro ben prima che installasse a Cologno Monzese le antenne delle sue tv) egli seppe cogliere il desiderio profondo del nostro tempo, ne riconobbe l’anima leggera e se ne mise alla caccia esercitando tutte le arti della sua sorridente e persistente seduzione. Si trasformò in questo modo in una specie di sommo sacerdote della nuova religione che ormai da tempo aveva preso il posto dell’antica, essendo la religione del nostro tempo non più liturgia di Dio ma culto ossessivo e ossessionante dell’Io. Il berlusconismo rappresenta nel modo più splendido e seducente lo spodestamento dell’antica religione di Dio e la sua sostituzione con la religione dell’Io. E il nostro tempo se ne sentì interpretato in sommo grado, assegnando al fondatore i più grandi onori e costituendolo tra gli uomini più ricchi e più potenti non solo d’Italia. Ho parlato del berlusconismo come di un’infezione, ma cosa infetta precisamente? Non è difficile rispondere: la coscienza morale. Il berlusconismo rappresenta la fine plateale del primato dell’etica e il trionfo del primato del successo. Successo attestato mediante la certificazione dell’applauso e del conseguente inarrestabile guadagno. Vedete, Dio, prima, lo si poteva intendere in vari modi: nel senso classico del cattolicesimo e delle altre religioni, nel senso socialista e comunista della società futura senza classi e finalmente giusta, nel senso liberale e repubblicano di uno stato etico quale per esempio lo stato prussiano celebrato da Hegel, nel senso della retta e incorruttibile coscienza individuale della filosofia morale di Kant, e in altri modi ancora, tutti comunque accomunati dalla convinzione che esistesse qualcosa più importante dell’Io, di fronte a cui l’Io si dovesse fermare e mettere al servizio. Fin dai primordi dell’umanità il concetto di Dio rappresentò esattamente l’emozione vitale secondo cui esiste qualcosa di più importante del mio Io, del mio potere, del mio piacere (a prescindere se questo “qualcosa” sia il Dio unico, o gli Dei, o l’Urbe, la Polis, lo Stato, la Scienza, l’Arte o altro ancora). Ecco, il trionfo del berlusconismo rappresenta la sconfitta di questa tensione spirituale e morale. In quanto religione dell’Io, esso proclama esattamente il contrario: non c’è nulla più importante di me. Non è certo un caso che il partito-azienda del berlusconismo non ha mai avuto un successore, e ora, morto il fondatore, è probabile che non faccia una bella fine. Naturalmente questa religione dell’Io suppone quale condizione imprescindibile ciò che consente all’Io di affermare il suo primato di fronte al mondo, vale a dire il denaro. Il denaro era per il berlusconismo ciò che la Bibbia è per il cristianesimo, il Corano per l’islam, la Torah per l’ebraismo: il vero e proprio libro sacro, l’unico Verbo su cui giurare e in cui credere. Il berlusconismo è stato una religione neopagana secondo cui tutto si compra, perché tutto è in vendita: aziende, ville, politici, magistrati, uomini, donne, calciatori, cardinali, corpi, parole, anime. Tutti hanno un prezzo, e bastano fiuto e denaro per pagare e ottenere i migliori per sé. Chi infatti (secondo la dottrina del berlusconismo) non desidera essere comprato? Il berlusconismo ha rappresentato un tale abbassamento del livello di indignazione etica della nostra nazione da coincidere con la morte stessa dell’etica nelle coscienze degli italiani. La quale infatti ai nostri giorni è in coma, soprattutto nei palazzi del potere politico. Ma cosa significa la morte dell’etica? Significa lo spadroneggiare della volgarità, termine da intendersi non tanto come uso di linguaggio sconveniente, quanto nel senso etimologico che rimanda a volgo, plebe, plebaglia, ovvero al populismo in quanto procedimento che misura tutto in base agli applausi, in quanto applausometro permanente che trasforma i cittadini da esseri pensanti in spettatori che battono le mani. Ovvero: non è giusto ciò che è giusto, ma quanto riceve più applausi. Ecco la morte dell’etica, ecco il trionfo di ciò che politicamente si chiama populismo e che rappresenta la degenerazione della democrazia in oclocrazia (in greco antico “demos” significa popolo, “oclos” significa plebaglia). Tutto questo ha avuto e continuerà ad avere delle conseguenze devastanti. In primo luogo penso all’immagine dell’Italia all’estero, che neppure dieci Mario Draghi avrebbero potuto ripulire dal fango e dalla sporcizia del cosiddetto Bunga-Bunga. Ma ancora più grave è lo stato della coscienza morale dei nostri concittadini: eravamo già un paese corrotto e di evasori, ora siamo ai vertici europei; …

BERLUSCONI E’ DECEDUTO

E’ sicuramente presto per trarre le conclusioni di una lunga stagione segnata dalla presenza di un leader che ha svolto un ruolo determinante nella vita politica dell’Italia. E’ stato l’uomo che ha avviato l’esperienza dei partiti personali, dotato di carisma, aiutato dalla imponente presenza delle sue televisioni ha saputo raccogliere lo sbandamento procurato dalla falsa rivoluzione giudiziaria capace di annientare i partiti che avevano ricostruito l’Italia dopo il secondo conflitto mondiale, e ha inaugurato un modello politico che poi si è diffuso nel Paese. Su Berlusconi sono molte le idee che ci dividono, ma sarebbe profondamente sbagliato liquidare la sua esperienza affermando che fu l’unico responsabile di quanto avvenuto poi in Italia. Gli imitatori come sempre sono peggiori degli originali e infatti le idee della opzione maggioritaria che dette l’avvio a contenitori privi di cultura comune, ma con la presunzione di eleggere leader capaci di svolgere la funzione di traghettatori politici ha distrutto ciò che ancora restava dei partiti. Oggi la scomparsa di Berlusconi a mio avviso favorirà ancora una volta la strategia della Meloni, già corteggiata dal PPE, che resta l’unica opzione in campo dopo la prevedibile difficoltà di FI senza più il suo unico vero riferimento elettorale. Purtroppo è troppo presto per affermare che con la scomparsa di Berlusconi si conclude un’epoca, perché ad esclusione di qualche partito, ancora restano in campo comitati elettorali sull’esempio di Forza Italia. Ciò rende la politica italiana ancora incerta e fragile. Inoltre forte ancora è nel Paese il solco “culturale” tracciato dalla azione svolta da Berlusconi nel trentennio passato. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON E’ UN BRAND!

Lasciate che i morti seppelliscano i morti, disse Joshua ben loseph e i figli di Berlinguer scrivono bene: “il mondo è totalmente cambiato. Da allora l’Unità ha avuto numerosi direttori fino a concludere definitivamente la sua storia ormai sei anni fa.” Il PCI e’ finito, non c’e’ piu’ e cosi’ il suo quotidiano. E’ ora di voltare pagina. Politicamente e filosoficamente , la scissione operata nel 1921 da un gruppo di giovani parlamentari socialisti, illusi che si potesse “fare in Italia come in Russia”, e che fosse necessario percio’ un partito nuovo, rivoluzionario e sovversivo (comunista) al posto del vecchio gradualista e riformista (socialista) e’ fallita. Quella scissione non ha piu’ nulla da dire, i suoi promotori e i suoi continuatori, sono tutti morti . Le ingiustizie sociali; le ingiustificabile disparita’ di classe, nella stessa nazione e fra nazioni; il dominio dei monopoli e degli oligopoli a danno della libera concorrenza, i problemi della autodeterminazione dei popoli e della emancipazione e tutela delle minoranze, invece, sono ancora tutti li’, da risolvere. Questo e’ il vero motivo del fallimento della scissione comunista del 1921: ha illuso, disgregato la unita’ dei lavoratori e non ha risolto nulla, lasciando macerie civili e morali in tutte le nazioni in cui, per un qualche periodo di tempo, e’ riuscita a governare. La Russia odierna e’ in mano a fascisti oligopolisti. La vita umana e’ calcolata da questi autocritica meno di nulla. Questo fallimento, tanto fragoroso quanto devastante, non deve pero’ impedirci di vedere quanto di buono e’ stato comunque tentato e anche fatto, buttando via con la tanta acqua sporca, anche di tanto sangue innocente, un immacolato bambino. Le idee di giustizia ed eguaglianza iniziali erano buone: sbagliati i metodi e gli strumenti per realizzarle, dimenticando che esse non vivono se non nella liberta’. Si tengono tutte e tre tanto strettamente unite, che strapparne una uccide tutte e tre. Su questo insegnamento la scissione e’ superata. E il futuro della umanita’ tutta e legato alla coerenza e coesione con cui i tre principi verranno perseguiti. Il motore della storia non e’ il proletariato: da solo, batte in testa. E’ tutto il mondo del lavoro che puo’ guidare la societa’ ed e’ un mondo del lavoro dove il proletariato deve scomparire per lasciare il posto alla famiglia dal reddito” adeguato”. Il dibattito ed il ragionamento deve spostarsi qui, su questi nuovi campi e nuovi termini e intorno ad essi va costruito il nuovo partito della emancipazione sociale . Se Berlinguer ha fatto e proposto qualcosa di importante per aiutare questo nuovo partito a nascere ed affermarsi, e’ giusto e doveroso che cio’ venga salvato dell’oblio, studiato , recuperato e ove profittevole anche applicato. Ritengo che la “questione morale” e la “selezione della nuova classe dirigente” siano due temi che Berlinguer ha affrontato in modo costruttivo, profondo ed originale e siano due esempi di cio’ che va salvato. Per lui come per altri: Craxi, Lombardi, Nenni, Di Vittorio hanno anche loro spunti e motivi di grande importanza ed interesse che devono entrare nel patrimonio di partenza del nuovo partito. Le foto ed i “brand”, i busti con i santini, lasciamoli senza rimpianto alle patologie nostalgiche dei destri. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CHI SONO GLI “ARDITI DI MILANO” COLPEVOLI DEL DELITTO MATTEOTTI

di Walter Galbusera – Presidente Fondazione Anna Kuliscioff | 10 giugno 1924, il delitto Matteotti: quasi cento anni dopo, rimane un episodio centrale della storia italiana. L’intervento di Walter Galbusera, Fondazione Anna Kuliscioff Il delitto Matteotti, quasi cento anni dopo, rimane un episodio centrale della storia italiana. Gli atti istruttori del primo processo, di cui è stata ritrovata recentemente una copia negli archivi della Fondazione Anna Kuliscioff, confermano il torbido intreccio di violenze politiche ed affari in cui la CEKA, un gruppo operativo di squadristi (mutuando il nome della polizia segreta politica di Lenin nei primi anni della rivoluzione bolscevica) agiva come longa manus del regime non solo contro gli avversari ma anche contro i dissidenti fascisti considerati “traditori”. Gli uomini della Ceka fascista, insediata da Mussolini, sono ex combattenti, arditi addestrati all’uso del pugnale che hanno rischiato ogni giorno la morte. Dopo la guerra sono divenuti pregiudicati o spiantati in cerca di ruolo e di danaro. In maggioranza fanno parte del gruppo “Arditi fascisti di Milano” anche se nessuno di loro ha partecipato alla riunione costitutiva dei fasci di combattimento in piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919. I sequestratori Amerigo Dumini è il capo della CEKA, toscano di origine, nato in Texas da un pittore fiorentino emigrato. Rientra in Italia per arruolarsi nell’Esercito Regio rinunciando alla cittadinanza USA). Volontario nei battaglioni della morte fatto da arditi, invalido di guerra, medaglia d’argento al VM. Si presenta così: “Dumini, nove omicidi”. Dispone di una stanza al Viminale, allora sede della Presidenza del Consiglio, utilizzata anche come agenzia d’affari. Nel cortile del Viminale parcheggia l’auto del sequestro. La prima cosa che Dumini dice rivolgendosi al magistrato Del Giudice è: “Cosa siete venuti a fare, il Presidente è informato di quanto loro stanno facendo?” Arrestato due giorni dopo il delitto mentre cerca di tornare a Milano in treno, Dumini confessa il 18 ottobre 1924. In carcere ha chiesto una stanza (a pagamento) in comune con Volpi e Viola e un sarto per farsi un abito. Volpi Albino, milanese. Per il ministro degli interni generale De Bono “in guerra Volpi vale tanto oro quanto pesa”. È un “caimano del Piave”, che di notte attraversa il fiume per pugnalare le guardie austriache. Una (falsa) testimonianza di di Mussolini in un processo del 1920 lo salva da una condanna per omicidio. Ebanista, invalido di guerra. Presidente dei 600 Arditi di Milano, curava gli affari di questa Associazione. Legato anche al capo degli Arditi capitano De Vecchi e al poeta Filippo Tommaso Marinetti. Amleto Poveromo, di professione macellaio, volontario in guerra come ardito, è lecchese ma milanese di adozione. Giuseppe Viola, l’assassino materiale di Matteotti, è un ardito milanese anche lui un “caimano del Piave”, già condannato per rapina e per diserzione, poi amnistiato nel 1919. Dopo il sequestro era sul sedile posteriore dell’auto accanto a Matteotti e, per attenuare le sue responsabilità, sostiene di essere stato colpito da un attacco di ulcera. Augusto Malacria, l’autista del sequestro, è milanese, giovane di distinta famiglia. “Un volto diverso dalle facce patibolare degli altri sicari” scrive il magistrato Mauro Del Giudice. Era un ex capitano che dopo la guerra aveva dilapidato la cospicua eredità paterna in una sfortunata attività imprenditoriale, conclusasi con un’accusa di bancarotta fraudolenta. Aiutano i sequestratori ma non partecipano direttamente al delitto Aldo Putato, un milanese che aveva conosciuto Dumini a Roma durante il servizio militare. È il più giovane e l’unico a non essere un ex combattente. Ispettore “viaggiante” del Corriere Italiano per assunzione clientelare. Filippo Panzeri, fa parte della sezione Arditi di Albino Volpi, anche lui ispettore “viaggiante “assunto da Filippelli al Corriere Italiano. Otto Thiershild, detto “il russo”. Il magistrato Del Giudice lo definisce “un relitto umano, la figura più lercia e ripugnante del gruppo.” Nato in Austria, diserta per passare come spia agli italiani, Inizialmente di simpatie socialiste, poi vicino al partito comunista, informatore doppiogiochista, anche lui vive a Milano. A Roma controlla i movimenti di Matteotti presentandosi addirittura a casa del deputato socialista e non manca di avvertire Matteotti che “corre dei rischi”, senza però avvertirlo del progetto di sequestro. Secondo “il russo” Dumini voleva da Matteotti “documenti che toglievano il sonno a una o più persone”. Viene arrestato a Milano nella sede della Camera del Lavoro. In carcere chiede un incontro con i rappresentanti di tutti partiti per raccontare altri delitti e profetizza che “ Il governo dovrà essere trasferito a Regina Coeli.” Il “facilitatore” del sequestro è Filippelli Filippo, nato a Cosenza si trasferisce per lavoro a Milano come segretario di Arnaldo Mussolini al Popolo d’Italia, dove conosce Dumini. Direttore del filofascista Corriere Italiano di Roma è al centro di una intensa attività di affari volta al finanziamento della stampa fascista. Gli interessi sono di varia natura, vanno dal commercio dei materiali di guerra alle banche, da industrie come l’Ansaldo alle Ferrovie. Affitta l’auto usata per il sequestro di Matteotti. Si difende presentandosi come l’ala dialogante del PNF fautore della “Pacificazione”, tramontata nel settembre 1921 per l’intransigenza dei fascisti radicali come Farinacci. Il suo vero progetto politico è probabilmente quella di far nascere un quotidiano filofascista (sostenuto da Ilva, Piaggio, Eridania, Ansaldo e in parte da Fiat) come contraltare del Corriere della Sera del senatore Albertini. Gli intermediari tra il Duce, i sicari e Filippelli Il generale Emilio De Bono, (lombardo di Cassano d’Adda, fucilato a Verona nel 1944) senatore e capo della Polizia. È l’uomo di garanzia del re nel rapporto con Mussolini. Toglie la scorta a Matteotti pochi giorni prima del delitto. Interviene direttamente nell’inchiesta e fa trasferire gli oggetti sequestrati a Dumini ( che contengono le prove evidenti del delitto) al ministero degli interni ma poi li restituisce agli inquirenti. Il suo ruolo fece dire a uno dei figli di Giacomo Matteotti che il vero mandante del delitto era il re che voleva impedire la rivelazione di alcuni affari della casa reale. Cesare Rossi è il consigliere più autorevole di Mussolini, la sua “eminenza grigia”. Di origini toscane, fino al 1915 socialista, direttore della …

86 ANNI FA L’ASSASSINIO DEI FRATELLI ROSSELLI

di Francesco Somaini – Presidente Circolo Carlo Rosselli Milano | CIRCOLO CARLO ROSSELLI MILANO 86 anni fa, il 9 giugno del 1937, i sicari del gruppo fascista francese della Cagoule, assoldati dal regime mussoliniano, assassinavano in una strada di campagna che conduceva al piccolo borgo normanno di Bagnoles-de-l’Orne i fratelli Carlo e Nello Rosselli. I due stavano rientrando in automobile da una gita nella vicina cittadina di Alençon. Una vettura, apparentemente  guasta, li attendeva in mezzo alla strada, in un tratto di bosco poco trafficato. I due fratelli si fermarono per capire di che si trattasse. Ma era un agguato. Un’altra auto sopraggiunse alle loro spalle. E i due Rosselli vennero trucidati.   Cresciuti in una famiglia dai radicati valori patriottici, civili e risorgimentali (Giuseppe Mazzini era morto in casa Rosselli nel 1872), Carlo e Nello, nati rispettivamente nel 1899 e nel 1900, si erano formati – grazie anche alla madre Amelia, figura di raffinata intellettuale, per certi versi anticipatrice delle tematiche femministe – con profonde convinzioni democratiche, supportate anche da una fortissimo senso etico. All’avvento del Fascismo, nel 1922, pur essendo in effetti ancora molto giovani, i due avevano da subito concepito una convinta e spontanea opposizione alla dittatura e alle sue violenze ed ai suoi soprusi squadristici: un sentimento che soprattutto dopo il delitto Matteotti, del 1924, si era poi tradotto in un assoluto e radicale imperativo di dissenso e di resistenza, e che con gli anni non si era certo placato. Dei due fratelli, Sabatino, detto Nello, era il minore.  Nel 1937, quando venne assassinato, era già diventato un brillante studioso. Le sue ferme convinzioni democratiche e antifasciste erano sempre ben vive, ma nel corso degli anni si erano concretizzate più che altro negli studi storici (cui egli era stato avviato dal suo maestro Gaetano Salvemini): in particolare sulle tradizioni politiche democratiche e libertarie (Mazzini e Bakunin) e sulle origini risorgimentali del Socialismo italiano (Pisacane). Egli fu ucciso nell’agguato di Bagnoles-de-l’Orne perché (con un permesso rilasciatogli con sospetta disinvoltura e celerità dalla questura di Firenze) si era recato in Francia a far visita al fratello Carlo, da tempo esule, in quel lontano villaggio termale in cui egli si trovava per delle cure. Carlo Rosselli, che a suo tempo era stato volontario nella Grande Guerra (al pari di un terzo fratello più grande, Aldo, morto in Carnia nel 1916) in quel 1937, era noto come l’infaticabile animatore, nonché come il riconosciuto punto di riferimento, del movimento antifascista di Giustizia e Libertà, da lui fondato a Parigi, assieme ad altri fuoriusciti, nell’agosto del 1929. In precedenza egli si era peraltro messo in luce come colui che nel 1926 aveva organizzato (assieme a Ferruccio Parri e a Sandro Pertini) l’avventurosa fuga dall’Italia dell’anziano leader socialista Filippo Turati, per la qual cosa era poi stato condannato al confino nell’isola di Lipari, da cui però fuggito nel luglio del 1929 con una rocambolesca fuga in motoscafo, che lo aveva portato per l’appunto in Francia. Al momento dell’agguato che gli tolse la vita, egli si trovava appunto a Bagnoles-de-l’Orne, dove era stato raggiunto anche dal fratello, perché aveva dovuto sottoporsi alle cure per una fastidiosa flebite: una trombosi alla gamba che gli impediva quasi di camminare e che lo aveva costretto a lasciare temporaneamente la Spagna, ove era accorso mesi prima alla testa di una colonna di volontari antifascisti italiani, da lui messi in piedi per portare soccorso e sostegno alla causa della Repubblica Spagnola, contro i militari golpisti che stavano tentando di rovesciarla. Prima di recarsi in Spagna, Carlo Rosselli, nella sua veste di capo di Giustizia e Libertà, si era in effetti già da tempo distinto come un indefesso organizzatore politico e come un irriducibile nemico del fascismo (memorabili, tra l’altro, erano state alcune delle imprese da lui promosse, come ad esempio, nel 1930, l’audace volantinaggio aereo su Milano compiuto con un volo partito dal Canton Ticino). Era anche ben noto come una penna dalla fresca e formidabile potenza espressiva. Sin dagli anni giovanili i suoi scritti su testate come la “Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti o come la rivista socialista “Critica Sociale” si erano contraddistinti come dei pezzi ad un tempo forti, lucidi e coraggiosi. E lo stesso poteva dirsi dei giornali da lui stesso co-fondati, come il fiorentino “Non Mollare!” (cui avevano collaborato anche Nello, Ernesto Rossi e lo stesso Salvemini) o come il milanese “Quarto Stato” (con-diretto con il socialista Pietro Nenni), poi entrambi chiusi dal regime mussoliniano rispettivamente nel 1925 e nel 1926. Una volta in Francia aveva poi assunto la direzione della rivista “Giustizia e Libertà”, organo dell’omonimo movimento da lui fondato, dalle cui colonne aveva cercava di dare slancio al fuoriuscitismo antifascista e di tenere in vita, seppure dall’esilio, una ferma voce di opposizione a quel regime che in Italia aveva brutalmente soppresso e soffocato libertà, diritti e democrazia. E non è tutto, perché prima di arrivare ai 30 anni Carlo Rosselli si era rivelato anche un intellettuale di grande e potente lucidità: al tempo del confino liparota (tra il 1927 ed il 1929) aveva scritto infatti il formidabile trattato “Socialismo Liberale” (poi pubblicato in Francia dopo l’evasione), in cui muovendo da una nitida riflessione sui limiti del movimento socialista (spesso prigioniero di un determinismo dogmatico, che lo costringeva ad un’attesa messianica, e non di rado passiva, dell’avvenire), aveva messo in evidenza, con grande capacità analitica come gli ideali di Giustizia e di Eguaglianza propri del Socialismo non potessero in realtà prescindere in alcun modo dalla piena assunzione del principio della Libertà. Le quale Libertà, a sua volta, per essere pienamente tale non poteva evidentemente essere declinata (come troppo spesso avveniva per i Liberali) come una sorta di privilegio riservato a pochi, ma doveva necessariamente estendersi a tutti quanti, per inverarsi quindi proprio nell’egualitarismo dei Socialismo. Il Socialismo Liberale di Rosselli non era quindi da intendersi – come talora lo si mistifica da parte di alcuni sciatti commentatori dei nostri giorni – come una versione blanda e annacquata del Socialismo stesso, ma come una concezione …