FINANZIARIA E PIANO SETTENNALE
Ho sempre sostenuto che questo governo si sarebbe trovato in grosse difficoltà nel predisporre la finanziaria per il 2025 e, dopo la sospensione per il Covid, con il piano di rientro del debito da programmare per i prossimi sette anni. Noi ci troviamo con un debito che sfiora i tremila miliardi di euro, siamo sotto procedura europea per eccesso di deficit, siamo in grossa difficoltà produttiva, le previsioni di andamento del PIL sono, come dice Prodi, dello zero virgola. Dobbiamo quindi ridurre il debito, ma per ridurre il debito dobbiamo passare da un bilancio in deficit a uno con risparmio primario (cioè senza considerare gli interessi), oppure (o contestualmente) dobbiamo incrementare il PIL di modo che il rapporto debito/PIL migliori. Ma per aumentare il PIL dobbiamo fare investimenti, spendere cioè dei soldi che necessariamente vanno ad incrementare il deficit. Sono obiettivi che richiedono interventi che confliggono l’uno con l’altro e che comunque devono fare i conti con le pretese dei partiti al governo: chi vuole anticipare la possibilità di andare in pensione, chi non vuole che si tassino i super profitti, chi non vuole sentir pronunciare la parola “SACRIFICI”. Insomma non invidio Giorgetti. Vediamo allora di esaminare i vari possibili interventi: ● Il debito a fine 2023 era pari al 134.8 del PIL e siamo richiesti di ridurlo di un punto percentuale di PIL per ogni anno fino alla fine del piano settennale. La riduzione del tasso debito/PIL si ottiene o riducendo il debito o (magari contestualmente) aumentando il PIL. ● La riduzione del debito richiede che annualmente si generi un avanzo primario (al netto cioè degli interessi) e tale riduzione si ottiene o aumentando le entrate o (magari contestualmente) riducendo le uscite. ● L’aumento delle entrate si ottiene con tre azioni: combattere l’evasione fiscale, aumentare le imposte e le tasse oppure vendendo i gioielli di famiglia. ○ Sul fronte dell’evasione fiscale non vedo nelle azioni del governo un programma preciso. Eppure nel programma di governo di due anni fa c’era l’indicazione di utilizzare in modo proficuo l’Intelligenza Artificiale che, utilizzando tutte le banche dati a disposizione del governo, potesse, individuare scompensi significativi tra spese e redditi dichiarati (o non dichiarati) dal contribuente. Ricordo che l’evasione si aggira sui 90/100 miliardi annui e che quindi, oltre a combattere un furto evidente, la lotta all’evasione darebbe un buon contributo ai nostri conti. Ricordo ancora che con provvedimenti seri, come quello della fatturazione elettronica ideata da Vincenzo Visco ed attuata dal governo Renzi, si è potuto abbattere in buona misura l’evasione dell’IVA e conseguentemente quella delle imposte sui redditi. Ci sono altre proposte, sempre di Visco, che potrebbero essere attuate se ci fosse la volontà politica. ○ Aumentare le imposte. Da anni, su questo fronte vige il motto “meno tasse per tutti”, smentendo l’opinione di un ministro delle finanze che riteneva che le imposte fossero un chiaro esempio di solidarietà nazionale. Tutti i partiti rifiutano di ricorrere a questo mezzo che è ritenuto un sicuro vulnus contro il consenso elettorale: mai aumentare le tasse se non si vogliono perdere voti. Chi veramente può ricorrere a questa scelta è il governante cui non interessa il consenso; generalmente quando servono azioni anche impopolari si ricorre al “governo tecnico” (vedi Dini, Monti, Draghi) che affronta il problema senza preoccupazioni elettorali e imposta azioni più o meno condivisibili ma efficaci per raggiungere lo scopo. Classico esempio è la riforma Fornero, contestata eternamente da quel buffone di Salvini ma che contribuisce a rimediare ai problemi della finanza pubblica. A questo proposito si parla di “aumentare le tasse” quando si prospetta la revisione del valore catastale degli immobili che hanno ristrutturato ricorrendo al bonus 110%. ○ Ebbene se chi ha ricorso al superbonus ha incrementato il valore del suo fabbricato e di conseguenza dovrebbe pagare più imposte (se dovute) basate sul valore catastale dell’immobile, non può inquadrarsi nella fattispecie dell’aumento delle imposte. Mi spiego, se mi hanno promosso a dirigente e quindi mi hanno aumentato lo stipendio, pagherò certamente più tasse ma non perché hanno aumentato le imposte ma perché è aumentata la base imponibile su cui applicare le imposte. Se quindi con soldi che lo stato mi ha regalato ho ristrutturato casa e quindi la casa ha un maggior valore, non mi hanno aumentato le tasse, ma hanno applicato le imposte dovute su una maggior base imponibile. Diverso è il caso in cui il governo Draghi (guarda caso un governo tecnico) ha modificato l’art. 67 del Tuir, rendendo tassabile la plusvalenza realizzata dalla vendita di un immobile che abbia goduto dei benefici del superbonus anche se la casa è posseduta da più di 5 anni dal momento dell’acquisto. In questo caso sì esiste una nuova imposta; non nel caso della rivalutazione catastale dell’immobile il cui valore è obiettivamente aumentato. Al proposito c’è da chiedersi perchè tutti i possessori di edifici il cui valore commerciale è decisamente e permanentemente aumentato (vicinanza di una stazione metro, essere locati nei pressi di Piazza Navona, godere di una situazione commercialmente richiesta) non abbiano richiesto la revisione della rendita catastale che comporta un aumento dell’IMU se dovuta e delle imposte di successione. ○ Ma un sistema per aumentare il gettito fiscale sarebbe quello di tornare al dettato costituzionale della progressività delle imposte, progressività che opera solo nei confronti di lavoratori dipendenti e pensionati ma che è stata eliminata (regalo elettorale) a tanti soggetti con l’introduzione della flat tax, che il programma di questo governo vorrebbe estendere a tutti, mandando il paese allo sfascio. ○ Vendere i gioielli di famiglia: si parla delle privatizzazioni, quelle che in abbondanza furono eseguite dal governo Prodi, più che per ragioni di riduzione del debito, per seguire una ideologia libero-mercatistica di dubbia efficacia economica. Ebbene, questo governo sta vendendo quote di Poste Italiane e di Eni al fine di recuperare fondi con cui ridurre il debito pubblico. Lo Stato mantiene comunque la “golden rule”, ovvero il potere di guidare le scelte di questi investimenti strategici, ma perde, negli anni futuri, dividendi derivanti dalle sua partecipazioni azionarie; …