SU UN GIORNALE DI OGGI: ATTACCO ALLA COSTITUZIONE!

Sembra che dopo aver dormito tanto tempo adesso qualcuno inizi a preoccuparsi. La Costituzione italiana da molto tempo, sia per la sedicente sinistra, sia per la destra è diventata moneta di scambio politico. E’ stato così quando per stabilire buoni rapporti con la Lega di Bossi il centro sinistra a guida PD modificò l’articolo 117 della Costituzione aprendo una stagione di conflitti tra Stato e Regioni. E’ così anche adesso quando un partito centralista come Fratelli d’Italia si rende disponibile ad approvare il disegno di legge, vera forzatura della Costituzione, sulla Autonomia Differenziata voluta dalla Lega, ma al prezzo di una modifica costituzionale in favore del presidenzialismo. Così la Costituzione che NON rappresenta uno “strumento per assicurare i poteri e stabilizzare i Governi, ma l’opposto, un patto dei governanti per dividere i poteri e assicurare i diritti, diventa un mercatino al servizio dei governi che si susseguono e che tradiscono “la natura storica e teorica che il costituzionalismo moderno aveva assegnato al contratto sociale.” Osserva acutamente Gaetano Azzariti “Politica e cultura sono attualmente accecate da un altro sole, quello della governabilità. Confusi dai riflessi di questa luce non vedono che si sta deteriorando il terreno su cui si legittima il loro stesso potere. Senza rappresentanza effettiva i poteri costituiti perdono la legittimazione a governare in nome del popolo.” Si invocano le riforme, ma non si discute della legge elettorale che assegna ad una ristretta oligarchia la rappresentanza parlamentare in modo che le riforme, anche quelle costituzionali rischiano di muoversi su un terreno opposto a quello democratico consolidando una deriva, già in atto da tempo, verso un regime autoritario. In questo clima in cui la politica ha rotto “ogni legame con la cultura assumendo il volto della arroganza” gli arruffa popolo continuano ad avere successo e la democrazia rischia di cadere in una stagione buia dove ogni avventura autoritaria è possibile. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I NEMICI DELLA COSTITUZIONE

Il tema delle riforme costituzionali entra nel vivo del dibattito politico. Lo avevamo previsto, all’indomani del voto del 25 settembre 2023 che ha consegnato alle destre il governo del Paese e alla luce del varo di una legge sulla cd. Autonomia Differenziata delle regioni a statuto ordinario. Se è sicuramente positivo coinvolgere tutte le forze politiche che siedono in Parlamento quando si tratta di modificare la nostra carta fondamentale, di certo le proposte di riforma in campo avviano una riflessione attenta in difesa della nostra Costituzione e dell’unita’ del nostro Paese. Le picconate alla  nostra costituzione in questi anni non sono mancate come sono innumerevoli i tentativi di riscrivere gli assetti istituzionali del nostro Paese dalla bicamerale alla riforma Renzi-Boschi, bocciata nel 2016 dagli italiani. Il dibattito non può ridursi essenzialmente tra due fronti contrapposti, tra “innovatori e conservatori“. Sarebbe riduttivo quando l’oggetto del contendere è la nostra Grundnorm. Semmai, il dibattito dovrebbe essere orientato su quelle modifiche necessarie per ammodernare il Paese senza smantellare quei pesi e contrappesi che i nostri padri costituenti avevano voluto nella Costituzione per evitare derive autoritarie e per preservare l’unità del nostro Stato. Elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Premier, presidenzialismo, nuova forma di Stato o di Governo, sono solo alcuni dei mantra di una maggioranza politica divisa sui nuovi assetti istituzionali di cui dotare il nostro Paese. Meloni in realtà è preoccupata del suo alleato leghista che spinge verso  l’autonomia. Ma le riforme della Costituzione non possono essere sostenute da meri calcoli politici per i rischi che deriverebbero alla stabilità di una intera comunita’. Ogni riforma  non puo’ essere al di sopra della Costituzione  e dei suoi principi fondamentali. Si tratta di non mettere in discussione la nostra adesione ai valori costituzionali fondativi  di una identita’ democratica e di tenere unito il corpo sociale. La Costituzione è un insieme di valori, non il prodotto di compromessi. Il Presidenzialismo propugnato dalla maggioranza che governa il nostro Paese divide non unisce e comprime il nostro sistema parlamentare  fondato sul pluralismo dei partiti e sulla partecipazione politica attraverso la funzione legislativa. La nostra Costituzione non annulla le differenze o le distinzioni, ma le fa convivere esaltandole. Le riforme dirette a silenziare le nostre istituzioni non sono riforme, ma il tentativo non celato  di collocare una sola voce al comando di una intera comunita’ cancellando quelle differenze che rendono libero il confronto  e tuetalano l’idea di unità. L’idea  Presidenzialista delle destre, in particolare di FDI, si muove su due basi: il primo concentrare le decisioni nelle mani del Presidente ritenendo il parlamentarismo una zavorra per l’esecutivo; il secondo, concludere quel processo di personalizzazione della politica, inizato con Berlusconi e proseguito negli anni fino al M5S. Noi, ed io personalmente, credo nella centralita’ dei partiti, ma la politica italiana deve avere il coraggio, di fronte  a partiti sfibrati o padronali, di fare un salto di qualità. Come? Intanto attraverso la riforma del sistema elettorale in senso proporzionale con la doppia preferenza. La legge elettorale è fondamentale per selezionare la classe dirigente e per restituire idendita’ ai partiti. La mancanza di elementi identitari e’ la prima causa della volatilità e dell’astensionismo del corpo elettorale. Di qui si deve ripartire restituendo centralità ai partiti e al Parlamento, quale luogo di confronto libero e democratico , e di discussione. Il pluralismo, con le sue sane differenze, è il sale di una democrazia. Tocqueville soleva ripetere “il cechio feroce delle opinioni. Se ne sei messo fuori, la tua voce non contera’ piu’ niente”. Per avere un governo forte, e’ indispensabile introdurre lo strumento della sfiducia costruttiva, che consente all’esecutivo di andare avente nella pienezza delle sue funzioni, in attesa che il Parlamento sia in grado di votare la fiducia ad un nuovo governo. Il progetto “rifomista” della maggioranza di governo francamente e’ pericoloso perche’ non mette al riparo le istiuzioni da torsioni autoritarie e perchè cancella quei pesi e contrappesi pensati dai nostri Padri costituenti. La cultura dell’uomo solo al comando è viva nel nostro Paese. Non è caduta con la fine del fascismo! Dovremmo disfarci della nostra Costituzione in nome di una destra sovranista? Il tema è sen’altro delicato per il futuro della comunita’ nazionale. Ma sappiamo da che parte stare. Dalla parte della Liberta’ e dei Diritti. A sostegno della Democrazia e del Pluralismo. In difesa della Costituzione contro i suoi nemici. Intanto…Sono state raggiunte e superate le 50 mila firme a supporto del progetto di legge contro l’autonomia differenziata disegnata dal governo Meloni. Ieri erano 64.681. La proposta del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, presieduto da Massimo Villone, può essere adesso presentata in Parlamento. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLI EFFETTI DEL CLIMA SULL’EMIGRAZIONE

Premessa Francia e Italia si beccano sull’emigrazione. I commenti spesso riguardano il dito e non la luna. Fuor di parafrasi dobbiamo constatare che l’insistere che l’emigrazione è un’emergenza mette al riparo chi lo dice dalle incapacità a prendere atto che emergenza non è. L’ONU, una decina di anni fa, scrisse che “Le Nazioni Unite considerano che le cause ambientali possano produrre emigrazioni fino a 200 milioni di persone entro il 2050”. E allora che emergenza è un fenomeno previsto in tali dimensioni; un fenomeno che si manifesta continuativamente, in più parti del mondo, per anni, per cause ambientali, cioè per guerre e guerriglie locali, per siccità e alluvioni, per gli effetti del cambio di clima, per persecuzioni religiose, tribali ed etniche, per mancanza di sviluppo e possibilità di vita? Data l’ampiezza del tema limito il mio commento alle conseguenze degli effetti del cambio del clima offrendo un esame del rapporto tra tali effetti e l’emigrazione Quando ascoltiamo o leggiamo l’informazione sul clima commentiamo ma spesso la nostra attenzione si esaurisce lì, o quasi. Greta Tumberg è vista spesso come un fenomeno quasi immaturo, giovanile, soprattutto dai saccenti e paternalisti e dai negazionisti del cambio climatico. La polemica politica su emigrazione e immigrazione è di scena da alcuni anni e anche in questo periodo richiama l’attenzione. Ma siamo sicuri che siamo stati messi nella condizione di sapere tutto o almeno quanto necessario per capire correttamente quel che accade e che accadrà? In Italia abbiamo un precedente causato da eventi climatici; lo riferisco qui in fondo.   La crescita della temperatura media globale La crescita della temperatura media globale del pianeta causa conseguenze fisiche, ambientali ed esistenziali. I trattini del grafico, in basso, sono medie decennali di temperatura dal 1850. il primo trattino a destra in alto mostra la media del decennio 2000-2010. Che vi sia innalzamento medio della temperatura è evidente. La temperatura cresce perché aumenta l’effetto serra. Il calore degli strati bassi dell’atmosfera che avvolge la terra è trattenuto dal vapore acqueo, dall’anidride carbonica e dal metano. Questo è l’effetto serra positivo ed è benefico per la vita sulla terra, altrimenti la temperatura sarebbe troppo fredda e la terra invivibile. Se questi gas aumentano trattengono più calore che è reirradiato sulla terra e aumenta la temperatura. Questo è l’effetto serra negativo ed anche le conseguenze sono pesantemente negative. L’immagine fa vedere che c’è un tetto, un ombrello circolare dell’atmosfera che provoca il rimbalzo del calore verso terra, come indica la freccia spezzata. Il calore aumenta e ne rimbalza sempre di più verso terra aumentando la temperatura, perché sono usati troppi combustibili fossili, gli idrocarburi, che derivano dalla trasformazione di sostanze organiche in forme più ricche di carbonio. Sono il petrolio e suoi derivati (benzine, gasolio, solventi, cherosene, oli lubrificanti, catrame), il carbone e il gas naturale. Tutti questi arricchiscono i cosiddetti gas serra. Da tempo si aggiunge anche il metano del permafrost. Infatti nel permafrost, che è la parte di terra che è congelata nella zona artica dall’ultima glaciazione (16.000/18.000 anni fa), per esempio in Siberia, l’acqua ghiacciata che vi è imprigionata, fondendo a causa dell’aumento della temperatura, libera man mano il metano che anch’esso è lì imprigionato. Il metano ha un potere calorifero maggiore di circa 25 volte quello dell’anidride carbonica e si aggiunge ad essa nell’atmosfera. Una parte dell’anidride carbonica è assorbita dagli oceani e ciò produce l’acidificazione delle acque marine, che è dannosa per il plancton e per il ciclo alimentare animale e umano. Muoiono alghe e coralli. L’acidificazione rende difficile la formazione di gusci di animali marini, anche dei crostacei. Si produce l’alterazione dell’equilibrio nel ciclo alimentare umano con conseguenze sulle persone.   L’aumento della temperatura dell’acqua marina, inoltre, riduce la propria capacità di trattenere l’anidride carbonica. Quindi i mari ne assorbono meno e l’anidride carbonica si aggiunge al resto dei gas nell’atmosfera. Le acque marine si sono innalzate di 25 centimetri in 120/130 anni. Sta continuando l’innalzamento per la fusione dei ghiacci polari che – tuttavia – incidono per ora meno della fusione dei ghiacci montani sull’innalzamento del livello del mare.  La fusione dei ghiacci montani produce conseguenze sulla irrigabilità delle terre a valle dei corsi d’acqua, sulla producibilità di specie alimentari vegetali e alla loro scomparsa produttiva; produce conseguenze a danno dei pascoli e delle persone. Insomma, produce – ha già prodotto – siccità diffusa e inaridimento. E i ghiacciai italiani ? Fondono. Il grafico mostra il comportamento dei ghiacciai alpini sui due versanti, italiano (in blu) e svizzero (in rosso), dal 1925 al 2005. In circa mezzo secolo le Alpi hanno perso il 30% della loro estensione ghiacciata, circa 150 kilometri quadrati. I ghiacciai alpini scompariranno entro 40-50 anni. Le stime del programma alimentare mondiale dell’ONU e della FAO valutano che la produzione agricola, entro il 2050, potrebbe ridursi del 30 per cento in Africa e del 21 per cento in Asia. Quindi l’ONU ha previsto che dall’ Africa si determini uno spostamento migratorio, una fuga dalla fame, di 70 milioni di persone entro il 2030 e di 200 milioni di persone nel mondo entro il 2050. Questa informazione è una di quelle che non consente di considerare emergenza ciò che accade, data la dimensione quantitativa e temporale del fenomeno. Sull’Africa riferisco un dato recentissimo, del 2020. Gli africani emigrati fuori del loro continente al 2020 erano circa 11 milioni in Europa, quasi 5 milioni in Medioriente e più di 3 milioni in Nordamerica. Per un totale di 19 milioni. Ne mancano 51 milioni per completare la previsione dell’ONU. Chiunque abbia un minimo di razionalità capisce che la questione dell’ immigrazione è un dato non di emergenza temporanea, bloccabile, limitabile e su ciò e irragionevole costruire ipotesi di azioni di forza. Invece il dato va assunto come un dato di non breve periodo affinché sia gestito, regolato, con politiche di integrazione e di sviluppo e programmi governativi corrispondenti. Gli effetti del cambiamento climatico sono in corso e penso che siano d’interesse solo tre esempi per entrare in questa tematica con ulteriore approfondimento …

IL TEMPO DELLE CONTRO-RIFORME

Una volta, a cavallo dell’autunno caldo del ’69  diritti, tutele e nuove e piu’ avanzate norme sul piano sociale erano realizzate contrattualmente e per legge (vedi ad es. la Legge 300/70) sulla spinta e con riferimento alla grande fabbrica e alle conquiste sociali realizzate dalle categorie più forti sindacalmente, dove il potere dei lavoratori era consistente. Oggi, da tempo, certe “controriforme” (perché tali appaiono certe norme varate dal Governo Meloni  ed anche da precedenti) spesso hanno come riferimento i settori più deboli sindacalmente o oggettivamente perché in crisi e dove il sistema del mercato del lavoro, per varie ragioni è stato destrutturato. Ha poco da battere la “grancassa” la premier Maroni sui risultati maturati con il discusso “decreto lavoro”. La maggior parte del complesso decreto riguarda la soppressione del reddito di cittadinanza sostituito da nuove misure come l’assegno di inclusione ed altre iniziative tendenti a favorire (confusamente) un percorso di inserimento nel  mercato del lavoro di inoccupati (cronici ?) destinatari dell’assegno. Ritorneremo analiticamente sull’argomento, ma possiamo fin d’ora affermare che la strada per favorire una occupazione “buona” (perché prevalentemente stabile e ragionevolmente  remunerata sulla base dei bisogni sociali esistenti e dei meriti professionali) non si realizza con norme burocratiche, ma con politiche industriali di rilancio dei nostri assetti produttivi, con una politica salariale collegata alla produttività oggi carente nel nostro sistema, con un riassetto dell’apparato produttivo e dei servizi privo di grandi e competitive grandi imprese.   Ciò premesso, il decreto governativo, a parte una serie di norme sulla sicurezza e tutela della salute dei lavoratori in azienda, del tutto insufficienti stante la gravità del fenomeno in atto degli incidenti mortali e degli infortuni, interviene sul lavoro a tempo determinato che – assieme a quello a “part-time” e ad altri rapporti di lavoro flessibili costituisce una entità troppo estesa (chiamata appunto  lavoro precario) che costituisce una condizione negativa sul piano sociale -. I contratti a tempo determinato e a “part time” ci sono sempre stati,  in particolare il primo nei lavori stagionali o in presenza di “commesse” straordinarie non ripetibili acquisite da certe aziende. Oppure, per alcune mansioni specialistiche, il periodo di prova consisteva anche di 4/5 mesi, quindi un contratto “a termine” piu’ o meno riconfermato a tempo indeterminato. Nel secondo tipo di contratti, la richiesta (molte volte nel lontano passato  negata dall’impresa) partiva dai lavoratori (spesso erano  lavoratrici) per ragioni familiari facilmente comprensibili. Erano cioè rapporti di lavoro collegati ad una specifica motivazione. Non era la norma! Oggi, invece, con il “decreto lavoro” meloniano, il caso primo (lavoro a tempo determinato) sta diventando la norma (senza alcuna  motivazione),  per adattare i livelli occupazionali aziendali alle dinamiche del mercato, in particolare in quelle aziende a bassa competitività non in grado di stabilizzare la loro presenza commerciale e quindi produttiva nel mercato globale aperto alla concorrenza sempre più competitiva. Vi è anche, una seconda ragione: in quella parte più retrograda del padronato italiano vi è la tendenza all’uso di questo tipo di rapporto di lavoro per poter contare – con questi rapporti non stabili – su una manodopera non rivendicativa e/o disposta a lavorare a “basse condizioni”. Nel caso del part time (che – però- in % non è superiore alla media europea) esso oggi è preteso dalle stesse aziende come alternativa alla CIG in situazioni di crisi stagionali o di non breve durata alternate spesso a periodi di lavoro straordinario. Un sistema moderno, ma avanzato di relazioni industriali non può escludere il ricorso a questi tipi di rapporti di lavoro, come pure quelli di altre forme di flessibilità lavorativa in determinate situazioni e a determinate condizioni.   L’importante che essi non diventino la norma mentre l’eccezionalita’ diventa il lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno. Come pure essi devono essere legati a motivazioni di reale straordinarietà o di particolarità oggettiva tecnico-organizzativa e commerciale. Sono queste  numerose situazioni di non stabilità o continuità di lavoro e quindi di retribuzione che hanno determinato la pesante regressione del salario lordo medio italiano nelle classifiche che riguardano in materia i Paesi U.E. e OCSE e la continua sempre più favorevole distribuzione del reddito per i ceti abbienti a danno del lavoro dipendente dato che i salari e gli stipendi non crescono da anni  in parallelo con le dinamiche dei profitti delle aziende. Da questo punto di vista, la recente decisione governativa di riduzione del cuneo parafiscale sui redditi da lavoro non risolve la negativa dinamica salariale prima menzionata se:  a)  non saranno rinnovati alla naturale scadenza tutti i CCNL (per alcuni settori la vacanza del rinnovo  contrattuale consta  di vari anni), b) se non sarà estesa ovunque la contrattazione integrativa aziendale o territoriale (come indicato dal patto sociale “Ciampi” deel 23/71993, c) se non saranno corrette le numerose situazioni di violazione contrattuale in materia di inquadramento professionale e quindi di regolare livello di retribuzione. Sono d’accordo che queste negative condizioni di lavoro e salariali non datano dall’inizio di questo governo di destra-destra, ma si trascinano da tempo, dai governi Berlusconi, da quelli di centrosinistra, da quelli tecnici e da quelli a guida Conte e cioè M5S (tanto per non far torto a nessuno) ma, bisogna pur mettere un freno ad una regressione delle condizioni di lavoro. Si parla tanto di reddito di cittadinanza o di altre misure per contrastare situazioni di povertà, si parla molto di sostenere sufficientemente l’accoglienza di profughi stranieri che fuggono dalla miseria e dalla fame, okey, ma vogliamo anche discutere ed affrontare la condizione (nel complesso negativa) della moltitudine di chi lavora e di chi produce la ricchezza nazionale, utile anche per affrontare le indigenze ricordate? Situazioni di questa complessità, però, non possono essere affrontate con decreti “spot” che affrontano isolatamente singole questioni ignorandone altre. C’è un tutto che si tiene: politiche di bilancio, distribuzione equa delle risorse (fiscalità), contenimento dell’evasione fiscale (il 32% della ricchezza nazionale è rodotta in nero), contenimento dell’inflazione, politiche industriali innovative  e riconversione produttiva in settori tecnologicamente avanzati, ricerca ed innovazione, riqualificazione e formazione professionale per incrociare al meglio offerta e domanda di lavoro, rinnovo puntuale dei …

A PROPOSITO DI SALARIO MINIMO

Si parla spesso, in questi mesi, di salario minimo in quanto, osservando il mondo del lavoro, vengono segnalate condizioni salariali e contrattuali tali da far riemergere, con pressante vigore, il concetto di sfruttamento. Ritengo utile, anche per memoria storica, riandare a quanto scriveva Marx a proposito di “giusta ripartizione del frutto del lavoro” nella sua critica al programma di Gotha. Emergono due osservazioni che ritengo utili alla nostra riflessione: ● La “giustezza del salario” è conseguenza del modo di produzione; ● In una società socialista in cui la programmazione è il trionfo della razionalità nella collocazione delle risorse, razionalità che si contrappone al selvaggio criterio del profitto, il salario è elemento della programmazione. La giusta ripartizione del frutto del lavoro Nel commentare il punto 3 del programma di Gotha, Marx, esamina con maggior attenzione il concetto di “giusta ripartizione del frutto del lavoro”, e si chiede quanto segue: Che cosa è “giusta ripartizione”? Non affermano i borghesi che l’odierna ripartizione è “giusta”? E non è essa in realtà l’unica ripartizione “giusta” sulla base dell’odierno modo di produzione? Sono i rapporti economici regolati da concetti giuridici oppure non sgorgano, al contrario, i rapporti giuridici da quelli economici? La giusta ripartizione è quindi conseguenza del modo di produzione, divenendo quindi quest’ultimo l’elemento primario cui porre attenzione. Per dirla con parole semplici, con il modo di produzione capitalisticola questione salariale sarà sempre condizionata dalla proprietà dei mezzi di produzione da parte del capitale, si potrà lottare, come è stato fatto nel “trentennio glorioso” del dopoguerra per la costruzione di uno stato sociale che allargasse i diritti dei subordinati, ma non si è mai messa in discussione la proprietà dei mezzi di produzione. Dopo gli anni 70, dopo il crollo del comunismo e la inconvertibilità del dollaro in oro, i diritti acquisiti con il welfare state sono stati, se non cancellati, bloccati o comunque si è instaurato un clima che riafferma un carattere egemonico al potere del capitale. Non saremmo qui a discutere di “salario minimo”, di contratti di lavoro pirateschi, di precarietà, di cancellazione della indicazione di una causa per assumere a tempo determinato, cancellazione prevista nel decreto 1° maggio del governo Meloni. Scrive Marx:  La ripartizione dei mezzi di consumo è in ogni caso soltanto conseguenza della ripartizione dei mezzi di produzione. Ma quest’ultima ripartizione è un carattere del modo stesso di produzione. Il modo di produzione capitalistico, per esempio, poggia sul fatto che le condizioni materiali della produzione sono a disposizione dei non operai sotto forma di proprietà del capitale e proprietà della terra, mentre la massa è soltanto proprietaria della condizione personale della produzione, della forza-lavoro. Essendo gli elementi della produzione così ripartiti, ne deriva da sé l’odierna ripartizione dei mezzi di consumo. Se i mezzi di produzione materiali sono proprietà collettiva degli operai, ne deriva ugualmente una ripartizione dei mezzi di consumo diversa dall’attuale. Il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e a sua volta da lui una parte della democrazia), l’abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si aggiri principalmente attorno alla distribuzione. Il salario come elemento della programmazione Sul secondo punto Marx ci avverte che la ripartizione del prodotto del lavoro va subordinata alla programmazione delle politiche generali che un paese socialista vuol attuare per raggiungere i suoi obiettivi: Se prendiamo la parola “frutto del lavoro” nel senso del prodotto del lavoro, il frutto del lavoro sociale è il prodotto sociale complessivo. Ma da questo si deve detrarre: Primo: quel che occorre per reintegrare i mezzi di produzione consumati. Secondo: una parte supplementare per l’estensione della produzione. Terzo: un fondo di riserva o di assicurazioni contro infortuni, danni causati da avvenimenti naturali, ecc. Queste detrazioni dal “frutto integrale del lavoro” sono una necessità economica, e la loro entità deve essere determinata in parte con un calcolo di probabilità in base ai mezzi e alle forze presenti, ma non si possono in alcun modo calcolare in base alla giustizia. Rimane l’altra parte del prodotto complessivo, destinata a servire come mezzo di consumo. Prima di venire alla ripartizione individuale, anche qui bisogna detrarre: Primo: le spese d’amministrazione generale che non rientrano nella produzione. Secondo: ciò che è destinato alla soddisfazione di bisogni sociali, come scuole, istituzioni sanitarie, ecc. Terzo: un fondo per gli inabili al lavoro, ecc., in breve, ciò che oggi appartiene alla cosiddetta assistenza ufficiale dei poveri Se ne conclude che, una volta realizzata la socializzazione dei mezzi di produzione, la classe fino ad allora subalterna deve farsi carico delle decisioni politiche di investimento e ripartizione del prodotto del lavoro; le politiche salariali saranno quindi conseguenti alla programmazione generale che, giunti a quel punto, non sarà più gestita dal capitale escludendo la classe subalterna (ecco la vera natura dello sfruttamento) ma diverrà il campo in cui si dimostrerà il passaggio da classe subalterna a classe dirigente.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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“BRODOLINI DA UNA PARTE SOLA, DALLA PARTE DEI LAVORATORI”

“Giacomo Brodolini nel tempo attuale” Auditorium del Museo dell’Emigrazione marchigiana 4 maggio 2023 ore 10,00 Via Gregorio XII Recanati Presiede Tarcisio Tarquini Giornalista di “Rassegna sindacale” Saluti Antonio Bravi Sindaco di Recanati Il lavoro come fonte primaria dei diritti” Rino Giuliani Direzione Istituto Fernando Santi Comunicazioni “Brodolini da una parte sola, dalla parte dei lavoratori” Introduce Paolo Borioni storico, docente Università di Roma “La Sapienza” Intervengono: Giuseppe Santarelli Segretario generale CGIL Marche Luciano Vita Responsabile Marche socialismo XXI “Cambiamento del modello di mercato del lavoro e ruolo dello Stato” Introduce Andrea Borghesi Segretario generale nazionale Nidil Intervengono: Enrico Pedrelli Segretario nazionale FGS Camilla Piredda Coordinatrice nazionale UDU Rodolfo Ricci Segretario nazionale FIEI Roberto Vezzoso Presidente Istituto Fernando Santi Marche Conclusioni ore 13,30 Pierpaolo Cicalò presidente di Istituto Fernando Santi Segreteria organizzativa: Teobaldo Bianchini 3932778337  Istituto Fernando Santi Via Buonarroti n. 51 00185 Roma presidenza@istitutosanti.org ASSOCIAZIONE SOCIALISMO XXI MARCHE COORDINAMENTO PROVVISORIO Care compagne e cari compagni, l’Istituto Fernando Santi Nazionale ha promosso il convegno “ Brodolini nel tempo attuale” che si terrà il 4 maggio 2023 a Recanati città natale di Giacomo Brodolini. Con l’iniziativa di cui all’allegato programma, l’Istituto intende confrontare, nel presente, valori e impostazione del pensiero e dell’azione sindacale e politica di Giacomo Brodolini alla luce dell’accentuarsi delle disuguaglianze nel mercato del lavoro e alla necessità di contribuire a riproporre, dopo una stagione in controtendenza, la centralità del lavoro nei suoi diversi significati e implicazioni. Nel dibattito particolare attenzione sarà data al tema della regolamentazione del mondo del lavoro, dei lavori, che in questi anni è profondamente cambiato. Un sistema più regolato, inclusivo, unificante i diritti del lavoro, che riteniamo possa essere una opportunità per l’intero paese. L’Associazione politico culturale Socialismo XXI Secolo, coordinamento delle Marche, collabora alla migliore riuscita di questo importante evento, riconoscendosi nel compagno Giacomo Brodolini, quale mirabile esempio di vita politica e sindacale al fianco dei lavoratori e per il Socialismo. Per l’Istituto Santi, per la CGIL e per Socialismo XXI Secolo regionale Marche, sarebbe oltremodo gradita la vostra partecipazione a questa iniziativa, per la quale siete tutti formalmente invitati. Nell’augurarmi di vedervi a Recanati il prossimo 4 maggio, vi invio fraterni saluti . Luciano Vita, Coordinatore Regionale Marche SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DONNE E SOCIALISMO: ELVIA CARRILLO PUERTO

di Ferdinando Leonzio | Non incolpiamo gli uomini per l’estraniamento in cui ci hanno tenute, tutto è una conseguenza di stantii pregiudizi e dei vecchi modelli in cui sono stati forgiati i nostri costumi, ma è ora che chiediamo agli uomini di sperimentare nuovi metodi. (Elvia Carrillo Puerto) Nel periodo in cui fu Governatore dello Yucatán[1] (1915-18) il generale progressista Salvador Alvarado (1880-1924)[2] mise in atto una serie di riforme talmente incisive e avanzate, da rimanere per sempre nella storia non solo di quello Stato, ma anche dell’intero Messico; del suo operato ci ha lasciato memoria in alcuni scritti[3]. Fra i primi provvedimenti di Alvarado furono la liberazione dei contadini maya[4] e la decisione di impedirne la reclusione, la fustigazione e altre pene e lo sfruttamento. Egli, inoltre, promulgó leggi per tutelare il lavoro, in particolare quello delle donne e dei minori, stabilendo orario massimo di lavoro, retribuzione minima, riposi obbligatori, salute e sicurezza nel lavoro, legalizzazione dell´attivitá sindacale. Istituí anche la figura dell´agente di propaganda, una specie di difensore civico, che aveva il compito di segnalare abusi dei proprietari fondiari contro i cittadini. Uno di essi era Felice Carrillo Puerto, che sará il suo degno successore. Quasi sempre questi funzionari parlavano sia la lingua spagnola sia quella dei Maya, il che era un fatto di democrazia reale, in quanto dava a tutti la possibilitá di chiedere e ottenere giustizia. Particolare attenzione prestó all´istruzione laica, da sempre fonte di libertá: fondó dunque oltre 1000 scuole, 300 biblioteche e avvió un conservatorio di musica. Durante il suo governatorato ebbe luogo anche il primo Congresso femminista del Messico, che si tenne nel 1916 a Mérida, capitale dello Yucatán. Questi progetti e queste realizzazioni avevano un chiaro sapore socialista; le idee politiche che ne costuivano il sottofondo, infatti, nel 1916 trovarono uno sbocco organizzativo nella creazione del Partito Socialista Operaio (PSO). Quando Alvarado fu chiamato dal presidente Carranza ad altri compiti, la guida del partito passó a Felipe Carrillo Puerto, che mutó l´iniziale denominazione in quella di Partito Socialista del Sud-est (PSS). Il PSS puó considerarsi il primo vero partito politico del Messico, organizzato ed attivo in modo continuativo, mentre i precedenti partiti messicani erano piuttosto associazioni che si formavano nei periodi elettorali allo scopo di sostenere qualche candidato. Felipe Carrillo Puerto (1874-1924), secondo di 14 figli, era un giornalista e un rivoluzionario[5], impiegato nelle ferrovie locali. Ma era soprattutto un socialista, nel cui programma punti qualificanti erano la riforma agraria, il suffragio femminile e i diritti degli indigeni maya. Le sue non erano solo enunciazioni teoriche o temi di propaganda del PSS. Quando, il 6 novembre 1921, sostenuto dal suo partito, fu eletto governatore dello Yucatán[6], nei venti mesi in cui rimase in carica diede avvio alla riforma agraria, confiscando le grandi proprietá e restituendo la terra agli indigeni: ne beneficiarono 34.796 famiglie di indigeni; concesse alle donne i diritti politici; aprí 417 scuole pubbliche, fece restaurare i siti archeologici precolombiani e fondó l´universitá dello Yucatán. Catturato dalla fazione reazionaria ribelle, il 3 gennaio 1924 fu fucilato assieme ai suoi fratelli Wilfrido, Benjamin e Adelio e a nove collaboratori. La sua vicenda è raccontata nel film Peregrina del 1974. Sará ricordato come l´Apostolo rosso dei Maya. Il Partito Socialista del Sud-est aveva appoggiato la politica del suo leader Carrillo Puerto ed aveva favorito l´uso della lingua dei Maya nell´istruzione, che egli aveva voluto rigorosamente laica, e la concessione dell´elettorato attivo e passivo alle donne. Soprattutto aveva sostenuto la riforma agraria, il che lo aveva portato a scontrarsi piú volte con i fazenderos[7]. Ma dopo la morte di Carrillo Puerto entro´ pian piano in crisi e alla fine, nel 1944, confluí nel Partito della Rivoluzione Messicana (PRM)[8] di Lázaro Cárdenas[9]. In un certo senso si puó dire che l´ereditá morale di Felipe Carrillo Puerto fu raccolta dalla sua sorella minore Elvia Carrillo Puerto. Elvia nacque il 6 dicembre 1878 a Motul (oggi Motul de Carrillo Puerto, in onore del governatore socialista fucilato), una cittadina yucateca a 44 km dalla capitale Mérida. Era figlia del commerciante di ferramenta Justiniano Carrillo Pasos (1839-1916) e di Adela Puerto Solis (1859-1928), dal cui matrimonio (18-5-1972) nacquero ben 14 figli (9 maschi e 5 femmine), di cui Elvia era la sesta[10]. Una famiglia cosí numerosa aveva certamente bisogno dell´apporto lavorativo di quanti dei suoi membri erano in grado di darlo. All´etá di sei anni, come giá Felipe ed altri fratelli, Elvia cominció a frequentare una scuola laica, dove, oltre la lingua-madre spagnola, imparó la lingua dei Maya, abitualmente parlata dai figli dei lavoratori locali. Da allora cominció a prendere coscienza delle gravi disparitá in atto nella societá del suo tempo: fra ricchi e poveri, fra uomini e donne, fra bianchi e indigeni. Sue fonti di ispirazione per la sua formazione politica e in particolare per l´assimilazione del concetto di uguaglianza di genere fu Rita Cetina Gutierrez (1846-1908), poetessa, educatrice, nonché fondatrice a Mérida di una societá femminista La Siempreviva, che pubblicava una rivista con lo stesso nome[11], che sará dato anche alla prima scuola laica femminile dello Yucatán, di cui Elvia fu allieva, e i cui diplomati in genere si dedicavano all´insegnamento. Da suo fratello maggiore Felipe, futuro leader socialista e poi Governatore, che come primo lavoro aveva dovuto fare il carrettiere e che perció aveva dovuto girare le henequen haciendas[12]della regione, apprese degli abusi disumani a cui i sorveglianti sottoponevano i poveri peones. Un ruolo notevole nella sua formazione ebbe anche padre Serafin Garcia, un prete progressista originario della Catalogna. Elvia capí dunque a quali tristi conseguenze potevano portare la differenza di classe e l´ignoranza, lei che amava cosí tanto la lettura e la musica. La sua innata intelligenza, gli amati studi, l´aspirazione alla propria indipendenza e la sete di giustizia, contribuirono a far crescere in lei il desiderio di emancipazione. In un ambiente in cui erano assai diffusi i matrimoni precoci, e sotto la spinta di un grande amore, a soli 13 anni sposó l´insegnante Vicente Pérez Mendiburo, che peró morí nel 1901, quando lei …

L’ETERNA GIOVENTU’. LA MIGLIORE STORIA DEI NOSTRI ULTIMI 130 ANNI

Nell’Atlante di Maurizio Maggiani. di Massimo Novelli – Il Fatto Quotidiano | Su fratelli, su compagne,/ su, venite in fitta schiera:/ sulla libera bandiera/ splende il sol dell’avvenir”. Così comincia il Canto o Inno dei Lavoratori, musicato dal maestro Amintore Galli e scritto dal leader socialista Filippo Turati. Fu eseguito per la prima volta a Milano il 27 marzo del 1886 nel salone del Consolato operaio in via Campo Lodigiano dalla Corale Donizetti. Emblema di più di un secolo di lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, colonna sonora di tante feste del Primo Maggio, centotrent’anni fa venne dichiarato fuorilegge dalle autorità di polizia e ministeriali. In una nota del ministero dell’Interno, risalente al 28 dicembre 1893 e inviata al prefetto di Bologna, venivano richiamati infatti gli ordini di sequestro dell’Inno emessi “dalle autorità giudiziarie di Parma, Catania e Milano”, e si confermava che “è fuor di ogni dubbio che lo stampato dell’Inno dei Lavoratori debba sempre sequestrarsi”. Il canto “di quell’inno”, si aggiungeva, pertanto “debba ritenersi sovversivo e non solo non possa permettersi in pubblico, ma costituisca reato ai sensi degli articoli 246 e 247 del codice penale; per lo che si possa procedere in flagranza all’arresto dei colpevoli”. Centotrent’anni dopo quei fatti, in prossimità del Primo Maggio 2023 e visti i tempi grami che corrono, è doveroso rammentare il sequestro del canto di Galli e di Turati fra i pochi a ricordarsene, se non il solo, è stato un narratore che ha continuato in questi anni tristi a parlare di vite proletarie, di sfruttati e sfruttatori, di ideali: si tratta di Maurizio Maggiani. Lo ha fatto in un bel romanzo recente, L’eterna gioventù (Feltrinelli), che è un’epopea poetica, colma di nostalgie lancinanti, del “sol dell’avvenir.” Scrittore lontano anni luce dalle mode e dai modi di oggi, dai salotti delle televisioni dove furoreggia la barbarie e si autocelebrano i servi, Maggiani racconta in solitudine operosa storie di rivolta sociale, di legami dilibertà”, di utopie libertarie e socialiste. Soprattutto è l’unico a ricucire nelle sue opere il filo rosso che legale imprese dei garibaldini, dei mazziniani, degli anarchici, la nascita del movimento operaio, le repressioni sanguinose nell’Italia regia (i Fasci siciliani, l’insurrezione di Carrara e della Lunigiana nel 1894, le cannonate di Bava Beccaris nel 1898), con le battaglie del Novecento. Annoda nel filo rosso le ribellioni contro il militarismo e la guerra, l’occupazione delle fabbriche, gli arditi del popolo di Sarzana e di Parma contro i fascisti, la Resistenza, il luglio1960, il 1968 e l’Autunno caldo degli operai. Maggiani ci restituisce un’Italia, per ora di ieri e dell’altro ieri, che sembrerebbe un’anticaglia da baule dei nonni, o, perlomeno, così vorrebbero seppellirla per sempre. Era l’Italia del Primo Maggio, di festa e di lotta. Un’Italia di popolo, che si è battuta in un secolo e mezzo per ciò che l’Inno di Galli e Turati riassumeva nei suoi versi magari non eccelsi dal punto di vista letterario, come ammise lo stesso Turati, ma indubbiamente veri ed efficaci: “Il riscatto del lavoro/ dei suoi figli opra sarà: / o vivremo del lavoro/ o pugnando si morrà”. Quell’Italia, che sognava e magari sogna ancora il “sol dell’avvenir”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

A PAOLO ROSSI NOSTRO COMPAGNO

dai Diari di Nenni Alla università le cose si sono complicate. Lo studente Paolo Rossi è morto. Era un giovane socialista della sezione studentesca alla quale è iscritta anche Maria Vittoria. Ieri sera la facoltà di diritto era stata occupata dagli studenti antifascisti. Il rettore Papi, molto criticato per il suo atteggiamento complessivo, ha chiesto alla polizia di intervenire per lo sgombero: il che è avvenuto senza incidenti. Sulla morte del giovane Rossi corrono due versioni: che fosse stato bastonato e che sia caduto dal muricciolo dove si era rifugiato per un deliquio susseguente alle botte prese; che si tratti di una disgrazia pura e semplice. L’autopsia dovrebbe darci la chiave dell’enigma. Siamo comunque di fronte a un rifiorire di faziosità e intolleranza di destra che può avere gravi conseguenze. È ciò che ho telegrafato al padre del giovane Rossi e ai suoi compagni di gruppo. Stasera c’è stata alla università una grossa manifestazione di protesta. Ho ricevuto a Palazzo Chigi Codignola, Bertoldi, Marisa Rodano, Lelio Basso, Ingrao che erano preoccupati per possibili incidenti notturni in seguito alla occupazione di alcune facoltà. Si sono fatti eco di accuse, mi pare piuttosto fondate, contro il commissario di polizia del quartiere di San Lorenzo, sospettato di simpatie fasciste. Ho telefonato a Taviani e al capo della polizia che se, anche stanotte, il rettore chiede l’intervento della polizia per sgombrare la facoltà occupata lo invitino ad andare lui tra gli studenti, se ha l’autorità per farlo. Così è stato convenuto. Domani Taviani risponderà alla Camera e Gui al Senato alle interrogazioni sugli incidenti universitari. [Dai diari di Nenni 28 aprile 1966] …. Imponenti e commossi i funerali del giovane Paolo Rossi. Vi ho partecipato con l’animo doppiamente oppresso per il mio lutto e per la morte di un giovane che aveva davanti a sé tutta una vita da vivere. All’università il discorso commemorativo è stato tenuto da Walter Binni, ordinario della facoltà di lettere e durissimo con il rettore. E’ vero che l’autopsia ha confermato che la morte risale alla caduta dal muricciolo dove era salito. Ma la responsabilità morale non muta per questo. [Dai diari di Nenni 30 aprile 1966] Testimonianze Ero con Paolo Rossi quando sulle scalinate di Lettere alla Sapienza fu aggredito e ucciso dai fascisti. Aveva 19 anni. Poi conobbi il padre, pittore, che aveva fatto il partigiano nell’appennino umbro. Mi regalò questa foto (immagine di copertina ndr) che conservo con amore da più di 50 anni. [Prof. Franco Maria Fontana] UN ARTICOLO TRATTO DAL CORRIERE DELLA SERA di Vittorio Emiliani | Non è soltanto per affetto che va ricordato, a 50 anni dalla scomparsa, il ventenne studente di architettura Paolo Rossi, cattolico, non violento, iscritto alla Federazione Giovanile Socialista e all’Unione Goliardica, colpito con un pugno di ferro da aggressori fascisti alla Sapienza e poi precipitato da un muro alto cinque metri. Ma anche per rammentare a tanti giovani inconsapevoli quanto fu difficile conquistare negli Atenei, pur in pieno centrosinistra, spazi di libertà, di discussione pacifica. I genitori di Paolo, entrambi pittori, erano stati nella Resistenza trasmettendo ai figli quel messaggio. Non vollero sapere chi fossero gli autori di quel delitto certo non internazionale. Pretesero però che una sentenza spazzasse via (e così fu) le menzogne della Polizia che, rimasta a guardare l’ennesima aggressione «nera», aveva attribuito la morte ad una malattia del ragazzo (invece sanissimo, uno sportivo, un alpinista). Vergogna subito avallata da un rettore di antica fede mussoliniana, l’economista Giuseppe Ugo Papi, che stava tollerando una serie agghiacciante di atti squadristici, il letterato Walter Binni non volle neppure pronunciarne il nome nell’appassionata orazione funebre, mentre 51 professori di ruolo offrirono al presidente della Repubblica le loro cattedre rifiutandosi di insegnare «in un’atmosfera appestata dal teppismo tollerato e quindi indirettamente istigato», scrisse un anno dopo Bruno Zevi, «dalle massime autorità accademiche». «La mia unica colpa è quella di aver combattuto, sempre, i docenti di sinistra», protestò protervo Papi quando fu rimosso. I funerali furono imponenti. Vicino ai famigliari, Pietro Nenni al quale i lager nazisti avevano portato via la figlia «Vivà». Ferruccio Parri aveva parlato al sit-in degli studenti che si apprestavano ad occupare Lettere e altre facoltà rischiando l’espulsione da tutti gli Atenei. Anche Paolo VI ebbe parole commosse di cordoglio. Nell’ultima fotografia si vede chiaramente Paolo trattenere un compagno che vuol reagire duramente alla violenza squadrista. Alcuni degli aggressori dovevano essere implicati, tre anni più tardi, nelle «trame nere» con le quali si cercò di scardinare lo Stato democratico. Anche per questo Paolo Rossi non va dimenticato. Anzi andrà ricordato, con passione civile ogni 27 aprile, almeno con un fiore, primo caduto di una nuova Resistenza romana. Fonte: Corriere della Sera Paolo Rossi è ricordato nella canzone Giulio Cesare di Antonello Venditti, in cui una strofa recita, in riferimento all’anno 1966, “…Paolo Rossi era un ragazzo come noi”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

EQUITA’ ORIZZONTALE E RIFORMA FISCALE

Si ha equità orizzontale quando lo stesso importo di imponibile comporta il pagamento dello stesso importo di imposte. Salvatore Scoca membro democristiano della commissione che era incaricata della redazione della Costituzione, aveva proposto di inserire nel testo, oltre alla equità verticale, ovvero la progressività, anche l’equità orizzontale quale principio fondamentale di un buon sistema fiscale. Questo principio, che ha una sua coerenza, viene nella pratica infranto da ragioni concrete o da favoritismi elettorali: tra le ragioni concrete quelle di non scoraggiare gli investimenti di capitale anche dall’estero, per cui la scelta iniziale di assoggettare ad Irpef i dividendi fu presto abbandonata per una cedolare secca che permetteva ai contribuenti l’anonimato; tra le ragioni elettorali la flat tax per i lavoratori autonomi. Per avere un’idea di come operi la iniquità orizzontale espongo come vengono tassati 36.000€ di imponibile a seconda dell’origine di tali introiti: interessi da titoli di Stato; dividendi, interessi obbligazionari, capital gain; proventi immobiliari a cedolare secca; proventi immobiliari a canone concordato; lavoro autonomo fino a 85.000€ di fatturato; lavoro autonomo nei primi 5 anni; lavoratore dipendente, pensionato. RENDITA LAVORO Tipologia Titoli di stato Interessi Fabbricati1 Fabbricati 2 Forfettari 1 Forfettari 2 Lavoro Aliquota 12,50% 26,00% 21,00% 10,00% 15,00% 5,00% 26,39% Imposta 4.320 6.360 7.560 3.600 5.400 1.800 9.500 Addizionale Regionale 0 0 0 0 0 0 586 Addizionale Comunale 0 0 0 0 0 0 229 Totale 4.320 9.360 7.560 3.600 5.400 1.800 10.315 L’imposizione gravante sul lavoratore dipendente, pensionato e lavoratore autonomo sopra gli 85.000€ di fatturato è decisamente più gravosa di ogni altra fonte di reddito/rendita, bene fa quindi la legge delega per la riforma fiscale ad affrontare la questione dell’equità orizzontale. Quando poi andiamo ad esaminare i provvedimenti previsti a questo proposito rileviamo che il primo provvedimento è quello della ● progressiva applicazione della medesima area di esenzione fiscale e del medesimo carico impositivo Irpef, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto, con priorità per l’equiparazione tra redditi di lavoro dipendente e redditi di pensione. Si tratta della cosiddetta “no tax area” ovvero di quell’abbattimento del reddito imponibile per evitare che paghino imposte quei redditi minimi obiettivamente non imponibili. La riforma tende a equiparare questa no tax area oggi diversa nel caso di lavoratori dipendenti e pensionati (nulla cambia per la no tax area dei lavoratori autonomi non soggetti ad Irpef ma a flat tax). Vediamo allora il diverso trattamento che va modificato in nome dell’equità orizzontale. Le formule della “no tax area” per i due tipi di reddito sono le seguenti: per i redditi da pensione: ● Per redditi inferiori a 8.500 euro la detrazione spettante è di 1.955 euro; ● Per redditi tra 8.500 e 28.000 euro si applica la seguente equazione: 700 + [1255 x (28.000 – reddito netto) / 19.500]; ● Per redditi tra 28.000 e 50.000 € la formula è la seguente: 700 x [(50.000 — reddito netto) / 20.000]; per i redditi da lavoro dipendente: ● Per redditi inferiori a 8.500 euro la detrazione spettante è di 1.880 euro da rapportare al numero di giorni di lavoro dipendente secondo la seguente operazione: 1.880 x (giorni lavorati / 365); ● Per redditi tra 8.500 e 28.000 euro si applica la seguente equazione: 1910 + {1190 x [(28.000 – Reddito  Netto) / 13.000)] x (giorni lavorati / 365)}; ● Per redditi tra maggiori di 28.000 € e inferiori a 50.000 € la formula è la seguente: 1910 x [(50.000 – Reddito Netto) / 22.000] x (giorni lavorati / 365) ● Per redditi superiori a 50.000 euro non sono previste detrazioni. In pratica, tornando al nostro esempio di un reddito da 36.000€ la unificazione tra i due regimi comporterebbe che l’importo della no tax area, oggi computabile in 1.215€ per il lavoratore dipendente e in 490€ per il pensionato, sarebbe calcolato allo stesso importo. Una rivoluzione o una presa per i fondelli? SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it