IL VOTO IN FINLANDIA

Molta stampa italiana, che non brilla certamente per equilibrio, sottolinea “la sconfitta” in Finlandia dei socialisti democratici della premier uscente Marin. Certamente rispetto alle precedenti elezioni, la socialdemocrazia finlandese non è arrivata prima, ma terza a centesimi (in percentuale) in meno  dai primi due. Il partito conservatore ed i partito nazionalista xenofobo, ma obiettivamente i socialisti hanno aumentato in voti, in % ed in seggi. I veri perdenti sono il Partito di Centro che perde sette seggi, i Verdi che ne perdono sette e l’Alleanza di sinistra che ne perde cinque. Stazionario il partito della minoranza linguistica svedese. I due partiti di destra (il vincitore Coalizione nazionale si definisce di centrodestra) non raggiungono insieme la maggioranza del Parlamento che è di 101 deputati su 200, nemmeno se ad essi si affiancasse il piccolo partito di centrodestra la DC finlandese. Non è detto, quindi che il PSD finlandese debba andare alla opposizione perchè avrebbe piu’ possibilità del partito vincitore di “raccogliere” una maggioranza parlamentare, anche perchè un’alleanza di governo con il partito razzista di estrema destra (“Veri Finlandesi”) è indigesta a molti anche fra i moderati. La Finlandia è un Paese che stimo come tutti quelli scandinavi, nei quali – quando stavo in nome della FLM nell’esecutivo della FEM (federazione europea dei “metalworkers”) – avevo molti amici e compagni in sintonia politica e sindacale. Questo Paese da oggi è un nuovo membro della NATO.  Avrei preferito che avesse costituito con altri Paesi confinanti con la Russia una grande zona di interposizione neutrale tra U.E. e il grande Paese ex-sovietico. Se hanno fatto questa scelta, evidentemente, la politica aggressiva russa ha messo loro in allarme ed oggettivamente è una sconfitta politica di Vladimir Putin. Mi auguro che la presenza finnica possa dare un contributo positivo per un rinnovamento della NATO e controbilanciare il bellicismo anglosassone.                                                                                      Intanto, il simpatico Paese finnico con le sue elezioni, è diventato l’ennesimo pretesto di certi commentatori nostrani frequentatori di salotti (o stallotti) televisivi per denigrare il socialismo. Capisco che la destra nostrana stappi lo champagne per il successo (molto di misura e relativo) dei due partiti di centro-dx conservatrice e destra razzista, ma ritengo assurde le critiche del  centrismo laico e della  sinistra-sinistra nostrani. Questi ultimi, commentatori e politici, parlano di sconfitta meritata perchè la socialdemocrazia finlandese è stata punita per aver perseguito politiche liberiste così l’elettorato avrebbe premiato i partiti originali di questa tendenza. Niente di tutto questo! I partiti di destra e centrodestra hanno portato avanti in campagna elettorale una politica di estremo rigore di bilancio pubblico, con riduzione della spesa e del welfare oltre a rincorrere posizioni anti-immigrati. La socialdemocrazia ha proposto il contrario, una politica espansiva, anche sulla spesa pubblica per migliorare il welfare. Comunque i due partiti di destra e centrodestra, anche con l’eventuale supporto della moderatamente conservatrice DC non raggiungono la maggioranza parlamentare dei 101 seggi. Con l’appoggio del Partito di lingua svedese, la vecchia maggioranza di centrosinistra raggiungerebbe i 100 seggi. Se la DC invece di appoggiare un’alleanza xenofoba di destra, in nome del solidarismo cristiano desse l’appoggio esterno ai socialisti democratici ed ai suoi alleati che sono -quest’ultimi- i veri sconfitti di questa elezione. Se fosse così Sanna Marin potrebbe rimanere “premier” con buona pace di chi – qui da noi – sogna un grande centro o all’opposto una grande svolta di sinistra radicale (entrambe uscite malconcie dalle “regionali” del Friuli Venezia Giulia di ieri). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PIANO DI PACE CINESE (PARTE 4)

Proseguo con la pubblicazione del piano di pace cinese 4. Avviare colloqui di pace. Il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile per risolvere la crisi ucraina. Tutti gli sforzi per risolvere pacificamente la crisi dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti. La comunità internazionale dovrebbe attenersi alla giusta direzione per persuadere la pace e promuovere i colloqui, aiutare tutte le parti in conflitto ad aprire la porta a una soluzione politica della crisi il prima possibile, e creare le condizioni e fornire una piattaforma per la ripresa dei negoziati. La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo in questo senso. Il primo immediato obiettivo è quello di un cessate il fuoco. Questo articolo 4 tende a conseguire questo risultato senza indicare tra le premesse quello che le parti vorrebbero come soluzione finale. La pretesa delle parti, da una parte trovare un accordo che riconosca l’autonomia di Crimea e Donbass, dall’altra di aprire i negoziati se le truppe russe ritornano nei loro confini pre 2014, è un assurdo negoziale che pretende come premessa ciò che dovrebbe essere un risultato finale. Anche le forze politiche italiane dovrebbero andare oltre all’infantile dilemma mandare o non mandare armi. Occorre superare questa stupida posizione per farsi portatoti all’interno della UE di una proposta che ponendo al centro del tavolo delle trattative l’ONU, dia all’Europa quella figura politica autonoma e responsabile tale da farne un soggetto politico e non un cagnolino al guinzaglio. Anche Pd e 5 stelle dovrebbero superare il punto dell’invio o meno delle armi (una decisione è stata presa per il 2023) e dedicarsi in toto alla elaborazione di una proposta che darebbe peraltro peso alla posizione dell’Italia all’interno della UE. Penso che sia strategicamente costruttivo, se questa iniziativa italo-europea viaggiasse di concerto con il piano cinese, l’unione di intenti, se aderissero anche tutti i paesi che nel voto all’ONU si sono astenuti, sarebbe la posizione della maggioranza dei paesi mondiali, e quando si parla di pace, non è un fatto da poco. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA LEZIONE FRANCESE, LA SINISTRA ITALIANA E LA PAROLA PROIBITA

di Vito Fiorino – giornalista, già membro del coordinamento nazionale della Costituente Nazionale Pse. | Intervista a Daniele Delbene, testimone diretto della grande mobilitazione a Parigi del 28 marzo. Riflessioni su un pensiero nuovo che ancora non c’è. Daniele Delbene, già presidente della Costituente nazionale Pse e membro del Tavolo Nazionale di Concertazione del Socialismo italiano. La protesta francese contro la riforma delle pensioni in questi giorni è al centro del dibattito politico italiano e internazionale. Tu sei stato presente a Parigi, durante la grande manifestazione del 28 marzo, cosa hai visto? “Ero a Parigi e ho colto l’occasione per partecipare e cercare di comprendere le ragioni profonde che hanno spinto milioni di francesi a scendere in piazza. E ho voluto portare, per quel che può rappresentare, un segno di solidarietà. Solidarietà non tanto nel merito delle ragioni contro una riforma che conosciamo poco, quanto verso la necessità di rivedere un modello di società che la politica e le istituzioni hanno perseguito negli ultimi 30-40 anni”. Spiegati meglio. “Negli ultimi decenni, il mondo è stato governato dagli interessi della finanza e dell’economia finanziaria e gli uomini sono stati lo strumento per garantire il sistema. I governi, le forze politiche e la stessa sinistra hanno limitato la loro azione e la loro visione nel mantenere in equilibrio questo sistema perdendo di vista l’essere umano”. Dalle cronache dei principali quotidiani italiani si racconta di scontri, anche violenti, e di una forte tensione sociale, quale è stata la tua percezione. “Premetto che per natura sono sempre stato scettico nei confronti di certi movimentismi di piazza che hanno caratterizzato la sinistra negli ultimi decenni. Leggendo i giornali sono rimasto meravigliato. E’ stata rappresentata una situazione completamente differente da quella che ho vissuto. Non ho visto cassonetti incendiati, odio e violenza. Vi saranno stati, ma si sarà trattato di episodi marginali e al di fuori dalla grande manifestazione organizzata dai maggiori sindacati francesi. Al contrario ho visto una grande partecipazione sentita e ordinata e ho vissuto un clima di entusiasmo da parte di un popolo che voleva manifestare le proprie ragioni. In centinaia mi hanno ringraziato per il gesto di solidarietà e ho trovato tantissimi francesi che si presentavano come socialisti e socialdemocratici”. Perché è stata raccontata una Francia differente? “In questi ultimi anni chi ha manifestato contro i cambiamenti climatici e per i diritti civili, in particolar modo quelli legati alle rivendicazioni di genere, è stato rappresentato come un eroe; al contrario, ogni qual volta al centro vi erano rivendicazioni socio-economiche, veniva dipinta una realtà negativa e violenta”. Per quale motivo secondo te? “Evidentemente è meglio concentrare le energie dei giovani e le spinte per la ricerca di una società più giusta sulla lotta ai cambiamenti climatici e su questioni che non vanno direttamente a mettere in discussione il sistema che governa il mondo. La giustizia sociale e la redistribuzione della ricchezza rappresentano al contrario un grande pericolo per i grandi gruppi finanziari e per quelle poche decine di famiglie che controllano il mondo. Quello che sta avvenendo è quello che ha segnato la sinistra in Italia e in Europa nel passato recente. Le organizzazioni politiche di sinistra si sono concentrate sui diritti civili, sulle questioni di genere, sul clima, perdendo di vista la questione sociale. Il progresso va inteso come realizzazione di una società sempre più giusta che permetta a tutti gli uomini di godere delle opportunità e dei piaceri che la vita offre. Come sappiamo bene, possiamo scrivere su carta i diritti più belli del mondo, ma se gli uomini non hanno le risorse economiche e il tempo per attuarli, per farli rispettare e per viverli, rimangono i diritti dei soli pochi che hanno queste possibilità”. In che modo la protesta francese può aiutare a leggere con occhi diversi anche il contesto italiano. “Io credo che quello che sta avvenendo in Francia, come ho già detto, vada letto oltre la mera protesta contro la riforma delle pensioni. C’è bisogno di porre con forza la necessità della costruzione di un nuovo modello di società. Quindi, la questione che anche in Italia come in tutta Europa deve essere posta, è come redistribuire meglio la ricchezza in una società che grazie all’informatica, alla tecnologia e alla robotica vede e vedrà sempre più ridurre la necessità di forza lavoro”. Come si può realizzare questo? “Facendo lavorare tutti un po’ meno a parità di salario. Quindi meno ore lavorative settimanali e meno anni di lavoro”. Ci vogliono le risorse.. “Diciamo che va redistribuita meglio la ricchezza con politiche (nell’immediato) perlomeno a livello europeo e in un domani, auspichiamo prossimo, con regole comuni a livello mondiale. Inoltre devono essere spese meglio le risorse attualmente disponibili. E’ meglio garantire il reddito di cittadinanza e i sussidi di disoccupazione ai giovani che hanno energie, voglia di mettersi in gioco e una vita da costruirsi o far lavorare chi dopo una vita di sacrifici avrebbe diritto a potersi riposare e a godersi le opportunità che la vita gli offre? Anche qui, evidentemente, a qualcuno giova che la vita della maggioranza degli uomini sia segnata da incertezze, mancanza di tempo libero e preoccupazioni, perché così c’è meno tempo per pensare, partecipare e mettere in discussione il sistema attuale”. Quindi, un nuovo ragionamento politico serio a sinistra non può permettersi di liquidare con superficialità il caso francese. “Quello che sta avvenendo in Francia va colto e deve rappresentare punto di svolta per la sinistra in tutta Europa. Bisogna ripartire dalla questione sociale, e su questo il sindacato può avere un grande ruolo ma anche una grande responsabilità nel saper trasmettere e rappresentare una necessità profonda. La sinistra e la politica devono saper cogliere la sfida e immaginare un nuovo modello di società per il futuro”. Cosa è mancato nel dibattito a sinistra in Italia negli ultimi anni. “E’ mancata la sinistra e per sinistra intendo la capacità di sognare e realizzare un mondo migliore. Da una parte la sinistra non ha fatto altro che governare il presente senza capacità di sognare un …

FASCISMO E INCOMPATIBILITA’ COSTITUZIONALE

di Franco Astengo| La derubricazione a “Italiani” dei martiri delle Fosse Ardeatine (senza nemmeno la capacità di trovare la scorciatoia di “patrioti”) rappresenta una sorta di punto terminale nella determinazione di una evidente incompatibilità costituzionale della presidente del Consiglio e del suo partito. Si tratta di un tema che nella sua gravità era già evidente da tempo e che l’insieme delle forze politiche non ha saputo o voluto affrontare con sufficiente determinazione nel corso della campagna elettorale. Adesso si tratta di porre una vera e propria “questione costituzionale” al centro del dibattito politico e culturale, aggregando attorno ad esso le forze necessarie per una incisiva opposizione nel Parlamento e nel Paese. Occorre ricordare le ragioni fondamentali per una iniziativa di questo tipo, partendo da una seria valutazione sulle origini ideologiche del partito di maggioranza relativa e dalla riaffermazione della natura della Costituzione Italiana dal punto di vista delle idealità. La Costituzione italiana è una costituzione compiutamente antifascista, non perché è stata scritta da antifascisti desiderosi di vendicarsi dei lutti subiti; al contrario per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra. I costituenti sentirono il bisogno e seppero farlo, di rovesciare completamente le categorie che avevano caratterizzato il fascismo. Come il fascismo era alimentato da uno spirito di fazione e assumeva la discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema abiezione delle leggi razziali), così i costituenti hanno assunto l’eguaglianza e l’universalità dei diritti dell’uomo come fondamento del loro ordinamento. Come il fascismo aveva soppresso il pluralismo, perseguendo una concezione totalitaria (monistica) del potere, così i costituenti hanno concepito una struttura istituzionale fondata sulla massima distribuzione, articolazione e diffusione dei poteri. Come il fascismo aveva aggredito le autonomie individuali e sociali, così i Costituenti le hanno ripristinate, stabilendo un perimetro invalicabile di libertà individuali e di organizzazione sociale. Come il fascismo aveva celebrato la politica di potenza, abbinata al disprezzo del diritto internazionale e alla convivenza con la guerra, così i costituenti hanno negato in radice la politica di potenza, riconoscendo la supremazia del diritto internazionale e ripudiando le nozze antichissime con l’istituzione della guerra. I principi fondamentali della Costituzione sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo. L’osservare fin qui spirito e lettera della Costituzione ha reso fin qui impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo motivo si reiterano i tentativi per modificarla che ancora risulteranno all’ordine del giorno: la Costituzione è vissuta come un impaccio, una serie di vincoli fastidiosi, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza dei decisori politici ed è questo il punto che ci divide da chi non può, per propria cultura intrinseca personale e collettiva, dichiararsi antifascista. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PIANO DI PACE CINESE (PARTE 3)

Continua l’esame del documento di pace cinese. 3. Cessare il fuoco e smettere di combattere. Non ci sono vincitori nelle guerre di conflitto. Tutte le parti dovrebbero mantenere razionalità e moderazione, non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo, sostenere Russia e Ucraina affinchè si incontrino, riprendere il dialogo diretto non appena possibile, promuovere gradualmente l’allentamento e il rilassamento della situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale. L’auspicio contenuto nel terzo punto sembrerebbe essere l’auspicio di tutti, ma non lo è; mi riferisco alle parole “non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo” e penso alla recente notizia secondo la quale la Gran Bretagna starebbe inviando proiettili all’uranio impoverito. Faccio una domanda ingenua: la Gran Bretagna avrà consultato gli Stati Uniti prima di prendere questa iniziativa? E secondo voi gli USA che hanno risposto? E continuo; la Gran Bretagna avrà consultato il nostro governo (beh non esageriamo) avrà consultato l’Unione Europea? E per finire: quale sarà la reazione di Putin? Dall’ovvia risposta a queste domande discende l’urgenza che l’Europa, o almeno l’Italia, si faccia capofila della de-escalation, per esempio inviando in Ucraina (così come diceva il primo decreto del governo Draghi) non materiali bellici ma ospedali da campo, aiuti alimentari, medicinali, tende, generi di conforto, proposte di cessate il fuoso e campane pronte ad annunciare la pace. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TAVOLO DI CONCERTAZIONE

COMUNICATO STAMPA Si è costituito a Roma oggi 25 marzo 2023 il TAVOLO NAZIONALE DI CONCERTAZIONE con il precipuo fine di costruire un nuovo soggetto politico di ispirazione socialista, percorso che prevede incontri, dibattiti, iniziative pubbliche, finalizzati alla nascita di un grande partito della sinistra in Italia. L’obiettivo comune è quello di provare a costruire una realta’ per il Socialismo in Italia, aperta e inclusiva, che racchiuda in un’unica prospettiva lavoro, giustizia sociale, ecologia. I Firmatari SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

È CHIUSA LA PARTITA DI UNA STRATEGIA COMUNE DELLA SINISTRA?

di Riccardo Lombardi | Il compagno Giorgio Napolitano sul!’ «Unità» del 17 scorso invita, nei modi civili che gli sono consueti, ad un confronto del quale importa, credo, cercare di capire finalità e limiti. Ma anch’io, come egli fa, vorrei «innanzitutto sbarazzare il terreno, se possibile, da inesattezze ed equivoci». Inesattezza ed equivoco sarebbe per Napolitano l’attribuzione da me fatta al PCI di un interesse a che il PSI si dichiari disponibile «per l’appoggio a un centro-sinistra pallido o sanguigno che sia». Io ho tratto (e continuo a trarre) tale giudizio da una considerazione assai semplice che riassumo come segue: primo punto: il PCI a conclusione o quasi delle trattative per il nuovo governo DC -PSDI-PRI ha deciso e preannunciato, come è suo diritto, l’opposizione. Secondo punto: al tempo stesso il PCI dichiara di ritenere inutile e dannoso lo scioglimento anticipato del Parlamento e preannuncia, per facilitarne la continuità, una opposizione «costruttiva e responsabile» al governo che si formasse. Terzo punto: il solo modo politicamente praticabile perché quel nuovo governo si formi evitando le elezioni anticipate è il sostegno diretto o indiretto, col voto o almeno con l’astensione, del Partito Socialista; su di ciò non esistono dubbi, dato che il PSI si è unanimemente dichiarato disponibile a sostenere solo un governo detto di unità nazionale. Conclusione: passare all’opposizione (vale a dire rendere impossibile un governo o una maggioranza di unità nazionale) e nello stesso tempo deprecare lo scioglimento delle Camere sono per il PCI due obiettivi contradittori che possono essere resi conciliabili esclusivamente dalla decisione socialista di sostenere, in uno dei modi indicati, il futuro governo. Mi dica il compagno Napolitano se l’attribuire, come io ho fatto, al PCI interesse a sospingere il PSI verso il sostegno di un centro-sinistra pallido o sanguigno, sia una interpretazione arbitraria e non invece una traduzione fedele, ma provvista di una conclusione sottaciuta, della posizione ufficialmente da esso espressa! Quella or ora esaminata è tuttavia questione minore: ne esistono altre nel discorso di Napolitano che non possono essere catalogate come inesattezze ed equivoci da cui sbarazzare il terreno perché coinvolgono la natura e i rapporti reciproci fra i due partiti storici della sinistra: rapporti che è essenziale collocare nella giusta ottica se si vuole preservare, come io fermamente credo, il massimo di collaborazione operativa di una sinistra aspirante ad essere sinistra di governo. Napolitano si duole che io attribuisca al suo partito aspirazioni egemoniche sull’area di sinistra e ritorce l’accusa al PSI di farsi guidare da un spinta concorrenziale con l’obiettivo di modificare i rapporti di forza nel campo di sinistra. Ma vivaddio l’una cosa e 1′ altra, spinta egemonica del PCI e spinta concorrenziale del PSI per accrescere la sua forza, sono entrambe pienamente legittime e necessarie considerare, come ho fatto, il comportamento comunista come dettato anche da intenzioni egemoniche non è affatto fargliene addebito o colpa! E’ quel che il PCI ha sempre fatto e, aggiungo, che non può non fare un partito che tende a legare prioritariamente se non ad identificare la sua forza e la sua crescita con quelle del movimento operaio; come altrettanto legittima (anche se non consustanziale con la sua teoria del partito) è da parte socialista lo sforzo ad aumentare forza e rappresentanza nella sinistra che esso a torto o a ragione ritiene oggi ingiustamente sproporzionate (anche per sua colpa) non tanto ai suoi interessi di parte quanto all’interesse globale di una sinistra di governo. Pretenderebbe forse qualcuno che al PSI sia interdetta la ricerca di nuovi consensi e di nuovi elettori anche nel campo della sinistra, un campo lasciato con troppa noncuranza esposto a chi non si peritava di autorevolmente esortare «a raccogliere nell’ orto del vicino»? La vera questione non è dunque quella della «concorrenza» ma delle regole che devono presiedervi in modo che essa non sia distruttiva ma comporti una crescita ideale e politica di tutta la sinistra, della quale importa l’unità non la confusione. Importante a tal fine sembra essere non l’attutimento di ciò che fa diversi i due partiti, ma la sua ricognizione e attualizzazione (rispetto a motivi oggi sorpassati e ad altri oggi sopravvenuti). Da tale punto di vista la disponibilità al dibattito e al confronto (che non è mai mancato per la verità ma che Napolitano ripropone con maggiore impegno unitario) va, a mio giudizio, attentamente considerato: sotto due aspetti diversi. Il primo riguarda quello che è stato chiamato dibattito ideologico. A parte gli eccessi polemici, le forzature e le ingenuità inevitabili del resto in un dibattito disperso, a più voci (e non solo a due) e — fortunamente — sprovvisto di regia, quel che preme stabilire è che non sono ammissibili interdizioni e tabù. Se, come sembra, quel che fra socialisti e comunisti viene oggi posto in discussione non è più solo la differenza nei metodi pur nella identità del fine, ma anche tale identità (la «società socialista» certo, ma quale?) non giova ad alcuno rimuovere l’argomento neanche per la preoccupazione (infondata a mio giudizio) che esso sia incompatibile con una politica di sinistra per il cui successo è ne-cessaria la cooperazione ma non l’identificazione delle forze concorrenti. A tal fine non necessitano (e neanche sono utili) nuove sedi interpartitiche di dibattito, giacché le sedi naturali esistono (e funzionano) e sono i libri, le riviste, i convegni (sedi non sospette a vincoli «rispettosi») e gli stessi dibattiti interni che sottendono nei diversi partiti l’elaborazione delle loro politiche. Mentre per ciò che riguarda le tattiche, quotidiane o no, le intese, le consultazioni e il tentativo di concordare posizioni comuni è fra i nostri partiti una consuetudine che è divenuta via via funzionale alla operatività da entrambi e che certo va rafforzata e possibilmente «istituzionalizzata», ma non inventata. Il piano invece al quale mi sono riferito è quello della elaborazione e messa a punto di un programma comune delle sinistre, fra i partiti «storici» ma anche fra quelle fra le nuove sinistre che intendono operare nell’ambito della Costituzione repubblicana. Un programma comune, ben inteso, che pur partendo da concezioni dello …

LA DE-DOLLARIZZAZIONE

In un mio recente intervento, LA TERZA GUERRA MONDIALE, sostenevo che la fase di politica internazionale che stiamo attraversando vede in atto la terza WW e che questa, fortunatamente per ora, vedeva un uso limitato, pur sempre inaccettabile, delle armi, ma che è combattuta anche a livello di tecnologia e soprattutto a livello monetario. Il paese che è riuscito ad imporre o a far accettare la sua moneta come moneta di scambio universale e come moneta di riserva nei depositi delle banche centrali gode di quello che Giscard d’Estaing ha definito un “esorbitante privilegio”. Tale privilegio, tecnicamente definito come “signoraggio”, comporta vantaggi enormi per il paese che emette questa moneta:  a) poter denominare le proprie passività sull’estero nella propria moneta scaricando quindi sui paesi terzi l’onere di aggiustamento degli squilibri rispetto alla moneta dominante; b) spuntare, nei prestiti internazionali, tassi di interesse più bassi proprio per il minor rischio che il prestatore corre; c) essere in grado di esportare le crisi finanziarie interne come è successo al dollaro dopo la crisi del 2007. Se un paese terzo esporta beni in un altro paese terzo, se ad esempio l’Italia esporta beni in un paese africano non gradisce essere pagato con la moneta locale del paese importatore perché ciò comporta un rischio di svalutazione e comunque quella moneta potrà essere utilizzata solo per eventuali importazioni fatte da quello stesso paese. Stabilire il pagamento in dollari (andrebbero bene anche gli euro) ha il doppio pregio che l’Italia potrà usare quella valuta per pagamenti internazionali verso qualsiasi paese e che il paese importatore avrà necessariamente dollari nelle sue banche perché anche lui conosce le regole della finanza internazionale. Se poi devo mettere nella banca centrale delle riserve di valuta, certamente preferirò accumulare dollari che danno più garanzie di mantenimento del valore di ogni altra moneta (anche del franco svizzero). In questa fase della terza WW, uno degli strumenti usati dal blocco Russo Cinese è quello di erodere spazi di azione al dollaro, proporre per esempio il renminbi come moneta con le stesse caratteristiche del dollaro. Il fenomeno viene definito come DE-DOLLARIZZAZIONE parola che sentiremo usare molto spesso nel futuro. Per approfondire il tema sto leggendo un saggio di Gian Cesare Romagnoli, docente all’Università Roma Tre, da cui vorrei condividere con voi quanto scritto alle pagine 14 e 15 con relativa nota. Secondo il generale cinese (Quiao – One belt one road) ciò (ovvero tentativi di de-dollarizzazione) si è manifestato con le guerre irachene contro Saddam Hussein (1990 e 2003) che aveva deciso di denominare in euro le sue vendite di petrolio (anche se le motivazioni formali delle due invasioni sono state date rispettivamente dall’invasione irachena del Kuwait e dalla produzione di armi di distruzione di massa), con le sanzioni contro l’Iran che aveva proposto di istituire una Borsa del greggio in euro nel 2005 (anche se la motivazione formale dell’erogazione delle sanzioni è stata la dissuasione dalla produzione di armi nucleari) e infine con il rovesciamento del leader libico Muammar Gheddafi nel 2011, che aveva deciso di passare all’euro nel pagamento del petrolio, prima di introdurre il dinaro d’oro per sostituire la moneta europea (anche se in questo caso la motivazione ufficiale dell’intervento NATO era stato quello della guerra civile). In nota 25 sempre a pagina 15 continua: Il governo russo ha tenuto una riunione sulla de-dollarizzazione nella primavera 2014, in cui il Ministro delle Finanze annunciò un piano per aumentare le quote di accordi in rubli e il conseguente abbandono del dollaro. Inoltre nell’agosto 2014 una società controllata da Gazprom ha annunciato la disponibilità ad accettare il pagamento in rubli di 80.000 tonnellate di petrolio, estratto da giacimenti artici, da inviare in Europa, mentre il pagamento del petrolio fornito dall’oleogasdotto “Siberia orientale – Pacifico” potrà essere in renminbi. Nel maggio 2015, in occasione del vertice di Shangai, la delegazione firmò il cosiddetto “affare del secolo” per l’acquisto, nei prossimi 30 anni, di 400 miliardi di dollari di gas russo dalla Cina, pagati in renminbi. Altrettanto vale per i futuri progetti infrastrutturali russo-cinesi come la ferrovia Mosca-Pechino e la linea ad alta velocità Mosca-Kazan. Lo scorso agosto, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che “il sistema dei petrodollari dovrebbe diventare storia” e che “la Russia discute l’uso di monete nazionali nelle transazioni con un certo numero di Paesi”. La de-dollarizzazione è argomento di discussione e accordo anche nei rapporti bilaterali fra Russia ed altri Paesi. Il governo russo sta sostituendo il dollaro con monete nazionali nei suoi rapporti con l’Iran, Cipro, Egitto e sperava di farlo anche con la Turchia prima degli incidenti nella guerra di Siria. Queste misure adottate di recente dalla Russia, si accompagnano alla acquisizione della Crimea e alla destabilizzazione dell’Ucraina orientale che hanno motivato l’adozione di sanzioni economiche da parte dell’Occidente. Negli ultimi mesi, anche la Cina si è attivata in questa campagna “anti-dollaro”, firmando accordi con Canada e Qatar per denominare i loro scambi nelle valute nazionali. Per questa ragione, il Canada è diventato il primo hub oltreoceano del renminbi in Nord America. Questo fatto, da solo, potrebbe raddoppiare o addirittura triplicare il volume degli scambi commerciali tra i due paesi, dato che il volume dell’accordo di cambio stipulato tra Cina e Canada è pari a 200 miliardi di renminbi.  L’accordo della Cina con il Qatar sul currency swap diretto tra i due paesi equivale a 5,7 miliardi di dollari ed è diventato la base per l’utilizzo del renminbi nei mercati del Medio Oriente. Inoltre, la Cina sta stringendo degli accordi con Iran e India per pagare le materie prime  in valuta cinese. Quindi nella lotta tra il dollaro, che rimane ancora la valuta dominante, e il renminbi quest’ultimo potrebbe avere la meglio nel medio periodo, anche se con alta volatilità. I paesi produttori di petrolio del Medio Oriente hanno scarsa fiducia nel dollaro, a causa della esportazione di inflazione, quindi altri paesi dell’Opec  potrebbero firmare accordi con la Cina. Nella regione del Sud-Est asiatico la creazione di un centro di compensazione a Kuala Lumpur che promuoverà …

RIZZOTTO ASSASSINATO ANCHE PERCHE’ SOCIALISTA

Il 10 marzo del 1948, a Corleone, il giovane sindacalista della Cgil, nonchè esponente del Partito Socialista, Placido Rizzotto si sta recando ad una riunione del suo partito: è quasi buio, viene aggredito e rapito da un gruppo di mafiosi e sarà poi ucciso brutalmente. Il motivo del suo omicidio è da rintracciare nel suo convinto e coraggioso impegno a favore dei contadini siciliani, penalizzati e ridotti sul lastrico dalla sistematica espropriazione che le cosche mafiose ponevano in essere verso le campagne ed i campi coltivabili. Rizzotto incita i contadini a reagire, ad occupare le terre ed a difenderle, convinto che il lavoro e la giustizia sono due valori assoluti, che devono andare di pari passo e che devono rappresentare il fondamento e l’essenza di ogni vita umana. Da Segretario della locale Camera del Lavoro Placido Rizzotto convince i contadini addirittura ad organizzarsi per occupare le terre già espropriate dai mafiosi: non si limita ad organizzare la reazione ma la guida in prima persona, assumendo su di sè la responsabilità giuridica del gesto e, soprattutto, esponendosi personalmente alla ritorsione dei capi locali. Col suo impegno a favore della gente onesta, Rizzotto infatti si ritrova contro tutte le fazioni mafiose e criminali, ed entra in grave contrasto anche con un giovane di Strasotto che farà una grande carriera in Cosa nostra: Luciano Liggio. La mafia organizza la reazione: nel maggio del 1947 avviene la terrificante strage di Portella della Ginestra, mentre qualche mese dopo, come visto, c’è il rapimento di Rizzotto il cui corpo fu ritrovato solo anni dopo, nelle foibe di Rocca Busanbra, dove fu gettato proprio dall’acerrimo nemico Luciano Liggio. Un bambino (il piccolo pastorello Giuseppe Letizia) assistette al barbaro assassino, ma venne ucciso anche lui: la mafia non tollera occhi indiscreti, anche se giovani. Per l’assassinio del piccolo fu incolpato il boss Michele Navarra. Le indagini, coordinate da un giovane Carabiniere che diventerà poi Prefetto di Palermo, Carlo Alberto dalla Chiesa, portano all’arresto di due mafiosi corleonesi: Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. Confessarono per poi ritrattare, e vennero assolti per insufficienza di prove. La stessa sorte processuale toccherà per questo reato a Luciano Liggio, che rimase latitante fino al 1964. UN APPUNTO A CURA DI EMANUELE MACALUSO Caro direttore, io non ho ancora visto il film «Placido Rizzotto» di Pasquale Scimeca e non posso dare un giudizio sull’opera, ma sono uno dei pochi sopravvissuti che ha conosciuto Rizzotto (in quegli anni ero segretario della Cgil siciliana) e con lui ebbi rapporti intensi, a Corleone e a Palermo, fui io a commemorarlo nella sua città. Le scrivo perché mi ha stupito la risposta del regista ad Ottaviano Del Turco (mi riferisco al «Corriere della Sera» 16 ottobre 2000) il quale faceva notare che nel corso del film non si dice mai che Rizzotto era socialista. La risposta di Scimeca è questa: «Non mi sembra così importante chiarire l’appartenenza ad una sigla». Il Psi non era una sigla e per ricostruire una storia l’appartenenza politica non è irrilevante anche perché – ecco il punto – se il regista avesse letto la relazione di minoranza alla commissione antimafia (febbraio 1976) redatta da Pio La Torre, forse non avrebbe risposto così. Infatti La Torre scriveva: «Nel corso della campagna elettorale (1948) furono commessi alcuni dei più efferati delitti di mafia contro esponenti del movimento contadino. Voglio ricordare in modo particolare tre episodi: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Li Puma a Petralia, Calogero Cangelosi a Camporeale, dirigenti contadini di queste 3 zone fondamentali della provincia di Palermo, e socialiste. Perché tra i socialisti? Gli assassini si susseguirono a distanza di giorni. Vi era stata la scissione socialdemocratica e il movimento contadino restava, invece, unito; occorreva dunque dare un colpo al movimento e la mafia sviluppò una campagna di intimidazione verso i dirigenti socialisti». Se l’analisi di La Torre era giusta, l’appartenenza non era irrilevante. Lo stesso La Torre in quella relazione ricorda che nel processo contro gli assassini di Rizzotto l’imputato Luciano Liggio venne difeso da un avvocato del Psdi, Rocco Gullo. E, aggiungo io, la parte civile fu sostenuta da un avvocato socialista turatiano, Francesco Taormina. Un segno dei tempi. Ma la storia è questa. Emanuele Macaluso Video Rai.Tv – TG2 13:00 del 10/03/2018 70 anni fa la mafia uccideva il sindacalista socialista Placido Rizzotto   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

STORICO E’ STATO LO STRAPPO NON QUEL COMPROMESSO

di Marco Zanier | Nel 1985, a un anno dalla morte di Enrico Berlinguer, Francesco De Martino, l’ex segretario del PSI scomparso oltre vent’anni anni or sono, in questa lunga intervista rilasciata a Candiano Falaschi della redazione dell’Unità, faceva il punto sul suo rapporto personale e politico conil Segretario del PCI e sul rapporto che intendeva instaurare da tempo con quel partito. Nell’ottica dell’affermazione di un’alternativa di sinistra che avrebbe dovuto essere sostenuta da socialisti e comunisti. Decisiva a riguardo per De Martino era stata la presa di distanza di Berlinguer dall’Urss in un suo fondamentale discorso in cui rivendicava la scelta della linea democratica del PCI, mentre carattere episodico e non certamente storico avrebbe dovuto avere, secondo lui, il compromesso fra comunisti e democristiani. Nonostante il parere contrario dell’allora segretario del PSI Bettino Craxi, le ragioni dell’alternativa di sinistra per De Martino restavano tutte in piedi, perché erano stati superati i presupposti della scissione di Livorno del 1921 ed il PCI aveva confermato la sua scelta democratica all’interno delle istituzioni. Sono queste le tesi che rendono, a mio avviso, ancora più attuale oggi la prospettiva di una ricostruzione della Sinistra in Italia che veda protagonisti sia coloro che si richiamano ai valori del socialismo storico che coloro che si rifanno alle scelte democratiche del comunismo italiano. Marco Zanier STORICO E’ STATO LO STRAPPO NON QUEL COMPROMESSO di Francesco De Martino Lungo tutto l’arco  politico dell’ultimo annosi è parlato spesso, molto spesso di “effetto Berlinguer”. E con questa espressione, vaga come tante altre espressioni del linguaggio, politico, ci siè riferiti di volta in volta tanto all’onda di emozione provocata dalla lunga agonia di Padova e al generale rimpianto per la scomparsa del segretario del PCI, quanto al risultato ottenuto poco dopo dai comunisti italiani nelle elezionieuropee. Su questo modo di vedere le cose, Francesco De Martino ha qualcosa dadire in via preliminare: Se ha un senso parlare di “effetto Berlinguer” egli obietta , bisogna dire chequesto fenomeno, questo “effetto”, si è verificato proprio perché si trattavadi Enrico Berlinguer e cioè di una personalità caratterizzata da certi inconfondibili tratti umani e politici. Il punto sta proprio qui. Parlare quindi della sua scomparsa in quei termini, lungi dallo sminuire la figura, contribuisce invece a rafforzarla e a sottolinearne il rilievo. Per quanto mi riguarda, la morte di Berlinguer mi colpì  molto di più di quanto avrei potuto credere. Ne ho sofferto, anche se purtroppo sono abituato da tempo alla perdita di uomini cui ero legato. E’ stato come perdere un amico. Mi ero incontrato con Enrico qualche mese prima della sua morte ed avevamo parlato a lungo. Il punto più dibattuto tra di noi era sempre quello della valutazione dell’attuale politica socialista. Egli parlava con me sapendo bene di raccogliere l’opinionedi un dirigente socialista abbastanza critico nei confronti della situazione esistente e metteva l’accento sulla necessità di superare questa fase. Anch’io, è ovvio, ero convinto di questa necessità e quindi consapevole dell’esigenza diuna maggiore unità a sinistra: non ero però incline a vedere possibilità nuove in tempi brevi. La divaricazione tra i partiti della sinistra la giudicavo profonda, dal momento che non eravamo dinanzi a un mero espediente tattico dell’attuale gruppo dirigente socialista, ma ad un insieme di vedute (la cosiddetta scelta riformista) che avrebbe avuto bisogno di un periodo di tempo non certo ridotto per sperimentare le proprie possibilità. Era, ed è, una scelta di ordine teorico e strategico. Berlinguer mirava ad un miglioramento dei raporti tra PCI e PSI e sperava che ciò potesse avvenire sotto la spinta delle cose; non mi pareva che egli considerasse il PSI, pur criticandolo, una forza estranea alla sinistra. Si trattava di uno scambio di opinioni del tutto disinteressato, dal momento che io, dopo il nuovo corso socialista, non ho incarichi di partito attraverso i quali poter influire direttamente e in modo decisivo. Non c’era da parte di Berlinguer, nessuna interferenza, nessuna iniziativa condotta in modo improprio contro gli attuali dirigenti del PSI. Egli era discreto e aveva molto stile: era impensabile che potessero venire daparte sua iniziative del genere. Ma una discussione tra il segretario del PCI e De Martino non poteva limitarsi all’attualità politica. In essa entravano in campo, come è naturale, anche aspetti più generali. Io –ricorda De Martino- avevo manifestato un consenso pieno all’azione di Berlinguer, che ha valore storico, volta a stabilire la più completa autonomia rispetto all’Unione Sovietica. Gli avevo espresso la più grande soddisfazione. Non si trattava solo, io credo, dell’esaurimento della spinta propulsiva, perchè sempre in un processo rivoluzionario l’ondata tende a esaurirsi, madella stabilizzazione delle caratteristiche proprie di uno Stato autoritario innetta antitesi con la concezione democratica del socialismo che il PCI praticae che Berlinguer più di altri ha teorizzato. E in che termini parlavate delle prospettive della sinistra, in Italia e inEuropa? C’erano anche questi aspetti nelle nostre discussioni. Dopo il cosiddetto “strappo, conseguente alle polemiche sui fatti polacchi, in un’intervista a Panorama io affermai tra l’altro che ormai potevano considerarsi cadute le premesse della scissione del 1921. Ricordo che quell’intervista interessò molto Berlinguer. L’Unità la riprese con rilievo, pur evitando di fare confusione tra le varie posizioni esistenti nell’ambito della sinistra. Del resto, anche Pietro Nenni, in un altro momento, aveva dato un parere analogo al mio sull’esaurirsi delle premesse della scissione. Ora, io mi rendo conto che questo giudizio di fondo che davo non modificava certo la situazione di fatto. Anche perché ognuno portava fatalmente il peso della propria eredità e della propria storia. Mi sembrava, e mi sembra, paradossale, però, che ogni volta che il PCI compie un passo avanti nel senso auspicato dai socialisti nel corso di una ormai lunga vicenda storica, i rapporti tra i due partiti tendano a peggiorare o almeno non migliorino. Ciò che Berlinguer ha fatto su questo terreno ha un’importanza decisiva, specie se si pensa a come sono nati i comunisti  e a quale coraggio esiga avanzare in quella direzione. Occorre soprattutto coerenza, fermezza, lucidità. Per quanto mi riguarda, io ho accolto le prese …