GLI SCIOPERI DEL 1 MARZO 1944: UNA LOTTA OPERAIA CHE HA SEGNATO LA STORIA D’ITALIA

di Franco Astengo | Come sempre ricordiamo gli scioperi operai del 1 marzo 1944. Scioperi rivolti contro l’invasore nazifascista. Scioperi che segnarono un punto di svolta nella Resistenza dimostrandone il radicamento nei settori decisivi della classe operaia delle grandi fabbriche. Da ricordare ancora, in questo giorno così importante per la nostra memoria storica, l’efferatezza che reca sempre con sé la guerra. Gli scioperi del 1 marzo 1944 furono prima di tutto un atto di “fierezza operaia” anche se furono soprattutto il frutto di una meticolosa organizzazione politica. Quella giornata va tenuta ancora come esempio di sacrificio e di dedizione alla causa comune della pace e della dignità umana ricordando il sacrificio dei martiri che in quei giorni subirono la deportazione nei campi di sterminio. Entrarono in sciopero, nelle diverse fasi della lotta, circa mezzo milione di operai nelle grandi fabbriche del Nord. Tra marzo e giugno, furono deportati a Mauthausen circa 3.000 lavoratori scelti tra gli organizzatori degli scioperi e tra i più attivi quadri politici presenti nelle fabbriche. L’Unità del 15 Marzo 1944, sotto l’occhiello : “La classe operaia all’avanguardia della lotta di liberazione nazionale” titolava :” Lo sciopero generale dell’Italia Settentrionale e Centrale è una grande battaglia vinta contro gli oppressori della Patria”. Era quello, in estrema sintesi, il giudizio che l’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano forniva allo sciopero delle grandi fabbriche, svoltosi il 1 Marzo di quell’anno: un vero e proprio punto di svolta nella Resistenza al Centro-Nord, e che è necessario ricordare non soltanto per dovere di cronaca o per ricordare quanti, in quell’occasione, furono prelevati dalle fabbriche e portati nei campi di sterminio, Mauthausen in particolare. L’intervento della Resistenza a sostegno dell’offensiva alleata del primo trimestre 1944 non si manifestò, infatti, con l’intensificata guerra partigiana sulle montagne e nelle città. L’importanza e l’efficacia di quel contributo deve essere collegato, quando si sviluppa un tentativo di analisi storico – politica, alla vasta azione di massa condotta dalle classi lavoratrici. Solo in quel modo, nella saldatura tra la lotta di montagna, quella di città e la presenza nelle grandi fabbriche, il movimento di Resistenza avrebbe assunto un ruolo decisivo in quella fase cruciale della guerra, alla vigilia dello sbarco in Normandia e mentre sul fronte est le truppe sovietiche stavano calando a marce forzate verso Occidente. Considerata l’impossibilità di bloccare il movimento, le autorità fasciste tentarono di ridurne gli effetti diramando attraverso la stampa l’annuncio che alcune fabbriche piemontesi sarebbero rimaste chiuse per 7 giorni, a cominciare dal 1 Marzo, per mancanza di energia elettrica. L’espediente, subito denunciato da un manifesto del comitato interregionale, non impedì che proprio a Torino e in Piemonte si registrasse una elevata partecipazione allo sciopero: 60 mila lavoratori in città e 150.000 in Regione si astennero dal lavoro. Sin dal primo giorno lo scioperò si rivelò imponente e vide complessivamente la partecipazione di circa mezzo milione di lavoratori. A Milano scioperarono anche le maestranze della tipografia del Corriere della Sera e per tre giorni l’organo della grande borghesia lombarda non poté uscire. La repressione tedesca fu dovunque feroce. L’ambasciatore Rahn ricevette personalmente da Hitler l’ordine di far deportare il 20 per cento degli scioperanti. E anche se il mostruoso provvedimento non fu eseguito nella misura indicata per “difficoltà tecniche inerenti ai trasporti” e per il danno che ne sarebbe derivato alla produzione bellica (come spiegò lo stesso Rahn) si calcola che circa 1.200 operai furono subito deportati nei campi di lavoro e in quello di sterminio di Mauthausen. I fascisti s’assunsero il ruolo servile di esprimere la volontà dei tedeschi, rivolgendo minacciose intimazioni agli operai che continuavano ad astenersi dal lavoro. A Genova, il capo della provincia Basile lanciò un “ultimo avviso”, minacciando – appunto – la deportazione nei campi di sterminio (si trattava, secondo lui, di mandare gli operai a “meditare sul danno arrecato alla causa della vittoria”). Basile era lo stesso personaggio che, 16 anni dopo, sarebbe stato al centro dei moti genovesi contro il governo Tambroni, per via della decisione del MSI di fargli presiedere il previsto congresso nazionale di quel Partito che avrebbe dovuto svolgersi proprio a Genova. Congresso le mobilitazioni di piazza impedirono  si svolgesse aprendo la strada anche alla caduta del governo  monocolore che gli stessi missini stavano sostenendo. La sera stessa del 1 Marzo , a Savona, 150 operai dell’Ilva e della Scarpa e Magnano furono arrestati per essere poi avviati alla deportazione (un carico di savonesi arrivò a Mauthausen il 26 Marzo dopo essere passato per la Casa dello Studente e San Vittore): altri luoghi d’origine della deportazione furono Varese (50 deportati), Prato (dove lo sciopero fu totale e generale), Bologna. Da Torino furono deportati 400 lavoratori (178 appartenenti alla FIAT), da Milano 500, in particolare dall’area di Sesto San Giovanni (Breda, Falck, Marelli, Ansaldo). Il successivo 16 giugno 1944 in adesione all’ordine di Hitler 1.488 operai genovesi furono deportati dopo essere stati rastrellati all’ingresso del turno di lavoro nelle fabbriche all’Ansaldo, all’Ilva, alla SIAC. Dati sicuramente incompleti. In realtà lo sciopero fu una dimostrazione imponente di forza e di volontà combattiva, fu un movimento di massa che non trova riscontro nella storia della resistenza europea. Ai fini bellici la sua importanza non fu minore, se si pensa che per otto giorni la produzione di guerra venne completamente paralizzata in tutta l’Italia invasa. Il che equivalse per i tedeschi a una grossa sconfitta riportata sul campo di battaglia. Complessivamente è possibile riassumere il senso complessivo di quelle giornate (gli scioperi si conclusero come previsto dal comitato di agitazione interregionale l’8 Marzo) rileggendo quanto scritto all’epoca, dalla “Nostra Lotta”: “ Lo sciopero generale politico rivendicativo dell’1-8 Marzo assume un’importanza e un significato nazionale e internazionale di gran lunga superiori agli obiettivi immediati che esso si poneva; indica la strada da seguire nel prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli. Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto …

RADIO LOMBARDIA INTERVISTA SILVANO VERONESE

Tutti coloro i quali ritengono che il socialismo sia tuttora una risposta necessaria ed attuale, ai Circoli, alle Associazioni, a coloro che si sentono socialisti, ad altre esperienze del Movimento Operaio, alle Fondazioni di area socialista, al Partito Socialista Italiano, all’ecologismo, al mondo del civismo affinché si rendano disponibili ad un confronto aperto ed inclusivo, per lanciare e sostenere, una campagna politica per la «EPINAY DEL SOCIALISMO ITALIANO», che per noi socialiste e socialisti di SOCIALISMO XXI ha un solo scopo, la ricostruzione di una casa per tutti coloro i quali sono e saranno interessati a dare una nuova e salda prospettiva politica di ispirazione socialista all’Italia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL RITORNO DELLA “CRITICA SOCIALE”

di Franco Astengo | Centro “Brera” di Milano, 25 febbraio: una partecipata assemblea contraddistinta da un serrato (anche articolato) dibattito ha segnato la ripresa delle pubblicazioni della “Critica Sociale”, l’antica rivista fondata nel 1891 da Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Un segnale di presenza e di testimonianza voluta da un gruppo di promotori molto determinato a fare in modo che, nonostante gli inviti arrivati da autorevoli fonti a considerarsi sconfitti, la parola “Sinistra” riprenda a coincidere con “Socialismo”. Un’iniziativa che si affianca ad altre in itinere e ad analoghe presenze di diversa derivazione culturale e politica che pure continuano a proporre una visione, un’analisi e un aggiornamento costante sulle proposte di trasformazione sociale, impegno politico, opposizione alla destra e ai pericoli che derivano dalla presenza del governo uscito dalle elezioni del 25 settembre: pensiamo a “Critica Marxista”, “Alternative per il Socialismo”, “Infiniti mondi” soltanto per avanzare qualche esempio. In questo quadro emerge un punto di riflessione: a sostegno di queste imprese editoriali si collocano gruppi di iniziativa e di riflessione politico – culturale che stanno svolgendo un lavoro sicuramente impegnato in una fase in cui la sinistra e il fronte democratico si trovano in grande difficoltà. Sinistra e fronte democratico in forte difficoltà sia sotto l’aspetto del radicamento sociale, della capacità progettuale e degli stessi esiti elettorali. Una fase nella quale sembra, prima di tutto , sfuggire quell’egemonia culturale affermata un tempo ma ridotta di influenza dalla difficoltà di comprendere -prima di tutto – il quadro di mutamento internazionale, il peso dell’impatto dell’innovazione tecnologica, l’allargarsi di disuguaglianze inaccettabili, la disgregazione del mondo del lavoro, l’affermarsi socialmente di un individualismo consumistico e competitivo. La redazione di queste poche note è stata dettata dall’urgenza di indicare due questioni parse evidenti proprio ascoltando il dibattito di presentazione della ripresa della “Critica Sociale”: 1) l’avvio di una fase di confronto tra tutti i soggetti impegnati nell’insieme di queste iniziative, al di là delle loro sedi di provenienza, senza preclusioni o intenti di primazia. Naturalmente nella piena consapevolezza delle diversità di affrontare, reclamando quindi un recupero dell’usato strumento della dialettica politica abbandonato nei soggetti politici a favore della pratica correntizia; 2) Lo sviluppo di un’analisi riguardante la realtà degli spazi esistenti nel sistema politico italiano. Sono molti i punti da verificare sotto questo aspetto a partire da natura, ruolo, collocazione del PD in esito anche a quello che sarà l’esito delle elezioni primarie che si stanno svolgendo proprio mentre è in corso questo modesto tentativo di elaborazione. Il punto di arrivo di questa analisi da condurre in comune tra diversi soggetti dovrebbe essere quello di stabilire se può essere ragionevolmente possibile realizzare la costruzione di una soggettività politica per la quale -come si affermava all’inizio – il termine “sinistra” coincida con quello di “socialismo”. Proprio nel senso dell’affermazione del “socialismo” come punto identitario si tratta di verificare la possibilità di superare le tante incertezze e i tanti equivoci che hanno accompagnato la fase più recente della vita politica italiana, compresi quelli derivanti da pulsioni populiste e movimentiste e dall’assumere, di volta in volta, “single issue” di riferimento trascurando la complessità delle interazioni strategiche in atto nelle “fratture” della modernità. I punti di principio sui quali misurarsi potrebbero essere così schematicamente riassunti: 1) Autonomia. Prima di tutto Autonomia nel significato di Autonomia dal capitalismo considerato insuperabile: è questa la prima risposta da fornire al tanto discusso, in queste ore, al “pamphlet” di Aldo Schiavone e all’invito che contiene a considerare il tema dell’uguaglianza ormai interno all’immutabilità del sistema. Uguaglianza come fattore di trasformazione economica e sociale: così può essere ancora riassunto il senso di un Socialismo del XXI secolo; 2) Internazionalismo. Si tratta di sviluppare due elementi: la capacità di disporre di una visione “altra” anche sul tema delicato della pace e della guerra e dell’intreccio tra questo e le contraddizioni epocali dell’ambiente e delle migrazioni. Occorre riprendere una visione che ci metta in grado di collegare l’insieme delle istanze progressiste ben oltre la “sovranazionalità”: “Europa come spazio politico”; “Pace come vero ostacolo alla ripresa della “logica dei blocchi”e magari all’ “equilibrio del terrore”; ” Recupero di funzione degli organismi internazionali per determinare equilibrio nell’utilizzo delle risorse, nella promozione della democrazia e la libera circolazione delle idee e delle persone, in un contesto dominato dai “grandi signori” del web che dominano la diffusione di notizie e condizionano lo stesso scambio tra le persone; 3) Pedagogia politica. Nella funzione di un soggetto politico portatore di istanze socialiste adeguate al XXI secolo (ambiente, innovazione tecnologica, affrancamento del lavoro dalle tendenze schiavistiche in atto , welfare universalistico) deve risultare prioritaria quella funzione pedagogica attraverso la quale i grandi partiti di massa del ‘900 portarono avanti la loro espressione di egemonia culturale facendo così avanzare le grandi masse proletarie e operaie. L’auspicio è quello di realizzare al più presto un incontro fra tutti questi soggetti e avviare sedi di analisi comuni: per ora nel ristretto ambito nazionale in attesa di tornare ad esprimerci su orizzonti ancora più ampi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UNA LETTERA LOMBARDA AL RESTO D’TALIA

Il Risultato previsto delle regionali rende maturo un mio vecchio progetto, di cui non ho mai parlato, perché dicevo non bisogna parlarne finché l’astensione non superava il 50%, siamo al 60% e nel Lazio più ancora. Ora le urgenze sono l’autonomia differenziata, la legge elettorale, ricorsi e referendum abrogativo, e appunto astensione. Aggiungerei stato della UE, sulla quale alcuni accenni sono necessari. Dopo il Consiglio europeo straordinario del 24 gennaio scorso con le decisioni sul PNRR “flessibile” e le deroghe al divieto di aiuti di stato, che saranno massicce per i paesi con i conti in ordine, cioè Germania e Francia, si conferma che l’Italia non è più un paese leader in Europa. Il PNRR sarà flessibile perché non ce ne saranno altri di finanziamenti con fondi europei, mentre le deroghe agli aiuti di stato saranno importanti, basta che la Commissione Europea faccia finta di niente, come sempre, a partire dai deficit mascherati per l’unificazione tedesca e gli attivi per avanzi nel commercio estero. La conseguenza sarà un’Europa a due velocità di sviluppo, con riflessi anche in Italia, specialmente per il Nord-Est, che in termini europei comprende anche l’Emilia-Romagna e nei settori che dipendono dalla presenza francese. La sinistra mi sembra impantanata in una fase consolatoria, che è meglio della disperazione, ma non si proietta nel futuro. I commenti, complici giornalisti servi alle elezioni regionali, mi convincono che siamo governati da extra terrestri, sono indeciso tra assegnare il primo premio a Salvini o a Letta, ma visto che a quest’ultimo non importa di essere il primo, forse un ex aequo è la giusta punizione. In corsa c’è anche Fontana, che è contento, perché il 54% dei lombardi ha dimostrato di apprezzare il suo governo di questi 5 anni. E’ vero, nel 2018 aveva fiducia in lui appena il 49,75%, corrispondenti a 2.793.369 voti con una partecipazione del 73,10%. Ora sono il 54,7% quasi un +5%, ma in voti 1.666.426, più di un milione in meno: tutti morti nella prima fase della pandemia da COVID? Salvini, gasatissimo, applaude la crescita percentuale della Lega rispetto al settembre 2022 e parla della maggioranza degli italiani che approva Meloni e i suoi ministri compresi quelli della Lega. Nel 2018, però, i voti lombardi della Lega erano 1.553 787, cioè da sola rappresentava il 93,24% dell’interi destra-centro di oggi e il 95,12% dell’intero centro-sinistra all’opposizione: potevano vincere da soli se candidavano Maroni. Letta apprezza il PD, sopra il 30%, in realtà i candidati del PD, che è il primo partito dell’opposizione e in alcune città lombarde, Milano compresa, il primo partito in assoluto. Majorino ha preso il 33,7%, 4 punti percentuali in più% del 29,09% di Gori, ma, appena 1020.870, tra cui il mio. Tuttavia, se avesse conservato i voti di Gori, 1.633.373 e avesse preso 33.054 voti soltanto dal M5S, dei 974.983 del 2018, cioè il 3,39%, oggi sarebbe Presidente della Regione, invece di dover sottrarre un seggio da consigliere ad una lista alleata, la più piccola, quella che avrebbe beneficiato meno della sua vittoria. Una delle tante incongruità d’una legge elettorale importata dalla Campania, un Campanellum. Mi sembra un nome giusto vista la modestia complessiva dei personaggi in gioco; perciò, non ci chiederemo “per chi suona la campana?”, come Hemingway per la Guerra Civile di Spagna, ma per chi suona il campanello d’allarme per le sorti della democrazia costituzionale in Italia. Con il 60% di astenuti non ha senso dire “ha vinto la destra!” perché ha perso la democrazia rappresentativa, perché non garantisce la rappresentanza del Popolo (art. 1 Cost.) e della Nazione (art. 67 Cost.): giudizio che non cambia avesse vinto il centrosinistra in una o anche in due Regioni. Nel regno dei ciechi l’orbo è Re! La prossima volta a Roma candideranno Massimo Carminati “er guercio” della Terra di Mezzo, già Mafia Capitale A presto! SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIORNO DEL RICORDO

Cari compagni e compagne, anche quest’anno Verbania Documenti organizza con la Casa della Resistenza e con il patrocinio del Comune di Verbania il Giorno del ricordo. Con una comune decisione del tutto intenzionale NON organizziamo nulla nella data del 10 febbraio, stabilita per legge, perché preferiamo lasciare questa incombenza alle “manifestazioni” di tipo istituzionale, mentre noi ogni anno desideriamo trattare argomenti diversi che costituiscono – per loro stessa natura – un tutt’uno con la vicenda tragica dei nostri confini orientali dopo l’8 settembre 1943 e fino ai primi anni ’60. Quest’anno abbiamo scelto di “indagare” sull’accoglienza in Piemonte riservata ai profughi istro-dalmati-fiumani (e non solo a loro). Perchè questa scelta?  Innanzitutto perchè non l’avevamo ancora affrontata come era giusto fare e poi perché la responsabilità dell’accoglienza ai profughi italiani NON può essere scaricata su nessun altro che non sia il nostro (e il loro) Paese con i suoi cittadini. Avremo con noi amici e conoscenti che ci aiuteranno a capire che cosa è successo, le difficoltà per tutti in quel periodo complicato, le speranze di una nuova vita dopo l’espulsione forzata dai territori di nascita degli esuli. Per vostra opportuna informazione vi invio la locandina del nostro incontro pubblico. Nel caso in cui qualcuno di voi voglia farci compagnia, informo che Villa Giulia è una sede comunale sita al termine del lungo lago di Pallanza. Ma voglio anche dirvi che si stanno facendo lavori importanti proprio in quel tratto, per cui non è possibile con alcun mezzo percorrrere il lungo lago. BISOGNA INVECE proseguire sempre diritto – corso Nazioni unite e poi corso Europa – fino all’altezza di Villa Taranto, per poi voltare a destra e percorrere il senso unico con pista ciclopedonale verso Pallanza fino a incrociare Villa Giulia (corso Zanitello 8). C’è un posteggio con pochi posti, ma poco più avanti c’è un multipiano (via Cavallini). Seguite le frecce gialle sulla cartina fino al bollino rosso indicante Villa Giulia. Grazie a tutti/e, a presto rivederci a chi verrà. Bruno Lo Duca – Verbania Documenti e Socialismo XXI Piemonte SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL SOCIALISMO ITALIANO RAPPRESENTA UN SECOLO DI STORIA”

di Giorgio Ruffolo | In questi anni a sinistra non è cambiato nulla. Ne è la riprova uno dei tanti articoli (questo è del 1998) che stiamo riproponendo rispolverandoli dall’archivio. Si sono prodotte situazioni che sono andate nella direzione opposta alla ricostruzione della sinistra italiana di ispirazione socialista. Il senso della riproposizione di questo articolo verte nel rimarcare, appunto, tutti i fallimenti di questi anni. E’ illusorio pensare che il “piccolo compromesso storico” che ha generato il pd da una parte e i vari “arcobaleni” dall’altra siano la continuazione storica e politica di quello che furono i due soggetti politici rappresentanti il Movimento Operaio ovvero il Psi e il Pci. Anche in questi giorni di ennesimi fallimenti e tracolli osserviamo articoli con panegirici di parole e attese di comodi riposizionamenti quando semplicemente definire ciò che manca e per ciò che occorra lavorare oggi in Italia è per la costruzione di una grande forza SOCIALISTA UNITARIA! Vincenzo Lorè – Responsabile comunicazione di Socialismo XXI IN MEMORIA DI GIORGIO RUFFOLO Avrei diritto al copyright. Scherza l’on. Giorgio Ruffolo, economista, esponente dell’area socialista. E stato lui un anno fa a parlare di «Stati generali» della sinistra. Ora che l’appuntamento è fissato per metà febbraio a Firenze può esserne soddisfatto. Quella sarà la pista di decollo del nuovo partito della sinistra a cui da tempo stanno lavorando D’Alema e altri protagonisti della sinistra fra cui Ruffolo. Onorevole dopo tanti rinvii questa sembra la volta buona. La «Cosa 2» dopo tante oscillazioni e frenate ora dovrà uscire dal generico e assumere i contorni precisi di nuovo partito della sinistra che ha l’ambizione di diventare più grande e più forte di quanto oggi la sinistra non sia. Ne è contento? «Certo. Sarei più contento se poi ne nascesse effettivamente la Costituente. Senza passare per il terrore perché abbiamo già dato».Battute a parte però le polemiche è i mal di pancia non mancano. «E come l’ingresso dell’Italia nella moneta unica. Quando non ci credeva nessuno sembrava che tutto fosse pacifico, invece la prospettiva diventa concreta e imminente allora vengono i mal di pancia soprattutto di quelli che ne avevano creduto, né avevano voluto. E così anche nei riguardi di questa impresa storica. All’inizio c’è stata indifferenza e incredulità. E adesso che l’appuntamento è fissato vengono fuori conflitti, tensioni, reticenze, rigetti e paure che non si erano manifestati nella fase di incredulità. E una cosa abbastanza naturale e va fronteggiata senza sfuggire ai contrasti». Appunto le tensioni, le incomprensioni. Giuliano Amato andrà a Firenze, ma ha anche detto che non se la sente di stare con chi, il riferimento è soprattutto per i pidiessini, pensa che il passato dei socialisti sia vergognoso. E un tasto spinoso che evoca tanti rancori. «Penso che Amato abbia molte, valide ragioni. Per quanto riguarda il tema della rimozione del socialismo italiano credo che abbia ragioni da vendere. Nessuno vorrebbe partecipare ad un partito ad un’impresa politica nella quale ha l’impressione di essere tollerato, perdonato o assolto da qualche cosa che non ha commesso e della quale non si sente in alcun modo responsabile. E soprattutto nessuno vi vorrebbe entrare se non fosse riconosciuto, con chiarezza e senza masticare le parole, la tradizione della quale è portatore». Si riferisce a episodi in particolari? «Qualche volta quando si parla di socialisti c’è la traccia di un imbarazzo che un socialista non può tollerare. Non può si parlare di socialista senza aggiungere azionista, laico, cattolico, cristiano, progressista, liberale. E ridicolo che questo aggettivo che rappresenta cento anni di storia debba essere sempre velato da cortine eufemistiche. Non possiamo essere presentati in pubblico se non abbiamo un corteo di accompagnatori. Siamo un pò infastiditi di questo C’è una cosa che si chiama socialismo, di cui i comunisti sono stati partecipi per un terzo del percorso e che e parte integrante della storia della sinistra e dell’Italia, che non può essere messa in un’insalata nizzarda con tante altre cose per poter essere commestibile». Amato riconosce che il vertice del Pds ha fatto grandi passi in avanti e che le ostilità seminai vengono dalla base. C’è una strada per colmare questo divario? «Nei percorsi innovativi c’è sempre distanza tra chi sta all’avanguardia, e sono soprattutto le vette più illuminate della classe dirigente e chi ancora e legato non soltanto ai miti, ma anche ai rancori. Questo non sorprende. Però è tanto più necessario che chi ha la responsabilità di guidare illumini gli strati più sordi e non li lasci alloro rancori. E quindi importanti che un’azione di chiarimento ci sia. Il fatto che sul socialismo italiano ci sia silenzio non aiuta quelli che hanno maggiori riserve ad uscire dal loro stato di diffidenza e ostilità. Non aggiunge nulla e toglie molto a questa nuova esperienza politica nella quale si entra se ci si è liberati dalle scorie di un passato che è passato, ma che non deve essere dimenticato. Per potere mettere in archivio la storia bisogna poterla chiarire, spiegare». Questo e un percorso che non si può fare dall’oggi al domani. «Indubbiamente. Infatti io sono molto critico nei riguardi di quelli che dicono che bisogna ancora aspettare. Ma aspettare che cosa? Un chiarimento si fa insieme. E dei tutto illusorio pensare che rinviando questa scadenza di Firenze si possa agevolarne ti percorso e il compimento. Al contrario. Più si rinvia e più i muri diventano alti e le barriere si fanno invalicabili. Non so se questo nuovo partito si farà e si farà come lo vorrei. Ma sono convinto che se non si farà o si farà male non saranno i socialisti o gli ex socialisti ad esserne colpiti. Sarà la sinistra intera che perderà l’occasione di costituire una forza pari per robustezza ed ampiezza, a quella degli altri grandi partiti della sinistra europea.Torniamo alle critiche di quei socialisti che guardano ancora con diffidenza all’idea di fondare, insieme al Pds e ad altre forze della sinistra, un partito più grande e più forte della sinistra. Quanto di queste critiche condivide e non condivide? «Mi trovo d’accordo …

UN RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA E LA POLITICA CULTURALE DEL PCI

di Franco Astengo | E’ uscito recentemente (agosto 2022) un testo di Claudio e Giandomenico Crapis su “Umberto Eco e la politica culturale della Sinistra”. Un testo riferito agli anni ’60 e – in particolare – a due saggi scritti su invito di Mario Spinella da Umberto Eco “sui problemi della cultura di opposizione” e pubblicati da “Rinascita” nell’ottobre del 1963 . Rinascita in quel momento era ancora diretta da Palmiro Togliatti che sarebbe scomparso nell’agosto del 1964. Su quei testi di Eco si aprì un dibattito, in parte riportato nel volume e ,ripubblicando alcuni interventi, gli autori rilevano come risultasse insufficiente la risposta fornita da Rossana Rossanda in quel momento responsabile della commissione culturale del Comitato Centrale: un giudizio di insufficienza rispetto alla capacità di comprensione della modernità che stava incalzando in una fase di dibattito particolarmente “aperto” all’interno del partito e nell’intera sinistra (non si erano ancora spenti i fuochi della dispora verificatasi attorno ad Ungheria ’56, si stava formando il primo governo organico di centro – sinistra e, di conseguenza, si stava per consumare la scissione del PSI che avrebbe originato lo PSIUP). Nel testo di Claudio e Giandomenico Crapis si fa anche cenno al convegno del “Gramsci” del 1962 sulle “Tendenze del capitalismo italiano” nel corso del quale si originò un confronto serrato tra le tesi sostenute da Amendola sul capitalismo italiano “straccione” e una visione contraria di analisi delle innovazioni in corso sostenuta da Trentin, Magri e Foa (naturalmente semplifico per ragioni di economia del discorso). Non intendevo però soffermarmi sul dibattito sorto intorno ai saggi di Umberto Eco ma riferire, invece, di un passaggio evidenziato nel testo di introduzione del volume cui si sta accennando. Con una premessa: Togliatti aveva affidato a Rossanda la direzione della politica culturale del partito a seguito di un netto ripensamento della linea tenuta per tutti gli anni’50 e improntata – anche in questo punto seguo la massima semplificazione – al “realismo socialista” (verrebbe da dire : alla “dottrina Zdanov”) : esempio classico la stroncatura da parte dello stesso segretario generale della mostra tenuta a Bologna nel 1948 da pittori astrattisti(tra i quali Turcato, Vedova, Guttuso) e giudicata “semplici scarabocchi”, oppure la polemica sorta con Massimo Mila e il giudizio togliattiano della musica di Sostakovic come “presa in giro”. Il dibattito seguito all’indimenticabile ’56 (copyright Pietro Ingrao), all’VIII congresso del PCI (codificata la “via italiana al socialismo” nel quadro di una visione multipolare, in risposta all’esito del XX congresso del PCUS) e l’intervista rilasciata – sullo stesso argomento – da Togliatti a “Nuovi Argomenti” aveva portato a una profonda correzione di linea.Dunque in questo quadro si collocava un intervento di Rossanda (1963) all’indomani di una celebre intemerata di Krusciov rivolta verso artisti e scrittori che si orientavano verso estetiche diverse dal realismo socialista (nel novembre del 1957 si era anche verificato il “caso” della pubblicazione in Italia, presso Feltrinelli, del “Dottor Zivago”). L’intervento di Krusciov risultò molto duro (e in apparente controtendenza con aperture procedenti sostenute dallo stesso segretario del PCUS) e Rossanda rispose in questi termini: “Il discorso ci trova molto critici e suscita in noi profonda preoccupazione perché l’unico principio fondamentale che si può rintracciare nell’elaborazione del pensiero socialista da Marx a Lenin a Gramsci, è la reintegrazione dell’uomo come padrone di sé stesso. Aggiungeva Rossanda “La morale marxista non è una morale, ma la fondazione di una possibilità di una morale, di una libertà contro la soggezione dell’uomo. Ancora “Il compito del Partito rivoluzionario non è quello di commisurare la legittimità di questa o quella produzione artistica alla propria elaborazione ma di garantire la fondazione di una cultura e d’una morale come cultura e morale di libertà rinunciando ad ogni concezione subalterna”. Il PCI si trovava all’interno di un travaglio molto complesso e l’improvvisa scomparsa di Togliatti, pochi mesi dopo, avrebbe poi portato a un “assestamento” del gruppo dirigente (nel quale era successivamente scomparso anche Alicata difensore della tesi dell’ortodossia del “realismo”) e a vicende successive che si sarebbe concluse con la radiazione del gruppo del Manifesto di cui Rossanda e Magri rappresentavano i principali esponenti perlomeno sul piano della ricerca teorica e più direttamente politica. Valeva la pena riportare questo passaggio della risposta di Rossanda a Krusciov proprio per cercare di stabilire come, a cavallo degli anni’60 mentre si avviavano a conclusione i “trenta gloriosi”, nella sinistra fosse aperta una discussione di fondo sui termini concreti di ciò che stava mutando nella formazione dell’egemonia e nelle stesse forme di pedagogia politica rispetto alla prima fase della costruzione del partito di massa dalla svolta di Salerno in avanti e ancora successivamente dentro la logica dei blocchi. In conclusione si può forse affermare che nell’immediato prosieguo, tra i primi anni’70 e il successivo periodo caratterizzato dalla presenza della proposta di “compromesso storico” il dibattito interno al PCI e quello rivolto verso gli intellettuali posti alle prese con il tumultuoso modificarsi della società dei consumi e con l’individualismo rampante subì una sorta di torsione “politicista”, del diluirsi di una ricerca rivolta alla “tensione teorica”, quasi di “adeguamento” alla modernità (modernità inclusiva dell’effimero) e di rifugio nell’autonomia del politico e di una sorta di separatezza dalla complessità della ricerca culturale. Forse però questo è un giudizio superficiale ed è il caso, per valutare al meglio, di affidarsi a un eventuale dibattito che risulterebbe non soltanto di retrospettiva. 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UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO PER COMBATTERE UN DECLINO ECONOMICO E LE CONSEGUENZE SOCIALI PESANTISSIME

Condivido ed apprezzo l’articolo di Renato Costanzo Gatti sulla necessità non piu’ rinviabile di avviare un nuovo processo di sviluppo, un obiettivo primario per il “sistema Paese” sul quale la disattenzione del ceto politico è sovrana e sul quale il nostro movimento, per ora solo socio-politico-culturale, dovrebbe spendersi. Rinunciare a questo obiettivo significa abbandonarsi ad un pericoloso declino del nostro sistema economico con conseguenze disastrose sul piano sociale perché nel frattempo la situazione a livello mondiale procede sulla strada del  cambiamento, nel quale o si è protagonisti e si tenta di governarlo in direzione dei nostri interessi (in questo quadro piu’ che come “sistema Italia” ma come parte del “sistema Europa” ) o si subiranno le conseguenze che altri “macrosistemi” imporranno al resto del mondo a vantaggio  dei loro interessi. Il compagno Gatti ha prefigurato i lineamenti di un nuovo possibile modello di sviluppo e non voglio ripeterli  se non per  riproporre all’attenzione qualche ragionamento che ritengo utile ai fini di sviluppare una discussione dentro e fuori del nostro ambito associativo.  Alla Presidente del Consiglio,  che si è abbandonata – come ricordava Gatti – ad un ottimismo di maniera tratto da una valutazione superficiale delle recenti statistiche che vedono una tendenza alla ripresa della crescita superiore a Germania e Francia, paesi leader della UE, ricorderei che l’aumento nazionale  degli indici di produzione e dell’export non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi del 2008/2011 e che il freno  (ma non il calo) di un  debito pubblico “fuori controllo”  è avvenuto a spese della sanità, della assistenza sociale  e del sostegno al reddito dei ceti più bisognosi e piu’ colpiti dalla crisi dei rapporti internazionali. Giova sottolineare – parlando di un nuovo modello di sviluppo – che la buona performance del “sistema Italia sui due fattori economici prima ricordati si deve al contributo (direi straordinario) delle medie imprese mentre – salvo  alcune eccellenze – le difficoltà e i risultati poco edificanti sono causati dalle grandi e piccole imprese (che per il 90% non hanno piu’ di 10 dipendenti). E’ sufficiente ricordare che,  rispetto al 1998, le medie imprese hanno aumentato l’occupazione del 40% e negli ultimi dieci anni la produzione di questo settore è cresciuta del 10% mentre l’intero “sistema Italia” solamente dell’1,4 %, proprio a causa del regresso produttivo delle grandi aziende che hanno registrato anche  un calo dell’occupazione del 13%  imitate dalle piccole che, in buona parte,  laddove è debole la presenza sindacale, ricorrono spesso a rapporti di lavoro non continuativi , alla compressione del personale diretto per procedere all’esternizzazione  produttiva e dei servizi verso  false “partite iva” secondo il vecchio modello “Benetton” del decentramento produttivo per risparmiare sui costi di lavoro alfine di far  quadrare i conti aziendali ma allargando il precariato. Il fenomeno di una grande diffusione delle piccole aziende e dell’artigianato produttivo è un fenomeno tipicamente italiano, ma nella globalizzazione non si compete con imprese di piccole dimensioni, se non in produzioni di “nicchia” purchè  trainate da una presenza non esigua di grandi imprese in funzione di “driver” dell’intero  sistema produttivo. Il “sistema Italia” puo’ contare su quattro grandi gruppi “driver” (ENI, ENEL, FINMECCANICA e FCA ora integrata con la PEUGEOT francese) mentre la Francia puo’ contare su una trentina di aziende “driver” e la Germania sul doppio della Francia! Il compagno Gatti ha spiegato e motivato le ragioni  del superamento della “piccola dimensione” (se non per determinate attività)  e qui entra in gioco il ruolo di regia della funzione pubblica per  un nuovo modello produttivo che richiede grandi investimenti (oltre il sostegno del PNRR), grandi scelte strategiche in particolare per quanto riguarda la promozione e la  diffusione di processi innovativi e tecnologici, della presenza in mercati qualificanti mondiali  e la scelta delle tipologie  produttive del futuro (penso alla transizione energetica e alla “green economy”, alle reti telematiche, etc). Nel secondo dopoguerra, il “miracolo economico” italiano dovuto al prepotente sviluppo delle esportazioni vide una opportuna co-presenza di aziende a PP.SS. e di  aziende private, quest’ultime allocate prevalentemente al Nord ed operanti nei settori dei beni di  consumo di massa, spesso a bassa tecnologia come frigo e apparecchi domestici oppure il tessile-abbigliamento  che avrebbero poi trovato la concorrenza di Paesi emergenti di prima industrializzazione. Le aziende pubbliche hanno dato invece  un notevole contributo con l’industria di base a partire dalla siderurgia e dell’energia, in settori strategici come la telefonia sia per le reti che per la strumentazione, la cantieristica, il materferro, l’avio, l’elettromeccanica pesante e l’elettronica, settori nei quali il capitale privato era debolmente presente o – per scelta – o perché non disposto ad impegnarsi in quanto  cio’ richiedeva molti e duraturi investimenti per competere ad un livello significativo. Senza la presenza delle PP.SS. l’Italia sarebbe rimasta una economia di serie C, a livello dei Paesi emergenti con i quali avrebbe  dovuto competere con la svalutazione continua della moneta e con un regime di bassi salari e di insufficienti tutele sociali per tenere basso il costo del lavoro, oggi condizioni giustamente non più riproponibili. Oggi la riproposizione di uno sforzo notevole di progetti, di idee innovative e di capitali per dimensionare e qualificare la nostra presenza industriale nelle tipologie produttive e dei servizi del futuro richiede  nuovamente un impegno attivo della “sfera pubblica” nel ruolo che le fu assegnato dalle necessità del  dopoguerra non in termini  esclusivi  ma di stimolo e di indirizzo verso quella parte dell’imprenditoria privata che, pur minoritaria, è composta da significative eccellenze come ho all’inizio ricordato,  che va valorizzata e sostenuta con scelte ( anche di natura fiscale) adeguate a fronte però  di un loro preciso  impegno a sostenere obiettivi concreti di sviluppo, di innovazione, di ricadute  positive sul terreno dell’occupazione, di una “buona occupazione”. Dati alla mano i salari medi italiani sono piu’ bassi rispetto ai salari medi europei (sia della UE a 27 che dei paesi della “zona euro”) e di Francia e Germania. Sono poco diversificati tra qualifiche professionali, tra generazioni di lavoratori e tra comparti produttivi e dei servizi. Un sistema contrattuale che copre quasi per intero il …

GLI AIUTI DI STATO 2023

Si parla tanto del reddito di cittadinanza rivolto a cittadini senza lavoro o in condizioni di povertà inabili al lavoro. In tre anni reddito di cittadinanza a 4,65 milioni di persone, spesi 20 miliardi, circa 9 miliardi l’anno. Ma ad agosto il governo Meloni ci libererà da questo onere, ci toglierà le mani dalle tasche.Non altrettanto si parla di quanto ci costa il “reddito di cittadinanza erogato al capitale” ovvero gli aiuti, in particolare a fondo perduto, a vari titoli previsti da varie leggi in vigore. Per avere una idea alla perdita di gettito nel bilancio dello stato relativamente a tutte le agevolazioni fiscali concesse, riporto i dati della “Audizione sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti di imposta” presentata al Senato della Repubblica in data 2 febbraio 2023 fatta da parte di Giovanni Spalletta.I dati di sintesi delle tax expenditures sono i seguenti: Agevolazioni 2017 2018 2019 2020 2021 2022 Numero agevolazioni Erariali 466 513 533 602 592 626 Minor gettito erariale miliardi € 47,8 54,6 61,7 62,4 68,1 83,2 Numero agevolazioni locali 170 197 180 184 129 114 Minor gettito locale miliardi € 39,5 35,3 42,3 44,8 44,2 45,4 TOTALE NUMERO AGEVOLAZIONI 636 710 713 786 721 740 TOTALE MINOR GETTITO MILIARDI € 87,3 89,9 104 107,2 112,3 128,6 Minor gettito in rapporto al PIL 5,0% 5,1% 5,8% 6,5% 6,3% 6,8% Il mondo del lavoro potrebbe utilizzare questi aiuti alle imprese per cogestire con l’imprenditore una innovazione o una nuova iniziativa, cercando cioè di appropriarsi della conoscenza delle opportunità offerte dalla legge ed utilizzarla per forzare una cogestione con l’imprenditore garantendo all’iniziativa responsabilità e compartecipazione. E se, come suggeriscono i compagni toscani (Filippo Vasco e soci), questi contributi divenissero “fondi comuni dei lavoratori”? I CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO I contributi a fondo perduto sono delle attribuzioni di denaro in favore di persone fisiche o imprese che non prevedono l’obbligo di restituzione del capitale erogato né dei relativi interessi. Ecco perché si chiamano “a fondo perduto”. Per l’assenza di un obbligo di rimborso, tra l’altro, l’ente erogatore (Regione, Comune, Camera di Commercio, Ministero ecc.) non pretende alcuna garanzia né una previa valutazione della disponibilità reddituale. I contributi erogati alle imprese sono, inoltre, non imponibili fiscalmente. Attualmente sono attivi diversi bandi per contributi a fondo perduto 2023 dedicati a giovani, donne, imprese, partite iva e differenti categorie distinguibili a livello territoriale e non. Un insieme di agevolazioni particolarmente consistente, soprattutto grazie alle risorse messe in campo dal PNRR nel corso del 2022 e per gli anni successivi. Andiamo a vederli nel dettaglio. 1) ON OLTRE NUOVE IMPRESE A TASSO ZERO “ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero” è l’incentivo per i giovani e le donne che vogliono diventare imprenditori. Le agevolazioni sono valide in tutta Italia e prevedono non solo un contributo a fondo perduto ma anche un finanziamento a tasso zero per progetti d’impresa con spese fino a 3 milioni di euro. L’agevolazione può coprire fino al 90% delle spese totali ammissibili. 2) RESTO AL SUD 2023 Resto al Sud 2023 sostiene la nascita e lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali e libero professionali nel Sud Italia, nelle aree del cratere sismico del Centro Italia, nelle isole minori marine, lagunari e lacustri del Centro Nord. L’incentivo è riconosciuto per il 50% sotto forma di contributo a fondo perduto e per il restante 50% come finanziamento bancario ed è destinato a chi ha un’età compresa tra i 18 e i 55 anni e i fondi disponibili ammontano a 1 miliardo e 250 milioni di euro. 3) CULTURA CREA 2.0 Cultura Crea 2.0 è l’incentivo che sostiene la nascita e la crescita di imprese e iniziative no profit nel settore dell’industria culturale, creativa e turistica, che puntano a valorizzare le risorse culturali nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Anche questa misura si compone di una parte di contributo a fondo perduto e di una parte di finanziamento a tasso agevolato. Le risorse finanziarie attualmente disponibili ammontano a circa 54 milioni di euro. 4) FONDO PMI CREATIVE Uno degli incentivi alle imprese del 2023 più inclusivi è il fondo “Imprese Creative”. L’agevolazione assume la forma di contributi a fondo perduto e del finanziamento agevolato anche in combinazione tra loro. Si rivolge alle imprese del comparto creativo, costituite da meno di cinque anni o a imprese ancora non costituite. 5) FONDO IMPRESA DONNA Fondo Impresa Donna è un’agevolazione che prevede contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati per lo sviluppo delle imprese femminili. 6) CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO CON CONTRATTI DI SVILUPPO Con lo strumento dei contratti di sviluppo si rendono anche operativi gli interventi del Ministero dello Sviluppo Economico previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), al fine di sostenere la competitività del sistema produttivo con la realizzazione di progetti su tutto il territorio nazionale. Il programma di sviluppo oggetto del contratto può essere di tipo industriale, turistico, di tutela ambientale o relativo al settore della prima trasformazione dei prodotti agricoli, oltre alla realizzazione di infrastrutture di pubblico interesse. 7) CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO IMPRESE AGRICOLE Con questa misura le micro, piccole e medie imprese agricole possono richiedere agevolazioni previste dal Fondo per gli investimenti innovativi relative alle attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Gli incentivi sono concessi nella forma esclusivamente di contributo a fondo perduto per l’acquisto e l’installazione di nuovi beni strumentali, materiali e immateriali, che dovranno essere utilizzati soltanto nelle sedi o negli stabilimenti delle imprese situate sul territorio nazionale. 8) BANDO ISI INAIL 2023 Con il bando ISI INAIL 2023 le imprese e gli Enti del Terzo Settore possono richiedere contributi a fondo perduto per attivare diversi progetti in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro con spese che vano dai 1.000 ai 130.000 euro. Rinnovata ogni anno, la procedura di domanda è disponibile prima dell’estate. 9) ACCORDI PER L’INNOVAZIONE Con lo strumento dell’accordo per l’innovazione possono beneficiare delle agevolazioni le imprese di qualsiasi dimensioni che esercitano attività industriali, agroindustriali, artigiane o di servizi all’industria. Gli aiuti, …

SE IL PSI AVESSE ASCOLTATO LOMBARDI

di Antonio Giolitti | Uno scritto del compianto compagno Antonio Giolitti, in memoria di Riccardo Lombardi a pochi giorni dalla sua scomparsa | UBIQUITA’ e isolamento sembrano due caratteristiche coesistenti, e apparentemente contraddittorie, nella personalità politica di Riccardo Lombardi. La sua presenza di militante, di leader, di interlocutore, è stata attiva e costante su tutto l’arco della sinistra, come dirigente del Partito d’Azione e poi del Psi, come ascoltatore attento, osservatore penetrante e critico acuto del Pci e di gruppi e individui fuori dei partiti. Instancabile e spesso implacabile. E tuttavia isolato, nonostante le amicizie profonde e durature che aveva saputo suscitare e coltivare (tra le quali credo di poter annoverare, con commozione, anche la mia). Isolato perchè eretico e indocile riguardo alle liturgie e alle servitù imposte dai riti partitici (sempre insofferente, ricordo, di quelle che egli chiamava le “litanie” sciorinate dai microfoni); ma soprattutto, direi, perchè refrattario a quella sorta di sciovinismo di partito che è andato imperversando da quando – come ha osservato recentemente Asor Rosa su queste colonne – ogni partito pensa anzitutto ai fatti propri, “ognuno per sè, e tutti contro tutti… neanche l’ombra di un cosiddetto interesse generale”: neppure – aggiungo io – quella di un interesse generale della sinistra, che era invece la motivazione permanente e profonda dell’ impegno politico di Riccardo Lombardi. Era quello per lui il pensiero dominante e il criterio guida, in funzione dell’alternativa e perciò della capacità di governo della sinistra. Una endiade, questa, inscindibile: vana l’idea dell’alternativa se non associata a capacità di governo; vana questa se non al servizio dell’alternativa di sinistra come componente essenziale dell’ingranaggio democratico. Dunque, capacità di governo da valere e da verificarsi in rapporto agli obiettivi di riforma; perciò ci volevano – come egli amava dire – Nsocialisti ministri e non Nministri socialisti. Tre momenti della sua lunga e tormentata vicenda politica mi sembrano significativi rispetto a quanto ho appena annotato. ALL’ INIZIO degli anni 60 Lombardi intraprese insieme con un piccolo gruppo, del quale io mi trovai a far parte, un lavoro estremamente intenso, direi quasi accanito, di preparazione alla partecipazione di “socialisti ministri” al governo di centro-sinistra: analisi di problemi, elaborazione programmatica di obiettivi, priorità, linee di azione. Era un primo tentativo di riformismo operante e non vociferante. Il centro-sinistra doveva esser messo alla prova oltre che come formula politica (secondo la massima della “politique d’ abord” cara a Pietro Nenni) anche come terreno di sperimentazione della capacità di governo di un partito socialista che tale prova intendeva affrontare non solo per se stesso ma per tutta la sinistra (di proposito evito di scrivere “in rappresentanza” di tutta la sinistra, perchè posta in questi termini la pretesa sarebbe stata eccessiva). Per questo insistemmo tanto nel rifiuto della cosiddetta “delimitazione della maggioranza”, e cioè della formula morotea che significava rigetto pregiudiziale dei voti comunisti anche se aggiuntivi a quelli di una maggioranza autosufficiente. Per questo non approvammo, nella famigerata “notte di San Gregorio”, un programma di governo che ci sembrava fragile e sdrucciolevole per le sue reticenze e ambiguità. Grazie a questa gravidanza difficile il primo centro-sinistra nacque come esperimento che poteva e doveva essere interessante per tutta la sinistra: ma il Pci non volle e non seppe comprendere il significato e le possibilità di quella audacia lombardiana. Da allora Riccardo Lombardi assunse la leadership di un gruppo che andò via via prendendo distanze sempre maggiori dalla coalizione di governo e quindi dalla maggioranza del partito. La differenziazione si accentuò, fino a diventare opposizione, di fronte alla progettata unificazione tra Psi e Psdi. Opponevamo a quella operazione tre obiezioni fondamentali. Si presentava come un accordo tra i vertici, arrogante nei confronti della manifesta indifferenza e diffidenza della base, da realizzarsi in termini di “fifty-fifty”, con la conseguenza, chiaramente prevaricante, di spostare sensibilmente verso il centro la collocazione del partito socialista. Altra conseguenza, e seconda obiezione, era l’irresistibile scivolamento del partito socialista sul versante della coalizione di governo con la Dc in posizione subalterna e irreversibile, che significava rinuncia a esercitare un ruolo nella sinistra per l’alternativa. La terza e non minore obiezione risaliva alla differenza, ormai incolmabile, nella concezione stessa del socialismo, nel modo d’ intendere e di mettere in pratica la ragion d’ essere di un partito socialista. Negli ultimi anni l’ubiquità di Lombardi nel dialogo con tutte le componenti della sinistra è stata particolarmente feconda, ma al tempo stesso si è accentuato, all’ interno del Psi, il suo isolamento, in seguito al dissolvimento della cosiddetta corrente di sinistra nella unanimità intorno al nuovo leader. Volatilizzato ogni dissenso e spento ogni dibattito, era rimasta, isolata ma non smorzata, la voce stimolatrice, critica e se necessaria fustigatrice di Riccardo Lombardi. Certo, la scelta più chiaramente e nettamente autonomista che dalla fine del 1976 ha caratterizzato la linea politica del Psi era condivisa da Lombardi. Ribadiva la scelta occidentale e riformista. Offriva una prospettiva di rinnovamento e di rilancio per tutta la sinistra. Potevano derivarne, nelle condizioni concrete della politica italiana, due linee di azione per il Psi: si poteva spendere l’autonomia per acquistare maggior peso in un rapporto di alleanza con la Dc, da equilibrare mediante un rapporto più stretto con i partiti “laici”, e dare così al paese una garanzia di stabilità democratica, di moderato riformismo, di una capacità di governo coerente con obiettivi di lungo periodo; oppure si poteva esplicitamente e lealmente, facendo prendere atto dei vincoli imposti dal ruolo storico del partito socialista e dalla peculiarità della situazione politica italiana (bipolarismo incombente), perseguire una “doppia linea”, cioè una strategia di lungo periodo mirante all’ alternativa democratica di sinistra e di medio periodo derivante dalla responsabilità di assicurare al paese un governo democratico hic et nunc. E’ questa, per così dire, l’ambiguità oggettiva imposta al partito socialista dall’ ambiguità storica di un partito comunista permanentemente alla ricerca di una terza via tra una esecrata socialdemocrazia e un inaccettabile socialismo reale: la necessità, cioè, e quindi l’ambiguità, di assumersi la propria parte di responsabilità di fronte al problema della “governabilità” …