INTELLIGENZA ARTIFICIALE RIVOLUZIONE E CONFORMISMO

L’intelligenza artificiale costituisce un passaggio fondamentale nello sviluppo del “modo di produzione” nella storia dell’umanità. La tecnologia, da sempre, modifica le modalità con le quali agiamo sulla natura per trasformare beni di scarsa utilità in beni con alto valore positivo per la nostra sopravvivenza. Ogni sviluppo tecnologico rappresenta un ampliamento del dominio della nostra ragione nel produrre strumenti che ci superano modificando il rapporto tra il contributo dato dall’uomo rispetto a quello dato dalla macchina. Scrive Claudio Napoleoni che da un sistema in cui la tecnologia è un semplice strumento che aiuta l’opera dominante dell’operaio, “con le macchine, cioè con il processo produttivo reso omogeneo al capitale, il rapporto è rovesciato: all’inizio c’è, in posizione attiva, il sistema delle macchine, in cui sono incorporate la scienza e l’organizzazione, mentre è l’attività dell’operaio, “ridotta a una semplice astrazione di attività”, a mediare il rapporto delle macchine con la natura. Quindi non è più l’abilità dell’operaio che determina l’uso dello strumento, ma è la legge di funzionamento della macchina che determina l’attività dell’operaio. Ora, prosegue Marx, in forza di questo rovesciamento “la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e che, a sua volta – questa loro ‘powerful effectiveness’ – non è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione, ma dipende invece dalla stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione” . L’avvento dell’Intelligenza artificiale modifica il rapporto uomo/macchina nel senso che la macchina in questo caso non si presenta come alternativa al lavoro fisico dell’uomo ma come alternativa al lavoro intellettuale; la cosa non è nuova, da tempo con le calcolatrici e ancor di più con il computer abbiamo delegato alle macchine gran parte del nostro lavoro intellettuale, ma con l’Intelligenza Artificiale lo spostamento di funzioni è enormemente più ampio che mai. Nascono discorsi filosofici sul fatto se quello dell’I.A. sia veramente “pensiero” e nel caso che lo fosse se la macchina sia cosciente di questo pensiero, se cioè abbia coscienza di ciò che ha elaborato. La risposta, a mio parere, è che l’I.A. con le centinaia di miliardi di dati di cui è stata alimentata, con la rete neuronale che crea connessioni tra entità a una velocità impossibile per un uomo, ponderando ogni connessione con la frequenza degli input acquisiti, ha decisamente la capacità di superare l’uomo nell’attività intellettuale e di ciò non dobbiamo aver timore se l’uomo continua ad avere potere gestionale sulla tecnologia che va usata razionalmente e con i limiti posti a suo tempo da Asimov. Ma il punto che voglio approfondire sta nell’alternativa, posta nel titolo di questo articolo, tra rivoluzione e conformismo. Tutto nasce da una semplicissima premessa: l’I.A. opera con i dati che gli sono stati messi a disposizione, da quello che si chiama “data entry”. L’I.A. nasce dal matrimonio tra computer e internet; l’I.A. ha a disposizione centinaia di miliardi di dati che trova contattando internet o ogni altro input che gli sia fornito. L’I.A. ha una capacità straordinaria di ricercare, con le sue reti neuronali, le connessioni tra i miliardi di dati cui ha accesso in tempi inimmaginabili in un uomo. Il test di Turing è un test per cui un esaminatore interroga una controparte, che il ricercatore non vede e che non sa se sia uomo o macchina, e che alla fine di un esame riconosce la razionalità delle risposte che, se fornite non da un uomo ma da una macchina, permettono di definire come “intelligenza artificiale” la controparte esaminata. Ma questo test può benissimo verificare se si sta dialogando con un uomo o con una macchina; basterà che faccia una semplice domanda “Quanto fa 143.255 moltiplicato per 87.998?” bene dopo pochi secondi l’I.A. svelerà la sua presenza dando il risultato che l’uomo non riesce a dare. Ma se molto, se non tutto, dipende dal data entry occorre essere molto attenti al tipo di data entry di cui è nutrita l’I.A. che stiamo utilizzando. Abbiamo due alternative: ● Immissione di dati scientifici galileianamente testati; ● Immissioni di informazioni che nascono da opinioni, pareri o dalla informazione pubblica. L’elaborazione fatta partendo dal primo tipo di dati è quella dalla quale ci si possono aspettare  risultati notevoli se non rivoluzionari in tutti i campi, dalla medicina (migliorando in modo estremo la diagnostica) alla fisica, dall’ingegneria alla biologia (potremmo capire i linguaggi degli animali). Questo perché nel metodo della scienza i risultati di un esperimento vengono comunicati alle altre università perché testino l’esperimento ripetendolo ed eventualmente confermandolo. Ecco che allora un dato scientifico ha una dimensione universale che, entrando in una I.A. come data entry unifica a livello universale la qualità dei dati immessi ed elaborati producendo risultati accettati da tutti. Se invece il tipo di dati di cui alimentiamo l’I.A. deriva da ciò che si trova su internet, allora ciò che risulterà sarà come prodotto dell’I.A. generativa il massimo del conformismo che si possa immaginare. Le opinioni fuori main stream avranno meno frequenze e necessariamente collocate nel basso della classifica creata dalla rete neuronale. Pensiamo ad esempio al data entry relativo all’informazione italiana che sta a livelli bassi nella classifica della libertà di stampa avendo peraltro perso ben cinque posizioni recentemente (verrebbe da dire shit-in shit-out). Facciamo un esempio chiarificatore: immaginiamo di chiedere quale sia la situazione di Taiwan interrogando una I.A. alimentata da un data entry statunitense e un’altra I.A. alimentata da un data entry cinese. Troveremo due risposte diametralmente opposte e rispondenti al più bieco conformismo con il pensiero dominante nei due diversi paesi. Se dovremo d’ora in poi diffidare non solo da testi redatti dall’I.A. ma anche da foto o video prodotti dalla stessa I.A. ci potremo invece fidare dalle risultanze di elaborazioni fatte in campo scientifico, aspettandoci da tali elaborazioni risposte estremamente utili se non rivoluzionarie. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la …

CINQUANT’ANNI FA: IL “18 APRILE ROVESCIATO”

di Franco Astengo | E’ la più grande vittoria contro la DC e la destra dalla fine della guerra: 59% no, 41% sì. Vuol dire che l’Italia è cambiata per la forza ideale delle lotte di questi anni. Fanfani ne esce a pezzi. Noi lo avevamo detto. Ora lo dicono le masse e chiamano la sinistra unita a proporre al paese un nuovo orizzonte. E l’editoriale di Pintor titolò “Un 18 aprile rovesciato”. 13 Maggio 1974, un lunedì, si chiudono le urne aperte il giorno precedente 12 Maggio: l’Italia ha votato per il primo referendum abrogativo nella storia repubblicana. Si tratta di decidere se conservare o meno la legge sul divorzio introdotta nel 1971 grazie all’iniziativa di due parlamentari laici, il socialista Fortuna e il liberale Baslini e approvata dal parlamento con una maggioranza comprendente tutti i partiti dal gruppo del Manifesto al PLI, contrari soltanto DC e MSI. La legge sul divorzio, lungamente attesa e segno evidente dell’avvio di un processo di modernizzazione nei costumi, era stata messa in discussione dall’iniziativa di gruppi cattolici oltranzisti che avevano raccolto le firme proprio per arrivare alla consultazione elettorale. Ricostruendo così, con esattezza quella vicenda, si comincia a sfatare un mito: quello del referendum voluto dai radicali, che sicuramente rappresentarono un piccolo gruppo molto vivace a difesa della legge, ma che non ne furono i promotori, non disponendo all’epoca neppure di una rappresentanza parlamentare. Il risultato di quella consultazione con il 69% di sì alla conservazione della legge dimostrò, peraltro, come il cosiddetto “paese reale” si collocasse ben oltre nella modernità della sua cultura e dei suoi costumi rispetto al quadro istituzionale: erano state forti, ad esempio le incertezze del gruppo dirigente del PCI ad accettare lo scontro referendario voluto dai cattolici, anzi si può dire che le elezioni anticipate svoltesi per la prima volta nel 1972 fossero state determinate anche dalla volontà dello stesso partito comunista di prendere tempo, per arrivare a una mediazione su questo argomento del divorzio che appariva come scottante per di più in un’epoca dove stava maturando, la strategia berlingueriana del “compromesso storico”. Fu la segreteria democristiana, retta da Fanfani, a volere lo scontro diretto nella convinzione di riuscire a mobilitare la parte più oscura e conservatrice del Paese, quella che nel 1948 aveva dato alla DC la più grande vittoria della sua storia, anche grazie ai Comitati Civici di Gedda, alle Madonne Pellegrini di Pio XII, al grido dall’allarme sul “pericolo rosso”. ● Fanfani, però si trovò a fianco soltanto il MSI di Almirante e non comprese per tempo le grandi trasformazioni verificatesi nella vita culturale e sociale del Paese, in seguito alla fase del “miracolo economico” e poi della ventata del’68, rivelatasi alla fine più importante su questo terreno del costume e dei diritti civili che non su quello più propriamente politico. Si trattò di una grande vittoria, la prima, di uno schieramento progressista nato più dal basso, nella realtà sociale che non dai vertici dei partiti: ma quelli erano tempi in cui i vertici dei partiti sapevano catalizzare e aggregare il consenso, e il risultato, sul piano politico, fu sicuramente quello di uno spostamento a sinistra che determinò anche, 12 mesi dopo, il risultato delle amministrative del 15 giugno 1975. Si stavano rompendo le barriere e si stava, finalmente, secolarizzando la società italiana: un balzo in avanti dal punto di vista della vita quotidiana, della libertà di pensiero e di comportamento cui diedero un forte contributo anche i cosiddetti “cattolici del dissenso”, la CISL dell’unità sindacale, le ACLI della scelta socialista di Vallombrosa. Un processo di secolarizzazione della società cui non corrispose, però, la proposta di un’alternativa maggioritaria da parte della politica, dello schieramento di sinistra: la linea del compromesso storico, l’esplosione del terrorismo, la crisi economica derivante dallo “shock” petrolifero dell’inverno ’73-’74, le difficoltà d’aggregazione di una nuova sinistra, la retrocessione dal progetto di unità sindacale furono i fattori principali per i quali quella grande spinta venne meno e si arrivò, due anni dopo, alla triste soluzione del monocolore democristiano di Andreotti, con l’astensione di PCI e PSI: seguì, poi, il rapimento Moro e così il processo di secolarizzazione del paese prese più la strada del documento di Rinascita Nazionale di Gelli (1975) che quella dell’alternativa di governo da parte delle sinistre. Eppure quella del 13 Maggio 1974 fu una grande vittoria della morale laica e della politica progressista, e come tale va ricordata. Come riportato in epigrafe: Il Manifesto, nel suo “sommarione” caratteristico dell’epoca aveva titolato: E’ la più grande vittoria contro la DC e la destra dalla fine della guerra: 59% no, 41% sì. Vuol dire che l’Italia è cambiata per la forza ideale delle lotte di questi anni. Fanfani ne esce a pezzi. Noi lo avevamo detto. Ora lo dicono le masse e chiamano la sinistra unita a proporre al paese un nuovo orizzonte. E l’editoriale di Pintor titolò “Un 18 aprile rovesciato”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLI ARDITI DEL POPOLO PORDENONESE

All’indomani della loro costituzione a livello nazionale, gli Arditi del Popolo sono già ben presenti nel pordenonese, attivi più che altrove nel centro urbano, tra Pordenone, Cordenons e Vallenoncello, dove più intensa era l’azione politico-sindacale delle forze di sinistra, oltre che nel pasianese e nell’azzanese tra Rivarotta e Corva, nelle cosiddette zone bianche, dove operavano attivisti denominati “Arditi bianchi”. Non mancano le segnalazioni delle autorità statali, dei prefetti, relativamente alla loro costituzione e alla loro attività. Si registra una missiva del prefetto indirizzata al governo in cui si informa di una riunione, rivolta alla costituzione dell’organizzazione pordenonese degli Arditi del Popolo, tenutasi nel luglio del ‘21 presso la Casa del Popolo di Torre di Pordenone a cui partecipano presumibilmente una quarantina di “socialcomunisti”. Da quanto risulta, il responsabile degli Arditi del Popolo è Luigi Ragagnin di Torre, operaio e vice segretario della Camera del Lavoro di Pordenone. Attraverso la lettura degli atti di un processo a loro carico nel novembre dello stesso anno, rinvengono inoltre dati per apprendere che da Roma giungono 50 tessere e 25 distintivi e che per far parte dell’organizzazione viene pagata una quota di £. 3,50, mentre la Camera del Lavoro ha sottoscritto cinque abbonamenti al giornale dell’Associazione. Già nella primavera del 1920, sia popolari che socialisti, danno vita a gruppi di sorveglianza e difesa che prenderanno rispettivamente il nome di “arditi bianchi” e “guardie rosse”. Un blocco conservatore infatti, imperniato sulla grossa possidenza, imprenditori ed agrari, ma facente anche leva sul ceto medio, si oppone ad ogni innovazione, ad ogni rivendicazione sociale, attaccando socialisti e cattolici, prima con la stampa, poi con le squadre armate, godendo della benevolenza quando non addirittura della complicità delle forze dell’ordine. A Spilimbergo, nel luglio del 1919, reparti militari sparano sulla folla, radunatasi per protestare contro il vertiginoso aumento dei prezzi, uccidendo 3 persone e ferendone 14. Ad Aviano, nel marzo del 1920, durante una manifestazione per ottenere il pagamento per i lavori eseguiti da una cooperativa, un carabiniere spara dalla caserma uccidendo Luigi Tassan, dimostrante di vent’anni e ferendo un giovane di 16 anni. Sono anni in cui il conflitto sociale diventa durissimo. Numerose ed aspre sono le vertenze durante le quali gli “arditi bianchi”, precedendo i cortei di mezzadri e braccianti nella bassa pordenonese, costituiscono uno strumento di pressione nei confronti degli agrari, mentre durante gli scioperi operai, le “guardie rosse”, a Pordenone come a S. Vito, esercitando uno stretto controllo del territorio evita no incidenti e difendono i manifestanti dalle aggressioni squadriste. In questo contesto gli attacchi fascisti diventano però sistematici. Il 14 ottobre 1920 a Trieste avevano distrutto la sede del giornale socialista “Il Lavoratore”. Il 13 febbraio del 1921 a Pordenone un gruppo di fascisti conclude la cerimonia funebre di un camerata sparando. Il Primo Maggio del ‘21 a Spilimbergo mettono a soqquadro la sede del partito socialista asportando quadri e bandiere. L’8 maggio nel quartiere Borgomeduna di Pordenone irrompono nella casa di un antifascista distruggendone il mobilio. Il 10 maggio, numerosi fascisti di Udine si dirigono a Pordenone imbattendosi su gruppi di operai edili che, assieme alle operaie tessili in uscita dal cotonificio Amman, stanno formando un corteo per partecipare ad una manifestazione proprio contro le provocazioni fasciste. I fascisti attaccano sparando dei colpi di arma da fuoco. Dallo scontro viene mortalmente colpito da “fuoco amico” il loro portabandiera. La morte del fascista serve come pretesto per una grande incursione squadrista su Pordenone che, vista l’entità, si può ritenere predisposta da tempo. Più di trecento fascisti armati arrivano quindi in città, ma in quel di Torre l’11 di maggio, contro ogni previsione vengono accolti dal suon della mitragliatrice di Costante Masutti posta a presidiare le barricate erette in quei giorni dalla popolazione. A seguito di trattative tra resistenti antifascisti capeggiati da Pietro Sartor e le autorità viene stabilito un accordo secondo il quale i fascisti non avrebbero messo piede in Torre. L’accordo però è presto disatteso e dopo l’entrata dell’esercito, degli Alpini, è data via libera ai fascisti. I protagonisti delle “barricate” vengono arrestati non prima però di essere picchiati per strada dai fascisti ed essere poi trattenuti in caserma dove ricevono il resto delle angherie da parte delle forze dell’ordine. Nei giorni seguenti, le minacce, le intimidazioni e le incursioni dei fascisti continuano indisturbate: a Cordenons, contro l’insegnante socialista Fernando Bastianetto, a Pasiano dove vengono devastate le abitazioni di Virginio Cancellier capolega bianco, di Domenico e Giovanni Migotti e di Giorgio De Rini, a Pordenone dove non mancano minacce di morte per l’avvocato socialista Ellero, dove viene messo a soqquadro il negozio di Romano Sacilotto esponente socialista, dove viene devastata la Camera del Lavoro e perquisita la canonica di don Lozer, a Spilimbergo dove una cinquantina di fascisti provenienti da Bologna assaltano le carceri facendo evadere i loro camerati e procurando lesioni al custode e ad altri presenti. L’episodio di Torre però, aveva altresì confermato che i proletari, una volta organizzati, come in questo caso da Pietro Sartor, comunista e Ardito del Popolo, sono in grado di respingere militarmente le squadre fasciste. Le barricate rappresentano un esempio di arditismo popolare, di non rassegnazione ma di presa coscienza delle proprie possibilità. E’ proprio in quel periodo che compaiono pubblicamente e ufficialmente gli Arditi del Popolo a Pordenone facendo scorta al feretro di Tranquillo Moras, giovane comunista poco più che ventenne, aggredito mortalmente dagli squadristi il primo luglio assieme a Pietro Sartor che invece riuscirà a cavarsela e poi ad emigrare, in pieno centro nei pressi della sottoprefettura di Pordenone. Della morte del giovane Moras, riceve notizia Costante Masutti quando ha, da tempo, varcato la frontiera italo-svizzera assieme a Pietro Sartor. Costante Masutti, socialista rivoluzionario di Prata, l’8 giugno del ‘21 è protagonista di una vera e propria azione da Ardito del Popolo a seguito di un’imboscata tesagli in quel di Puia di Prata da un gruppo di fascisti che contro di lui, da solo, ebbero la peggio. In una lettera datata 28 novembre indirizzata alla sezione Operai Edili Fornaciai di Rivarotta di Pasiano, …

L’ESCALATION CONTINUA

Sulla Repubblica di domenica 5 maggio si legge che “la NATO studia i piani per l’intervento diretto”, e vengono identificate due linee rosse che, se oltrepassate, darebbero il via ad un intervento NATO. Questa notizia segue all’ulteriore intervento di Macron che prevede l’intervento diretto di truppe se Mosca si avvicinasse a Kiev e se Zelensky lo richiedesse. Le due linee rosse da non superare sarebbero: a) una provocazione militare contro i baltici o la Polonia, oppure un attacco contro la Moldavia e b) una penetrazione della Russia che sfondasse a Nord-Ovest creando un corridoio tra Kiev e la Bielorussia. Indubbiamente la situazione sta peggiorando giorno dopo giorno ponendo l’Ucraina in condizioni sempre più difficili tali da comprometterne il potere contrattuale in eventuale tavolo di trattative per concludere “l’operazione speciale” russa. Ma occorre, a mio parere, essere molto cauti e realisti nell’affrontare questa situazione. Mi chiedo anzitutto quale sia la partecipazione italiana in queste riunioni della NATO e se questa partecipazione sia conforme all’art. 11 della nostra Costituzione e all’articolo 5 della Nato che riporto: “le Parti convengono che un attacco armato contro uno o più di loro in Europa o Nord America sarà considerato un attacco contro tutte le parti” Ora è ovvio che azioni militari russe in Ucraina o in Moldavia non sono un presupposto per l’applicazione dell’art. 5 della NATO, mentre lo sarebbero azioni militari contro i paesi baltici o la Polonia. Quindi le linee rosse individuate dalla NATO, tranne nel caso di attacco ad un membro NATO, non comporterebbero l’attivazione dell’art.5 della NATO. C’è da chiedersi poi se l’intervento della NATO, per esempio in Moldavia, scatenasse una reazione russa che coinvolgesse un paese NATO ci porterebbe all’applicabilità dell’art. 5 NATO. Infatti, in quel caso non si tratterebbe di “un attacco armato” contro un paese membro dell’alleanza, ma di una reazione ad un attacco NATO contro la Russia. Purtroppo, non vedo, nell’azione del nostro governo, l’applicazione dell’art. 11 della nostra Costituzione che ripudiando la guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti internazionali, obbliga i nostri governanti a privilegiare l’azione diplomatica tesa a raggiungere una situazione di pacificazione. Su questo fronte si muove la Cina (estremamente significative le parole di XI nel recente incontro con Macron) con i suoi 12 punti, si muove quasi ogni giorno papa Francesco, e si muove anche quel dittatorello turco di Erdogan. Nei nostri partiti solo i 5 stelle e AVS hanno posizioni più rispondenti al dettato dell’art. 11, sarebbe interessante che anche il PD prendesse una posizione più coraggiosa, forse una massa significativa di voti di preferenza per Tarquinio Marco possono aiutare a questo passo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA NOSTRA SOLIDARIETA’ AL COMPAGNO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA TEDESCA MATTHIAS ECKE

COMUNICATO STAMPA Venerdì sera a Dresda Matthias Ecke, candidato di punta della SPD, è stato violentemente aggredito mentre affiggeva dei manifesti, da un gruppo neofascista collegato all’AFD, molto presente in Sassonia, tanto da essere ricoverato in ospedale e sottoposto ad intervento chirurgico. La vicenda ripropone il tema della difesa della democrazia. Un pericolo reale, concreto. In Italia e in Europa che ci indigna profondamente. SOCIALISMO XXI esprime solidarietà al compagno Matthias Ecke e condanna la vile aggressione, una minaccia per la DEMOCRAZIA e la nostra LIBERTA’ che difenderemo strenuamente per evitare che l’Europa ripiombi negli anni bui del suo triste passato. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

COSTRUIRE CON LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI IL SOCIALISMO DEI MERITIE DEI BISOGNI

Per le realtà dell’Associazione Socialismo XXI Nazionale e per quella Toscana, riteniamo che il percorso da seguire, al fine di realizzare dei risultati e costruire una presenza sul territorio, la strada maestra possa essere quella della costruzione del Comitato per l’Unità del Socialismo in Toscana. La costruzione deve essere realizzato con tutte le associazioni, gruppi progressisti e riformisti della sinistra, con movimenti civici che si ispirano ai bisogni collettivi e al socialismo, per affrontare i diversi problemi presenti sul territorio, quindi, avere una reale presenza e delle strutture capaci di sostenere la politica necessaria ai meriti e ai bisogni dei cittadini, questo  lo scopo e l’obiettivo della nostra partecipazione alle elezioni amministrative di giugno in alcuni comuni della Toscana. Socialismo XXI nasce e insieme ad altri soggetti della sinistra per costruire un nuovo soggetto del Socialismo nel Paese, ma anche per realizzare e dialogare con altri soggetti della società, con il sindacato dei lavoratori e pensionati, con tutte le categorie imprenditoriali che vogliono costruire un’Italia civile e democratica, discutere con tutta la gente comune per avvicinarli ai nostri ideali, ma anche attivare rapporti con strutture esistenti per fare nuove attività insieme. Questo lavoro può essere realizzato affrontando due questioni che vogliamo perseguire: 1) costruire il Comitato per l’Unita del Socialismo, dove i soggetti che partecipano al tavolo di concertazione mantengono la propria autonomia e si propongono insieme come far crescere i nostri valori; 2) organizzare la nostra presenza sul territorio, in un percorso unitario con i soggetti aderenti al Comitato, che ci porti a lavorare insieme verso il nuovo soggetto da costruire, facendo vivere politicamente le nostre idee, in un rapporto partecipato con i cittadini della nostra Regione. La pandemia negli anni precedenti ci ha molto frenato, ma ancora oggi ci condiziona, usiamo gli strumenti possibili della tecnologia, gli spostamenti possibili con la presenza, questo ci consente di proseguire sugli obbiettivi della costruzione del nuovo soggetto, insieme al Socialismo internazionale dell’Europa, che va sollecitato e rinnovato per una Europa Federale, capace di creare giustizia, uguaglianza, inclusione, pace e libertà nella convivenza dei popoli, su questi argomenti le prossime elezioni europee, si spera che ci possano dare una risposta positiva. Affrontare i problemi dell’Italia e dell’Europa è molto importante, perché una  globalizzazione non regolata, come quella vissuta in questi ultimi decenni non ha funzionato, il capitalismo finanziario e il liberismo sfrenato nel mercato hanno prodotto disuguaglianze economico sociali, dove i ricchi  sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri, dove le guerre mietono vittime innocenti e il capitale continua a fare il proprio interesse, per queste ragioni è urgente una alternativa a questo capitalismo per difendere e migliorare i Paesi in avversità economico sociali e ambientali. Per un nuovo futuro nel Mondo, è indispensabile una ONU più libera dalle compatibilità dei  continenti potenti, ma anche una Federazione Europea capace di dialogare con gli altri continenti, partecipando nei rapporti politici e diplomatici, economici e commerciali, intervenendo per migliorare il sistema climatico e dare il nostro contributo per la stabilità e la pace. La pandemia ha migliorato in parte l’azione dell’Europa, siamo passati dalle politiche di austerità agli investimenti sull’economia, sulle tecnologie e sul clima, ma la strada della costruzione dell’Europa Federale è ancora molto lunga, si tratta di creare nel vecchio continente le premesse di una democrazia partecipata, con il Parlamento eletto dai cittadini e un esecutivo eletto dal Parlamento. Siamo consapevoli che sui problemi della difesa e della sicurezza, sulla tassazione analoga per gli stati membri, per uno stato sociale e solidale,  insieme a investimenti sull’ambiente, sulle tecnologie e sul lavoro, sono le priorità per una nuova e moderna Europa. Nel nostro Paese, abbiamo dei ritardi enormi, negli ultimi decenni con la scomparsa dei Partiti e della politica partecipata, sono stati gestiti problemi e interessi di gruppi, di categorie, spesso personali, mentre prima questi stavano all’interno della programmazione generale del Paese, oggi si muovono aldilà dei bisogni dei cittadini, dobbiamo ritrovare la strada dello sviluppo sostenibile del Paese, superare le disuguaglianze e le ingiustizie, lavorare per costruire un’Italia del lavoro e della partecipazione. Socialismo XXI lotta per sostenere le attività che guardano al lavoro dignitoso, legale e con salari adeguati, superando le disuguaglianze anche tra uomo e donna, mentre sulla giustizia, si deve ricostruire una autorità giudiziaria civile, per le persone e per l’economia, applicando la Costituzione italiana, dove l’articolo 2 sancisce il valore certo della persona umana e la sua dignità. Pertanto, verso il Governo di destra, noi dobbiamo lottare per la costruzione di un programma, con progetti definiti, al fine di rilanciare l’economia sostenibile, la riorganizzazione e la digitalizzazione della P.A. in particolare nel meridione, riformare la sanità sul territorio e negli ospedali per dare risposte concrete ai cittadini bisognosi, intraprendere riforme strutturali nella scuola e nella gestione delle grandi opere, semplificare le regole e la burocrazia che bloccano il Paese, definire politiche d’investimento legate alle realtà territoriali, affinché sia superata la frammentazione tra il nord, il centro e il sud, perché l’Italia supera la crisi solo se unità.   Una breve riflessione sulle forze politiche attuali, dove la Presidente del Consiglio con Fratelli d’Italia e la Lega sono diventati europeisti, i 5 stelle non è molto chiaro l’orientamento politico, il PD cambia l’ennesimo Segretario ma non trova la strada maestra del socialismo; il centro di Azione e Italia Viva  sembra voler fare la stampella alla destra, chiaramente questo Governo avrà alcuni anni di vita, un lasso di tempo che può essere molto utile per riorganizzare una sinistra in Italia, una internazionale del Socialismo europeo, capace di rinnovarsi  e fare una seria battaglia per una Europa Federata. Molte cose possono cambiare nel quadro della politica, il Comitato per l’Unità del Socialismo deve scommettere di farcela e diventare un nuovo soggetto politico, perché alle prossime politiche ci dobbiamo essere, ma da subito dobbiamo costruire strutture e strumenti per essere presenti e partecipare, con le nostre idee e i nostri candidati, uomini e donne, con l’ambizione di ritornare all’interno delle Istituzioni. Il nostro lavoro e la nostra …

LA VOLONTA’ GENERALE DI ROUSSEAU

Sulla Repubblica del 28 aprile Maurizio Molinari riporta uno scritto di Isaiah Berlin in cui si legge: ● “il più sinistro e formidabile nemico della libertà in tutta la storia del pensiero moderno” è Jean Jaques Rousseau perché è stato lui a creare gli strumenti filosofici essenziali alla tirannia contemporanea giustificando l’idea di un rapporto diretto tra il leader ed il popolo che si contrappone in maniera netta al pensiero di Montesquieu sull’equilibrio fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario su cui sono fondate le democrazie contemporanee. Per quanto io conosca il pensiero di Rousseau ritengo di non concordare con quanto affermato da Berlin nel testo di Molinari. Se infatti il pensiero di Rousseau ha una componente tanto indefinita quanto metafisica costituita dal concetto di “volontà generale”, ciò non permette di dedurne “un rapporto diretto tra il leader ed il popolo” fonte delle forme più deteriori del populismo se non di tirannia. Rousseau, nel suo “Contratto sociale” parte da una premessa, ovvero che nello stato naturale della società i popoli erano liberi ed uguali, ma sono stati rovinati dallo sviluppo delle scienze e delle arti, presentandosi oggi come una situazione in cui dominano disuguaglianza e ingiustizia. Per superare questo stadio ed in particolare per poter superare le disuguaglianze di proprietà e di diritti, attualmente caratterizzanti le società odierne, si rende necessaria una alienazione totale a favore di un’entità superiore di cui gli individui sono soci. In tal modo tutti i cittadini difendendo la comunione difendono sè stessi e difendendo sé stessi difendono, di riflesso, la comunione. Sparisce in tal modo ogni ingiustizia e ogni disuguaglianza tra i cittadini. Lo stato nasce attraverso un contratto per cui ciascuno rinuncia alla libertà illimitata della condizione di natura, non però per consegnarsi nelle mani di un sovrano, non sottoscrivono cioè un pactum subiectionis bensì ricevono da ogni altro membro della comunità la stessa rinuncia: questa alienazione dà origine ad una persona sociale, il sovrano, la cui volontà è la volontà generale. Scrive Rousseau nel capitolo sesto del libro primo del Contratto sociale: ● Queste clausole, beninteso, si riducono tutte ad una sola, cioè all’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità: infatti, in primo luogo, dando ognuno tutto sé stesso, la condizione è uguale per tutti, e la condizione essendo uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla gravosa per gli altri”. Il potere sovrano viene esercitato dall’assemblea di tutti i membri della comunità riuniti insieme: ogni legge che viene espressa dalla volontà generale ha per oggetto il bene generale della comunità. Il potere sovrano è inalienabile: non può essere esercitato da un rappresentante eletto per legiferare in nome dell’assemblea. Esecutivo, legislativo e giudiziario sono indivisibili essendo una emanazione del potere sovrano della volontà generale. Su questa non-separazione dei poteri Berlin ha ragione, ma ha assolutamente torto a sostenere un rapporto diretto tra leader e popolo ovvero un rapporto personalistico populistico, autocratico se non tirannico. Vi leggerei invece una vocazione ad un comunismo pre-scientifico, derivante dall’alienazione totale di ciascun associato, coniugato con elementi di democrazia diretta costituita dalla gestione del potere sovrano da parte dell’assemblea di tutti i membri della comunità. L’utopia russoviana nasce, a mio parere, da una concezione metafisica della volontà generale e dalla forzata indifferenza tra il possesso personale del particolare e il possesso associato del globale. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PER IL CONSIGLIERE COMUNALE DI IMPERIA IVAN BRACCO SI CHIEDONO LE SCUSE PUBBLICHE

COMUNICATO STAMPA A nome di tutto il gruppo imperiese di Socialismo XXI: ” Il Consigliere Comunale di Imperia Ivan Bracco e’ un nostro convinto aderente, un membro attivo della nostra Associazione che vuole riunire sotto un unico soggetto politico il socialismo italiano divisosi a cominciare dal 1921. Bracco e’ un galantuomo non un “tipo da galera“. Bracco si e’ impegnato con noi a difendere in ogni luogo e in ogni sede i principi ispiratori del socialismo internazionale: pace e giustizia sociale nello Stato di Diritto. Quindi non esprime mai “roba da galera”, Bracco propugna la emancipazione dei poveri e dei meno abbienti dalle necessità e dalle costrizioni di povertà e tirannia, da chiunque imposti. E’ un uomo libero, di buona volonta’, rispettoso delle Istituzioni della Repubblica italiana, che onora in ogni suo comportamento. Noi pretendiamo che cio’ gli sia riconosciuto da tutti, in primis dal Primo cittadino di Imperia citta’ e di Imperia Provincia. E’ un nostro esponente che va tutelato nelle funzioni democratiche che esplica con puntualità, decoro ed impegno. Ha diritto di ricevere scuse pubbliche da chi lo ha insultato. Ne va’ credibilita’ della carica pubblica ricoperta: non c’e’ “fuori onda” o ” a microfoni spenti” che regga. Serve sincerita’, serve incitamento all’esercizio della critica democratica, nelle sedi deputate ed opportune. Serve rispetto per il ruolo delle opposizioni al governo e ai membri che ne fanno parte. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

MARIO TURI, INTERNATO MILITARE ITALIANO, DA ZEITHAIN A PESCHICI

di Teresa Maria Rauzino | Gli Internati Militari Italiani (IMI), dopo l’8 settembre 1943, rifiutarono di collaborare con il regime nazista. I loro nomi su LeBi, la banca dati on-line dei prigionieri catturati nei lager fra il 1943 e il 1945. 650mila deportati non tornarono a casa. Fra questi un pugliese, Mario Turi,  tiratore scelto della Regia Marina, i cui resti mortali soltanto nel 1992 furono traslati in Italia, a Peschici, dove era nato. GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI CHE MORIRONO A ZEITHAIN Zeithain è un comune tedesco della Sassonia. Qui, nel Lager denominato Stalag IV B, dove erano già morti migliaia di prigionieri sovietici, giunsero nell’ottobre 1943 dei militari italiani feriti e malati, accompagnati da personale medico. In quello che i tedeschi consideravano un “ospedale militare”, denutrizione, condizioni disumane, mancanza di igiene, assistenza medica insufficiente e lavori forzati facilitarono il diffondersi di epidemie e gravi malattie, soprattutto tubercolosi. Morirono decine di migliaia di prigionieri, tra cui 900 italiani. La loro tragica vicenda ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate. Catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e nell’Italia stessa, caricati su carri bestiame, furono avviati a una destinazione che non conoscevano: i lager del Terzo Reich, sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia. Giunti nei lager, dopo un viaggio in condizioni disumane, venivano immatricolati con un numero che sostituiva il nome, inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo. Formalità d’ingresso: la perquisizione personale e del bagaglio, la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali. Ai prigionieri, circa 650mila, veniva chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò. La maggior parte rifiutò di collaborare, affrontando sofferenze e privazioni. In un primo tempo considerati prigionieri di guerra, i militari internati, il 20 settembre 1943 vennero definiti IMI-Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler che li sottrasse alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per destinarli come forza lavoro del Terzo Reich. Per ordine del Führer, e con l’assenso di Mussolini, il 12 agosto 1944 il loro status cambiò e furono trasformati in “lavoratori civili”, formalmente liberi. Complessivamente, nei campi di prigionia persero la vita decine di migliaia di militari, per malattie, fame, stenti, uccisioni. Chi riuscì a sopravvivere fu segnato per sempre. A partire da febbraio del 1945, le prime avvisaglie del crollo imminente della Germania furono di preludio per la loro liberazione che avvenne in momenti differenti, per lo più tra febbraio e i primi di maggio del 1945. Per i sopravvissuti, il rimpatrio in Italia, tuttavia, non fu immediato e si svolse soprattutto nell’estate e nell’autunno 1945, dalla Germania, Francia, Balcani e Russia. Tra i superstiti, tra cui molti erano gravemente ammalati, alcuni morirono lungo la via del rientro e furono sepolti a Praga. Tutti i reduci provenienti dalle diverse regioni del Reich, una volta varcato il confine italiano, vennero dirottati verso Pescantina, nel Veronese, dove fu istituito un centro di accoglienza e di smistamento verso le destinazioni interne al paese. 1 In particolare, il campo di Zeithain fu liberato dall’Armata Rossa il 23 aprile 1945. Dopo la fine della guerra, il territorio del lager e del cimitero italiano fu adibito a zona di esercitazione militare sovietica e rimase per decenni inaccessibile. Nell’Italia del primo dopoguerra la storia degli Internati Militari Italiani venne presto dimenticata. L’oblio è durato a lungo. Grazie all’instancabile opera di ricerca di alcuni reduci di Zeithain, primi fra tutti padre Luca M. Ajroldi (morto nel 1985), ex cappellano del campo che aveva annotato tutti i nominativi e i dati dei deceduti nel suo diario “Zeithain campo di morte” (pubblicato nel 1962 dalla Scuola tipografica Artigianelli di Pavia) e dell’ex tenente colonnello Leopoldo Teglia, attuale presidente dell’Associazione nazionale ex internati di Perugia, nel 1991 fu finalmente possibile localizzare, riesumare e rimpatriare le spoglie di quasi tutti i caduti italiani di Zeithain sepolti nel cimitero militare italiano di Jacobsthal, e in parte nel cimitero di Mühlberg e Neuburxdorf. Tra le urne rimpatriate in Italia nel 1992, c’era quella di Mario Turi, nato il 15-04-1922 a Peschici (Foggia). Specialista di “direzione di tiro” nel reparto comando Navarino della marina militare italiana, fu catturato sul fronte greco in data imprecisata e internato con il numero di matricola 280743 nello Stalag IV B a Zeithain. La data del decesso è il 12-03-1944. Causa ufficiale: malattia. Prima sepoltura: Zeithain-Cimitero militare italiano. Luogo di sepoltura attuale: Peschici-Cimitero comunale. Tutta la comunità di Peschici in una fredda mattinata del 10 febbraio 1992 accolse l’arrivo dell’urna con le spoglie mortali di Mario Turi. L’evento fu immortalato dal cameraman Mimì Martella e postato su YouTube. Una messa in suffragio fu celebrata dal parroco don Giuseppe Clemente in presenza dei parenti del marinaio (la seconda mamma, la sorella Michelina e il fratello Vito), dei fedeli, delle autorità civili e militari e delle rappresentanze della scuola media Libetta. Molto toccanti le riprese del “planctus” delle donne di Peschici vicino alla piccola urna del marinaio morto a Zeithain, l’accompagnamento al cimitero, scandito dalla lettura di alcune pagine del diario di padre Ajroldi e dei pensieri dedicati a Mario dalle donne di casa Turi: “Sei partito un giorno di sole, bello come eri bello tu. I tuoi occhi brillavano e i tuoi capelli biondi splendevano ai raggi solari, il tuo cuore era colmo di amore per i tuoi cari, per la tua patria. Andavi lontano sul mare, quello stesso mare che guardavi dalla tua casa. I tuoi pensieri vagavano oltre l’orizzonte ma un solo nome era scolpito nel tuo cuore: Italia. La tua Patria, che avresti difeso fino all’estremo sacrificio e l’hai fatto, Mario. Come solo gli esseri eletti sanno fare. A Lei hai donato tutti i tuoi sogni, le tue aspirazioni, la tua giovinezza. Felice di poterlo fare e laggiù lontano, in una terra ostile. Chi ti ha confortato? Chi ha posato sui tuoi occhi ormai spenti l’ultimo bacio? …

1° MAGGIO

L’art.1 Costituzione statuisce cha la nostra Repubblica è fondata sul lavoro. Il lavoro è dignità, libertà. Un diritto sociale. Rimuove le disuguaglianze.  Ma non si può morire di lavoro. Torna prepotentemente il tema della sicurezza sul lavoro. Un flagello che deve essere debellato. Un Paese civile non può tollerare  per troppo tempo ancora  questa mattanza.  Ciò richiede l’impegno di tutti: istituzioni, forze sociali, società civile. Le morti bianche  rappresentano una sconfitta della nostra società. Spezzano la vita di tante famiglie. Non basta inasprire le sanzioni. Ci vogliono più investimenti per la sicurezza e più controlli. Il lavoro non può tradursi in una prospettiva di morte. Il lavoro è crescita, sviluppo, progresso. Le parti in causa, con nuovi patti, possono trovare una soluzione per uno sviluppo ed una crescita in sicurezza e nel rispetto dell’ambiente. E’ una sfida che dobbiamo vincere. Non è l’unica, però. L’altra riguarda il precariato che impedisce, specie alle nuove generazioni, di avere una famiglia. Di costruire il futuro. Di progettare una vita. In questa ottica,  insistiamo per l’abrogazione del jobs act e per il ripristino dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Così si combattono, non con le parole, precariato e disuguaglianze sociali. É una battaglia ascrivibile a Noi socialisti perchè appartiene ai nostri valori. Al nostro mondo. Alla nostra idea di lavoro e di società. Una società giusta, libera, inclusiva, solidale. Il tasso di disoccupazione giovanile e femminile, specie al Sud, è altissimo. Ne consegue che occorre puntare su una vera politica per il lavoro se vogliamo essere competitivi. Gli istituti professionali devono svolgere un ruolo fondamentale di programmazione dei giovani al mercato del lavoro a condizioni però accettabili e dignitose. Siamo consapevoli che senza lavoro il Paese non riparte. Non cresce. I dati macroeconomici non sono confortanti e con essi il livello occupazionale. Troppe vertenze sul tavolo chiedono soluzioni rapide, condivise, a tutela dello sviluppo e dell’occupazione. Nel rispetto della sicurezza e dell’ambiente. Siti industriali di primo livello quali Mirafiori, Magneti Marelli, l’ILVA di Taranto, non solo rischiano la chiusura, ma mettono in crisi tutto l’indotto gettando nel panico migliaia di famiglie. Intervenire subito per fermare la deriva industriale nel nostro Paese e i guasti prodotti dal neoliberismo nel settore produttivo italiano. Al Governo chiediamo un piano industriale ed un piano per l’agricoltura per il rilancio di due settori strategici del nostro Pil, e non soltanto interventi una tantum che non producono effetti nel lungo periodo.  Il nostro  messaggio è diretto a chi cerca lavoro.  A chi difende il proprio lavoro. A chi ha perso il lavoro e lotta per riconquistarlo. Che oggi sia veramente la Festa del Lavoro e delle Lavoratrici e dei Lavoratori. Il lavoro è un valore che ci rende liberi. Un bene costituzionalmente garantito e spetta a ciascuno di Noi farlo vivere. Il lavoro, con il suo portato etico, è strumento di coesione sociale e di promozione della dignità umana. Compagne , compagni, Buon 1° Maggio a Tutti SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it