CONVEGNO DI SABATO 11 FEBBRAIO AD UMBERTIDE SU “AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA”

COMUNICATO STAMPA Quattro sonori NO al disegno di legge del Governo Meloni-Calderoli che disgregherebbe l’Italia e i fondamentali diritti e servizi, tra i quali la sanità e la scuola, sono venuti dalle quattro Associazioni che si sono incontrate a Umbertide per iniziativa di Marco Locchi dell’Associazione UMBERTIDE PARTECIPA. L’autonomia regionale differenziata, nella versione del disegno di legge approvato il 2 febbraio dal Consiglio dei Ministri è un’organica sconnessione dei diritti di cittadinanza e creerà disparità fra cittadini e cittadini sol perché hanno una diversa residenza regionale. Lo hanno evidenziato subito Cesare Carini, che ha diretto il dibattito, e Marco Locchi che ha segnalato le conseguenze negative che tale riforma avrebbe in particolare per la realtà di Umbertide . I relatori, Mauro Scarpellini, Margherita Raveraira, Mauro Volpi e Lucia Marinelli hanno dettagliatamente illustrato responsabilità e pericoli evidenti. I dubbi sulla costituzionalità sono molti. Nessun dubbio, invece, sui danni che causerebbe un’autonomia senza controllo e il trattenere risorse finanziarie nelle Regioni più ricche al di fuori di ogni logica gestionale e costituzionale. Gli esponenti delle ASSOCIAZIONI SOCIALISMO XXI SECOLO, del MOVIMENTO DELLE IDEE E DEL FARE e l’ASSOCIAZIONE GIORGIO CASOLI  hanno dichiarato l’impegno a sostenere l’iniziativa per una legge di iniziativa popolare – proposta dal COORDINAMENTO DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE – invitando a firmare la proposta per riportare in Parlamento la discussione e modificare le norme che creano ingiustizie e danni. Di notevole spessore gli apporti dei Sindaci di Gubbio Filippo Stirati, di Ficulle Gian Luigi Maravalle e del Presidente del Consiglio comunale di Città di Castello Luciano Bacchetta che hanno evidenziato con competenza le problematiche reali che dovrebbero essere affrontate in luogo di quel disegno di disgregazione che il Governo e la maggioranza di destra stanno portando avanti. L’esperto Lucio Caporizzi e, concludendo il convegno Aldo Potenza, hanno dimostrato come la struttura di ripartizione delle risorse tributarie – secondo il disegno di legge – sia al di fuori di una gestione di risorse finanziarie per lo sviluppo dell’intero Paese e l’Umbria sarà tra le Regioni che verranno penalizzate.   “SOCIALISMO XXI UMBRIA” “UMBERTIDE PARTECIPA”, “MOVIMENTO DELLE IDEE E DEL FARE” “ASSOCIAZIONE G.CASOLI” SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LOMBARDIA E LAZIO 2023: VOLATILITA’ E ASTENSIONISMO

di Franco Astengo | I media mainstream stanno davvero rendendo un cattivo servizio all’informazione presentando l’esito delle elezioni regionali di Lombardia e Lazio (febbraio 2023) in termini di vittoria e sconfitta sulla base di percentuali di voto: sicuramente ci sono degli eletti che disporanno di quote di potere ma l’esito di questa tornata elettorale ha messo in mostra un ulteriore elemento caratterizzante le difficoltà del sistema politico italiano.ù Elemento di difficoltà che deve essere analizzato con grande attenzione. Certamente una molteplicità di fattori influiscono sul dato generale: le elezioni Regionali assieme alle Europee sono quelle che meno attraggono l’elettorato; le liste degli aventi diritto al voto (diversamente da quanto avviene per le elezioni politiche) comprendono le elettrici e gli elettori residenti all’estero che non possono così votare e altri elementi di tipo tecnico). Il ruolo delle Regioni sfugge sempre di più al comune cittadino che osserva e – nonostante il peso che un tema delicato come quello della sanità, di cui la gran parte della titolarità spetta alla Regione, ricopra nella vita quotidiana – l’Ente Regione è visto semplicemente come Ente di spesa e di nomina. Tutte motivazioni sacrosante, ma il punto sta da un’altra parte. La novità che presenta l’esito elettorale delle elezioni regionali 2023 di Lazio e Lombardia è quello di un evidente incanalarsi della volatilità elettorale verso l’astensionismo in dimensioni di massa. Fin qui c’era stata una ricerca del “nuovo” passando in rassegna tra il 2014 e il 2018 ogni possibile nuova soluzione avanzata di volta in volta sull’onda di un crescente populismo: Renzi 2014, Cinque stelle 2013, 2018, Lega 2019. Già il successo di Fratelli d’Italia alle elezioni politiche 2022 aveva registrato un forte arretramento di consenso per il partito capace di assumere pro-tempore la maggioranza relativa: erano stati 11 milioni i voti per il PD (R) alle europee 2014, scesi a 10 milioni per la vittoria a 5 stelle nel 2018, poi 9 milioni per l’exploit della Lega dei “pieni poteri” (Europee 19) mentre Fdi si è limitato (2022) alla maggioranza relativa con soli 7 milioni di voti mentre il partito di maggioranza uscente ne perdeva 6 milioni e l’astensione saliva di 4 milioni di unità. Adesso tra Lazio e Lombardia è successo questo: tra il 2022 (settembre) e il 2023 (febbraio), Celso Ghini mi perdonerà l’obbrobrio comparativo, il partito di maggioranza relativa scende, in Lombardia da 1.396.089 voti (18,60% sul totale degli iscritti nelle liste) a 725.402 ( 9,05 % sul totale degli iscritti nelle liste, quindi un dimezzamento reale di rappresentatività). Nel Lazio succede questo: a settembre FdI ottiene 851.348 voti (19,56% sul totale degli iscritti nelle liste) a febbraio 2023 il partito di maggioranza relativa si ferma a 519.633 voti (10,84% sul totale degli iscritti). Il totale dei voti validi (esclusa astensione, schede bianche e nulle) assomma in Lombardia a 3.245.754 voti per i candidati presidenti e 2.881.164 per le liste circoscrizionali (rispettivamente 40,51% e 35,96%); alle elezioni politiche 2022 i voti validi furono 5.058.848 (60,7%); nel Lazio 1.734.472 voti per i candidati presidenti (36,38%) e 1.545.785 vioti per le liste circoscrizionali (32, 26%); alle politiche 2.707.954 voti validi (62,23%). Non sono proponibili comparazioni per i presidenti eletti essendo passata una vera era geologica tra il 2018 e il 2023, però può essere interessante far notare come Fontana sia stato rieletto in Lombardia con 1.774.477 voti rispetto ai 2.793.369 voti nell’elezione precedente (1 milione di voti in meno); nel Lazio Rocca ha avuto 934.614 voti contro il milione diciottomila settecento trenta sei di Zingaretti nel 2018: quindi con una quota che può essere considerata di “tenuta” anche se in leggero calo rispetto ai voti ottenuti da Parisi nel 2018 (il candidato sconfitto del centro – destra ottenne 964.757 voti). Rispetto al risultato delle regionali lombarde del 2018 da notare che Gori fu sconfitto con 1.643.614 voti (20,84% sull’intero corpo elettorale) ridotti nel 2023 a 1.101.417 per Majorino (13,74% dell’intero corpo elettorale). A questo punto non si intende ovviamente porre in discussione la legittimità degli eletti a ricoprire il loro ruolo: ma il fatto che il presidente eletto nella Regione della Capitale rappresenti il 19,50% dell’intero elettorato dovrebbe porre qualche problema a una classe politica che parla di conferme e rafforzamenti. Il calo della partecipazione al voto è costante, nella storia del sistema politico italiano, a partire dal 1979 e il fenomeno ha anche travolto nel suo inter un istituto come quello del referendum abrogativo: inizialmente acuti analisti giudicarono il fenomeno come segnale della “maturità” della nostra democrazia, finalmente uscita dalla fanciullezza delle “conventio ad excludendum” e pronta per bipolarismo e alternanza (correva a quell’epoca il racconto del presidente degli Stati Uniti che alla fine veniva eletto dal 25% della popolazione). Adesso ci troviamo ben al di sotto della soglia di guardia con la novità di un fenomeno come quello della volatilità elettorale, sviluppatosi in Italia in tempi recenti, che pare proprio volgersi nella crescita esponenziale dell’astensione indebolendo ulteriormente un sistema politico già reso fragile dall’inconsistenza dei soggetti politici rappresentativi rispetto al loro radicamento territoriale e alla loro capacità di svolgere una funzione (che rimane indispensabile di pedagogia politica). Sempre svolgendo comparazioni un tempo giudicate improprie è il caso di far notare che, tra le politiche 2022 e le regionali 2023 le “alleanze variabili” non hanno funzionato per i contraenti: il Terzo Polo in Lombardia aveva ottenuto alle politiche 513.620 voti, ridotti a 122.356 in occasione della presentazione autonoma alle regionali (la coalizione con Letizia Moratti ha avuto 275.008 voti per le liste e 320.346 suffragi alla candidata); nel Lazio, presentazione differenziata rispetto alla Lombardia in alleanza con il PD, da 231.295 voti a 75.272 (nel 2021 la candidatura Calenda al Comune di Roma ebbe 219.878 voti, con 193.477 alla lista). Eguale sorte per il Movimento 5 stelle: Lombardia alleanza con il PD alle regionali (113.229 voti, alle politiche 2022 370.336); nel Lazio presentazione autonoma con candidatura Bianchi per 132.041 voti alla lista (politiche 400.825). Con il M5S nel Lazio presente anche una costola del movimento rosso verde con 18.727 voti. Infine …

IL MODELLO DI SVILUPPO

Come sta andando la nostra economia? La presidente Meloni, in una recente intervista, si dichiara ottimista sul futuro del nostro paese che, secondo lei, ce la può fare, ed aggiunge che il paese “è in una situazione più solida di quanto alcuni vogliono far credere”. E a quelli che ha spesso chiamato “gufi”, rinfaccia lo spread, “sceso in cento giorni da 236 a 175 punti base, con la Borsa che ha registrato un aumento del 20% e Banca d’Italia che stima per il secondo semestre 2023 l’economia italiana in netta ripresa”. Al di là della domanda se si tratti di ripresa o rimbalzo, al di là degli indici scelti per disegnare una situazione ben più complessa, l’intervento della presidente sollecita una riflessione seria e critica sulla situazione della nostra economia e sul modello di sviluppo (posto che ce ne sia uno) che stiamo percorrendo. Sviluppo e declino del sistema economico italiano Facendo un po’ di storia dell’economia del nostro paese, leggiamo, per esempio, in un articolo di Renata Targetti Lenti apparso su “Il politico”, che “Le tendenze di lungo periodo suggeriscono che l’attuale crisi economica italiana non è il risultato di un ciclo economico sfavorevole o della crisi economica e finanziaria mondiale. Invece, la crisi dell’Italia accompagnata da un persistente rallentamento della crescita economica è soprattutto il risultato di carenze e impedimenti strutturali decennali. Molti fattori spiegano perché e come l’Italia abbia sperimentato per decenni una crescita economica lenta e una produttività sempre più non competitiva. (…) Dopo una rapida crescita economica guidata dalle esportazioni negli anni ’50 e ’60, l’attenzione alla crescita economica guidata dalle esportazioni è diventata un problema e un ostacolo nei decenni successivi. La crescita trainata dalle esportazioni ha favorito il consolidamento di un sistema produttivo incentrato su piccole e medie imprese manifatturiere, molte delle quali concentrate nel Nord Italia. Tali imprese avevano bisogno di bassi costi di manodopera, risorse naturali ed energia a buon mercato per sopravvivere in un contesto internazionale sempre più competitivo. (…).  Dopo la crisi petrolifera degli anni ’70 fino all’inizio degli anni ’90, l’Italia è riuscita a rimanere competitiva a livello internazionale grazie alla regolare svalutazione della lira italiana. Oggi, a causa dell’adesione dell’Italia all’Euro, questo tipo di adeguamento non è più possibile. Alla fine degli anni ’80 si interrompe il percorso di convergenza verso altri paesi europei. Il peso di un debito pubblico in aumento, la composizione distorta della spesa pubblica, il declino del settore manifatturiero del Paese e gli investimenti insufficienti in ricerca e sviluppo hanno avuto un impatto negativo e duraturo sulla competitività del Paese. (…). Una classe dirigente orientata soprattutto ai profitti a breve termine invece che a impegni e guadagni a lungo termine, non ha saputo e non ha voluto adottare le necessarie riforme strutturali. Per rilanciare la crescita dell’economia italiana occorrono non solo nuove ed efficaci politiche monetarie e fiscali, ma anche e soprattutto modifiche alle politiche amministrative e industriali del Paese per ridurre i vari tipi di dualismo: dualismo tra nord e sud del Paese, tra industrie che utilizzano e non utilizzano tecnologia avanzata, tra lavoratori regolari e precari, tra grandi e medio-piccole imprese, tra lavoratori anziani relativamente protetti e giovani non protetti. “ Esaminiamo alcune cifre che ci danno un’idea del declino del nostro sistema economico. La crescita media annua dell’Italia tra 1995 e 2007 è analoga a quella della Germania (1,5% contro 1,6%), mentre è inferiore, ma non di molto, rispetto a quella della Ue tra 1995 e 2001 (1,7% contro 2,4%). La divergenza tra l’Italia, da una parte, e la Ue e soprattutto la Germania, dall’altra, inizia dopo l’introduzione dell’euro, accelera con lo scoppio della crisi nel 2007-2008, ma si approfondisce solamente a partire dal 2011. Ad ogni modo, tra 2007 e 2017, l’Italia decresce mediamente per anno dello 0,6%, mentre la Ue cresce dello 0,8% e la Germania dell’1,2%. “Nel corso dei passati dieci anni il prodotto interno lordo è aumentato in Italia meno del 3 per cento; del 12 in Francia…”; così la Relazione 2011 della Banca d‟Italia, a commento della scarsa crescita che ci distingue da lungo tempo. Il Governatore poteva ricordare anche il +9% della Germania e ci ha risparmiato i ben più consistenti sviluppi del trio di Paesi che ebbe a indicare come benchmark nella sua prima relazione, quella del 2006: Svezia +22%, Finlandia +20%, Regno Unito +15%. Il crollo causato dalla crisi del 2007 si riflette nelle cifre sopra riportate; negli anni successivi al 2011 (data della relazione della Banca d’Italia sopra ricordata), le cose non sono migliorate, anzi con l’avvento della pandemia si è registrato un ulteriore crollo che si sta recuperando con il rimbalzo di questi ultimi recenti anni. Fatto sta che il PIL attuale è ancora inferiore a quello del 2007. Pare che i fattori da tenere in considerazione, per analizzare le ragioni della crisi che stiamo attraversando, siano i seguenti: mercantilismo o sviluppo interno; dimensione delle imprese; produttività e questione salariale, politica industriale. Vediamo di approfondire allora questi fattori: Mercantilismo o sviluppo interno Negli anni del miracolo economico si è sviluppato un modello che, sintetizzando, privilegia la propensione all’export piuttosto che puntare allo sviluppo della domanda interna. La differenza consiste nel fatto che l’export viene conquistato con una competitività fondata sul basso costo della mano d’opera o quando questa lievita, con la svalutazione della lira. Lo sviluppo della domanda interna si scontra con un insolubile conflitto, ovvero la singola impresa tende a comprimere i salari dei propri dipendenti sperando o contando sul fatto che le altre imprese aumentino i loro salari creando quindi quella domanda interna che si auspica. Il mantenimento di bassi salari è lo strumento da adottare per consentire alle imprese di conservare la competitività sui mercati interni ed esterni. La scelta di puntare su un export basato sul basso costo della mano d’opera comporta la conseguenza di scegliere un’area di prodotti a bassa tecnologia che evitino investimenti in ricerca ed innovazione e comporta anche il fatto che i concorrenti siano paesi emergenti dove però il costo della mano d’opera è ancora più basso. Una scelta del genere, se …

IL SILENZIO DEGLI ELETTORI

Cresce ancora l’astensione! Secondo il poco conosciuto, ma rilevantissimo documento che ispirò Gianni Agnelli e che ha condizionato le scelte politiche di mezzo mondo, “Crisis of governability e crisis of democracy”, si deve correggere l’eccesso di partecipazione e debilitare, scoraggiare o delegittimare i movimenti di protesta. “L’argomento esplicitamente usato è che il declino della partecipazione non è soltanto desiderabile, ma segno della funzionalità del sistema; l’apatia è indice di buona saluta delle Istituzioni democratiche” Seguono le indicazioni politiche da adottare: “Le democrazie che hanno il baricentro nel Legislativo (Parlamento) anziché nell’Esecutivo (Governo) sono per loro natura più esposte a produrre uno Stato caricato di funzioni sociali, proprio perché la loro tenuta dipende fortemente dal consenso sociale e strutturata dai partiti. “ Questa condizione secondo il documento in questione è una aberrazione della democrazia, un circolo vizioso. Quindi bisogna ridurre le politiche sociali ( sanità, pensioni ecc); rendere meno influenti i corpi intermedi; sulla partecipazione si è già riferito. Non vi pare che anche la così detta sinistra si sia fatta promotrice di queste aberranti idee? Infatti cos’altro è la riduzione della rappresentanza prima nei comuni, poi nelle regioni ed infine nel Parlamento? E che dire delle Province ridotte ad inutili orpelli istituzionali? Che dire della distruzione e demonizzazione dei partiti che ha lasciato lo spazio alle organizzazioni prevalentemente costruite sui leader in larga parte diventati comitati elettorali? Come altro si possono definire le iniziative volte alla promozione delle privatizzazioni anche nel campo della sanità? Tutto ciò, e altro ancora, ha allontanato l’elettorato della sinistra con il risultato che alcuni elettori si sono convinti che l’originale, la destra, è meglio delle imitazioni, altri, invece, si rifugiano nell’astensionismo, non trovando una proposta politica davvero alternativa alle attuale offerta della sinistra. “Il silenzio degli elettori” però non va trascurato. Lo spirito di adattamento degli italiani (De Rita 2015) “è stato l’elemento che ha consentito di fronteggiare le difficoltà, ma si sono prodotte trasformazioni sociali radicali nel modo di essere collettivo ed individuale.” La principale di queste trasformazioni è la polarità odiosa che si è creata nel corpo sociale tra i pochi privilegiati e i molti in difficoltà; tra una oligarchia politica ed economica che si riproduce all’infinito, e un popolo frustrato dal senso di impotenza per quanto poco riesce ad incidere sulle decisioni che lo riguardano . Il silenzio degli elettori rischia di trasformarsi sempre di più e di coltivare sentimenti come la rabbia, lo spirito di rivolta, così cresce la radice psicologica del populismo su cui possono nascere avventure che possono mettere in discussione le stesse Istituzioni democratiche. Zigmunt Bauman avvertiva che “la principale vittima della disuguaglianza che si approfondisce sarà la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza e di vita dignitosa, sempre più scarsi, ricercati ed inaccessibili, diventano oggetto di rivalità brutali tra privilegiati e bisognosi lasciati senza aiuto” Non è forse giunto il momento, prima che sia troppo tardi, di rinnovare la sinistra, di riscoprire le giuste intuizioni socialiste aggiornando programmi e idee che fecero diventare civile e moderno il nostro Paese? Socialismo XXI ci sta provando da anni che aspettano gli altri? Il tavolo di concertazione che accoglie chiunque voglia costruire un nuovo partito di ispirazione socialista è stato avviato il 21 gennaio di quest’anno. E’ l’occasione da non perdere se davvero si vuole salvare il Paese dal disastro e offrire una speranza agli elettori. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LAZIO E LOMBARDIA: IL PESO DELL’ASTENSIONISMO

di Franco Astengo | Senza attendere l’esito (abbastanza scontato) della suddivisione dei voti tra i candidati e le liste vale la pena analizzare subito il dato dell’astensionismo registrato nell’occasione delle elezioni regionali di Lazio e Lombardia del 12 e 13 febbraio. La ragione principale per muoversi in anticipo risiede nel fatto che in questa occasione la volatilità elettorale che negli anni scorsi aveva fatto trasmigrare la maggioranza dei suffragi di fiore in fiore (numericamente sempre in discesa) questa volta, confermando la tendenza già segnalata in occasione delle elezioni politiche, si è tradotta in una astensione mai così massiccia: in Lombardia e Lazio ,infatti, nel giro di pochi mesi (dal 25 settembre 2022) sono mancati alle urne quasi 3 milioni di elettrici ed elettori passando da 8.021.809 partecipanti al voto su 11.856.262 aventi diritto a 5.116.029 partecipanti al voto su 12.803.129 aventi diritto (alle regionali gli iscritti all’estero sono compresi nelle liste mentre in occasione delle elezioni politiche sono iscritte nelle liste delle circoscrizioni estero). Se ci riferiamo all’intero territorio nazionale rileviamo che tra le elezioni politiche 2018 e quelle politiche 2022 sono mancati al voto circa quattro milioni di elettrici ed elettori (con il partito uscito dall maggioranza relativa nel 2018 in calo di sei milioni di voti); adesso siamo a tre milioni di astenuti in più in due regioni che rappresentano circa il 24% del corpo elettorale ( la proiezione porterebbe a una astensione collocata a livello nazionale all’incirca sui 12.000.000 di astenuti in più: politiche 2022, Italia, non votanti 16.666.364 ). Nel Lazio hanno partecipato al voto 1.782.834 elettrici ed elettori. Questi i dati delle precedenti tornate: Regionali ’18: 3.181.235; Europee ’19 2.493.616; Politiche ’22 2.761.648 (circa un milione di elettrici ed elettori in meno da Settembre 2022 a Febbraio 2023). In Lombardia hanno partecipato al voto 3.333.195 elettrici ed elettori. Questi i dati delle precedenti tornate: Regionali’18: 5.762.849; Europee ’19 4.997.986; Politiche ’22 5.260.161 ( in questo caso poco meno di due milioni di elettrici ed elettori). Le elezioni regionali assieme a quelle europee rappresentano ormai da molto tempo il punto più debole nella partecipazione al voto tra le diverse tipologie di tornate elettorali: in questa occasione però la diserzione dalle urne assume ancora di più un significato particolare trattandosi del primo voto – post pandemia riguardante l’Ente che ha la maggiore responsabilità nella gestione delle risorse in campo sanitario. Ormai le Regioni sono viste come un Ente di distribuzione e di nomine assolutamente estraneo alla condizione materiale di vita delle persone. Questo esito non pare proprio, in sostanza, un buon segnale per l’autonomia differenziata anche se i primi dati sembrano indicare una affermazione dei candidati di centro – destra. Dal punto di vista della partecipazione elettorale l’analisi conclusiva non può però che considerare questo esito come un ulteriore indicatore di crescente debolezza del sistema; un segno evidente di difficoltà democratica verso il quale le forze di maggioranza e di opposizione non possono rispondere rifugiandosi nell’autonomia del politico e in una governabilità sempre più fittizia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SUL GREEN DEAL INDUSTRIAL PLAN LA MELONI HA RAGIONE

Il green deal industrial plan Riepiloghiamo: gli USA, campioni di democrazia e liberismo, stanziano 370 miliardi di dollari da erogare a chi acquista auto elettriche, pannelli fotovoltaici, pompe di calore, altri strumenti atti a combattere il surriscaldamento globale oltre a sussidi alle imprese operanti nel settore a condizione che beni e imprese siano MADE IN USA. Dare un bonus ai beni prodotti localmente corrisponde a mettere dazi sui beni di importazione; con ciò si ripudia la libera concorrenza internazionale e si innesca un meccanismo destinato a peggiorare la già grave situazione internazionale. Ho già scritto sull’argomento, ma ci ritorno per commentare quello che è successo al consiglio europeo del 9, 10 febbraio in relazione a questa tematica. Viene presentato un GREEN DEAL INDUSTRIAL PLAN che dovrebbe provvedere a contrastare l’attività imperialistica degli USA: si pensa ad un piano simile al NGEU che utilizzi eurobonds o fondi inutilizzati del NGEU o del Repower EU, per costituire un fondo disponibile per finanziare iniziative europee. Il progetto non è ancora ben definito sia su come gestire il fondo con i singoli paesi sia sulle modalità di utilizzo di questi fondi. Su questo argomento tornerò in chiusura di articolo. Il piano è solo accennato e di lunga gestazione, la Germania propone in alternativa l’allentamento degli aiuti di stato al fine di contrapporre ai dazi americani equivalenti dazi europei. E’ evidente che l’allentamento degli aiuti di stato, oltre a costituire una violazione del libero scambio come finora santificato dall’UE, riguarda i singoli stati e non l’Europa come complesso unitario; è altrettanto chiaro che gli aiuti di stato potranno essere erogati a consumatori e/o imprese dei singoli stati nella misura in cui ciò sia compatibile con la situazione di bilancio del singolo paese; ciò significa che chi ha un bilancio con poco debito può aiutare la vendita e l’esportazione dei beni prodotti in misura ben maggiore di quanto possa permettersi un paese (come l’Italia) con un bilancio extra-addebitato e quindi impossibilitato a elargire aiuti di stato. Pare evidente che la soluzione GREEN DEAL INDUSTRIAL PLAN è più “europeo” della proposta tedesca, e mi sento di sostenere la posizione di Giorgia Meloni che ha lottato, con poca fortuna, contro la proposta tedesca. Gli aiuti di stato Quando poi si parla di aiuti di stato val la pena ricordare che essi sono comunque aiuti dati dallo stato al capitale in due modalità: o regalando ad esempio 4.000€ a chi compera ad esempio una Volkswagen elettrica o concedendo un sussidio all’impresa che produce prodotti green. Le due modalità hanno effetti diversi: promuovendo la domanda da parte dei consumatori o migliorando la finanza (investimenti e innovazione) delle imprese. Il destinatario finale rimane sempre il capitale. Per quanto riguarda i sussidi alle imprese essi possono essere di tre tipi: ● Prestito a medio lungo termine a tasso vicino allo zero; ● Sussidio a fondo perduto a favore delle imprese; ● Partecipazione statale nell’impresa beneficiata. Nel primo caso la comunità dei contribuenti regala gli interessi al capitale senza contropartita; nel secondo caso la comunità regala al capitale fondi capitali senza alcuna contropartita; nel terzo caso la comunità, come un qualsiasi investitore, eroga capitale sociale all’impresa in cambio di azioni dell’impresa beneficiata, e ciò con tutti i diritti spettanti ad un socio. La strada seguita negli USA e già seguita in Europa, sarà probabilmente la strada del sussidio a fondo perduto (vedansi ad esempio i sussidi 4.0 Calenda) che tradotto in termini marxiani significa che il reddito prodotto dal lavoro, assorbito dallo Stato a mezzo imposte, viene appropriato dal beneficiario ovvero dal capitale. Si tratta quindi di appropriarsi del plusvalore prodotto dal lavoro ed erogarlo gratuitamente al capitale. Si tratta in altre parole dell’appropriazione del plusvalore tramite fiscalità. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONVEGNO SUL TEMA: LAVORO, DIRITTI, INNOVAZIONE E AMBIENTE

Località: Piombino 14 Aprile 2023 La riunione di oggi, nasce in relazione ai bisogni del lavoro, elemento autorevole della nostra Costituzione e centrale per la dignità delle persone, oltre a essere elemento qualificante per ogni Paese civile e determinante per lo sviluppo sociale ed economico per ogni popolo del nostro pianeta. Socialismo XXI, con questa iniziativa, ritiene di affrontare uno dei problemi politici, economici e sociali del nostro Paese, in quanto elemento importante per la dignità dell’uomo e della donna, per la loro indipendenza e la propria libertà, nella scelta di ogni singola persona, che vuole emanciparsi nella società, sul piano sociale, civile ed economico. Il lavoro, ha il potere di mettere la persona come capitale di se stesso e del proprio Paese, renderla eguale nei diritti e nei doveri, gestire la propria famiglia con rispettabilità e onore, creare un equilibrio di civiltà nel rapporto con gli altri componenti della società, realizzare la crescita sociale ed economica del Paese. Il lavoro quindi, per tutte le persone e segno di serenità e benessere, ma per essere tale deve disporre di alcuni servizi e garanzie, che solo lo Stato, con la sua legislazione e nelle regole della democrazia, deve creare e costruire, insieme ai soggetti interessati, parti sociali, imprenditori e lavoratori. Con questa iniziativa, noi vogliamo indicare alcune prerogative necessarie, al fine di qualificare il lavoro, sia per chi lo da (l’imprenditore), sia per chi lo riceve (il lavoratore), ma nella chiarezza dei ruoli e dei compiti che ogni soggetto svolge. Uno di questi elementi, anche a causa delle nuove tecnologie e della robotizzazione dei processi produttivi, può essere lo Statuto dei lavori, dove ogni soggetto stia nella chiarezza delle parti in essere, sviluppando i compiti e il ruolo dell’imprenditore (sia esso singolo o associato), i compiti e il ruolo del lavoratore autonomo, compiti e ruolo del lavoratore dipendente; chiarito questi aspetti importanti, lo Statuto dei lavori, deve definire le salvaguardie e i diritti dei soggetti ed eventuali penalità, in relazione alla gravità dei fatti. Lo strumento, dello Statuto dei lavori, è o dovrebbe essere, una concreta salvaguardia delle professioni, ma anche un mezzo di controllo da parte dei cittadini e dello Stato. Un altro elemento importante, per gli imprenditori, gli autonomi e i lavoratori, è la Formazione professionale, fattore fondamentale per fare incontrare domanda e offerta del lavoro, ma per essere tale, deve avere la forza di fare convivere il mondo del lavoro, una scuola qualificata, istituti di formazione professionale, centri per l’impiego, capaci di dialogare tra loro e attraverso le tecnologie, avere elementi che si incontrano,  per produrre un normale incontro tra la domanda e l’offerta del lavoro. Diritti e formazione, possono essere, insieme alla tecnologia e alla robotica, lo stimolo ad una migliore e maggiore Produttività, sia nei posti di lavoro che si perdono, sia per i nuovi posti di lavoro che si creano, tutto ciò in un rapporto con la competitività e la concorrenza del mercato e lo sviluppo economico del Paese. Inoltre, per una migliore qualità e quantità produttiva, è importante superare l’attuale sistema Kenesiano, utilizzando i fondi dello Stato, che sono tasse dei cittadini e che vengono erogati alle aziende, in funzione di fondi comuni dei lavoratori, per una partecipazione alla gestione industriale, affinché proprietari e lavoratori abbiano interessi comuni, allo sviluppo e alla crescita dell’azienda. In relazione alla perdita e alla creazione di nuovi posti di lavoro, sappiamo che le nuove tecnologie e la robotica, riducono l’impegno diretto dell’essere umano, quindi come è già avvenuto nel secolo scorso, si dovrà andare alla Riduzione dell’orario di lavoro, una riduzione dell’orario, che per il maggiore tempo libero dei cittadini, potrà rappresentare origine di nuovi lavori e una vita sociale migliore per tutti, imprenditori, autonomi, lavoratori, invalidi e pensionati. Per di più sappiamo, che crescita economica, tecnologia e robotica, devono e possono plasmare, una crescita sana dell’ambiente, sviluppando tutte le diversità per produrre nuove energie rinnovabili e creando nuovi lavori, superando le materie fossili e andando incontro alla natura della madre terra. Oltre a ciò sappiamo che la maggiore produttività, è legata alla possibilità di distribuire un maggiore Salario, adeguato e in rapporto al costo della vita, consapevoli che questo può produrre benessere per tutti, in particolare alla nostra economia, ma anche alla creazione di migliori rapporti sociali, capaci di rendere meno grave i fenomeni di truffa e delinquenza comune, aspetto che crea molta apprensione nella società di oggi. Queste nostre prerogative, illustrate brevemente, che possiamo sintetizzare in lavoro, innovazione ambiente e diritti, vogliono essere uno stimolo alla vostra attenzione, ma anche sviluppare un dibattito sulle vostre ragioni e considerazioni, al fine di arricchire il nostro e il vostro bagaglio, nella speranza, che tutto ciò possa essere utile, a fare crescere l’Italia, unita da Sud a Nord, nell’uguaglianza, nella giustizia e nella libertà. Con questo, Socialismo XXI della Toscana, ringrazia i partecipanti e altri che non   potranno essere presenti, rinnovando un carissimo saluto e un augurio di buon lavoro a tutti gli interessati ai problemi del lavoro. Argomenti: 1) Statuto dei lavori, diritti e doveri; 2) Formazione professionale e Scuola; 3) Produttività, Tecnologia, robotica e ambiente;  4) Riduzione degli orari di lavoro; 5) Salario adeguato al costo della vita.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UMANESIMO SOCIALISTA

La miopia di comprendere il presente per costruire il futuro dipende da una crisi del pensiero umano e da un certo sonnambulismo, sempre piu’ generalizzato. La complessita’ del momento, di comprendere il presente, ha determinato la vittoria delle destre in Italia e in Europa, la paura “dell’ altro”, i timori per un futuro sempre piu’ incerto, tra crisi economica e sociale, e degrado ambientale.Si tratta di una riflessione che riguarda la sinistra italiana. E non solo. La crisi dei partiti di sinistra, inarrestabile, sembrerebbe, è anche la crisi della democrazia, che imperversa in tutto il mondo. Una crisi che è dentro l’umanita’. L’obiettivo e’ un nuovo umanesimo. Un umanesimo universale, necessario per il progresso e la sopravvivenza dell’ umanita’. Un obiettivo fondamentale per civilizzare la Terra, Noi tutti. Un obiettivo indispensabile per la politica che aspiri al benessere sociale. Cerchiamo di svegliare le nostre coscienze. Prima che sia troppo tardi. La crisi dei partiti di sinistra e’ soprattutto una crisi di pensiero: in Italia oramai e’ diventato complicato distinguere la sinistra dalla destra quando si percorrono strade comuni. Quando la precarieta’ sostituisce la certezza (es.jobs act); quando i diritti sono annichiliti dal mercato e dal capitale. Quando l’individuo viene trasformato in una macchina. Quando la crescita economica e’ deregolamentata, provocando la devastazione ambientale che e’ sotto gli occhi di tutti. Una sinistra non puo’ tollerare che cio’ avvenga. E sta accadendo proprio ora. La crisi di identita’ della sinistra in Italia e’ oramai un processo irreversibile. Ma si puo’ cambiare rotta se riscopriamo e valorizziamo certi principi. Se mettiamo al centro dell’ azione politica l’uomo e l’ambiente. Appunto, abbiamo bisogno di un umanesimo universale per superare le enormi contraddizioni della nostra epoca e se riteniamo di ricostruire una identita’. Di sinistra, ovviamente. La risposta noi di Socialismo XXI l’abbiamo. Da molto tempo. Le radici del socialismo, o i suoi valori (liberta’, pace, lavoro, ecologia, pari opportunita’, lotta al precariato e alle disuguaglianze sociali, una sanita’ pubblica efficiente, un’ istruzione veramente inclusiva, tutela della democrazia, transizione ecologica) sono prodromici alla costruzione di un nuovo soggetto politico in Italia di ispirazione che racchiuda in un’unica prospettiva lavoro, ecologia,giustizia sociale. Un impegno estenuante, ma necessario, da portare avanti con tutti coloro che ritengono sia arrivato il momento di tornare all’umanesimo socialista. Di avere una identita’. Per superare la crisi dei nostri giorni. Siamo investiti tutti, nessuno escluso, di una grande responsabilita’ verso noi stessi, ma soprattutto verso il nostro Paese. Il momento e’ questo. Tutti insieme possiamo costruire cio’ che da decenni manca in Italia, ma dobbiamo essere capaci di oltrepassare quei dualismi, quelle incomprensioni, quelle pregiudiziali, che non conducono da nessuna parte e che in questi anni hanno provocato solo macerie politiche: dall’ antipolitica alla nascita di movimenti del leader, fino a rincorrere il liberismo. Occorre un nuovo umanesimo per rilanciare la sinistra in Italia con la nascita di un forte, identitario, unitario, soggetto politico di ispirazione o di orientamento socialista, con una visione internazionalista della societa’ e del mondo che aspiri al progresso e alla sopravvivenza del genere umano. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DESTRA E ALTERNATIVA

di Franco Astengo | Merita uno spunto di approfondimento la ricerca sull’estrema destra italiana (FdI e Lega) condotta dalla Fondazione Ebert-Sitfung e riportata dal mensile “Domani Politica” nel suo numero di febbraio 2023. E’ il caso di riportare 3 punti compresi nel testo in questione riguardanti il “fenomeno” Fratelli d’Italia: formazione che promette di mantenere per un certo periodo l’egemonia dello schieramento di destra (non più definibile di centro – destra) che sta governando il nostro Paese: 1) l’autodefinizione di “conservatore di destra” come identità di gran parte dell’elettorato di questo partito (83,5%) mentre soltanto il 10,4% lo considera fascista o post – fascista (nella considerazione dell’insieme dell’elettorato questo dato si sposta al 55, 1% per “conservatore di destra” e al 27,8% per “fascista o post fascista”); 2) La natura del personale politico di Fratelli d’Italia (dimostratosi capace di sfruttare al meglio il fenomeno emergente, almeno nel sistema politico italiano, della “volatilità” elettorale) mostra che lungi dall’essere irrilevanti come predicevano alcuni nei decenni trascorsi i partiti continuano ad essere l’attore centrale della politica; 3) l’orientamento complessivo dell’agenda programmatica del nuovo partito di maggioranza relativa sulla scena italiana può essere riassunta con la formula dello “statalismo – nativismo” che riguarda le finalità degli interventi di spesa pubblica che non deve avere come priorità la riduzione delle diseguaglianze socioeconomiche (tema che è ritenuto prioritario soltanto dal 15,3% dell’elettorato di FdI, mentre lo ritiene tale il 32% dell’elettorato del PD e il 50% di quello di Sinistra Italiana). Questo significa che l’intervento pubblico nell’economia è considerato utile se serve a proteggere o garantire determinate categorie sociali in un’ottica più distributiva che redistributiva. Così lo “statalismo – nativismo” salda il nesso tra lo Stato racchiuso nell’idea del governo direttamente misurato con il popolo verso cui “elargire” (presidenzialismo) e la cosiddetta “autonomia differenziata” destinata appunto a “proteggere” economicamente e culturalmente le identità locali. Come fanno notare gli analisti italiani che hanno presentato la ricerca della Fondazione Ebert gli analoghi dati fin qui riferiti all’elettorato di FdI e riguardanti, invece, l’elettorato leghista segnalano una distanza minima tra questo e la base di FdI fotografando così una destra radicale ideologica con orientamenti “interventisti” nel settore economico e attitudini “nativiste” o nazionaliste per quanto riguarda il campo dei diritti civili e sociali. Tutto questo si traduce in espressioni di logiche protezioniste, pseudo populiste e para – razziste. In politica estera emerge un’ostilità alla prospettiva di autonomia europea e in una sorta di riedizione della retorica del “mondo libero” che affida alla NATO a guida USA il ruolo di “gendarme della democrazia” (il MSI ebbe, dopo un diverso periodo iniziale, un atteggiamento analogo e l’idea del “mondo libero” anticomunista sembra rimanere come elemento di continuità con la formazione neo-fascista operante nel nostro Paese dagli anni’40 a quelli ’90). Analizzata la destra quali indicazioni per la sinistra ? 1) Appare evidente l’emergere di una “radicalità delle contraddizioni” che toglie spazio a posizioni di equilibrio centrista di risistemazione di tipo “pivotale” nel sistema politico (come ambirebbero fare Italia Viva, Azione, pezzi di Forza Italia e del PD): in questo senso la capacità di interpretazione della fase da parte della destra è apparsa, nel corso di questi anni, paradossalmente molto più “moderna” di quella dei progressisti e dei presunti liberali legati ai vecchi schemi da una parte del “reaganismo” e dall’altro della “terza via” blairiana; 2) Per la sinistra assumono una valenza quasi identitaria alcuni temi che nei tempi più recenti si sono affrontati sempre con una certa difficoltà: quello europeo assunto acriticamente senza riaprire il punto della democrazia europea e quello del welfare universalistico considerato in una visione che scolasticamente potremmo definire “socialdemocratica” (elemento praticamente abbandonato al termine dei “trenta gloriosi”); 3) Cresce ancora d’importanza il tema della strutturazione politica intesa come esigenza di definizione di una forma-partito fondata, dentro a una precisa collocazione sociale, sulla capacità di comprendere i termini culturali, sociali, di impatto sulla comunicazione e sulla vita quotidiana dell’innovazione tecnologica adattandone i termini in una funzione pedagogica di massa. Si tratta di parlare a tutti disponendo però di una definizione della propria visione della società e della pluralità delle appartenenze, facendo valere la “diversità” come fattore di non semplice aggregazione del consenso elettorale. La prospettiva che emerge da questo tipo di analisi è quella di una definizione dell’alternativa come vero e proprio progetto di sistema, non confinata all’interno di ristrette logiche di immediata convenienza. Però sotto questo profilo la sinistra italiana denuncia una grave carenza di soggettività adeguata nella sua capacità di profilare un compiuto disegno politico. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PEGGIO DI COSI’ SAREBBE STATO DIFFICILE

Convegno sull’Autononomia Regionale Differenziata, Umbertide (PG) 11 febbraio 2023 | Noi siamo contro lo sgretolamento dell’unità nazionale. L’articolo 5 della Costituzione dice che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”  Leggiamo le parole “decentramento amministrativo”, non leggiamo “decentramento per realizzare uno Stato quasi federale”. Non vado oltre sugli aspetti costituzionali perché lo faranno molto bene fra poco i miei Colleghi relatori subito dopo di me. Io vi trasferisco una ricostruzione storica,  osservazioni e considerazioni e non farò sconti ad alcuno. I Presidenti delle Giunte regionali dell’Umbria e delle Marche, Catiuscia Marini e Luca Ceriscioli il 12 luglio 2018 scrissero insieme una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte iniziando il percorso istituzionale per una maggiore autonomia dal Governo centrale e dal Parlamento, seguendo l’articolo 116 della Costituzione, come modificato nel 2001 all’interno del Titolo V della stessa. I due Presidenti si adagiarono su una possibilità astratta di sviluppo autonomo dovuto a nuove autonomie conseguibili. Un po’ di storia occorre. La modifica del Titolo V della Costituzione fu votata da una maggioranza parlamentare nel 2001 composta da una coalizione di Ulivo, di Comunisti italiani, di Udeur. I partiti di centro-destra votarono contro perché erano all’opposizione ma, in effetti, vedevano legiferare un complesso di loro obiettivi che ora intendono realizzare avendo la maggioranza parlamentare. Il Governo in carica era guidato da Giuliano Amato, allora indipendente scelto dai DS. Quella maggioranza parlamentare modificò la Legge Costituzionale n. 3/2001 [riforma Titolo V della Costituzione (artt. 114–132 Cost.)] perché voleva seguire e inseguire la Lega Nord sul federalismo e sull’autonomia, sperando in un recupero elettorale a danno della Lega. Le materie erano quelle che allora la Lega sosteneva invocando anche e soprattutto la secessione dall’Italia. Insomma la Costituzione usata non affermare principi e valori ma per conquistare subito voti. Era il periodo anche di spinte di poteri forti che sostenevano che in Europa gli Stati erano superati come dimensione adatta allo sviluppo e occorreva passare alle economie regionali sviluppate, quindi la Catalogna fuori dalla Spagna, la Lombardia fuori dall’Italia e così proseguendo, che sarebbero state felici isole di sviluppo integrate tra loro. La maggioranza di allora fu rapita da questo contesto : inseguimento della Lega Nord e nuovo sviluppo neoliberista per aree e non per Stati. L’aver fatto quelle modifiche con la maggiore autonomia possibile ad alcune Regioni a statuto ordinario può influenzare e modificare tanto i principi di parità dei diritti di cittadinanza degli italiani quanto il godimento di alcuni fondamentali servizi pubblici nazionali, come, ad esempio, la scuola pubblica e la sanità in modo più evidente e grave. Ci sono utilità e disutilità nel maggiore decentramento di funzioni verso le Regioni. Il decentramento può avvicinare il governo locale ai cittadini, favorendo il controllo della spesa da parte dei cittadini stessi, per cui gli amministratori eletti si dovrebbero sentire più attenti e responsabili nelle scelte e nelle decisioni; questo in teoria. Al contrario la distribuzione di competenze può creare diseconomie di scala; può determinare forme di iniquità fra cittadini nel godimento di servizi sociali essenziali e incentivare un fenomeno conosciutissimo, quello della mobilità dei cittadini per ricevere le prestazioni sanitarie. Conosciamo bene il fenomeno dei pazienti che da determinate Regioni vanno a farsi curare in altre. Le Province di Bolzano e Trento e le Regioni Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia hanno una media dei livelli pro-capite di spesa pubblica corrente ed in conto capitale che sono nettamente superiori alla media nazionale per il finanziamento di favore che hanno queste Regioni. E’ ciò ha fatto nascere un altro fenomeno poco conosciuto, la richiesta di trasferimento di Comuni da una Regione ad un’altra. Il Comune di Sappada ha ottenuto di passare dal Veneto al Friuli Venezia Giulia nel 2017 per star meglio, proprio perché quest’ultima Regione è a statuto speciale e gode di trattamenti che non ha la confinante Regione Veneto a statuto ordinario ed è rimasto anche nella Comunità montana precedente, quella del Cadore. I Comuni di Cortina d’Ampezzo, di Livinallongo del Col di Lana e di Colle Santa Lucia – tutti in provincia di Belluno –  iniziarono a chiedere di passare dal Veneto alla Provincia autonoma di Bolzano nel 2007 e nel settembre scorso – visti i sondaggi elettorali nazionali che preannunciavano la vittoria della coalizione nazionale di destra – hanno rilanciato la richiesta sostenuta peraltro da un referendum consultivo locale, ovviamente favorevole, fatto nel 2007. Quei Comuni hanno già nominato i loro rappresentanti nel comitato referendario che sostiene il passaggio alla Provincia autonoma di Bolzano. Non vogliono perder tempo. Questi fatti avvengono se c’è differenziazione regionale ed è la prova che non volere la differenziazione è un atto di responsabilità. La riforma costituzionale del 2001 ha ridotto la differenza fra le competenze delle Regioni a statuto speciale e ordinario; le disparità nelle modalità di finanziamento di queste Regioni permangono. La riforma del 2001 prevede che possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario ulteriori competenze in 23 materie elencate all’articolo 117 della Costituzione; alcune sono perfino fra quelle di esclusiva potestà statale. Sulle 23 materie – cosiddette della potestà legislativa concorrente – vi riferisco, per ragioni di tempo, solo tre voci per esemplificare l’incongruenza di quel che hanno fatto con quell’elenco. Tutela e sicurezza del lavoro : si potranno raggiungere condizioni di tutela e di prevenzione da malattie professionali e da infortuni diverse da Regione a Regione. Non so cosa accadrebbe al cittadino se cambiasse residenza regionale. Istruzione : non so immaginare cosa potrà generare il pluralismo educativo regionale; ci torno fra poco e meglio di me ne parlerà la professoressa Lucia Marinelli. Previdenza complementare e integrativa : sono tipici strumenti dello stato sociale di una comunità nazionale che diventerebbero strumenti di differenziazione, di vantaggio o svantaggio, di disuguaglianza sociale ed economica solo in base alla residenza dei cittadini senza, peraltro, la garanzia di possedere i requisiti demografico-attuariali tecnicamente indispensabili per l’equilibrio di …