LAVORI DI APERTURA DEL TAVOLO DI CONCERTAZIONE

Foto del Gruppo di lavoro di Socialismo XXI Centro Congressi iCavour – Roma 21 Gennaio 2023 | La riunione si apre alle ore 11:00, con inizio degli interventi alle ore 11:30. Il Presidente Luigi Ferro espone brevemente la finalità della giornata odierna. Ricorda gli interventi pervenuti per iscritto dei compagni Achille Occhetto, Franco Astengo e dei giovani della FGS. Successivamente, nell’ordine prendono la parola i compagni: Felice Besostri (Costituzionalista). Il compagno Besostri sottolinea l’inesistenza, ad oggi, di un partito adatto a dare una risposta ai problemi della nostra società complessivamente intesa. È necessario fondare un soggetto nuovo e unitario come nel 1892 quando venne fondato il Partito dei Lavoratori. Rifiuta qualsiasi aggregato delle singole personalità del fu PSI. Altresì, non va ri-fondato alcunché, perché sarebbe un ri-fare quello che è già stato fatto. È necessario fare qualcosa di nuovo. Vincenzo Lorè (Socialismo XXI). Espone una breve sintesi del lavoro svolto dal 2016. Oggi proponiamo il METODO Epinay che deve passare attraverso il Tavolo di concertazione. Gaia Celeste (Possibile). È necessario approfondire l’idea gramsciana della cultura della subalternità. La sfida futura è parificare tutte le discriminazioni. Aldo Potenza (Socialismo XXI). Espone una breve sintesi sulla genesi di Socialismo XXI. Afferma che continuare a firmare documenti senza dargli delle gambe sarebbe un delitto che non ci verrebbe perdonato. Pone la domanda retorica se qualcuno pensa davvero che il PD sia in grado di contrastare le destre. Oggi è l’inizio di un lavoro che non obbliga nessuno, ma chi vi aderisce deve farlo con serietà. Noi ci siamo e voi? Pietro Folena. Dobbiamo lavorare per unire. Sostiene lo spirito di Aldo Potenza. L’anomalia italiana è l’assenza di una forte formazione socialista radicata nel popolo. C’è un vuoto politico, ma anche culturale, democratico e morale. Un’opportunità ci sarà alle prossime elezioni europee. Svolge una riflessione sullo sfruttamento del lavoro digitale. Daniele Delbene (Domani Socialista). Per anni si sono susseguite iniziative volte a mettere assieme i pezzi del passato. Socialismo XXI non l’ha fatto. Ha fatto invece, un passo in avanti indicando la creazione di un soggetto nuovo. Incentra il suo intervento sull’assunto: la sinistra o è socialista o non è. Svolge alcune riflessioni sul tema del lavoro, in particolare sulla riduzione dell’orario di lavoro. Anna Falcone (Coordinamento Democrazia Costituzionale). Riconosce il merito di Socialismo XXI di aver insistito nella sua iniziativa. È necessario identificarsi con delle battaglie identitarie focalizzandosi su singoli temi a carattere sociale. Non abbiamo bisogno di altri maestri liberali. Svolge un’ampia disamina della situazione politica europea, afferma che l’Europa deve stabilizzarsi sul tema dei diritti. Vincenzo Vita (ARS). Ritiene le nostre parole condivisibili e ci attribuisce il giusto spirito. Sottolinea la necessità di ricostruire una teoria politica, non una tattica politica. È rappresentate dell’associazione ARS e ci tengono a rimanere in contatto con noi. Saremo invitati al loro congresso di marzo prossimo. Gerardo Labellarte (PSI). È rientrato nel PSI. Oggi viene in rappresentanza del PSI, il quale prova simpatia per le nostre iniziative e aderisce al nostro percorso. Svolge il resto dell’intervento parlando in qualità di singolo compagno. Ripercorre i tentativi di ricomporre l’area socialista degli ultimi 20 anni e afferma che, oggi, è necessario superare la piccolezza delle associazioni, ci siamo divisi in corpi minimi e autoreferenziali. Umberto Costi (Partito Socialdemocratico). Non è d’accordo col metodo Epinay, non essendoci associazioni socialiste significative. Preferisce sostenere l’elaborazione di una proposta politica da proporre all’elettorato. Svolge un dotto intervento sulle basi teoriche e sulle figure chiave del socialismo democratico italiano ed europeo. Luigi Ferro (Socialismo XXI), conclusioni. Oggi è stato avviato il Tavolo di Concertazione. Dobbiamo dare al Paese un punto di riferimento, soppiantando la logica liberale. Il primo step di oggi ha prodotto molto, adesso si tratta di concretizzare, senza primogenitura. Oggi nasce la discussione. Dobbiamo costruire, non rifondare. Gli intervenuti hanno dimostrato buona volontà per costruire un’alternativa. Considerazioni Il progetto è stato avviato. Il lavoro da fare è impegnativo, sia a livello nazionale, sia locale. Ci sono molte questioni politiche che possono essere affrontate collegialmente: Il contrasto all’autonomia differenziata; La questione del presidenzialismo. Il contrasto contro la privatizzazione della sanità, solo per citare alcune questioni di impegno comune. A nostro avviso, un modo per costruire gradualmente un’azione comune che potrà essere accompagnata anche da una elaborazione di una piattaforma teorico-politica capace di definire il socialismo di questo secolo. Auspichiamo che altri soggetti organizzati possano accantonare improvvisazioni e indeterminatezze. Socialismo XXI, in questi anni, ha dimostrato coerenza e tenacia affinché si costruisca finalmente in Italia, un partito dotato di identità culturale definita e di una progettualità programmatica.Questo è la finalità per la quale abbiamo da sempre lavorato.L’avvio c’è stato, per il resto ci impegneremo con la determinazione e l’entusiasmo di sempre. Gli Interventi CONTRIBUTI ALLEGATI: Achille Occhetto Franco Astengo FGS – Federazione Giovani Socialisti Galleria Relatori SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COSTITUZIONALE

di Franco Astengo | La questione costituzionale è sicuramente il tema politico più importante del momento. Un tema aperto in una dimensione dirompente, ancora diversa rispetto a esperienze del passato, con l’avvento del governo di destra. I punti fondamentali sono 3: la forma di stato, la forma di governo, l’amministrazione della giustizia. Tre punti sui quali in diverse occasioni le forze costituzionali hanno ceduto il passo attuando o cercando modifiche profondamente sbagliate (titolo V, articolo 81, composizione del Parlamento, modifica di strutturazione politica nel sistema delle autonomie locali) soltanto per inseguire vagheggiamenti di alleanze improbabili oppure per star dietro all’esigenza di privilegiare la governabilità abbattendo il ruolo del Parlamento. Svolgo soltanto due esempi: nel 2001 il governo di centro-sinistra attuò la riforma del titolo V al fine di realizzare un rapporto con la Lega Nord che attraversava in quel momento la fase della “devolution”; nel 2020 il centro-sinistra, al governo con il M5S, si è acquattato sulla modifica del numero dei parlamentari allo scopo di stabilire una relazione stabile con quel Movimento. Il risultato finale di quelle operazioni è stato: nel 2022 in una occasione elettorale di vera e propria “svolta critica” entrambi i soggetti, Lega e M5S hanno direttamente in un caso e oggettivamente in un altro, favorito l’ascesa al potere di un partito di evidente derivazione post-missina (ribadisco: post – missina e non genericamente post-fascista). Adesso l’attacco a punti fondamentali della nostra Carta Fondamentale è sferrato da una coalizione di governo formata da soggetti estranei alla fondazione della Repubblica: 1) il MSI da cui deriva FdI risultava ovviamente escluso da quello che era definito “l’arco costituzionale” (di cui il PCI era un pilastro fondamentale) ed egualmente subiva “la conventio ad excludendum“; 2) Forza Italia (attraverso la quale è stata superata la “conventio ad excludendum verso i missini) è stata fondata da un appartenente alla Loggia P2. Loggia P2 nata – tra le altre questioni – proprio per scardinare l’impianto costituzionale e spostare l’asse istituzionale del Paese in senso autoritario; 3) La Lega Nord è nata per sovvertire l’impianto unitario del Paese (anche sfruttando errori gravi compiuti proprio dall’arco costituzionale nel definire l’assetto delle Regioni) attraversando varie fase nella propria impostazione politica: federalismo (imparato da Salvadori e dal Melone triestino), secessione, devolution. E’ questo il quadro politico dentro al quale nasce il progetto di scardinamento dell’impianto costituzionale che pure in passato è stato sottoposto a prove molto difficili di tenuta, uscendone ammaccato ma sostanzialmente integro nei punti fondamentali. Sono questi gli elementi, specificatamente politici, dei quali tener conto ragionando sul tema della qualità dello scontro in atto e delle eventuali alleanze da stabilire in un fronte democratico – progressista che dovrebbe avere al centro proprio la “questione costituzionale”. Da tenere conto, infine, che gli attuali centristi hanno al loro interno forti propugnatori del temuto scardinamento costituzionale (si veda referendum del 2016) di cui si è cercato di scrivere in questa occasione e il M5S è nato su due basi ideologiche: estremizzazione del personalismo e rifiuto della politica come fattore di intermediazione sociale con conseguente appello diretto al “popolo”. L’esatto contrario, cioè, dell’impostazione data dalla Costituzione alla democrazia repubblicana. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ACCISA MOBILE

A integrazione e modifica del decreto legge approvato due giorni fa, il Consiglio dei Ministri ha stabilito che “in presenza di un aumento eventuale del prezzo del greggio e quindi del relativo incremento dell’IVA in un quadrimestre di riferimento, il maggiore introito incassato in termini di imposta dallo Stato possa essere utilizzato per finanziare riduzioni del prezzo finale alla pompa”. Noi abbiamo allora i seguenti elementi: prezzo della benzina all’importazione, cambio euro/dollaro, accisa ed infine Iva. Per quel che riguarda le accise gli importi da applicare sui prodotti immessi in consumo a decorrere dal 1° gennaio 2023 sono 728,40 euro per mille litri per la benzina e per quel che riguarda l’Iva essa ammonta al 22%. Poniamo allora il prezzo della benzina importata pari a .7306 il cambio $/€ uguale a 1.00 avremo la seguente struttura di costo:   LITRO QUADRIM   12.000.000 costo 0,7306 8.767.200 accisa 0,7284 8.740.800 imponibile 1,4590 17.508.000 iva 22% 0,3210 3.851.760 POMPA 1,7800 21.359.760 Pompa/lt 1,7800 1,7800 prezzo % 100,00% 100,00% Poiché la riduzione delle accise decise da Draghi costava 750 milioni di € al mese, e la riduzione era pari a 25 centesimi, stimiamo il consumo di benzina (ovvero di tutti i carburanti soggetti ad accisa) in 12 milioni di litri nel quadrimestre. Presi i dati di cui sopra come media del quadrimestre di riferimento vediamo che succede nel quadrimestre successivo se la benzina aumenta del 20%.   Anno successivo aumento 20% per tutto l’anno   LITRO QUADRIM 2 quadrim 3 quadrim   120,00% 12.000.000 12.000.000 12.000.000 costo 0,8767 10.520.640 10.520.640 10.520.640 accisa 0,7284 8.740.800 8.355.043 8.439.910 imponibile 1,6051 19.261.440 18.875.683 18.960.550 iva 22% 0,3531 4.237.517 4.152.650 4.171.321 POMPA 1,9582 23.498.957 23.028.334 23.131.871 Pompa/lt 1,9582 1,9582 1,9190 1,9277 prezzo % 110,02% 110,02% 107,81% 108,30% Extra gettito 385.757 300.890 319.561           Nel primo quadrimestre si subisce in toto l’aumento del prezzo della benzina; ciò porta il prezzo a 1.9582 verso il prezzo di riferimento di 1.7800 con un aumento del 10.02% ma generando un extra gettito iva di 385.757€, che vengono utilizzati in toto per ridurre le accise del quadrimestre successivo riducendo il gettito delle accise da 8.740.800 a 8.355.043 con un effetto di riduzione del prezzo al litro da 1.9582 a 1.9190 (con un aumento rispetto al prezzo di riferimento del 7.81%) generando un extra gettito pari a 300.890€ da utilizzare nel quadrimestre successivo. Simile meccanismo nell’ultimo quadrimestre. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FORMULA ELETTORALE

di Franco Astengo | Al momento dell’esito delle elezioni svoltesi il 25 settembre 2022 alti lai furono elevati all’indirizzo delle evidenti distorsioni presenti nella formula elettorale, in particolare al riguardo dell’impossibilità da parte dell’elettrice/elettore di indicare diversamente la propria preferenza tra la parte uninominale e quella proporzionale in cui era suddivisa la scheda. Esaurita l’emozionalità del momento e preso possesso dei seggi conquistati la “vox clamantis” denunciante l’ingiustizia si è acquietata e il dibattito politico sembra aver dimenticato la problematica. Soltanto in un piccolo angolo della sinistra e del fronte democratico si pensa di continuare a combattere questa battaglia della quale è ormai da anni indiscusso animatore il milanese prof. Felice Besostri, già senatore dell’Ulivo, che in ben due circostanze ha strappato alla Corte Costituzionale sentenze decisive l’una per affossare la legge Calderoli del 2005 e l’altra progettata dal governo Renzi nel 2014 e votata attraverso la fiducia dal Parlamento ma mai entrata in vigore proprio per via del pronunciamento della Corte. Proviamo allora a riassumere alcuni elementi per i quali il tema della formula elettorale che traduce i voti in seggi è questione fondamentale della vita democratica del Paese. 1) Dal 1976, momento della massima espansione elettorale del sistema dei partiti, ad oggi la percentuale della partecipazione al voto è risultata in costante calo: un segnale evidente non solo di disaffezione dal punto di vista sociale ma soprattutto dal punto di vista del complesso dell’educazione politica. Per eseguire questo lavoro abbiamo preso in considerazione alcune tappe dell’itinerario storico delle elezioni svoltesi in Italia e cominciamo allora ad esporre la percentuale dei partecipanti di volta in volta al voto: 1976 (punto di massima concentrazione del voto nei 2 grandi partiti di massa che assieme assommavano circa 27 milioni di voti) 93,39%; 1994 ( prima prova della formula mista con scorporo) 86,31%; 2006 (momento culminante del bipolarismo) 83,62%; 2018 (prima prova dell’attuale formula mista senza voto disgiunto) 72,94% 2022 63,79%. Da notare che dal 1994 non è più esistita la possibilità di espressione della preferenza (unica dal referendum del 1991) : collegio uninominale abbinato a lista bloccata (di diversa lunghezza); 2) Le cifre che appariranno di seguito sono state elaborate in questo modo: a) elezioni 1976, per lista singola; b) elezioni 1994 per coalizioni con i voti ottenuti nella quota maggioritaria sommando i seggi tra quota maggioritaria e quota proporzionale; c) elezioni 2006 per coalizioni sommando i seggi per le singole liste; d) elezioni 2018 e 2022 per coalizioni sommando i seggi per la quota maggioritaria e quella proporzionale. L’interrogativo al quale dovrebbe essere fornita una risposta è questo: considerata l’impossibilità di scegliere il singolo candidata/o come elemento di privazione di una parte importante della possibilità di scelta per l’elettrice – elettore quanto è possibile sopportare, per un sistema democratico, un determinato livello di disparità nella possibilità – per le singole liste o coalizioni di accedere al Parlamento ? I dati sono riferiti all’elezione per la Camera dei Deputati e al territorio nazionale esclusa la Valle d’Aosta (dove vige il sistema uninominale secco). Procediamo semplificando: Elezioni 1976 (sistema proporzionale con sbarramento ai 300.000 voti su tutto il territorio nazionale e al conseguimento di un quoziente pieno in almeno una circoscrizione): la DC ottiene la maggioranza relativa con 14.209.519 voti e 262 seggi, per un seggio la DC paga 54.234 voti. Il PCI secondo partito più votato ottiene 12.614.650 voti con 228 seggi, ciascun seggio vale 55.327 voti, con uno scarto di 1.003 voti. Dieci liste superano il “quorum”: esclusa la SVP che gode del vantaggio dovuto alla concentrazione territoriale, l’ultima lista a ottenere la rappresentanza parlamentare fu in quell’occasione il Partito Radicale che con 394.439 voti ottenne 4 seggi; 98.609 voti per ciascheduno. In sostanza il divario tra il costo-voto della DC e il costo – voto del PR correva l’81,82%. Elezioni 1994 (Formula mista proporzionale – maggioritario al 75% maggioritario. Scorporo, sbarramento al 4% e liste bloccate). Esce dalle urne un sistema tripolare. Il futuro centro – destra presenta una doppia alleanza: al Nord “Polo della Libertà” con Forza Italia e Lega Nord; nel centro – sud “Polo del Buon governo” con Forza Italia e Alleanza Nazionale (in quel momento espressione elettorale del MSI). Sommando i dati il centro destra ottiene 16.588.162 voti con 366 seggi, ciascun seggio vale 45.322 voti (circa 10.000 in meno rispetto alla DC’76) l’alleanza tra i Progressisti, progenitrice del futuro centro- sinistra ottiene 13.308.244 voti con 213 seggi, per ciascun seggio sono serviti 62.480 voti. Il terzo polo composto da Patto per l’Italia e Partito Popolare (gli eredi più diretti della DC) tocca i 6.098.986 voti con 46 seggi: 132.586 servono per un seggio, il 192,54% in più di quanto è servito al centro – destra. Il massimo delle disuguaglianza che indica il profilo nettamente bipolare insito nella formula adottata in quel momento e comunemente definita “Mattarellum”. Elezioni 2006 (premio di maggioranza, sbarramento e liste bloccate). Anche in questo caso il nostro riferimento è alle coalizioni sommando i seggi ottenuti dalle singole liste che le componevano. Centro – sinistra 19.002.588 340 seggi, ciascun seggio 55.889 voti; Centro – destra 18.977.843 voti per 277 seggi, pro- quota 68.512 voti. Il minimo della differenza considerato – ovviamente – l’esito strettamente bipolare: 12.622 voti. Per fornire un esempio della valenza maggioritaria di quella formula elettorale (poi, come già riferito, bocciata dalla Corte Costituzionale) si riferisce anche dell’esito delle elezioni successiva, 2008, dove il quadro di partenza presentava una quadripartizione del campo. Il centro – destra (perduta l’UDC) ottenne 17.064.506 (un calo di quasi 2 milioni di voti) per 340 seggi (50.189 voti per seggio, 18.000 voti in meno rispetto a due anni prima); l’alleanza PD-IdV (perdute le liste di sinistra ed ecologiste racchiuse nell’Arcobaleno che non ottenne il quorum) 13.689.330 per 239 seggi, 57.277 voti per seggio. L’UDC : 2.055.229 per 36 seggi, 57.089 per seggio, mentre l’Arcobaleno disperdeva direttamente 1.124.298 voti. Questi numeri dimostrano come il combinato disposto di premio di maggioranza (senza soglia) e lo sbarramento (al 4%) producano un effetto di riduzione della rappresentanza …

I PRIMI VENTI ANNI DEL SECOLO

Il XXI secolo nel suo primo ventennio (22 per la verità) ci mostra un netto peggioramento del clima di convivenza, un crollo nella fiducia sulle prospettive e forti domande o meglio dubbi sul nostro futuro. Sovrasta nel senso comune la convinzione che le cose, invece di migliorare, anche se lentamente e con interruzioni, continuino a peggiorare iniettando nelle menti sfiducia, senso di impotenza, rassegnato scetticismo sulla possibilità di invertire la rotta. Capitol Hill e la rivolta brasiliana segnalano una crisi profonda della democrazia, l’invasione dell’Ucraina fa vacillare la solidità di una pacifica convivenza, le insopportabili spacconate di Nancy Pelosi anticipano un peggioramento sul fronte taiwanese. Inoltre, il surriscaldamento del pianeta minaccia le prospettive di sopravvivenza imponendoci obiettivi che stentiamo a condividere e a realizzare tempestivamente.    Senza entrare in riflessioni ad alto livello partirei elencando una serie di fatti che hanno caratterizzato questo ventennio. Inizia il 2001 con il fallimento della multinazionale Enron evidenziando la gestione truffaldina di una società  che coinvolge la politica e mette in crisi la credibilità delle società di revisione; Nel 2001 a settembre gli attentati alle torri gemelle portano all’estremo la tensione internazionale;   Tensione che si concretizza nell’attacco degli USA contro l’Afghanistan; Nel 2003 con l’attacco degli USA contro l’Iraq accusato falsamente da Colin Power di preparare armi di distruzione di massa; Nel 2007 il crollo dei mutui subprimes porterà l’anno successivo al fallimento della Lehman Brothers e al crollo dell’economia mondiale sfociata in milioni di licenziamenti di lavoratori in tutto il mondo; La crisi finanziaria costringe i governi ad aiutare le economie ma creando un indebitamento degli stati fonte di ulteriori sacrifici dei governati; Scoppia la pandemia Covid e tutti i paesi di ritrovano impreparati ad affrontare le conseguenze anche economiche che incrinano la globalizzazione; Nasce il dramma della dipendenza di molti paesi per quel che riguarda l’energia in primis ma che si estende a molte altre critiche materie prime o prodotti quali i semiconduttori; Dopo anni si riaffaccia l’inflazione che destabilizza i rapporti internazionali; l’Ucraina e Taiwan, cui abbiamo già accennato, costituiscono una minaccia terribile che rimanda al rischio nucleare, tornato a riattualizzarsi. La situazione vede incrinarsi la comunicazione, in qualche modo solidale, tra i popoli che si realizzava con la globalizzazione e tende ad acuire l’arroccamento delle due potenze mondiali, USA e Cina, con gli altri paesi che cercano una loro collocazione (India e paesi arabi, ma anche sud America) strategica, e la comunità europea che incapace di costruirsi una strategia che ne permetta una funzione autonoma e di riferimento, subisce le manovre strategiche degli imperialismi pagandone le conseguenze in termini economici con gli effetti delle controsanzioni e con una prossima recessione. Siamo chiari: la recente approvazione da parte degli USA dell’IRA (Inflation Reduction Act), che introduce sussidi all’industria statunitense, aggrava la situazione concorrenziale, già sbilanciata, nella quale l’Europa sta soffrendo nei confronti degli USA con la crisi energetica e con le altre ricadute derivanti dal conflitto ucraino. E’ indubbio che le imprese statunitensi stanno producendo con costi energetici pari ad un quinto di quelli che devono sostenere le imprese europee. L’intervento dello stato che con l’IRA sussidia le imprese rende ancor più ardua la competitività delle imprese europee. Il fondo sovrano europeo proposto da Gentiloni Il commissario Gentiloni lancia allora la proposta della riforma degli aiuti di Stato proponendo un fondo sovrano europeo. La proposta costituirebbe un secondo atto politico (dopo quello del NGEU) che rompe una subalternità della politica europea al libero mercato, al liberismo indiscusso. Gli aiuti di stato sono una negazione del libero mercato, ma divengono indispensabili quando gli altri paesi, specie se alleati, fondano la loro concorrenza su simili strumenti. L’Europa se non reagisce alla situazione e non imposta provvedimenti atti a rendere competitive le sue produzioni, rischia di soccombere.          Il fondo sovrano europeo proposto da Gentiloni avrebbe quindi l’obiettivo di consentire ai governi di contrapporre alla concorrenza internazionale, non sempre leale, strumenti che permettano loro di aiutare le proprie economie. Gentiloni, tuttavia, aggiunge che “nelle prossime settimane dovremmo deciderne i contorni” aggiungendo che il nuovo strumento dovrebbe finanziare comuni progetti europei in particolare se conformi alle priorità strategiche dell’Unione. Gentiloni precisa poi che “Dovremo anche decidere come finanziare questo nuovo fondo” ma anche come conferirlo alle imprese, se sotto forma di prestiti o di sussidi, ribadendo che questo fondo “non deve mettere in dubbio il modello economico europeo basato sulla concorrenza. Non vogliamo certo creare una economia gestita da burocrati. Sarebbe folle!”. Ecco, quindi il punto; gli aiuti di stato, che sono una negazione della libera concorrenza, non mettono in dubbio il modello economico europeo basato sulla concorrenza, solo se i fondi erogati lo sono sotto forma di prestito (che quindi devono essere restituiti) o sussidio (che vuol dire a fondo perduto o meglio regalati). Diventerebbero invece una violazione del modello economico europeo se fossero erogati sotto forma di partecipazioni nelle società beneficiarie, facendo quindi del governo (o meglio il contribuente) un socio a tutti gli effetti; ciò sarebbe la follia di una economia gestita da burocrati.   Gentiloni considera quindi Mattei un burocrate a capo dell’AGIP? Siamo seri, è giusta l’analisi di Gentiloni ed interessante la sua proposta di un fondo comune; assurda la sua proposta di come conferire i fondi: pare che seguendo il modello americano si privilegerà la via dei sussidi. Torna quindi in una veste più strutturata la proposta del “campioni europei” Si sono cioè aperte le porte a una revisione delle regole della concorrenza, rispondendo così alla richiesta presentata in varie occasioni da Francia e Germania per facilitare la nascita di campioni industriali tutti europei, in grado di competere con i concorrenti di Cina e Stati Uniti. La decisione segna un importante raffreddamento nella fiducia nella dottrina della massima concorrenza e de libero mercato, e conferma la volontà di Ursula Von der Leyen di dare seguito alla promessa di una Commissione che difenda gli interessi strategici dell’UE. Il dossier è fondamentale per il futuro della politica comunitaria. All’epoca del Trattato di Aquisgrana – l’accordo franco-tedesco sottoscritto da Merkel …

DESTRA E CRISI DELLA DEMOCRAZIA

di Franco Astengo | Nel tenere ferma l’analisi delle distanze correnti sul piano economico, sociale, culturale rimane un punto in comune tra l’assalto a Capitol Hill e quello di Brasilia: entrambi i fatti sono espressione di una crisi profonda della democrazia liberale e delle sue forme rappresentative nel senso della personalizzazione e del bipolarismo. La forma che ha assunto l’assalto alle sedi delle istituzioni è apparsa somigliante ad una “jacquerie” piuttosto che a un colpo di stato: nulla che facesse pensare al Cile 1973. Una sommossa nata da un punto comune, sia negli USA, sia in Brasile: il mancato riconoscimento di un risultato elettorale da parte del candidato sconfitto che aveva portato avanti, in entrambi i casi, i temi populisti di una destra capace di esaltare -a proprio vantaggio – gli elementi forniti da una grave difficoltà delle espressioni di uguaglianza tradotte sul terreno della pedagogia politica. La crisi della democrazia liberale ha assunto i tratti della difficoltà della personalizzazione e della divisione “tranchant” in due pezzi delle espressioni politiche della complessità sociale. In Europa questo fenomeno sta assumendo l’aspetto delle democrazie cosiddette “illiberali” perché nel vecchio continente ragioni storiche rendono molto più complicato il discorso ideologico. Le “democrazie illiberali” risultano però anch’esse fondate sul mito della personalizzazione e sul “taglio” dell’articolazione politica ridotta a fatto minoritario e marginale dentro ad un quadro di egemonia dell’idea del “governo forte”. Gli appuntamenti elettorali sono così ridotti a referendum personalistici: accettare questo elemento come inevitabile è stato tra l’altro causa della decadenza di una forma di democrazia complessa come quella italiana. Una decadenza della democrazia italiana che potrebbe assumere anche una forma tardo-imitatoria di quella difficoltà già segnalata di sul piano della personalizzazione e del bipolarismo: due elementi incapaci, sul piano teorico, a interpretare la modernità delle fratture. Il punto vero di crisi della democrazia, al di qua e al di là dell’Atlantico, è rappresentato da un deficit di capacità nell’espressione di una pedagogia politica. L’assenza di un capacità d’espressione della pedagogia politica risulta sicuramente un fattore tipico di identità per la destra più pericolosa (la “semplicità” della destra, tanto per intenderci). L’idea dovrebbe essere allora quella di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno a quel rapporto tra cultura e politica ormai ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi, in diversi campi da quello accademico per arrivare a quello istituzionale. Si tratta di partire per una ricognizione di fondo con l’ambizione di ottenere il risultato di provocare una riflessione complessiva tale da superare le settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico”. Il riferimento è rivolto a un pensiero politico in grado di esprimere interessi, finalità, aspirazioni ben individuabili che, a partire da precisi punti di vista di soggettività determinate, risulti capace di interpretare le sfide reali della storia, e vi risponda in base a parametri e a esigenze di volta in volta mutevoli. Serve legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie. Al contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo periodo è anche vero che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in volta, il loro significato concreto. Non possiamo permetterci di interpretarne il senso soltanto seguendo l’interesse immediato di questo o quell’altro gruppo di potere recuperando la logica dell’uomo/donna che lo interpreta direttamente senza mediazioni facendo credere che lo si faccia nell’interesse di un “popolo” indistinto, o peggio nell’interesse della sua parte più privilegiata e più facilmente manipolabile dai mezzi correnti nella costruzione di una realtà presunta e illusoria. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

BONUS ENERGIA ELETTRICA E GAS ALLE IMPRESE

AIUTI DI STATO – Alle imprese “energivore” i cui costi per kWh nel terzo trimestre 2022 hanno subìto un incremento superiore al 30% rispetto allo stesso periodo del 2019, spetta un bonus pari al 25% delle spese sostenute per la componente energetica acquistata e utilizzata nel terzo trimestre 2022. – Alle imprese “gasivore”, spetta un bonus pari al 25% della spesa sostenuta per l’acquisto del gas, consumato nel terzo trimestre 2022, se il prezzo di riferimento del gas naturale è aumentato di oltre il 30% rispetto al corrispondente prezzo medio riferito al secondo trimestre 2019. – Alle imprese “non energivore” spetta un bonus pari al 15% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica utilizzata nel terzo trimestre 2022, se il prezzo della stessa ha subìto un incremento del costo per kWh superiore al 30% rispetto al corrispondente prezzo medio riferito al secondo trimestre 2019. – Alle imprese “non gasivore” spetta un bonus pari al 25% della spesa sostenuta per l’acquisto del gas, consumato nel terzo trimestre 2022 se il prezzo di riferimento del gas naturale, calcolato come media, riferita al secondo trimestre 2022 è aumentato di oltre il 30% rispetto al corrispondente prezzo medio riferito al secondo trimestre 2019. I crediti in questione: sono utilizzabili esclusivamente in compensazione entro il 31 dicembre 2022, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile Irap. Prendiamo ad esempio le imprese energivore e quelle gasifore e ipotizziamo un incremento di costo in tre casi del 20%, del 30% e del 50%. Avremo allora i seguenti conteggi: Caso A     Caso B     Caso C Prezzo per kWh nel 2019 100 100    100 Aumento %uale                                   20 30 50 Prezzo 2022                                        120 130 150 Bonus 25%                                             0 32.5 37.5 Risparmio imposte (27%)  0 8.78 10.12 Prezzo 2022                                        120 88.72 102.38 Perché un sistema di aiuto così discriminante, perché dare un bonus superiore all’aumento del prezzo? Non era meglio rimborsare il di più pagato? Non mi risulta poi che l’aiuto sia soggetto a controlli, per verificare che i prezzi di vendita delle imprese che godono del bonus, non siano aumentati rispetto al 2019 ed in tal caso siano revocati i bonus erogati. In fondo quei soldi che lo Stato regala, sono anche miei soldi, da pensionato cui è stata tagliato l’adeguamento al costo della vita. Perché lo Stato regala soldi miei senza farmi partecipe nei soggetti beneficiati? La democrazia sta emettendo rischiosi cigolii. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UN NUOVO SOCIALISMO E’ POSSIBILE IN ITALIA

Dopo l’esito elettorale del 25 settembre e la disfatta del centrosinistra, ci si interroga ancora sulle cause di una sconfitta annunciata. Senza voler approfondire gli argomenti, rileva su tutti una questione non più rinviabile la sinistra deve ritornare alle sue radici. Ma quali? Di certo occorrono idee e proposte di cambiamento e di trasformazione della societa’. Ma per arrivare a tanto è necessario tornare alle nostre radici. Il richiamo ai valori della liberta’, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, delle pari opportunita’ e del sapere che rappresentano le radici del socialismo. Nella nostra societa’ il socialismo si caratterizza anche come risposta al problematico rapporto tra l’umanita’ e la natura. Una questione globale inevitabilmente legata al futuro del nostro pianeta e, soprattutto, dei suoi abitanti.  Si tradirebbe il socialismo senza una visione internazionalista della societa’. Una societa’ sempre più complessa e sempre più connessa che ha di fatto globalizzato tutti i contrasti e le contraddizioni sociali della nostra epoca. Una complessita’ universale che le spinte neoliberiste degli ultimi trent’anni, che hanno infettato anche un certo mondo della sinistra in Italia, non possono evidentemente sciogliere. E’ fallita l’idea di un mercato in grado di risolvere i nostri problemi, che ha sacrificato i diritti della persona, dei lavoratori, anzi che ha spersonalizzato i lavoratori, trasformandoli in numeri, in macchine. E’ fallita l’idea di un mondo dove tutto può essere tollerato, anche la distruzione del nostro pianeta. La crisi climatica è un problema che va affrontato seriamente e immediatamente, ma manca la giusta sensibilita’ per trovare risposte risolutive. La guerra, la crisi energetica e dei prezzi, i fenomeni migratori, si possono superare solo con interventi e risposte globali. Il dibattito politico attuale appare privato della capacita’ di costruire il futuro, poiché manca una visione nazionale ed internazionale della societa’. Ed è qui che si annida la debolezza di una sinistra priva della capacita’ di costruire una prospettiva sostenibile per l’Italia e per il mondo. Quando manca un serio processo di rinnovamento e di cambiamento perché i tratti identitari sono finiti in un cassetto. Recuperare i valori identitari è un percorso complicato, difficoltoso, ma la risposta è nei valori del socialismo. Spesso sento dire che oggi nessuno parla di socialismo. In parte è vero, specie tra le nuove generazioni. Ma è altrettanto vero che nel nostro Paese da tempo manca un’area culturale e politica di riferimento, cui guardare e rivolgersi per ottenere le necessarie risposte alle molteplici complessita’ del nostro tempo. Discutere di stato sociale e di ampliamento dei diritti sociali, dei diritti della persona, dei temi ambientali, di lavoro, di come combattere precarieta’ e disuguaglianze sociali, è discutere di SOCIALISMO. Occorre pero’ andare oltre la discussione e costruire la casa del socialismo in Italia. Ma solo in parte, come dicevo, perché dopo la disfatta elettorale del 25 settembre la questione socialista è tornata prepotentemente alla ribalta in Italia. E’ il lavoro che l’Associazione Socialismo XXI porta avanti da alcuni anni ritenendo questa l’unica via percorribile. La vera alternativa politica per la sinistra italiana. Non a caso verra’ lanciato “il Tavolo di Concertazione” a Roma il 21 gennaio per costruire un nuovo soggetto politico del socialismo in Italia attraverso il modello dell’Epinay, come in Francia nel 1971, senza primogenitura di sorta, mantenendo ciascuno la propria autonomia fino allo scioglimento di tutti i soggetti (forze Politiche, Circoli, Associazioni etc.) e fino alla nascita di un grande partito di ispirazione socialista nel nostro Paese. Un tavolo di discussione e organizzazione “aperto” (sono state inviate circa settanta lettere di inviti alla partecipazione). Un Tavolo di libero confronto sul modello di socialismo che si intende costruire, proprio nel mese di gennaio, come allora in Francia. Un caso? Forse, ma foriero di belle speranze. Una grande opportunità che non deve e non può essere gettata alle ortiche. E’ arrivato il momento di costruire nel nostro Paese una vera alternativa politica, con idee, proposte e programmi, e con una classe dirigente qualificata, capace di affrontare le “enormità” di questo terzo millennio. Con chi ci sta, ovviamente! Si tratta di infliggere un colpo letale al neoliberismo e ai guasti prodotti. Un nuovo inizio, una nuova storia. Un socialismo capace di collocare in un’unica prospettiva lavoro, giustizia sociale, ecologia. Con una visione del futuro. In grado di ascoltare il futuro e di guidare i necessari processi di trasformazione della nostra societa’, e di essere internazionalista. Senza dimenticare le radici del socialismo, un nuovo socialismo in Italia è possibile. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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BONACCINI UNO E BONACCINI DUE

L’agenzia di notizie DIRE ha diffuso il comunicato qui integralmente riprodotto tra virgolette. “” “” -AUTONOMIA. BONACCINI: CHIESTO RITIRO BOZZA, CURIOSO CALDEROLI DICA CONTRARIO TOGLIERE DA TAVOLO SCUOLA E SANITÀ, PAESE 20 ISTRUZIONI PUBBLICHE BARZELLETTA (DIRE) Roma, 8 gen. – “Abbiamo chiesto a Calderoli di ritirare la bozza. È curioso che dica il contrario di quello che abbiamo chiesto. Era venuto a una conferenza delle Regioni, qualche settimana fa, e siamo intervenuti per chiedergli di ritirarla, e la ritirò, perchè non l’aveva discussa con noi e non teneva conto delle nostre richieste. Quando siamo intervenuti io ed Emiliano, abbiamo ricevuto apprezzamenti anche da presidenti di regioni del Sud governate dal Centrodestra, come Occhiuto della Calabria o Marsilio dell’Abruzzo. Noi abbiamo chiesto che l’autonomia differenziata tenga conto di alcune cose, altrimenti non se ne può parlare. Intanto, che non spacchi il Paese. Soprattutto, che non tolga a qualcuno per dare a qualcun altro”. Lo ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, commentando a Matera la bozza di riforma di autonomia differenziata. “Bisogna togliere i termini ‘residui fiscali’ che significa trattenere le tasse nella propria terra: è successione, non autonomia differenziata- ha aggiunto Bonaccini- Abbiamo chiesto che vengano tolte dal tavolo materie come la scuola e la sanità, che sono materie divisive. Un paese con 20 pubbliche istruzioni in 20 regioni sarebbe un paese barzelletta. E abbiamo chiesto che vengano definiti i livelli essenziali di prestazione prima, non dopo- continua il presidente dell’Emilia-Romagna- Abbiamo chiesto che venga fatta una legge quadro in Parlamento. Insomma, se l’autonomia differenziata è togliere risorse al Sud per darle al Nord, non siamo d’accordo. Se l’autonomia differenziata è, invece che parlare di risorse, parlare di semplificazione per liberare la vita da troppa burocrazia per cittadini e imprese, siamo d’accordo. Se è programmabilità certa degli investimenti e delle risorse da spendere, cosa che ogni anno è un terno all’otto sull’anno successivo, siamo d’accordo. Questa bozza calderoli a noi non piace”. (Adi/ Dire) 13:54 08-01-23 “” “”. Il Signor Stefano Bonaccini è sicuramente un eccellente navigante della politica oltre ad essere un instancabile parlatore. I capaci naviganti non escludono di cambiare la rotta su un affare se mutano le condizioni che hanno fatto esprimere l’opinione precedente. Tra virgolette è scritto che egli abbia detto “Bisogna togliere i termini ‘residui fiscali’ che significa trattenere le tasse nella propria terra: è successione, non autonomia differenziata … … “. Evidente l’errore di battitura da parte dell’Agenzia poiché trattasi di secessione e non di successione. Nell’accordo preliminare da lui firmato quale Presidente della Regione Emilia Romagna il 28 febbraio 2018 col Governo Gentiloni è scritto, tra l’altro, all’art. 4, che le modalità di attribuzione di risorse finanziarie alla Regione Emilia Romagna saranno determinate “in termini : a) di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale … … “. La lettura delle parole, data la loro univocità di significato, dice che quanto scritto non esclude di trattenere i residui fiscali; quindi il gettito sarà quel sarà, senza limiti. Se il Signor Bonaccini avesse avuto nel 2018 la stessa attenzione odierna avrebbe scritto nell’accordo una puntuale esclusione di trattenere avanzi del gettito. Nell’accordo preliminare ricordato poco fa è anche presente la materia della sanità con quel che segue : “Art. 3. … … 2. La Regione assicura che il sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione si applichi solo agli assistiti residenti nella Regione.” Tante Regioni, ognuna col proprio tariffario non applicabile ai milioni di italiani residenti in altre Regioni. Se un umbro o un lombardo avesse bisogno di una prestazione sanitaria improvvisa o non improvvisa in Emilia Romagna quale tariffa vedrebbe applicata ? La domanda non interessa porsela nell’ottica che ogni Regione pensa a sé stessa e ai suoi residenti, in una logica che di visione unitaria non ha neanche l’ombra. Oltre la disgregazione di una visione unitaria nazionale e, quindi, la disgregazione del servizio sanitario nazionale, mi pare che vada in crisi anche il principio di cittadinanza, perché acquisirebbe una sistematicità la differenza di trattamento dei cittadini. Margherita e DS regalarono la modifica del Titolo V alla destra leghista e secessionista nel 2001 per inseguirne i voti – non riuscendoci – e il disegno di legge di Calderoli per l’autonomia regionale differenziata è la conseguenza di quel regalo. Ancora nel 2018 il PD continuava l’inseguimento facendo firmare al Governo Gentiloni gli accordi preliminari con tre Regioni ed è poi arrivato il risultato elettorale del 25 settembre 2022. Ora il Signor Bonaccini ha cambiato opinione affermando che devono essere tolte dal tavolo scuola e sanità. E’ un capace navigatore, ma io viaggio su un’altra nave. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

MODIFICARE LA COSTITUZIONE PER DARE MAGGIORE AUTONOMIA A TRE REGIONI?

di Gianfranco Viesti | Non è una questione territoriale fra Nord e Sud, è un grande tema politico. Di cui occorre parlare, anche al Nord C’è un grande, sorprendente e preoccupante silenzio al Nord sull’autonomia regionale differenziata, tema su cui il lettore potrà trovare ampia documentazione su questa rivista. Anche in conseguenza di questo silenzio, la questione appare sempre più come uno scontro fra Nord e Sud: una deriva pericolosa e fuorviante. Preoccupa in particolare il recente protagonismo di alcuni presidenti di Regioni del Sud, che si sono autoproclamati “campioni del Sud”: quasi che il confronto fosse di carattere territoriale e interno a segmenti delle classi dirigenti regionali e non, invece, di natura politica e tale da interessare tutti i cittadini. Si può obiettare che il “Nord” si è già espresso: i cittadini lombardi e veneti hanno partecipato ai referendum consultivi del 22 ottobre 2017. Ma è un’obiezione assai debole. A quel referendum la partecipazione in Lombardia fu piuttosto modesta, intorno al 38% (ancora inferiore nelle aree urbane). Di fatto dunque non è dato sapere che opinione abbiano sul tema quasi i due terzi dei Lombardi. Alcuni di essi, come il sindaco di Milano Sala, hanno espresso la propria contrarietà. Diversa la situazione del Veneto, dove quel giorno la maggioranza degli elettori si recò alle urne per esprimere il proprio sì; ma a un quesito assai semplice (“volete voi maggiore autonomia”), che non necessariamente corrisponde alle richieste gigantesche formulate successivamente, a novembre dello stesso anno dal Consiglio Regionale, che vanno dalla regionalizzazione della scuola alla proprietà delle reti ferroviarie. Non pochi veneti sono, in ogni caso, contrari, come ad esempio dimostrano le posizioni da sempre assunte dalla Cgil in regione. Quanto all’Emilia-Romagna, nessuno ha mai chiesto ai cittadini come la pensino. Il sindaco di Bologna Lepore, ma anche gli ex presidenti della Regione Errani e Bersani, o personalità come l’ex sottosegretaria Maria Cecilia Guerra, non hanno nascosto le loro fortissime perplessità. Qui non si discute del principio di differenziazione, ma delle concrete proposte delle tre regioni, che potrebbero a breve concretizzarsi. Nel complesso l’interesse e il dibattito fra posizioni differenti, in particolare nelle tre regioni appena menzionate, sono stati piuttosto modesti; il che non è un bene, proprio perché molte voci contrarie si sono invece levate dal Mezzogiorno. Il silenzio degli uni e il prendere posizione degli altri possono far pensare, come si diceva, che si tratti esclusivamente di una questione fra Nord e Sud. Certo, non si può negare che le richieste finanziarie lombardo-venete siano, nella costante tradizione leghista, mirate a trattenere le maggiori risorse finanziarie possibili, “togliendole” così al resto del Paese, specie alla parte più debole: come plasticamente mostrato dalle posizioni ufficiali della regione Veneto. In effetti è anche una questione territoriale. Ma solo in parte. Leggerla così lascerebbe infatti in primo luogo intendere che l’autonomia differenziata è certamente un vantaggio per i cittadini del Nord. E che quindi le (poche) posizioni contrarie di alcuni di loro nascerebbero sostanzialmente da una generosità solidaristica, contro i propri interessi. Non è così. Le richieste di autonomia differenziata di cui discutiamo portano certamente forti, ulteriori, poteri alle classi dirigenti regionali; possono rafforzare il predominio delle istituzioni regionali su quelle cittadine: non a caso non pochi sindaci sono contrari. Ma è assai discutibile che portino automaticamente vantaggi ai cittadini. Si può pensare questo solo se si accetta la vulgata leghista – priva di riscontri teorici, scientifici e fattuali – secondo cui più sono forti le Regioni, meglio è per i loro cittadini.Le richieste di autonomia differenziata di cui discutiamo portano certamente forti, ulteriori, poteri alle classi dirigenti regionali. Ma è assai discutibile che portino automaticamente vantaggi ai cittadini Pensiamo alla scuola. Perché per le famiglie lombarde sarebbe meglio avere gli insegnanti dei propri figli selezionati da concorsi regionali, con criteri stabiliti dalla Regione e, una volta assunti, essere alle dipendenze dell’Assessore regionale? Perché dovrebbe essere meglio avere programmi definiti (oltre le differenziazioni che già esistono) su base regionale, magari con forti richiami alle antiche tradizioni? Un programma che preveda più Alberto da Giussano e meno Verga è forse preferibile? Pensiamo poi alla sanità. Perché per famiglie lombarde dovrebbe essere meglio una esclusiva competenza regionale fuoriuscendo dal Servizio sanitario nazionale? Per avere, nell’infausto caso di una nuova pandemia, una politica regionale di acquisto dei vaccini; criteri regionali, differenziati, di vaccinazione; criteri diversi per limitarne la diffusione? Per lasciare che il sistema regionale evolva come negli ultimi vent’anni, depauperando l’assistenza sociosanitaria territoriale, invece di far parte di un sistema nazionale che il Pnrr sta orientando verso una rete nazionale di case della salute e ospedali di comunità; e magari avere così, anche in quella malaugurata evenienza, tassi di mortalità particolarmente alti come registrati purtroppo con il Covid? Oppure pensiamo all’energia. Perché, nelle settimane in cui ci si sta rendendo conto degli altissimi costi della mancanza di una politica energetica comunitaria, della scarsa interconnessione delle reti, della drammatica diversità delle scelte nazionali, dovrebbe essere meglio ricondurre al potere di un Assessore regionale il passaggio delle grandi reti energetiche sul territorio o la definizione di criteri per i nuovi impianti? E, in materia di ambiente, in cui si sta drammaticamente cercando di costruire un consenso planetario intorno alla lotta al cambiamento climatico, sarebbe davvero opportuna una maggiore potestà regolamentare regionale su ambiente e rifiuti? E, ancora, perché dovrebbe essere meglio – al di là delle possibili rendite finanziarie regionali di opere pagate dalla fiscalità nazionale – staccare le reti autostradali e ferroviarie dal patrimonio nazionale e affidarne gestione e manutenzione a società regionali? Sarebbe meglio, nel caso che l’autonomia regionale fosse concessa alla Liguria nei termini approvati da quella Giunta regionale l’8.3.2019, pagare tariffe autostradali stabilite da quella stessa Giunta per andare da Milano al mare; e nel caso delle imprese magari pagare tariffe di accesso al porto di Genova, ormai parte del demanio ligure? Non sono esempi forzati: ma possibilità concrete che rivengono dalla lettura, parola per parola, delle bozze di intesa a suo tempo predisposte dall’allora (2019) ministra Erika Stefani insieme alle …