PARTIGIANI: 650 MILA RESISTENTI INTERNATI NEI CAMPI NAZISTI

Nell’immagine di copertina Partigiani della Brigata Matteotti | La tragica vicenda degli Internati Militari Italiani (IMI) nei territori controllati dai nazisti ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate. I Militari italiani, catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia,  Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e Italia stessa – perché Lo Stato Maggiore italiano e il Re Vittorio Emanuele III non diramarono ordini l’8 settembre 1943 su come comportarsi – appena fu comunicato l’armistizio firmato dall’Italia con gli angloamericani, caricati su carri bestiame, sono avviati a una destinazione che non conoscono: i lager del Terzo Reich, che erano sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia. Dopo un viaggio in condizioni disumane che dura anche diversi giorni, appena arrivato nel lager, il prigioniero viene immatricolato con un numero di identificazione che sostituirà il nome e che sarà inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo al quale è destinato. Tra le formalità d’ingresso ci sono anche la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali su appositi documenti di riconoscimento e la perquisizione personale e del bagaglio se ce l’ha. Sin dal primo momento, ai prigionieri, circa 650mila, viene chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò.  La maggior parte di loro si rifiuterà di collaborare e per la prima volta, con una scelta volontaria di coscienza, dice NO a qualsiasi forma di collaborazione, affrontando sofferenze e privazioni. In un primo tempo prigionieri di guerra, i militari italiani catturati, deportati e internati nei lager nazisti, il 20 settembre 1943 vengono definiti IMI – Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler che li sottrae alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per destinarli come forza lavoro per l’economia bellica del Terzo Reich. Sempre per ordine del Führer, d’accordo con Mussolini,  gli IMI il 12 agosto 1944 cambiano nuovamente di status e vengono  trasformati in “lavoratori civili”, formalmente liberi. Decine di migliaia di IMI perdono la vita nel corso della prigionia per malattie, fame, stenti, uccisioni. Coloro che riescono a sopravvivere sono segnati per sempre. A  partire da febbraio del 1945, le avvisaglie del crollo ormai imminente della Germania sono preludio alla liberazione che avviene in momenti differenti, per lo più tra febbraio e i primi di maggio del 1945, man mano che le truppe inglesi, statunitensi, sovietiche avanzano e trovano campi pieni di prigionieri. Il rimpatrio, tuttavia, non è immediato e si svolge soprattutto nell’estate e nell’autunno 1945, da Germania, Francia, Balcani e Russia. Varcato il confine, gli IMI provenienti dalle regioni del Reich vengono solitamente dirottati verso Pescantina, nel veronese, dove è stato istituito un centro di smistamento e accoglienza e dove si organizzano i trasporti verso le destinazioni interne al paese, se possibile. Nell’Italia del primo dopoguerra la storia degli IMI è presto dimenticata. L’oblio è durato a lungo. Gli storici hanno cominciato ad occuparsi degli IMI solo dalla metà degli anni Ottanta: tardi, ma forse ancora in tempo per far conoscere questa pagina di storia e rendere il giusto omaggio ai «650 mila» che, con il loro sacrificio, contribuirono a portare la libertà e la democrazia nel nostro paese. Se costoro non avessero resistito alle pressioni per arruolarsi con i fascisti repubblichini di Salò, alleati e servi dei nazisti, sopportando sacrifici immensi, e avessero ceduto, arruolandosi, con la speranza di rientrare in Italia, come sarebbe andata la carneficina tra loro e i partigiani armati che agivano in Italia ? Quali ulteriori ferite tra italiani avremmo avuto ? Quanto altri morti ? Grazie eroi. Grazie a voi che opponeste un nobile e importantissimo rifiuto e grazie ai partigiani che agirono con le armi.   PARTIGIANI IN PATRIA La Fondazione CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA’ riferisce che sono state 703.716 le domande presentate alle preposte Commissioni statali e regionali per il riconoscimento della qualifica di PARTIGIANO durante la seconda guerra mondiale. Ci furono donne e uomini che agirono con le armi, poi soprattutto donne che agirono come staffette portaordini anche nelle città, poi civili insospettabili dal regime fascista che in vari modi – e a rischio della loro vita – passavano informazioni, prevenivano rastrellamenti, aiutavano e curavano i feriti, rifornivano di viveri, rubavano armi e munizioni per portarle ai partigiani, stampavano documenti falsi, nascondevano ebrei e antifascisti ricercati.   In diversi ruoli e gradi di impegno e di rischio molti italiani vollero riscattare l’infame avventura bellica nella quale il fascismo aveva portato l’Italia. Volevano riconquistare la libertà. W il giorno della Liberazione, 25 aprile 1945. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PER IL 25 APRILE E 1° MAGGIO

COMUNICATO | Il 25 Aprile e il 1° Maggio rappresentano i valori e il presupposto indispensabili per costruire una societa’ giusta e libera.Valori irrinunciabili, non negoziabili, sui quali non sussistono spazi per prese di posizione ideologiche. Queste due giornate rappresentano le fondamenta di uno Stato libero e democratico.Democrazia e Lavoro sono i presupposti indefettibili di uno Stato realmente civile e vanno tutelati sempre, senza tentennamenti. Ci impegniamo a proseguire nella difesa di questi valori e a proseguire con forza nel percorso che ci vede impegnati al Tavolo Nazionale di Concertazione con l’auspicio di traguardare l’obiettivo con tutti coloro che condividono la prospettiva di costruire in Italia una nuova entita’ politica di ispirazione socialista che tuteli e garantisca diritti, liberta’ e lavoro. Area Costituente verso il Partito del Lavoro Domani Socialista Socialismo XXI SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TAVOLO DI CONCERTAZIONE

COMUNICATO STAMPA | Si e’ svolto a Roma il 20 aprile 2023 presso la Fondazione Buozzi il terzo incontro del Tavolo Nazionale di Concertazione.I soggetti politici presenti hanno confermato la volonta’ di proseguire la discussione e il confronto verso il raggiungimento del comune obiettivo di costruire una nuova entita’ politica in Italia di ispirazione socialista che metta al centro dell’ azione politica i grandi temi del lavoro, della sanita’, della scuola, dell’ambiente e della giustizia sociale.Si e’ concordato altresi’ di elaborare comunicati congiunti per le ricorrenze del 25 aprile e dell’ 1 maggio. Area costituente verso il Partito del Lavoro Domani Socialista Socialismo XXI SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE

Il passaggio fondamentale proposto da Keynes in fatto di sistema monetario sta, a mio parere, nella ricerca di una soluzione razionale da opporsi al principio “antico” della convertibilità in oro. L’oro è diventato lo strumento universale per le sue caratteristiche positive, ovvero: la sua rarità e quindi la non deperibilità del suo valore, la diffusione sufficiente a interessare tutti i popoli del mondo, la divisibilità che può permettere la coniazione di diversi tipi di moneta. Soprattutto la non deperibilità del suo valore dava garanzia ai traffici tra soggetti di tutte le nazioni per cui un operatore poteva vendere un suo prodotto in qualsiasi località del mondo avendo in cambio una moneta il cui valore era accettato e condiviso da tutti; dava inoltre garanzia a chi voleva accumulare le sue ricchezze che queste conservassero il loro valore nel tempo in modo di poterlo quindi utilizzare come riserva ed eventualmente lasciarlo agli eredi. Con la stessa finalità gli stati accumulavano ed accumulano oro nei loro caveaux. Il limite dell’oro, tuttavia, consiste nella non governabilità della sua quantità soggetta al caso della scoperta di nuove miniere. La non governabilità della quantità di oro disponibile per le transazioni e per le riserve è un limite oggettivo al suo utilizzo. La formula economica che lega il fabbisogno di moneta rappresentata dalle transazioni e dalle riserve   alla quantità necessaria si può scrivere: posta con T il totale delle transazioni che richiedono l’uso di denaro; posto con M la massa della moneta disponibile e posta con V la velocità di circolazione del denaro come segue   T = M.V Se lo sviluppo dei commerci e dei traffici aumentasse notevolmente in un certo periodo di tempo tale per esempio da raddoppiare, la moneta esistente potrà all’inizio accelerare la velocità di circolazione riuscendo quindi a poter mediare più transazioni. La velocità di circolazione è aumentata in modo significativo con le moderne tecnologie, ma anche essa ha i suoi limiti e quindi è necessario aumentare anche la massa monetaria in circolazione. La ingovernabilità della quantità dell’oro costituisce un limite serio tale da richiedere uno strumento più manovrabile. Le monete fino agli accordi di Bretton Woods nel 1944 erano tutte convertibili in oro e quindi conoscevano i limiti di governabilità della massa monetaria; spesso però tale convertibilità era disattesa con conseguenze immaginabili. A Bretton Woods i vincitori della seconda guerra mondiale si riuniscono per creare un nuovo sistema monetario internazionale. Oltre alle regole condivise quali la creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale si scontrarono due posizioni sul sistema di governo della massa monetaria:      la posizione di Keynes era di creare una moneta virtuale, il Bancor, gestito da una entità sovranazionale che controllasse le situazioni dei diversi paesi aiutando quelli in difficoltà per eccesso di importazioni sottoponendoli a vincoli da osservare, ma penalizzasse anche i paesi con eccesso di esportazioni spingendoli a rivedere il rapporto tra esportazioni e consumi interni. Il gestore internazionale basava sulla razionalità la determinazione della massa monetaria senza vincolarla alla convertibilità in oro; la seconda posizione del rappresentante USA Harry Dexter White era invece di porre il dollaro come moneta universale convertibile cui tutte le altre monete erano legate con un cambio fisso. La responsabilità della governabilità della massa monetaria era quindi assunta da un solo paese che tuttavia garantiva il suo comportamento prevedendo la convertibilità in oro.  La posizione statunitense ebbe la meglio e Keynes uscì sconfitto. Il sistema di Bretton Woods ha retto per 30 anni durante i quali la situazione degli USA è mutata in modo sostanziale; in particolare da maggior esportatore internazionale e consumatore interno moderato si è trasformato nel maggior importatore internazionale con un aumento enorme nei consumi interni. L’emissione di dollari è aumentata in modo sostanzioso in modo da far prevalere la fiducia nel paese alla garanzia della convertibilità; la fiducia nel dollaro si basava più sull’autorità degli USA come potenza, anche militare, che sulla possibilità di convertire il dollaro in oro. Per questa ragione De Gaulle fece una operazione provocatoria; riempi una nave di dollari e la spedì negli USA affinché fossero convertiti in oro al prezzo stabilito a Bretton Woods. La provocazione causò la necessità per gli USA di modificare le regole anche a causa delle difficoltà create dal dover finanziare la guerra in Vietnam. Il 14 agosto 1971 Richard Nixon dichiarò che da quel giorno il dollaro non era più convertibile e da quel momento il sistema monetario internazionale ha operato senza regole condivise. Della situazione hanno usufruito gli USA che hanno stampato dollari in modo molto disinvolto contando sul fatto che, grazie alla sua egemonia mondiale, i dollari fossero trattenuti dai paesi che esportavano verso gli USA come riserve al posto dell’oro; gli USA cioè si difendevano dalla inflazione che sarebbe causata dall’emissione disinvolta di dollari grazie al fatto che quell’eccesso di dollari fosse tolto dalla circolazione dai paesi esportatori per usarli come riserve. Mentre le altre monete avevano problemi se consumavano più di quanto producessero o importavano più di quanto esportassero, gli USA potevano evitare tensioni inflazionistiche perché i dollari che defluivano per pagare le importazioni venivano poi utilizzati come riserve delle Banche centrali dei paesi esportatori e non portavano a svalutare la moneta statunitense. Questa pratica denominata “signoraggio” fu definita da Giscard d’Estaing come “esorbitante privilegio” che cozzava con un’auspicabile parità di diritti e dignità tra tutti i popoli. Questa situazione si è andata poi aggravando a causa del deterioramento dell’egemonia statunitense a causa del doppio deficit internazionale e interno del paese, della crisi del 2007/2008 che ha causato per colpa della finanza USA povertà e disoccupazione in tutto il mondo, dei fallimenti di alcune banche come la Silicon Valley Bank, dalla weaponizazione del dollaro, del rischio di default se il congresso non dovesse approvare l’estensione del livello del debito. Nel mondo si è quindi formata una ribellione tesa a rinormalizzare il sistema monetario internazionale; i paesi più organizzati sono i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che anche per ragioni geopolitiche hanno cominciato a costruire un diverso ordine. L’obiettivo …

PERCHE’ HANNO TOLTO IL DIRITTO DI VOTO AI CITTADINI?

Il Gruppo di Volpedo, rete dei circoli socialisti e libertari del Nord ovest, voleva riformare il modo di far politica, privilegiando la dimensione europea e l’attenzione all’ambientalismo politico, che si può sintetizzare nel binomio rosso-verde, ma non ridurre ad una formazione politica specifica nel variegato mondo politico italiano, contrassegnato da un’accentuata mobilità elettorale ed instabilità istituzionale. Questi fenomeni paradossalmente sono stati provocati da quando si è voluto privilegiare la governabilità rispetto alla rappresentanza, dapprima con la scelta di un sistema misto in prevalenza maggioritario per3/4 dei seggi con le leggi elettorali n. 276 e n. 277 del 1993, il cosiddetto Mattarellum, e l’introduzione alla Camera di una quota proporzionale con lista bloccata per la prima volta nelle elezioni parlamentari italiane. Il sistema elettorale era stato, fino ad allora, basato su un sistema bicamerale paritario, basato su liste con  voto di preferenza alla Camera dei deputati e collegi uninominali al Senato della Repubblica, ma in entrambe i casi con un riparto proporzionale dei seggi, tranne sporadiche eccezioni al Senato.  Un sistema politico, che, malgrado la breve durata media dei governi aveva consentito all’Italia il miracolo economico e la trasformazione da paese agricolo a paese industriale, fino a diventare uno dei sette paesi più industrializzati del mondo, tra quelli ad economia di mercato e negli anni ’70 del XX° secolo di dare l’avvio a una serie di riforme economiche e sociali, che ne hanno dimostrato le capacità di innovazione e modernizzazione.   Diritto di voto e sistema dei partiti sono strettamente collegati dalla nostra Costituzione nel Titolo IV della Parte Prima RAPPORTI POLITICI (ARTICOLI  48 – 54), in particolare gli articolo 48 sull’elettorato attivo e 49 sui partiti politici sono strettamente collegati, mentre il diritto di voto passivo e l’esercizio di pubblici funzioni sono associati negli articoli 51 e 54, mentre gli articoli 52 sulla difesa della patria e 53 sul sistema fiscale progressivo apparentemente non sono immediatamente assimilabili ai rapporti politici, ma leggerli e comprenderli bene confermano una volta di più la saggezza dei nostri padri e delle nostre, troppo poche, madri costituenti. Nell’art. 52 la difesa della patria “è sacro dovere del cittadino.”, di ogni cittadino, uomo o donna che sia, per questo non va confuso con il servizio militare, che non è obbligatorio per il secondo comma, che rinvia ad una legge ordinaria. Nel rispetto della Costituzione si è passato dalla leva generale obbligatoria per gli uomini, con un tardivo riconoscimento dell’obiezione di coscienza soggetta ad un alternativo servizio civile, alle forze armate professionali e volontarie. Il collegamento con i rapporti politici e al loro esercizio è assicurato dalla norma costituzionale con la precisazione che il servizio militare “non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.”, ma soprattutto con l’ultimo comma “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.” Infatti, il lavoro è un diritto e un dovere di ogni cittadino, come il voto è un dovere civico, non un obbligo giuridico, a differenza di altri ordinamenti, anche democratici[1]. Il voto è -e costituzionalmente deve rimanere “libero”e“personale”, come prescrive l’art. 48 Cost. e ha precisato la sentenza costituzionale n. 1/2014, oltre che “eguale” e “segreto”. La legge elettorale n. 165/2017, approvata, in violazione dell’art. 72 c. 4 Cost., con ben 8 voti (3 alla Camera e 5 al Senato) di fiducia a richiesta del Governo Gentiloni e peggiorata dalla legge n. 51/32019 del Governo Conte I, quello della maggioranza giallo-verde, è incostituzionale perché non rispetta il voto libero e personale degli elettori, perché una presunzione arbitraria di coerenza si sostituisce agli stessi quando non votano per una lista bloccata proporzionale o per un candidato uninominale maggioritario. Infatti, decide il legislatore come avrebbe dovuto votare sulla base di scelte di altri elettori, cioè in violazione del voto diretto stabilito senza equivoci dall’art. 56 Cost. per la Camera e dall’art. 58 Cost. per il Senato. Purtroppo non siamo in Germania, dove a differenza dell’Italia è garantito l’accesso diretto alla Corte Costituzionale, la Bundesverfassungsgericht l’avrebbe già fatta a pezzi per violazione dell’art. 38 GG, la loro Legge Fondamentale coincidente con il nostro art. 48 Cost., ancora più rigoroso poiché il voto è personale e diretto e non semplicemente, come in tedesco, unmittelbar, cioè “non mediato”.   Questo Titolo IV della Costituzione ha un’altra particolarità la mancata attuazione con una legge organica, di una legge sui partiti politici, che rispetti i principi costituzionali dell’art. 49, e dell’art. 53 Cost. la nostra tassazione dei redditi è sempre meno progressiva (estensione della flat tax) e non prevedendo un’imposta patrimoniale non “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, quindi la Repubblica non può garantire a tutti i cittadini i diritti fondamentali, da quelli inviolabili ex art. 2 Cost. o, per nominare i principali, ad un lavoro, alla salute e all’istruzione e potere tenere fede al suo impegno solenne preso con l’art. 3 c. 2 Cost.: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Non c’è dubbio che se i programmi e gli statuti dei partiti facessero riferimento alla Costituzione, sarebbe una trasparenza rivelatrice delle reali intenzioni della formazione politica e guida per le scelte degli elettori. Per esempio riferirsi al secondo comma dell’art. 3 Cost. dovrebbe essere obbligatorio per una formazione di sinistra unitaria, larga e plurale, seriamente impegnata per la trasformazione della nostra società: la formazione che manca nel nostro panorama politico dopo la fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani, poi Partito Socialista dei Lavoratori e PSI e fino al 1921. In un certo senso siamo in una situazione paragonabile a quella del 1891 e che trovò soluzione a Genova nel 1892.  Solo che allora c’erano progetti e speranze e la determinazione di due Compagni di ideali socialisti e di vita come Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Ora scoramento e disillusione e gruppi dirigenti dei partiti …

IL PIANO MATTEI

“Credo che l’Italia debba farsi promotrice di un ‘piano Mattei’ per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo”. Queste le parole di Giorgia Meloni nel discorso per la fiducia al suo governo; il piano sarà presentato nel mese di ottobre, ma nelle sue macro-dimensioni può essere ipotizzato come segue: Partendo dalla necessità di rendere il nostro paese energeticamente indipendente dalla Russia, sulle tracce di quanto già iniziato dal governo Draghi, trovare fonti energetiche alternative nei paesi africani come iniziato da Enrico Mattei, e ciò non solo per il fabbisogno italiano, ma facendo diventare dell’Italia un hub energetico dell’Europa. Il nome del piano rimanda al fondatore dell’Eni che negli anni ’60 prevedeva di inserirsi nel mercato petrolifero dominato dalle “sette sorelle”, stringendo rapporti diretti tra Paese produttore e Paese consumatore cooperativi e non egemonici, prevedendo infatti di lasciare ai paesi produttori il 75% degli introiti invece della ripartizione 50 e 50 utilizzata fino a quel momento. L’operazione di sganciamento dalle fonti energetiche russe ha dato i seguenti risultati comparativi tra 2021 e 2022: Libia                                       -18,6% Nord Europa                        +236% Azerbaigian                            +42% Russia                                   -61,3% GNL                                        +46% Algeria                                   +11% Totale importazioni            -4,5% dati Snam elaborati da Today L’operazione, quindi è consistita nel ridurre le importazioni dalla Russia ampliando il ricorso alle importazioni da altri paesi, ma l’obiettivo è quello di importare molto di più dai paesi con cui si stanno stipulando accordi in modo da poter divenire un hub per l’Europa. A tal fine va osservato che al crollo delle importazioni dalla Russia gli incrementi maggiori sono segnati dalle importazioni dal Nord Europa e di GNL, con una diminuzione di importazioni del 4.5% Sarà allora interessante rilevare in che misura vanno distribuite le importazioni nel 2022 per paese: Russia                           16,0% Libia                                3.8% Algeria                          34.3% Nord Europa                10.3% Azerbaigian                  14.8% Gnl                                 20.6% Fonte: Snam In questo contesto la presidente Meloni ha già visitato l’Algeria, e pochi giorni dopo c’è stata un’altra visita ufficiale, in Libia e ad aprile in Etiopia. All’Africa si aggiunge l’Asia: anche l’Azerbaigian sarà un partner energetico sempre più importante grazie al potenziamento del gasdotto Tap. Questo programma permette di metterci, grazie alla nostra posizione nel Mediterraneo, come tramite fra Africa (e anche un po’ di Asia) e l’Europa anche se non può sottacersi la contraddizione delle importazioni dal Nord Europa e del Gnl. Inoltre, non può sottacersi la presenza in Africa di Russia e Cina con investimenti (in particolare della Cina) di importanza strategica. Il programma appare vasto che a lungo termine potrebbe cozzare con l’azzeramento dei combustibili fossili, ma che va tenuto sotto osservazione in particolare ad ottobre quando, secondo la promessa della presidente, il piano sarà reso pubblico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NO AL FAR WEST CONTRATTUALE, SI ALLO SVILUPPO CONCERTATO DI UNA BUONA OCCUPAZIONE

A febbraio di quest’anno, l’ISTAT ci comunica che i lavoratori dipendenti sono 18.315.000, gli autonomi (liberi professionisti, artigiani, esercenti, operatori in proprio) sono 4.995.000 per un totale di occupati al lavoro di 23.310.000 unità lavorative, pari al 61,50% della popolazione in età di lavoro (15/64 anni  l’età che ISTAT prende in esame). Due punti percentuali in piu’ rispetto al 2019, ma questo tasso di attività lavorativa dell’Italia è fra i piu’ bassi nell’Unione Europea, 10 punti percentuali in meno rispetto alla media europea, ci collochiamo al penultimo posto in quanto ci supera in peggio solo la Grecia. Ben 13 Paesi, prevalentemente nordici, ma anche qualcuno dell’Europa orientale già appartenente al Patto di Varsavia, registrano un tasso di attività tra il 77,8 % dei Paesi Bassi ed il 70 %di Cipro. Persino Paesi economicamente poveri come Bulgaria e Romania, con condizioni lavorative difficili, ci superano in questa classifica. L’Italia è anche il Paese con le maggiori disparità tra le situazioni delle singole Regioni con le Regioni settentrionali ai primi posti e quelle meridionali agli ultimi. Si passa dal 67,5% del Nord-Est e dal 65,9 % del Nord-Ovest al 62,7 % del Centro Italia ed al 44.6 % del Mezzogiorno e 43,7 % delle Isole. La Campania è la regione europea con il piu’ basso tasso in assoluto di occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso a fine 2022 (dati Istat) al 7,8 % non molto lontano dal tasso medio europeo, ma esso non è però l’unico indicatore della situazione lavorativa da prendere in esame per capire (e tentare di risolvere) determinate gravi contraddizioni che caratterizzano il nostro mercato del lavoro. La disoccupazione riguarda solo la parte della popolazione considerata da ISTAT in età lavorativa che non ha un impiego ma che lo sta attivamente cercando o richiedendo. Ma ci sono anche coloro che non lo cercano: sono certamente giustificabili quando si tratta di inabili, di non autosufficienti, di infermi e malati cronici  ma vi sono anche coloro, che le statistiche chiamano gli inattivi, che potrebbero lavorare, ma non cercano un impiego e ciò non è affatto giustificabile. La prima contraddizione è evidenziata da un importo studio dell’Università di Roma Tor Vergata che ci dice che a fronte di 18.315.000 lavoratori dipendenti e 4.995.000 c.d. autonomi (liberi professionisti, artigiani, esercenti, operatori in proprio, p.iva a progetto) vi sono (o si stimano) 3.600.000 unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (2,6 mln di dipendenti e 1 mln circa di autonomi) che compongono la piaga del “sommerso” che non appare, un lavoro spesso sottopagato, non continuativo perché spesso occasionale. Se esso, grazie ad una seria e continuata attività di controllo, di accertamento e di regolarizzazione, fosse in buona parte reso regolare aumenterebbe il tasso statistico della occupazione ma anche quello delle statistiche salariali, nelle quali appare che la retribuzione media italiana è anch’essa fra le piu’ basse d’Europa. Diciamo in buona parte perché sarebbe difficile “regolarizzare” certe attività “in nero” in quanto spesso illegali. La seconda contraddizione risiede nel fatto, a cui Organizzazioni datoriali, l’Agenzia statale per le Politiche attive del lavoro, Centri per l’impiego ed il Ministero del Lavoro non sanno dare una risposta plausibile, che – a fronte di questa disastrosa situazione della occupazione –  vi sono nel contempo  continue richieste di personale da parte di imprese non solo nel settore industriale – in gran parte allocato al Nord – ma anche in edilizia, in agricoltura, nel commercio al dettaglio, nel turismo, nelle attività alberghiere e della ristorazione e dei pubblici esercizi, nei settori dell’assistenza alle persone e della collaborazione alle famiglie. In questi settori spesso la domanda di lavoro delle aziende è parzialmente soddisfatta dalle disponibilità di impiego da parte degli immigrati. Perché altrettanta domanda non puo’ essere soddisfatta da una offerta di cittadini italiani, in particolare giovani e donne, settori nei  quali la % di disoccupazione è piu’ alta della media? Spesso si sente rispondere da commentatori e politici disattenti o non a conoscenza delle situazioni, che il problema risiede nella scarsa ed inefficace attività di formazione professionale. Ciò riguarda solo una piccola parte delle attività che prima sono state elencate perché nei settori sopra indicati  sono prevalentemente presenti mansioni lavorative semplici che non richiedono particolari forme di addestramento professionale e tanto meno di preparazione tecnico-scientifica. E’ vero che aziende industriali sono alla incessante  ricerca – in questa fase di ripresa produttiva – di tecnici, di operai specializzati e qualificati, di progettisti, di operatori informatici e di manutentori di macchine utensili sempre piu’ sofisticate, ma vi sono in numero largamente maggiore – in particolare in agricoltura e nel vasto e variegato mondo del  terziario- richieste di personale generico e per mansioni che non richiedono particolari esperienze e conoscenze. Certo, sappiamo bene che, spesso, detti lavori sono rifiutati a causa di un trattamento contrattuale poco soddisfacente, molte volte non in regola con il CCNL di settore. In particolare nelle piccole e microimprese sempre piu’ diffuse, questi lavori definiti “poveri” sono spesso sottopagati e non regolarmente inquadrati nella dovuta qualifica retributiva. Controlli, verifiche e perseguimento delle violazioni sono compiti che dovrebbero impegnare gli Uffici pubblici preposti e i Sindacati anche per mettere fine ad una piaga rappresentata dalla presenza di organizzazioni padronali e sindacali “farlocche” che stabiliscono tra loro contratti di lavoro “pirati” con condizioni normative e salariali largamente inferiori a quelli negoziati dai sindacati storici confederali. Appare perciò non più rinviabile una legge sulla rappresentanza e titolarità contrattuale (come vigente nel pubblico impiego) che potrebbe garantire ai contratti nazionali e di 2° livello sottoscritti  dalle organizzazioni maggiormente rappresentative una loro validazione “erga omnes” in via di fatto se non di diritto. Si registrano pure in determinati settori con una presenza sindacale debole lunghi ritardi temporali nel rinnovo dei CCNL e l’assenza di una contrattazione integrativa a livello aziendale o territoriale, come era stato previsto dal noto patto sociale del 23/7/1993 con il Governo Ciampi. Il tutto concorre a realizzare una miscela di insoddisfazione profonda per una condizione lavorativa negativa che porta molti disoccupati a rifiutare l’offerta di lavoro, una situazione negativa che determina  anche una concorrenza sleale da parte di …

LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Mentre i nostri politici stanno lottando per il salario minimo (veramente io credevo si dovesse lottare per quello massimo) o per ridurre lo scudo fiscale, mi pare che nessuno si occupi della rivoluzione industriale che è in corso, rivoluzione caratterizzata da una gigantesca azione schumpeteriana che da qualche tempo sta disegnando il futuro delle economie mondiali. Mi riferisco naturalmente alle innovazioni tecnologiche rappresentate da: robotizzazione, intelligenza artificiale e computer quantistici. Robotizzazione La robotizzazione è in atto da qualche lustro ed è destinata ineluttabilmente se non ad eliminare il lavoro umano (ipotesi da non scartare) a rivoluzionare completamente la formazione e l’occupazione della forza lavoro. La robotizzazione sta ampliando i propri confini, l’obiettivo sembra essere la creazione di robot capaci di diagnosticare le pecche del sistema produttivo, progettare e realizzare robot di seconda generazione ancor più capaci di operare nella produzione industriale. Alcune stime sugli effetti della robotizzazione sull’occupazione anticipano i seguenti dati Per opinabili che siano queste stime, non c’è dubbio che comunque le ricadute della robotizzazione sull’occupazione sono estremamente importanti e sempre più lo saranno. Intelligenza artificiale Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (d’ora in poi I.A.) è esplosa all’attenzione in questi giorni con il caso chat-GB sospeso dal garante della privacy e subito rimpiazzato dall’I.A. cinese. Non si tratta di temere che i nostri figli o nipoti si avvalgano di queste tecnologie per fare i compiti, (cosa che in effetti stanno già facendo si spera utilizzando criticamente l’intelligenza umana). Ho chiesto a parecchi giovani incontrati durante le feste pasquali quanti di loro usassero o avessero usato almeno una volta la chat. La risposta è stata: ”Tutti”. Mio nipote doveva scrivere un sonetto (due quartine e due terzine in endecasillabi e con la rima abba abba cdc dcd), poiché la chat italiana era irraggiungibile, ha telefonato ad un amico che vive a Londra e si è fatto scrivere il sonetto, in italiano, dalla chat inglese. Ebbene in pochi minuti il sonetto era pronto; l’abbiamo verificato e corretto per la versione definitiva. Ma l’I.A. ha ben altri riflessi; faccio due esempi recentemente venuti alla mia attenzione: il primo caso è quello di un ricercatore italiano che lavora in Inghilterra che ha sviluppato un programma di I.A. per disegnare la figura e svolgere le funzioni di dirigente amministrativo e finanziario di una impresa; immaginiamoci gli sviluppi da attendersi in questo campo. Il secondo caso è quello dell’annuncio che entro cinque anni una equipe medica con l’utilizzo dell’I.A. starebbe producendo un vaccino anti cancro. Anche qui i riflessi sull’occupazione non solo più del lavoro fisico ma anche di quello intellettuale sono inimmaginabili, basti pensare ai programmi di I.A. che operano nelle redazioni dei giornali sostituendo quelli che una volta, in campo giornalistico, si chiamavano “i culi di pietra”. Sembra di rilegger le pagine de IL CAPITALE di Marx al libro primo, sezione quarta, o meglio nei Grundrisse quando Marx anticipa che lo sfruttamento del “general intellect” avrebbe fatto impallidire lo sfruttamento del lavoro fisico. Computer quantistici Con l’avvento dei computer abbiamo già assistito aduna rivoluzione dell’organizzazione del lavoro, ma l’arrivo di quelli quantistici avrà effetti ancor più profondi, sia nel processo produttivo che nei riflessi sull’occupazione. I computer quantistici sostituiscono ai bit tradizionali i qubit (appunto i bit quantistici) che esaltano la capacità elaborativa dei computer. In parole semplicissime posso dire che i bit lavorano con due opzioni sì/no, on/off, acceso/spento, 0/1 mentre i qubit possono operare contemporaneamente con le infinite sovrapposizioni di onde esistenti tra 0 e 1. Risultato: Google afferma ufficialmente che un computer quantistico ha completato un calcolo da 10.000 anni in soli 200 secondi.    Attenzione; qualche anno fa un economista, di cui mi sfugge il nome, stimò che per programmare l’economia di un paese come l’Ucraina sarebbero servite milioni di equazioni, migliaia di proiezioni alternative in funzione delle contingenze e si sarebbe potuto sostituire nella gestione economica l’elemento ottimizzante rappresentato dal “profitto” nel capitalismo con la razionalità scientifica tipica del socialismo. Il difetto di questa prospettiva stava nel fatto che per risolvere tutte le equazioni sarebbero serviti dodici anni vanificando ogni sforzo in tale prospettiva. Ebbene i computer quantistici con la loro enorme capacità simulativa potrebbero oggi realizzare quel progetto di razionalità socialista, il “socialismo quantistico”. Esperimento mentale Einstein amava gli esperimenti mentali, le sfide intellettuali alfine di dedurre da tali processi mentali conclusioni che aiutassero nell’affrontare e risolvere i problemi. Il più famoso, Il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (paradosso EPR) è un esperimento mentale con cui Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen dimostrarono che dall’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica deriva teoricamente il fenomeno dell’entanglement. Vorrei proporre allora questo esperimento mentale: immaginiamo un mondo in cui tutta la produzione attuale è fatta dalle macchine (computer, I.A., robot) in maniera automatica senza alcun bisogno di lavoro umano. Come dice Marx il fatto che sia eliminato il lavoro umano non è colpa delle macchine (tesi luddistica), ma dipende da come questo superamento del lavoro umano viene gestito. (Scrive Marx che inutilmente un assassino voleva dare la colpa dell’omicidio alla lama del coltello. La lama è innocente, dipende da come la usi). Se la gestione viene fatta dal capitale proprietario dei mezzi di produzione, si dedicherà solo una piccola parte dei sistemi robotici a produrre quei beni necessari e sufficienti a “tener buoni” i subordinati, ad evitare che essi possano “ribellarsi” mentre dedicheranno tutto il restante potenziale del sistema a perseguire gli obiettivi del capitale privilegiando obiettivi di classe e non il benessere generale. Oggi la distribuzione salariale serve non solo alla sussistenza dei subordinati, ma anche alla loro riproduzione perché il ricambio dei lavoratori è indispensabile. Incredibilmente oggi il mondo del lavoro, pur subordinato, ha un suo potere contrattuale. Domani tale necessità viene a mancare, la riproduzione non è più elemento critico. Se la gestione viene fatta in una economia socializzata, con l’approccio del socialismo quantistico quel lavoro che oggi ogni lavoratore deve cedere al capitale per sopravvivere si libera, si realizza la liberazione dal lavoro e la liberazione del lavoro che potrà esplicarsi secondo le tendenze, le predisposizioni, …

LA DEMOCRAZIA NON PUÒ ASPETTARE

di Felice Besostri | Contrastare il furto di democrazia fatto dalla famigerata legge Delrio, la n. 56/2014, è possibile cominciando dalle Città metropolitane con più di tre milioni di abitanti, che sono appena 3, Roma, Milano e Napoli e hanno norme speciali. Si dovevano abolire le Province, un vecchio pallino dei repubblicani del PRI, che pure nella legge costituzionale n.3/2001 erano state individuate nell’art. 114 Cost. come parte costitutiva della Repubblica, al pari dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, invece è stato abrogato il voto universale e diretto, che il fondamento della democrazia rappresentativa. L’esperimento è riuscito: una totale assenza di reazioni. Tanto che nel 2015 con la deforma costituzionale Renzi-Boschi si aboliva l’elezione con voto universale e diretto, come previsto dall’art. 58.1 Cost del Senato della Repubblica e dall’art.56.1 per la Camera dei deputati. La legge n.270/2005, conosciuta come Porcellum, per Camera e Senato accompagnava la revisione costituzionale di Berlusconi, bocciata dal popolo italiano nel 2006. La legge elettorale n. 52/2015, detta Italicum, era solo per la Camera dei deputati, la bocciatura della deforma costituzionale nel referendum del 4 dicembre 2016, anticipò di pochi mesi la sentenza costituzionale n. 35/2017, che dichiarò incostituzionali parti essenziali e qualificanti della legge elettorale. Il legislatore, invece,di recepire la lezione della Corte costituzionale approvò una terza legge elettorale, la peggiore di tutte, cioè la n. 165/2017, chiamata Rosatellum, come fosse un buon vino, invece è una pessima legge. Anche la legge di revisione costituzione, approvata stavolta dal 66% degli elettori ha contribuito ad aggravare gli effetti distorsivi della legge elettorale. La famigerata (perché famigerata lo si capirà continuando la lettura) legge Delrio, la n. 56/2014 è entrata in vigore il giorno 8 aprile 2014, dunque nove anni orsono: un periodo non breve nel quale non è successo nulla. Mentre a livello politico è successo di tutto, a cominciare da un partito che, proprio nel 2014 non è riuscito ad entrare nel Parlamento europeo, perché sotto la soglia nazionale del 4% e che con le elezioni di Settembre 2022 è il primo partito italiano, che esprime la prima donna Presidente del Consiglio dei Ministri della storia repubblicana. In questi anni sono sorti nuovi astri, o piuttosto comete, già tramontati o, comunque, scomparsi dall’orizzonte o dalla volta celeste, sempre nel 2014 le elezioni europee, in termini percentuali, 40,81%, erano state vinte da Renzi e da un PD costituito a sua immagine e somiglianza, che non lo salvò dalla pesante sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Nuovo giro di giostra alle elezioni del 2018 salgono sul cavallo i M5S, i cosiddetti grillini, primo partito con 10.945.411 voti e il 32,68%, ma la festa dura poco perché alle elezioni europee del 2019 il primato passa alla Lega di Salvini con 9.175.208 voti e il 34,26%. Il girotondo si chiude provvisoriamente, appunto con le elezioni 2022 con Fratelli d’Italia nella circoscrizione Italia al 26% e 7.302.517 voti +297.965 in Val d’Aosta e Circoscrizione Estero con gli alleati del CDX. I prossimi appuntamenti elettorali sono le europee del 2024 con una legge italiana, che da tempo avrebbe dovuto essere rimessa alla Corte di Giustizia UE perché riconosce un trattamento speciale a solo tre minoranze linguistiche individuate nel 1979, cioè 44 anni fa, quando non era ancora stata data attuazione all’art. 6 Cost. con l’approvazione della legge n. 482/1999, di cui sono stato il relatore nella XIII legislatura (1966-2001), che ne ha tutelate 12 delle quali almeno tre più consistenti della lingua tedesca nella provincia di Bolzano, la maggiore delle tre riconosciute dalla legge elettorale europea, e molte altre superiori allo sloveno del Friuli-Venezia Giulia, una soglia d’accesso del 4%, più alta del 3% delle elezioni nazionali 2018 e 2022 e stabilita prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, che ha cambiato la natura del Parlamento europeo[1] il 1° dicembre 2009 e non rideterminata in una percentuale variabile tra il 2 e il 5 per cento con l’osservanza dell’art. 72 c. 4 Cost. come richiesto anche dall’art. 223 par. 1 TFUE. Tuttavia la democrazia ha bisogno di proposte concrete, comprensibili e fattibili. La legge 56/2014 all’art. 1 c. 19 stabilisce che “Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo”, che è stato inteso come necessità d’urgenza di far fare al sindaco del comune capoluogo il sindaco metropolitano per avviare il procedimento, ma vale anche il contrario, che a regime il sindaco metropolitano dovrebbe, essere il sindaco del comune capoluogo, in fin dei conti un sindaco, che a confronto di quelli di Londra, Parigi, Berlino e Madrid, avrebbe una dimensione ridotta. Di fatto i sindaci della Milano ridotta si sono disinteressata della Città Metropolitana, come fosse una perdita di tempo e di prestigio, che non dava nessuna visibilità, quando, invece, è l’ottica metropolitana una dimensione minima necessaria. Lo si è visto nella recente questione del nuovo stadio di Milan e Inter, tutti concentrati su San Siro, quando sono entrati in gioco Sesto San Giovanni e Rozzano e l’area di Lampugnano, che fa parte del Parco Sud, che è una dimensione addirittura regionale. Alla luce della sentenza n. 48/2021 della Corte costituzionale è intollerabile che si possa arrivare alle prossime elezioni municipali, con un sindaco metropolitano, che sia eletto dai soli cittadini del Comune di Milano, che sono una minoranza, per di più in calo partecipativo. Le recenti elezioni regionali di Lazio e Lombardia hanno dato un segnale forte dell’insoddisfazione dei cittadini con un’astensione, che ha raggiunto il 60%. Nel 2021 la partecipazione alle elezioni milanesi è stata del 47,7%, siamo sotto al 50% degli aventi diritto. Il Sindaco Sala, anche se al secondo e ultimo mandato, si posto degli interrogativi? O è come Fontana che si gloria del 54% dei consensi, quando il 49,50 % della prima elezione del 2018 era sì sotto il 50%, ma un milione di voti in più. Alle elezioni del 3-4 ottobre 2021 Sala dei Verdi viene rieletto per un secondo mandato al primo turno, avendo conquistato il 57,73%, corrispondente a 277.478 voti, ben 350.213 …

NUMERI FRIULANI

di Franco Astengo | Ribadita ancora una volta la necessità di procedere all’analisi degli esiti elettorali attraverso il confronto tra le cifre assolute e non tra le percentuali misurate soltanto sui voti validi anche l’esito delle elezioni regionali friulane del 2/3 aprile 2023 ha confermato il trend di discesa nella partecipazione al voto palesando anche ulteriori segnali di volatilità, in alcuni casi molto evidenti. Candidature presidenziali e di lista hanno continuato a navigare in un mare magnum di crescita delle astensioni particolarmente evidente nel caso del raffronto con le elezioni politiche svoltesi pochi mesi or sono. Il 25 settembre 2022 si sono avuti nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia 591.880 voti validi su 936.273 aventi diritto (58,25%), il 2/3 aprile 2023 in occasione delle elezioni regionali abbiamo avuto 490.056 voti validi per i candidati presidenti su 1.109.395 aventi diritto (lo scarto rispetto alle politiche negli aventi diritto è dovuto alla nota questione degli iscritti all’estero): 44,17% con un calo 14,08%. Le liste concorrenti hanno ricevuto 394.953 voti validi (95.103 suffragi in meno rispetto a quelli destinati ai soli candidati presidenti): nel complesso i voti validi per le liste sono stati il 35,60% (il calo rispetto alle politiche, in questo caso, è stato del 22,65%). Nel raffronto tra elezioni regionali 2018 ed elezioni regionali 2023 troviamo questi dati: 2018, 537.950 voti validi per i candidati presidenti (iscritti nelle liste 1.107.415: 48,57%, quindi nel 2023 si è registrato un 4,40% in meno) e 422.075 voti validi per le liste (41,48% quindi nel 2023 le liste hanno ricevuto un 5,88% di suffragi in meno sul totale degli aventi diritto). Particolarmente netta la vittoria della candidatura Fedriga che sale in voti assoluti tra il 2018 e il 2023 dal 307.118 a 314.824 (in percentuale sul totale degli aventi diritto: 27,73% nel 2018; 28,37% nel 2023 con un incremento dello 0,64% effettivo). Diverso il discorso relativo alla coalizione di centro-destra: nel 2018 le liste del centrodestra avevano ottenuto 281.343 voti (25,40% sul totale degli aventi diritto con una grande prevalenza della Lega con 147.340 voti pari al 52,37% della coalizione); alle elezioni politiche il centrodestra aveva ottenuto 295.157 voti (pari al 31,52% sul totale degli aventi diritto con un rovesciamento nella leadership con FdI a quota 185.234 voti pari al 62,75% dell’intera coalizione). Le elezioni regionali del 2023 la coalizione di centrodestra ha avuto 250.903 voti (22,61% sul totale degli aventi diritto, quindi in calo sia rispetto al 2018 sia alle politiche del 2022). Da segnalare ancora rispetto al centrodestra un ulteriore rimescolamento delle carte all’interno con una sostanziale tripartizione tra FdI, che tra il settembre 2022 e l’aprile 2023 ha perso più di 100.000 voti; un guadagno della Lega di poco più di 10.000 voti e a quota 70.192 voti a lista personale del candidato Presidente. Se si aggiunge il forte e continuo calo di Forza Italia passata da 50.908 voti nel 2018, a 39.599 voti nel 2022 e scesa a 26.329 in occasione di queste regionali è possibile confermare, rispetto al centro destra, due elementi di valutazione ricorrenti: le vittorie del centro destra avvengono in discesa, in un quadro di costante calo nella partecipazione elettorale di cui questo schieramento soffre meno; in un quadro di sostanziale staticità della coalizione si registrano spostamenti anche significativi all’interno secondo logiche di contingenza e seguendo lo schema, ormai usuale, di punizione per chi è maggiormente esposto al governo (naturalmente nel caso del Friuli va considerata anche la contingenza locale e il voto alla lista di Fedriga ne è testimonianza). Sul versante del PD e alleati rimane da constatare l’ennesima sconfitta della combinazione con il M5S (era già accaduto in Liguria nel 2020, poi in Lombardia a febbraio 2023). La candidatura Moretuzzo rimane ai livelli di quella Bolzonello nel 2018, quando i 5 stelle si presentarono con un proprio candidato (Ceccotto: 23.696 voti) : sul totale degli iscritti nelle liste Bolzonello aveva ottenuto il 13,03% (144.361 voti) mentre Moretuzzo ha avuto il 12,53% (139.018 voti). All’interno della coalizione il PD ha registrato questo andamento: 76.423 voti nel 2018 (6,90% sul totale degli iscritti), 108.870 voti nelle politiche del 2022 (11,62% sul totale degli iscritti), 65.143 voti nel 2023 (5,89% sul totale degli iscritti). Il M5S è passato dai 42.575 voti delle politiche 2022 ai 9.486 voti delle regionali 2023; così come l’Alleanza Verdi-Sinistra è scesa da 26.986 voti nel 2022 a 8.029 nel 2023. L’alleanza PD-Verdi/Sinistra-più Europa (quest’ultima presentatasi con il centro di Azione e Italia Viva alle regionali 2023) aveva avuto alle politiche 152.400 voti (pari al 16,26% sempre sul totale degli aventi diritto): la coalizione PD-Autonomie-M5S-Verdi Sinistra- Sx open e sloveni alle regionali 2023 ha avuto 117.469 voti (pari al 10,60% con un calo del 5,66%). Assolutamente negativa la performance dei “centristi” cui, con Azione e Italia Viva si era aggiunta più Europa: il candidato Maran si è fermato a 13.374 voti (superato anche dalla candidatura dei no-vax triestini sponsorizzati da Italexit: 22.840 voti alla candidata, 15.712 voti alla lista) e la lista ha ottenuto 10.869 voti (pari allo 0,97% sul totale degli aventi diritto): forse su questo versante un ragionamento sul secco spostamento a destra frutto dell’inasprirsi delle contraddizioni sociali e sulla sostanziale inutilità di posizioni centriste (accomunando in questo discorso anche Forza Italia senza dimenticare il risultato di Noi Moderati alle politiche andrebbe aperto). In conclusione: 1) anche il Friuli, che ricordiamo è regione a statuto speciale, ha confermato il trend di crescita nella disaffezione al voto; 2) il centro destra è rimasto più o meno fermo, con un successo da registrare per il suo candidato, mentre continua il rimescolamento di forze all’interno (deve essere ancora ricordato con forza il peso avuto dalla formula elettorale nella vittoria delle politiche 2022); 3) l’alleanza che dovrebbe raccogliersi attorno al PD oltre a fare i conti con i problemi interni al principale partito dovrebbe riflettere sull’insufficienza, almeno al Nord, dell’alleanza con un M5S che prosegue nel suo veloce ridimensionamento; 4) al centro dovrebbe aprirsi una riflessione molto profonda considerata l’irrilevanza realizzata con le ultime presentazioni elettorali (a …