LAVORO E LIBERTA’

di Giorgio Benvenuto e Marco Cianca | Un manifesto per il riscatto, la dignità, la partecipazione | Che cosa è il lavoro? La risposta può sembrare ovvia, persino banale. E invece definire in modo corretto ed esaustivo questo concetto comporta un impegno sociologico, economico, politico, culturale, esistenziale per onorare il quale non basta appellarsi ai classici. E se ci si riflette bene, entrare in questo campo e delimitarlo è forse il compito principale di una forza che si richiami al socialismo liberale. Perché coniugare bisogni e diritti rappresenta la sfida di fondo nella costruzione di una società basata sulla giustizia e sull’uguaglianza. Si tratta di affrontare di petto questioni come lo sfruttamento, la proprietà privata, la formazione del capitale, la partecipazione alla gestione delle aziende, la questione salariale, i redditi, i profitti, i sistemi fiscali e contributivi, la previdenza, la sanità, la sicurezza, i contratti, il ruolo dei sindacati e delle associazioni datoriali, l’alienazione, i tempi e i modi di produzione, l’uso delle tecnologie, il valore delle merci, i consumi, gli stili di vita, la parità di sesso e di genere, lo studio, il merito, la conoscenza, il senso stesso della vita. La pandemia ha mandato all’aria di botto carte che sembravano ormai acquisite per sempre dopo l’ingloriosa fine del comunismo reale e che invece si sono rivelate truccate. Il virus, nella sua planetaria tragicità, è riuscito, sorta di biblica nemesi, a mostrare ciò che le precedenti crisi economiche e finanziarie, come quella del 2008, avevano fatto intravedere senza però riuscire ad innescare il necessario cambiamento. Ora, il re è davvero nudo. Il tentativo socialdemocratico (ricordate il blairismo?), pietosa mimesi di ben altre utopie, di dare un volto umano al capitalismo, dal 1989 ad oggi ha solo contribuito e fornito un alibi al formarsi di monopoli sovranazionali e di gruppi economici capaci di orientare il destino del mondo a loro uso e consumo. Finti riformisti complici, e servi, di colossali potentati. L’allargamento del mercato è stata una truffa conclamata, un’autostrada dei consumi progettata per asfaltare le conquiste dei lavoratori. La colonizzazione delle persone. La vicenda dei vaccini e il predominio delle grandi aziende sanitarie sono esemplari di questo progressivo imbarbarimento del modello economico. I ricchi sono diventati sempre più ricchi e il numero dei poveri ha avuto un aumento esponenziale. Le statistiche sono inequivocabili. Inutile ricordare numeri che fanno vergognare. E in questo abominio, il lavoro è stato ridotto ad un valore sempre più marginale, quasi una vergogna. Mentre Jeff Bezos accumulava miliardi e la logistica di Amazon sopperiva ai divieti del lockdown, ai dipendenti del megagalattico apparato distributivo, così come ai riders, novelli schiavi legati alla catena alimentare, veniva persino proibito di organizzarsi. Le rivendicazioni di più umani trattamenti normativi ed economici sono state presentate come un attacco inaccettabile ad un meccanismo ritenuto perfetto. Zitto e lavora, al resto pensiamo noi. Salariati, vil razza dannata. Poi è arrivata la guerra. A gennaio di quest’anno, un rapporto Oxfam calcolava che “ogni quattro secondi nel mondo muore una persona per fenomeni connotati da elevati livelli di diseguaglianza come mancanza di lavoro, accesso alle cure, fame, crisi climatica e violenza di genere”. Dopo l’invasione dell’Ucraina, fa orrore pensare a quel che sta succedendo. Sì, il mondo è guasto. Anzi, in agonia. E l’unica cura possibile è rimettere al centro il valore del lavoro, la sua etica, la sua valenza democratica, la sua capacità di fratellanza, la sua forza creatrice, la sua esigenza di giustizia e di libertà. Sia ben chiaro: qui non si tratta certo di ripresentare sotto mentite spoglie il progetto palingenetico, e dittatoriale, affidato alla classe operaia, ma di ridiscutere dal nucleo fondativo, il lavoro, appunto, l’intera organizzazione sociale e civile. Il patto per il lavoro lanciato da Giuseppe Di Vittorio aveva questa ambizione. Libertà dal lavoro o libertà nel lavoro? Il quesito di stampo marxista è in realtà un inutile sofisma perché eliminare il lavoro equivarrebbe ad annullare la stessa attività cerebrale. Infatti, anche il solo pensare, come ha chiarito Hannah Arendt in “Vita Activa”, è una forma di lavoro. L’ozio è la faccia voluttuosa del lusso. Il punto vero, la base di partenza, il fondamento di ogni degna costruzione sociale, è la libertà, nel contempo premessa e obiettivo del corretto agire umano. Il lavoro è libertà, e viceversa. Bruno Trentin, la cui cultura azionista ha sempre prevalso sui successivi innesti legati alla militanza del Pci e che si è sublimata in specie nell’ultima fase della sua elaborazione teorica, insisteva sulla priorità dei diritti. Rileggere “La città del lavoro”, gli errori della sinistra e la sostanzialmente incompresa crisi del fordismo, resta un utile esercizio di riflessione. Così come gli scritti di un altro azionista quale Vittorio Foa conservano una valenza di stimolante fascino, a partire da “La Gerusalemme rimandata”: “La politica non è, come si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sé”. Ecco il legame tra lavoro e autodeterminazione. Il tema della conoscenza, della diffusione dei saperi e della moltiplicazione delle opportunità si conferma pietra angolare di ogni progetto di liberazione e di uguaglianza. Come diceva Bruno Buozzi non basta resistere un minuto più del padrone ma bisogna avere letto almeno un libro più di lui. Un ammonimento che oggi, nell’epoca della digitalizzazione e degli algoritmi, ha un incredibile potenza profetica. Perché la lodevole iniziativa per le 150 ore si è spenta come una falena? Gli operai vogliono imparare a suonare il clavicembalo? chiese durante le trattative con ironico disprezzo un rappresentante della Confindustria, secondo il quale un metalmeccanico con potenzialità musicali doveva restare per sempre legato alla catena di produzione e riporre le sue aspirazioni nel cassetto dei personali desideri inesaudibili. L’ascensore sociale, animato dall’università di massa e dalle battaglie per il diritto allo studio, si è di nuovo bloccato. Anzi, funziona solo in discesa. Il figlio del notaio continua a fare il notaio, il figlio del poveraccio resta un poveraccio. Ed è più probabile che il primo finisca all’inferno piuttosto che il secondo salga in paradiso- Il dominio della …

“LA QUESTIONE SOCIALISTA”

di Paolo Bagnoli – Direttore de La Rivoluzione Democratica | La crisi del socialismo si manifesta in Italia con la sua totale assenza da quando il PSI è stato travolto dal personalismo del suo segretario. Oggi il problema non si pone ripartendo dal giudizio da dare sull’esperienza di Craxi e sull’efficacia della iniziativa giudiziaria che si scatenò contro il Partito non perché le malversazioni non dovessero essere perseguite e punite, ma per le modalità di natura punitiva che, esulando dal giudiziario, avevano una quasi esclusiva valenza politica; per come, intorno a tale iniziativa, si venne componendo tutta un’opinio politico-mediatica tesa a rappresentare il socialismo italiano per quello che non era, finendo per identificare in Craxi addirittura l’intera storia del socialismo italiano che ha rappresentato, pur nella varietà delle sue stagioni, la vera forza della democrazia italiana. Il problema del socialismo in Italia si pone gravato da una questione generale che riguarda il livello internazionale e da quella nazionale. E’ evidente a tutti che lo scioglimento della sinistra quale soggetto politico operato dagli eredi del PCI i quali, essendosi trovato ancora in piedi un pezzo del loro partito potevano – e a un certo punto, con la segreteria di Massimo D’Alema del PDS, sembrava che le cose andassero in questa direzione – rappresentare un polo ricostruttivo della sinistra dopo la fine del PSI e lo scioglimento del PCI. Potevano, cioè, impostare una politica in tale direzione a condizione di riconoscere l’errore del 1921 e, pure, come l’aver perso il treno passato nel 1956, avesse determinato una situazione che aveva oggettivamente impedito al socialismo di divenire quel grande soggetto di trasformazione profonda della realtà italiana quale forza centrale del nostro sistema democratico. Prevalsero altre logiche, altri indirizzi; in Italia i post-comunisti mai accettarono una scelta chiaramente socialista – anche nominalmente – pur facendo parte, grazie al PSI, sia dell’Internazionale Socialista che del Partito del Socialismo Europeo. Il risultato è stata la nascita del PD che non è riuscito a essere di sinistra – cosa impossibile peraltro se non si accettano i presupposti socialisti – né di vero centrosinistra nonostante le roboanti dichiarazioni di rappresentarsi come un partito a vocazione maggioritaria. La ragione è semplice e complessa al contempo, ma considerato che il PD non è mai riuscito a essere veramente un partito e funzionare come tale, ogni scelta si è risolta a una corsa sul posto, sempre più a passo populista, fino alla sconfitta che ha permesso alla destra estranea alla natura costituzionale della Repubblica di avere un governo guidato dagli eredi contemporanei del fascismo italiano. La fine del PSI e l’ostracismo della memoria sulla sua storia – un fenomeno non ancora passato – cui abbiamo assistito per oltre un trentennio non hanno, tuttavia, cancellato la questione socialista dallo scenario del Paese. Non tanto perché la sigla è rimasta in vivo per operazioni di natura strettamente personale e, quindi, con un uso strumentale per fini del tutto diversi da quelli che essa avrebbe comportato, ma in quanto centri di presenza e di resistenza potremmo dire, socialista nel Paese non hanno cessato di essere come pure non sono mancati, nei decenni trascorsi, tentativi che hanno cercato sul piano organizzativo di rimettere in piedi forme di soggettualità proponentesi di portare avanti il discorso per rimettere in piedi un qualcosa che cominciasse a colmare il vuoto verificatosi. Parimenti dobbiamo registrare come tanti centri culturali di ispirazione socialista abbiano meritatamente operato per tenere in vita non solo il ricordo di uomini e cose , ma il significato di una presenza politico-culturale. E, ancora, va registrato, sempre positivamente, come si siano intensificate le iniziative di natura pubblicistica con la riproposizione di testate di notevole valenza storica caratterizzanti la vita del socialismo italiano e pure si è assai cospicuamente intensificata la produzione libraria di storici, di compagni che hanno avuto funzioni dirigenziali nel PSI caratterizzando un mosaico di tessere senza che sia nata una rete che sarebbe stata di grande utilità per cercare di mettere sui binari della storia presente il socialismo italiano. I motivi per cui ciò non è avvenuto sono molteplici. La ragione prima del perché ciò non sia avvenuto è squisitamente politica e pure storica. In primo luogo, perché si trattava di fare seriamente i conti con una lunga storia che, a nostro avviso, hanno un segno largamente positivo; in secondo luogo, ed è il problema sovrastante tutti gli altri, per risolvere la questione socialista, non solo a livello italiano, ciò da cui parte tutto e che motiva le ragioni del socialismo: vale a dire, che il partito che lo esprime ha un senso se si propone di superare il sistema del capitalismo, di operare quella rivoluzione nella libertà che permetta alla democrazia, oggi in ostaggio del mercato e del mercatismo, di liberarsi con cultura libertaristica, di affermarsi e di espandersi per l’affermazione dei diritti e della giustizia sociale. Solo così il socialismo ha un senso; se così non è non si vede perché si ritenga necessario un partito socialista. E’ evidente che ogni forza politica, per essere tale e stare nella lotta politica quale soggetto attivo, abbisogna non di ragioni fideistiche o, peggio ancora, sentimentali, ma di una salda cultura politica; di un’ideologia, cioè, che dal piano delle idee sappia tradursi in azione e organizzazione, elemento di rappresentanza sociale, capacità di interpretare e rappresentare un blocco sociale quale piattaforma di riferimento primario, sapere che la lotta di classe prima che socialista è un’idea liberale se si considera il liberalismo non tanto un dato che riguarda le istituzioni quanto una concezione della civiltà che discende direttamente dall’idea fondante di libertà. E che, pur dentro un quadro dominato da trasformazioni profonde e da fenomeni nuovi che investono tutto il pianeta, la lotta di classe non solo non è un concetto superato, ma esso è ancora lo strumento primario poiché, quelle che una volta si definivano le classi subalterne, oggi sono alla mercé di un capitalismo finanziario mosso dalla prevalente logica dei profitti internazionalmente organizzati; dallo sfruttamento progressivo delle categorie più deboli quale metodo e sistema; …

LA TERRA E’ UN SOLO PAESE E L’UMANITA’ I SUOI CITTADINI

di Vincenzo Carlo Monaco – Coordinatore Socialismo XXI Sardegna | COLONIALISMO, AUTO-COLONIZZAZIONE, AUTODETERMINAZIONE CAPITOLO 3 | L’ambizione Umana nel vivere in un Villaggio, Città o città Stato, Regione, Nazione e Stato o Federazione di Stati è l’autodeterminazione, ma la storia ci insegna che gli esseri umani hanno compreso in questa ambizione anche il dominio perché in un mondo interdipendente occupare altri territori e dominarne i popoli locali ha sempre permesso l’espansione e garantito l’approvvigionamento di risorse non presenti nella propria terra d’origine. Ma l’ambizione si sa non ha limiti e l’uomo oltre ad essere ambizioso è narcisista e desideroso di primeggiare. E’ la natura umana. La terra invece con tutti i suoi elementi è stata dotata di un equilibrio regolato anch’esso dalla natura ma senza ambizione, e per questo si è conservata integra sinché l’ambizione dell’uomo e la necessità di soddisfazione dei suoi bisogni sempre crescenti, non ha sviluppato la necessità di dominarne l’equilibrio. Oggi assistiamo alla dimostrazione più ampia di questo processo che da evolutivo si sta dimostrando involutivo perché la natura ed i rapporti umani non sono più in equilibrio. Lo strumento per dominare è sempre stata la guerra e non c’è periodo storico in cui questo modo di dominare non sia stato presente con tutte le sue conseguenze. Conviviamo con guerre in ogni angolo della terra da sempre. Autodeterminarsi diventa quindi il superare questo bisogno di conquista per non autodistruggersi e riuscire a scoprire il vero senso della evoluzione umana. Una pacifica convivenza nel rispetto reciproco e nel riconoscimento di tutti i diritti umani è l’evoluzione alla quale dobbiamo ambire per recuperare il disequilibrio tra umo e natura in atto, pena e lo ripeto la autodistruzione. Si è tentato di regolare la reciproca convivenza con regole, valide in ogni stato dove la democrazia è il modello conquistato dal dopoguerra ad oggi, ma le democrazie regolate si dimostrano imperfette perché gestite nel tempo come strumento di dominazione degli stati stessi e in unione di stati ideologicamente affini ma contrari e diversi nel quadro politico del mondo. Per questo la geopolitica vive in uno scacchiere di alleanze, scontri di interessi ed ora in guerre totalizzanti. La maggior parte degli stati cosiddetti democratici non vivono guerre interne o tensioni interregionali che possano definirsi con guerre dentro i confini, solo tensioni politiche ed alternanze di non equilibri vitali in base ai diritti riconosciuti. Altri stati in cui la vita è regolata da sistemi cosiddetti di regime, periodici sono gli scontri tra i sostenitori e gli oppositori degli specifici regimi. Tre stati nel mondo hanno adottato democraticamente la forma istituzionale federale, gli stati Uniti, la Svizzera e la Germania. Le possibilità che eventuali conflitti possano condurre questi stati ad una guerra interna può considerarsi impossibile. Gran parte degli altri Stati del mondo vivono questa impossibilità ma diversi no anche perché i regimi che governano non lo fanno nell’interesse dei propri cittadini ma nell’interesse dei grandi poteri o di interessi esterni che garantiscono protezioni e vantaggi specifici. Come ravviare un percorso globale di pace e di un governo comunitario? Solo due sono i soggetti interessati, i cittadini del mondo ed i governi e gli interessi speculativi del sistema che in atto del nuovo ordine mondiale. Sono quindi i cittadini del mondo che possono chiedere ed ottenere la istituzione democratica di una Federazione mondiale degli stati, mobilitandosi. La necessita di un manifesto che avvii il complesso e difficile cammino verso questo obbiettivo potrebbe essere il seguente: Manifesto per i Giovani, le Famiglie ed i loro bambini, il mondo della Scuola e le Università, le lavoratrici ed i lavoratori, gli anziani,   i cittadini e gli Amministratori Locali e Globali, le Chiese delle diverse religioni, i cittadini del mondo. LA TERRA E’ UN SOLO PAESE E L’UMANITA’ I SUOI CITTADINI L’evoluzione della umanità sulla terra, dalle origini sino ai giorni nostri si è sviluppata con dei passaggi storici intervallati da turbolenze e guerre. Dalla vita primordiale in famiglia si è passati alle tribù, alla vita nei villaggi protetti dentro le mura, alla espansione nelle città, e di seguito nelle città Stato. Ogni passaggio è stato favorito da guerre e da conseguenti nuovi ordini organizzativi. Si sono realizzati poi gli Imperi (pensiamo agli imperi romano e persiano) con ambizioni di conquista dell’allora mondo conosciuto. Costanti turbolenze durate i secoli hanno portato alla creazione di Nazioni e di Stati con scoperte e conquiste sempre soffocate nel sangue. Oggi gli Stati nel mondo sono 220 ma in seguito all’ultime due guerre mondiali, alcuni di questi Stati si sono riuniti in una Conferenza nel 1944 ed hanno dato vita a tre istituzioni che oggi governano il mondo. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale (Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo) ed il GATT Accordo Generale sulle Tariffe Commerciali. Dopo quella Conferenza Internazionale, alcune grandi nazioni sono diventate più potenti. Il sistema di regolazione dei cambi internazionali (Gold Standard) nel 1971 venne abbandonato. Sono esplose allora le diffuse pratiche protezioniste, le svalutazioni dei tassi di cambio per ragioni competitive e la scarsa collaborazione tra i paesi in materie di politiche monetarie. Nel 1995 venne istituito il WTO Organizzazione degli Scambi Internazionali. L’ONU entrata in vigore nel 1945, con lo scopo di favorire la soluzione pacifica delle controversie internazionali, mantenere la pace e promuovere il rispetto per i diritti umani, non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite. Nel G7 di cui fanno parte l’Italia, Germania, Francia e Giappone, Canada, Stati Uniti e la Russia che in seguito alla guerra in Ucraina ne è stata esclusa, sono rappresentati gli interessi dei potenti del mondo. Nel G20 anziché discutere di problemi nei trasporti civili durante la pandemia si è discusso di trasporti dei mezzi militari sui ponti e nelle gallerie. Nella COPS27 non sono stati definiti accordi concreti sul rispetto delle transizioni ecologiche con grande delusione dei partner europei. In questo periodo storico, oggi più che mai lo strumento per dominare il mondo è il capitalismo. Ne viviamo uno storico americano ed europeo, il nuovo …

IL DESTINO DEL LAVORO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Nel suo recente libro “Ecosocialismo e giustizia sociale” Achille Occhetto al capitolo “Il destino del lavoro” affronta il tema della robotizzazione. In un importante paragrafo scrive: “Questo vuol dire che se l’innovazione e lo sviluppo tecnologico creano dei vuoti di occupazione, questi vuoti, nel passaggio a volte problematico da lavoro a lavoro, devono essere riempiti da un reddito di cittadinanza collegato alla formazione o all’attività di pubblica utilità, comprese quelle svolte alla produzione senza profitto di cultura.” In questo paragrafo viene giustamente evidenziato il fenomeno della creazione di vuoti di lavoro e la conseguente necessità del reddito di cittadinanza collegato alla formazione necessaria per passare da lavoro non qualificato a lavoro adatto a operare con le nuove tecnologie o all’attività di pubblica utilità ivi inclusa la produzione di cultura. Ma il fenomeno della robotizzazione non comporterà solo un mutamento del matching tra domanda e offerta di lavoro. Porterà un inevitabile aumento della disoccupazione, di cui è difficile prevedere l’entità, ma che non può essere rimosso. Einstein  amava porre sfide concettuali ai colleghi sotto forma di provocatorie questioni, anche estremizzate,  ma atte ad andare al cuore del problema. Se noi, con la stessa logica di Einstein, estremizziamo il fenomeno affrontato da Achille, possiamo porci questo scenario: Poniamo che in un domani (anche non molto lontano) lo sviluppo della robotizzazione sia portato all’estremo per cui tutto ciò che oggi viene prodotto con il lavoro umano viene prodotto dai robot, perfezionati al punto di essere in grado di progettare e produrre robot di successiva generazione più abili, più efficienti in modo tale per cui il lavoro umano, anche quello più specialistico e qualificato, non è più necessario. Non sarà più neppure necessario formare i lavoratori perché si adeguino alle nuove tecnologie; si realizzerebbe quella liberazione dal lavoro  cui faceva cenno Marx, come Achille ci ricorda. Non è un tema nuovo; affrontato da Ricardo, dai Grundrisse di Marx e recentemente da Sylos Labini e dall’autore di Agathotopia, James Meade. Sylos Labini nel suo Nuove tecnologie e disoccupazione articola una risposta per cui “ si deve ammettere che uno Stato centrale, munito, come tutti gli stati, di poteri coercitivi, provveda ad una redistribuzione del reddito seguendo, come criterio guida non l’umanità, la solidarietà o la carità, ma più semplicemente, l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti. Un criterio razionale potrebbe essere: a ciascuno secondo i suoi bisogni: è il criterio che caratterizza una società senza operai salariati e senza classi intese in senso economico. (…) L’alternativa alla distribuzione centralizzata del reddito potrebbe essere data dalla distribuzione generalizzata di azioni delle imprese robotizzate; ma le differenze tra le due ipotesi sarebbero formali, non sostanziali.” All’interno di questo esperimento intellettuale riflettevo sul fatto che oggi il mondo del lavoro ha un suo potere decisorio nella redistribuzione essendo ancora il lavoro una necessità del capitale ed avendo quindi il mondo del lavoro una, anche se mutabile, forza contrattuale; in un domani dove non esista uno Stato coercitivo e distributore, come nell’ipotesi di Sylos Labini, ma i robot fossero tutti di proprietà del capitale, la forza contrattuale dell’ex mondo del lavoro (d’ora in poi subordinati) sarebbe pari a zero, riproponendo quindi un rapporto neo-schiavistico. Si impone l’impellenza dei temi che la robotizzazione comporta, vedasi il libro di Benvenuto e Maglie I sommersi. Lavoratori disarmati nella sfida con i robot, e l’urgenza di affrontarli sin da ora per non rischiare di trovarci poi con le cose sono fatte ed è ormai troppo tardi.. Il tutto con la convinzione che il tema economico non può essere risolto dall’anarchia di soggetti che risolvono le equazioni del sistema nazionale ricercando unicamente l’ottimizzazione della variabile “profitto” ma al contrario va trovata una soluzione nella razionalità della soluzione nella ricerca dell’ottimizzazione del sistema globale attraverso la programmazione dei rapporti che legano i fini, democraticamente individuati, ed i mezzi a disposizione, e ciò con l’utilizzo della moderna tecnologia dei computer quantistici. E’ ovvio che il capitale, unico possessore dei robot e della tecnologia informatica, destinerà, a sua discrezionale scelta, una parte della produzione a soddisfare i bisogni dei subordinati nella misura in cui questi non si ribellino rivendicando migliori condizioni. Destinerà poi il resto della produzione dei robot alle finalità ed ai bisogni del capitale stesso. Ricordo che oggi il capitale deve fornire ai lavoratori i mezzi per la sussistenza e per la riproduzione; in un domani il finanziamento della riproduzione non sarà più impellente in quanto al capitale non serviranno nuovi lavoratori. Occorre quindi, fin da ora, dotare la comunità di un potere contrattuale atto a contrastare la discrezionalità del potere del capitale nella fase di redistribuzione della produzione. E il potere contrattuale che la comunità può accrescere consiste nel renderla proprietaria dei robot, così come di tutto il patrimonio scientifico che il paese con le sue forze riesce ad accumulare. Ora lo stato sta regalando alle imprese sussidi destinati alla innovazione tecnologica delle imprese cosiddette 4.0, ovvero lo stato sta finanziando la robotizzazione con provvedimenti che, se non ne scordo alcuni , sono: Piano nazionale industria 13 miliardi Piano transizione 4.0 7 miliardi DL rilancio 49 miliardi DL Agosto 4 miliardi PNRR 38 miliardi Ora se tutti questi soldi li desse un finanziatore privato, questi avrebbe ricevuto in cambio azioni societarie delle imprese beneficiate, parteciperebbe alle assemblee e se ne ha la forza, parteciperebbe all’amministrazione dell’impresa. Sarebbe un socio con tutti i titoli ed i diritti che spettano ad un socio. Oggi, con le leggi vigenti, i sussidi vanno tutti al capitale privato e sono a carico della comunità. Comunità che sta così finanziando la sua perdita di potere contrattuale e non matura quei diritti che invece un privato maturerebbe.. Ecco che allora la mia proposta di trasformare il regalo al capitale in partecipazione azionaria della comunità, ciò darebbe alla comunità stessa quel potere contrattuale con cui governare la redistribuzione nella ipotesi che abbiamo fatto. La “coercizione” prevista da Sylos Labini sarebbe sostituita da un potere contrattuale costituito dalla proprietà azionaria della …

RIVOLUZIONE FISCALE DIMEZZATA L’IMPOSTA SUI REDDITI DI CAPITALE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | L’articolo 27 della legge di bilancio Meloni che chi ha redditi da capitale assolve a ogni richiesta del fisco, presente o futura, pagando il 14% — non più il 26% previsto dalla legge — su quanto guadagnato con l’investimento fatto. La sola condizione è che si versi tutto entro settembre, anche senza vendere le quote proprie di fondi o i titoli in portafoglio. L’obiettivo del governo è appunto raccogliere soldi subito: la Ragioneria stima quasi mezzo miliardo da questo provvedimento. Ma un effetto delle misure è quello di dimezzare o quasi le tasse su chi ha redditi da capitale, benché questi ultimi siano già tassati molto meno dei redditi da lavoro. L’impatto sarà massiccio perché, secondo l’Istat, in Italia nei fondi comuni sono investiti circa 700 miliardi di euro e circa 1.200 miliardi in polizze assicurative. Regaliamo soldi al capitale, alla rendita, alla speculazione e tagliamo le pensioni; dove sono i partiti? Dove sono i sindacati? La destra sta rivelando la sua natura di serva del capitale e nemica del lavoro. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL REDDITO DI CITTADINANZA DEL CAPITALE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | La politica si sta arroventando sui 9 miliardi di € che il Reddito di cittadinanza costa alle finanze italiane. Ma nessuno sta indagando su i regali ed i sussidi che vengono fatti alle imprese, ma che disvelando il meccanismo sono regali fatti al Capitale (e lo chiamo con la C maiuscola essendo esso il vero sovrano). Tutti sono d’accordo a dare sostegno alle imprese perché queste, aiutate, possano continuare a produrre, a dare occupazione, ad esportare, a far funzionare il paese. Molta della politica economica dei governi tende a creare stabilità, e a creare condizioni per attrarre investimenti esteri. Ma quando questi investimenti arrivano, dall’Italia o dall’estero, vanno ad aumentare il capitale sociale delle imprese finanziate che così irrobustite trovano maggior credibilità sul mercato, e vengono riconosciuti assegnando al finanziatore corrispondenti azioni societarie dell’impresa finanziata. Quello che invece non si riesce a capire è perché quando gli stessi fondi, gli stessi investimenti vengono dallo stato, non viene aumentato il capitale sociale, non vengono date azioni sociali all’investitore ma il tutto si trasforma o in aiuto di stato esentasse o in credito di imposta che l’impresa potrà utilizzare al momento del pagamento delle imposte ovvero potrà, se previsto, cedere alle banche in cambio di contanti. Insomma questi regali, sussidi, incentivi, agevolazioni 4.0, vanno dai contribuenti al Capitale rappresentante un REDDITO DI CITTADINANZA DEL CAPITALE che gode del silenzioso assenso della collettività (solo un sindacalista della Uil si pone domande simili alle mie). Ma vogliamo vedere un elenco incompleto di questi aiuti che si aggiungono a quelli già esistenti (tra tutti le agevolazioni 4.0) con la recente legge aiuti? ● Estensione al primo trimestre 2023 dei crediti d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas, con aumento delle aliquote agevolative. Alle imprese energivore viene riconosciuto un credito d’imposta pari al 45% delle spese sostenute per la componente energetica acquistata ed effettivamente utilizzata nel primo trimestre 2023. Alle imprese non energivore viene riconosciuto un credito d’imposta pari al 35% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, effettivamente utilizzata nel primo trimestre dell’anno 2023. – Alle imprese gasivore e non gasivore viene riconosciuto un credito d’imposta pari al 45% della spesa sostenuta per l’acquisto del gas, consumato nel primo trimestre solare del 2023, per usi energetici diversi dagli usi termoelettrici. ● Estensione del credito d’imposta per l’acquisto di carburanti per l’esercizio dell’attività agricola e della pesca. Il bonus spetta alle imprese esercenti attività agricola e della pesca e alle imprese esercenti l’attività agromeccanica ed è pari al 20% della spesa sostenuta per l’acquisto del carburante effettuato nel primo trimestre solare dell’anno 2023. ● Proroga al 31 dicembre 2023 del credito di imposta per la quotazione PMI, con aumento del tetto massimo del bonus a 500.000 euro. Conferma per tutto il prossimo anno della disciplina transitoria e speciale del Fondo di garanzia per le PMI. La misura dell’aiuto resta confermata al 50% delle spese di consulenza sostenute dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2023 per l’ammissione alla loro quotazione in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione di uno Stato Ue o dello Spazio economico europeo, mentre aumenta da 200.000 a 500.000 euro il tetto massimo del credito d’imposta. ● Nuovo credito d’imposta per l’acquisto di materiali riciclati provenienti dalla raccolta differenziata. ● Istituzione di nuovi fondi per la sovranità alimentare e per l’innovazione in agricoltura. ● A favore del settore autotrasporto sono stanziati 200 milioni di euro per il riconoscimento di un contributo a favore delle imprese esercenti le attività di trasporto finalizzato volto a mitigare gli effetti degli incrementi di costo per l’acquisto del gasolio utilizzati per l’esercizio delle attività. Per un nuovo stato sociale Il nostro pensiero non può non andare al Nobel James Meade ed all’intervento fatto al CNEL dal prof. Leonello Tronti che qui parzialmante riporto, interventi che vedono un coinvolgimento della collettività nella socializzazione dei mezzi di produzione, preludendo ad una società del benessere fondata su un livello importante di copartecipazione. “Nell’opera Full Employment Regained? (1995) di James Meade, l’economista inglese amico di Keynes e premio Nobel nel 1977. evidenzia che l’accettazione della flessibilizzazione della retribuzione da parte dei lavoratori comporta l’assunzione del rischio di impresa, e perciò stesso una profonda modifica del tradizionale rapporto di lavoro dipendente. Il lavoratore che accetta di commisurare la propria remunerazione all’andamento dell’impresa non può che diventare un socio, un partner che investe nell’impresa il proprio lavoro al pari di chi investe nell’impresa il proprio denaro. Ma, ai fini della protezione del reddito delle famiglie, l’abbandono del principio della garanzia di stabilità della retribuzione comporta che essa sia necessariamente integrata con altri redditi. La prima e più socialmente scontata forma di integrazione è quella con il reddito da capitale (le “azioni di lavoro” della stessa impresa dove il lavoratore è impiegato ora o è stato impiegato in precedenza). Meade intende rafforzare il legame di complementarità tra la diffusione della proprietà azionaria e la sostenibilità sociale di un elevato grado di flessibilizzazione della retribuzione del lavoro, e quindi di “purezza semantica” del salario come segnale di mercato, utile ad orientare l’allocazione ottima dei fattori. Il grado di flessibilizzazione dei salari e di integrazione di questi con redditi da capitale (azioni di lavoro) offre la misura della necessità di programmi pubblici di sostegno del reddito e di protezione dell’occupazione: un lavoratore partner a salario flessibile non perderà mai il proprio posto di lavoro (a meno che l’impresa non sia costretta a chiudere), ma potrà scegliere se rimanere nell’impresa in cui si trova o cercare di cambiare lavoro quando la sua retribuzione o il valore delle sue azioni abbiano raggiunto un livello che non gli sembri più adeguato. La garanzia proposta da Meade è data dalla progressiva integrazione di tutti i redditi attraverso il “dividendo sociale”: un reddito ricavato da una partecipazione pubblica fino a un massimo del 50 per cento al capitale di tutte le imprese (attraverso un processo che chiama di “nazionalizzazione alla rovescia”). Il reddito ricavato dallo Stato dalla sua partecipazione nelle imprese dovrebbe gradualmente trasformare il debito pubblico in credito pubblico, sostituire buona parte della tassazione, e soprattutto consentire a tutti i cittadini di godere in perpetuo di un reddito uguale per tutti e indipendente dal lavoro – frutto tangibile della cooperazione sociale tra Stato, imprenditori e lavoratori nella buona conduzione delle imprese e dell’economia. …

Il LAVORO CHE CAMBIA: DIRITTI, SALARIO,DIGNITA’ DEL LAVORO E RAPPRESENTANZA

di Filippo Vasco – Segreteria Socialismo XXI della Toscana | La riunione, ha l’obbiettivo di definire le condizioni del pensiero del socialismo, sul problema del lavoro che cambia e la definizione da presentare nelle iniziative da fare nella nostra Regione, ai sindacati, alle associazioni degli imprenditori e alle forze dell’area progressista della Toscana. Su queste iniziative del lavoro che cambia, quanta innovazione è intervenuta, che interverrà nel mondo del lavoro e nei processi produttivi, è stato lo stimolo, per l’Associazione Socialismo XXI° della Toscana, di organizzare questi eventi, al fine di stimolare un dibattito con le organizzazioni sindacali, le categorie degli imprenditori, le forze politiche progressiste e i cittadini. Il movente è quello di conoscere lo stato delle cose di oggi, consapevoli che moltissimo è cambiato nella struttura produttiva e nella organizzazione del lavoro, ma che moltissimo è destinato a cambiare. Insieme a questo motivo, l’Associazione Socialismo XXI°, non dimentica la propria storia, che nasce con i lavoratori e per il riscatto sociale delle fasce più deboli, nel mondo del lavoro e tra i cittadini. Purtroppo, oggi stiamo attraversando una fase molto difficile, dove, le difficoltà di capire il prossimo futuro, sono alquanto incerte, sia a livello globale, in Europa e nel nostro Paese. Inoltre, insieme ai cambiamenti strutturali dell’economia, abbiamo una crisi economica e sociale che si trascina dal 2008, continua con la fase della pandemia del Covid e prosegue a causa della guerra tra Russia e Crimea,  uno scontro questo, che coinvolge tutto l’occidente, dove l’Italia e l’Europa stanno pagando il tributo maggiore, in termini economici e sociali, in particolare le fasce più deboli dei cittadini. Condizioni che aggravano ulteriormente l’asse ambientale mondiale, rallentando le difficili politiche di transazione ecologica, la quale non trovano il giusto adeguamento allo sviluppo e ammodernamento del sistema energetico globale, in particolare per il continente europeo che non ha le necessarie convergenze in termini ecologici e ambientali. Le incertezze che sono insite in una globalizzazione non regolata, con una Europa governata con molte discontinuità e diversità, tra Paesi legati solo da trattati, con un Parlamento eletto dai cittadini, ma una Commissione europea indicata dai governi e un consiglio di primi ministri, dove si può decidere solo alla unanimità e per questo ogni Paese  fa il proprio interesse, mentre in Italia, le forze politiche anziché governare, sono molto interessate ad arrogarsi, anche attraverso promesse spesso non rispettate, il voto degli italiani. Ho voluto fare questo breve passaggio, per dire che nei cambiamenti e nei mutamenti economici e sociali, è necessario avere dei governi attivi, attenti a governare i processi, ed essere uniti sugli interessi generali del Paese, questo vale per l’Italia, ma anche in Europa. Ritornando al tema del lavoro, è importante ricordare la forte limitazione  dei diritti, per i cambiamenti avvenuti nella struttura produttiva, dove si sono ridotte le grandi imprese e il 90% sono piccole e medie aziende, aspetto preoccupante rispetto al mantenimento di una struttura industriale, perché il piccolo e bello, può essere tale, se ci sono grandi aziende portanti per sostenere l’economia del Paese. Nella riduzione dei diritti, dobbiamo anche ricordare le politiche fatte dai governi che si sono succeduti, a partire dal 1997 Ministro Treu, dove si sono allargate le maglie del mercato del lavoro, al governo Berlusconi e Renzi, fino ai governi di oggi, che ci hanno portato al lavoro precario, meno diritti e a salari di fame. Teniamo conto, che le riforme sul mercato del lavoro, fatte fino ad oggi, hanno fatto proliferare molti tipi di contratti per l’assunzione dei lavoratori, aspetto significativo delle volontà politiche alla deregulation, invece che definire regole precise ed efficaci, ed evitare il labirinto delle assunzioni. L’idea di una riforma del mercato del lavoro per essere tale, deve contenere misure chiare è comprensibili ai lavoratori, non ci devono essere come oggi molte decine di sistemi di assunzione, ma avere assunzioni mirate alla formazione continua, prevalentemente contratti a tempo indeterminato e contratti a tempo determinato per alcuni settori specifici, senza tutti gli espedienti negativi che ci sono oggi. Il P:D: di Renzi con la sua riforma a abolito l’art. 18 della legge 300, che era soltanto un deterrente contro i licenziamenti selvaggi e non si è pensato, visti i cambiamenti strutturali dell’economia, di costruire un nuovo Statuto dei lavori, per dare garanzie ai lavoratori nei nuovi settori, dove non ci sono coperture contrattuali e dove non è chiaro se sono lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti. Un appello al sindacato, per ricordare la genesi, dove le lotte dei lavoratori di fine ottocento, le battaglie con i partiti democratici nel ventennio fascista e dopo la seconda guerra mondiale, con tutti i travagli degli anni 50 e 60, hanno costruito elementi di unità nei decenni futuri, oggi le provenienze politiche dopo tangentopoli non ci sono più, sarebbe utile fare un passo in avanti, rivendicando autonomia, programmazione e unità dei lavoratori, al fine di una lotta sui salari e la dignità dei lavoratori e del lavoro nel nostro Paese. La crisi economica non è finita, si parla di crisi, ed in questo scenario ci sono  anche le nuove tecnologie, la robotica, dove certamente scompariranno alcuni lavori, ma molti sono nati e altri ne nasceranno, ma che certamente i nuovi lavori, forse non saranno sufficienti a dare occupazione, a quanti lo anno perso o lo possono perdere in futuro. La situazione attuale, vede oggi molti disoccupati, ma è anche vero, che molte aziende non trovano personale adeguato alle professioni richieste, questo indica che c’è una fortissima carenza, tra il mondo del lavoro e la scuola, aspetto importante che va recuperato, rispetto alle necessità delle imprese e alla formazione professionale continua da sviluppare nelle scuole. In questo contesto, la battaglia può e deve essere, anche sul riordino degli orari di lavoro, una riduzione dell’orario a parità del salario e una riorganizzazione produttiva delle aziende, in rapporto alla vita civile e sociale dei lavoratori e dei cittadini. La questione centrale che si pone, per gestire questi delicati passaggi, dovrebbe essere che il Governo, attraverso la scuola e le agenzie …

IL REDDITO DI CITTADINANZA

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | Il reddito di cittadinanza è la voce più discussa nei commenti alla legge di bilancio 2023. E’ una recente voce di bilancio, preceduta da un’altra simile, presente in quasi tutti i paesi europei. E’ vista come una forma di assistenza mentre, a mio parere, va vista come uno strumento strutturale del nostro sistema economico che da anni aumenta le differenze di reddito e patrimonio mentre polarizza la distribuzione dei redditi. Va superata, invece, la concezione del reddito di cittadinanza come una voce dell’assistenzialismo, o meglio come elemosina o se vogliamo volare più alto, come dottrina sociale della Chiesa. Ci sono elementi nell’andamento del modello di sviluppo che stanno mettendo in crisi l’ondata neoliberista seguita ai “gloriosi trenta” di stampo keynesiano. E questi elementi comportano la necessità di elaborare una nuova missione ed un nuovo obiettivo della convivenza economico sociale; la crisi della sinistra consiste proprio nella mancanza di questa prospettiva, nella mancanza di un modello sociale del XXI secolo. Ci troviamo, nel nostro paese, dopo la crisi irrisolta del 2007, la pandemia e la crisi energetica di fronte a prospettive di recessione, crisi di produttività, aumento della povertà, mancanza di promesse per il futuro. Ma dietro a questi elementi avanza la robotizzazione del modo di produzione destinata a rivoluzionare i rapporti sociali in modo radicale. Temporaneamente offuscata da pandemia e guerra, la rivoluzione robotica è a mio avviso dimenticata dai politici e dagli economisti, non sufficientemente affrontata dai sindacati e dagli economisti. L’unica proposta flebilmente avanzata sta nella riduzione dell’orario di lavoro e nella proposta del salario minimo; materie che ritengo assolutamente inadeguate al livello del mutamento in essere. Eppure, anni fa, James Meade con la sua Agathotopia, ci aveva dato modo di poter elaborare qualcosa di più completo ed elevato, qualcosa in cui il reddito di cittadinanza diventava una componente strutturale di un nuovo modello sociale, in cui lo Stato, possedendo il 50% di tutte le imprese, poteva distribuire un “dividendo sociale” atto a garantire un fondamento sociale ad una comunità che cogestisce il modo di produzione, modello che poteva estendersi anche alla “jobless society”. L’impegno su questi argomenti è al centro del lavoro svolto da Socialismo XXI. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA MANOVRA DEL GOVERNO MELONI

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio | La manovra, ancora incompleta, che il governo Meloni sta inviando alle Camere per la conversione in legge, va divisa in due parti: i 21 miliardi per gli aiuti a imprese e famiglie per mitigare l’effetto bollette e i 14 miliardi di provvedimenti che potremmo definire attuazione del programma elettorale. I 21 miliardi Questa parte della manovra è ereditata dal precedente governo Draghi ed è finalizzata ad aiutare imprese e famiglie per contrastare gli effetti dell’aumento dei prezzi dell’energia causati, anche ma non solo, dal conflitto in Ucraina. Su questa parte della manovra c’è un unanime consenso corretto da un sottostante dubbio sull’efficacia del provvedimento che riesce nel suo obiettivo solo parzialmente ma che soprattutto ha efficacia solo per il primo trimestre 2023. Sarebbero invece necessarie due riflessioni: ● Va bene aiutare famiglie e imprese ma che stiamo facendo per combattere la causa di questi aumenti? Non mi pare che si faccia alcunché per rimettere in discussione la nostra posizione sulle sanzioni e più in generale sul conflitto in essere. Possibile che solo il papa ed Erdogan stiano cercando la strada di un cessate il fuoco? Non vedo alcun significativo accenno ad un robusto rilancio delle rinnovabili, mentre stiamo però operando per i rigassificatori per ricevere gas liquido (USA) che costa 4 volte quello ottenuto tramite gasdotti. C’è una accettazione inerte dell’esistente senza strategia per il futuro. ● Va bene dare un aiuto alle imprese, specie quelle energivore, ma non ci si pone la domanda che se si investono soldi nelle imprese, l’atto di investire comporta l’avere in cambio compartecipazioni? Ma nel liberismo odierno lo Stato non si deve impicciare nei meccanismi di mercato ma quando il mercato fallisce è lo Stato che deve elargire elemosine? Non viene il dubbio che c’è qualcosa che non funziona? I 14 miliardi Su questo fronte si realizza un accenno delle promesse elettorali fatte dal centrodestra e che hanno portato quella coalizione al governo. ● Flat tax: è un voto di scambio tra governo e partite iva. Si amplia la platea di chi avendo diritto alla flat tax sfugge alla progressività di imposta cui sono soggetti i lavoratori dipendenti, i pensionati e gli autonomi che fatturano più di 85.000€. Il risultato è che chi è soggetto a progressività paga fino a 10.000€ di imposte in più di una partita iva soggetta a flat tax. Ma anche le partite iva che fatturano più di 85.000€ hanno un regalo flat che consiste nell’applicare il 15% invece del 43% sull’incremento di fatturato rispetto alla punta massima registrata nel triennio 2020-2022 ma solo fino ad un massimale di 40.000€. Anche questo provvedimento, al massimo, permette alle partite iva di risparmiare 10.000€ di imposte nel 2023. ● Limite al contante e limite all’obbligo del pos Il massimale dell’utilizzo del contante viene portato a 5.000€ mentre per vendite sotto i 60 euro il rivenditore non ha l’obbligo di accettare pagamenti tracciabili. Si tratta di due misure evidentemente finalizzate a ricercare il consenso di quella fetta di operatori che già evadono annualmente circa 27 miliardi di irpef e altrettanti di iva. Se si ricercasse un razionale dietro a questi due provvedimenti sarebbe difficilissimo ritrovarne uno con un minimo senso logico. ● Viene ridotto entro certi limiti l’importo dei contributi sociali a carico dei lavoratori, e in compenso viene ridotto l’adeguamento all’aumento del costo della vita, delle pensioni superiori ad un certo importo lordo. ● Viene promessa l’eliminazione del reddito di cittadinanza e una nuova regolamentazione nel 2024. Anche questa è una promessa elettorale che non risolve alcun problema e crea le premesse di problemi ben più gravi sul piano sociale. ● Viene modificata la tassazione degli extra profitti guadagnati dalle imprese energetiche comportando una riduzione del gettito dai 10 miliardi della versione (infelice) di Draghi ai 2,6 miliardi della nuova legge. Geniale! ● Pace fiscale. Un ulteriore condono per chi non ha pagato le imposte. E’ vero che per certe cartelle esattoriali di piccolo importo la procedura di riscossione è più costosa dell’importo da recuperare, ma la cosa avrebbe senso se si mettesse mano anche al sistema di riscossione che ha accumulato più di mille miliardi di imposte non incassate. Questo è un invito ad evadere. Mi fermo qui sperando di suscitare un proficuo dibattito con chi mi legge. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

RICCARDO LOMBARDI, IL SOCIALISMO ECOLOGISTA PRIMA DELL’ECO-SOCIALISMO

di Tibet | Stralci da “L’Alternativa socialista”, Lerici, 1976 – pag. 71 – 77.| Quando si parla di sacrifici bisogna guardare un po’ più lontano, e bisogna pensare che noi ci avviamo rapidamente ad una situazione mondiale in cui tutte le classi dovranno rivedere i loro modi di vita poiché non è consentito – ed ogni giorno se ne avverte di più l’impossibilità – che, alla lunga, si possa pensare di lasciare tre quarti del mondo affamati ed un quarto in condizioni di super consumo… Una società capitalista … si distingue da una socialista….per la diversità della ricchezza. Più ricca perché diversamente ricca. …Pensare che l’Europa capitalista possa inseguire un modello di sviluppo di crescenti consumi in modo da …eguagliare gli Stati Uniti d’America, è un non senso, perché uno sviluppo di questo genere non può essere fisicamente sopportato dal mondo… Non  dobbiamo dimenticare che…le risorse energetiche, le materie prime…avranno costi di estrazione sempre maggiori, quindi piu cari. Si porrà perciò un problema  di permanente difficoltà.  Penso che non si possa continuare in un modello di sviluppo che è fatto di sprechi organizzati. Si fabbricano beni di consumo deliberatamente deperibili –  a parte quel bene di consumo, per definizione obsoleto fin dalla nascita, che è l’armamento – perché l’interesse produttivo è rivolto a costruire con un massimo spreco di materie prime, a costruire beni facilmente deperibili e quindi sostituibili, per alimentare conntinuamente il mercato… Il modello neo capitalista non funziona se non  con un rinnovamento incessante e tumultuoso dei consumi e, quindi, con uno spreco immenso di risorse e di materie prime. Se l’Europa dovesse inseguire questo modello…saremmo freschi! Questo non è fisicamente sopportabile, non è politicamente sopportabile dal resto del mondo, che ne pagherebbe il costo, e non è sopportabile dall’indisponibilità di risorse a prezzi sufficienti per poter alimentare questo spreco continuato. Qui bisogna prepararsi a tutto un modello diverso di consumi.” Che fare? “…come  indirizzo generale, i mutamenti dovrebbero consistere, intanto, nel rendere la produzione italiana meno dipendente, meno indirizzata verso gli scambi con l’estero….Poi una maggiore domanda pubblica interna e soprattutto una domanda per servizi sociali… L’altro indirizzo è quello del risparmio delle materie prime che implica il ricorso – si può dire quasi rivoluzionario, in quanto in contraddizione con la logica del sistema, – alle fabbricazioni di beni meno deperibili di quelli deliberatamente deperibili che fanno adesso…dalle automobili, alle lampade elettriche, alle calze di nylon…Certo costerebbero di più ma con minor spreco di materie prime, il costo d’acquisto maggiore sarebbe compensato dal più lungo ammortamento… C’è anche una questione di civiltà, quella di risparmiare lavoro utile sprecato nella futilità e nella obsolescenza programmatica… Credo che soltanto un governo socialista possa resistere alle pressioni perché le cose non mutino, in quanto probabilmente, anzi certamente, il sistema produttivo dilapidatorio consente un mantenimento del meccanismo dei profitti molto più potente di quanto non consenta un sistema di risparmi di risorse.” SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it