PER UNA RIFONDAZIONE SOCIALISTA

di *Giovanni Princigalli | Sono rimasto molto dispiaciuto per il risultato del PSI alle recenti elezioni europee. Però mi chiedo: perché allearsi con Renzi e i radicali? Cosa c’entra Renzi con la tradizione del socialismo italiano e quello internazionale? Renzi aveva portato il PD su posizioni centriste e liberiste. Guadagna milioni per fare il consulente per dittatori e multinazionali e afferma che in Arabia Saudita c’è un nuovo Rinascimento. Ci si allea con lui per non allearsi con il PD? Il PD non è il mio partito, ma Elly Schlein è forse la sola leader socialdemocratica che c’è in Italia. Ha spostato il PD più a sinistra (anche se non quanto vorrei). L’altra possibilità era un’alleanza con SI e VERDI. Non so però se questi fossero stati d’accordo. È certo che Fratoianni con SI ha una forte visibilità personale.  In un grande partito di sinistra sarebbe il numero due se non il numero tre. Ma con questo non voglio dire che egli non desideri sciogliere il suo partito in uno più grande per motivi d’interesse personale. Perché è anche vero, che non c’è in vista un forte, allettante e affasciante progetto di partito unitario, per cui vale la pena sacrificare e mescolare la propria particolarità e spazio. Ma vedo che il piccolissimo PSI di oggi pur di rivendicare la specificità del suo nome glorioso, si chiude in una riserva indiana rifiutando l’annosa questione della fusione o convergenza con gli ex PCI. Posso anche capirlo, perché il PCI ha sempre avuto ambizioni egemoniche e attitudini paternaliste, arroganti e di superiorità verso il PSI. Ma il PCI e Craxi non ci sono più. Poi, quando leggo che il PSI di oggi con orgoglio si richiama a Filippo Turati e Carlo Rosselli, mi viene un po’ da ridere (scusate), perché Turati era si riformista ma marxista (amico di Engels) e Rosselli era si un riformista non marxista, ma il suo pensiero, oggi, sarebbe più a sinistra di S.I. Anche i socialisti che andarono con Forza Italia dicevano d’ispirarsi a Turati e Rosselli.  Francamente… un po’ di onestà intellettuale e amore per la storia per favore. Chiaramente le colpe per l’assenza di un grande partito socialista (che oggi dovrebbe chiamarsi anche ecologista) sono da attribuire anche ai PDS-DS che si sciolsero nel PD.  Così facendo avvilirono gli sforzi e disillusero le speranze di De Martino, Ruffolo, Spini e Rodotà. Quindi certo è colpa (grossa) anche degli ex comunisti che non hanno avuto l’intelligenza, la sensibilità e il coraggio di usare il termine “socialista”, dimostrando un certo pregiudizio verso questa storia. Ma anche i socialisti di oggi non riescono a togliersi dalla testa il loro anti-comunismo sviscerato (o meglio, peggio ancora, l’anti PCI di Berlinguer). Il PD ha fatto male a non richiamarsi alla tradizione socialista. Il PSI però commette un errore più grande, perché si ritiene l’unico depositario della tradizione socialista; il socialismo italiano puro ed esclusivo, ma nei fatti è più a destra non solo di Lula, ma anche dell’americana Alexandria Ocasio Cortez. Se gli ex comunisti, trasformandosi genericamente in democratici, hanno dimostrato quasi di vergognarsi delle loro origini e della tradizione marxista, i socialisti hanno una difficoltà simile, quella di non assumere in modo cosciente e profondo il significato della parola socialismo.  Ci consola, parzialmente, sapere che è questo il problema anche del glorioso SPD tedesco. Esso non solo (il che è comprensibile e normale) è lontano dalla socialdemocrazia marxista se per riformista di Bernstein o Lassalle, ma lo è anche con il partito non marxista che fu di Willy Brandt. Il PSI che si allea con Renzi, non ha alcuna piattaforma anti-capitalista, no certo nel senso dogmatico o bolscevico. Penso piuttosto alla critica al capitalismo, se per pur con obbiettivi, contesti e valutazioni diverse di Salvador Allende, Olof Palme, Bernie Sanders. Mi spiace dirlo, ma ancora una volta il PSI di oggi, ma non da oggi, ma da decenni, ha rotto i ponti con le idee dei padri fondatori, anche se afferma che non sia così, ma in verità è così. Se ci si allea con Renzi, e prima ancora si governa con Berlusconi, i fascisti e i leghisti (guardate Cicchitto, che non so perché è il direttore di Civiltà socialista), se si stila un manifesto di valori come quello che è leggibile sul sito del PSI, non puoi avere in testa e nel cuore Turati, Rosselli, De Martino, Lombardi.  A me sembra che sia piuttosto un partito di tipo blairiano. Il PSI di oggi è nostalgico (lo sono pure io), ma verso cosa? Verso il PSI di Craxi, ovvero quello che Formica (che pur è da sempre moderato ed anti-comunista) aveva definito una corte di nani e ballerine? Pensiamo anche all’amarezza di Lombardi che disse: «Non c’è più ragione per militare in questo partito». Pensiamo a De Martino, che parlò di mutazione genetica. Allora che nostalgia è? Quella per il 15% di consensi raggiunto da Craxi? Sono convinto che costui vada riscoperto e riletto, ma fu anche quel leader “socialista” che si precipita in Parlamento per portarlo a rivotare un provvedimento a difesa dei privilegi e degli interessi (particolari e capitalistici) di uno uomo solo, ossia di Berlusconi. Sono d’accordo sul fatto che Mani Pulite nascondeva tanta arroganza, ostilità, pregiudizio e anti-politica. Ci furono eccessi, errori ed abusi, oltre che egocentrismo, divismo, protagonismo di alcuni magistrati, il delirio di essere il giustiziere del popolo, come fu in gran parte l’attitudine di Antonio Di Pietro. Eppure, non eravamo nella URSS di Stalin o nell’Italia di Mussolini, in cui il dittatore dettava, ordinava, al magistrato quale dissidente pericoloso di turno punire e quali le pene da sentenziare.  La corruzione c’era, lo disse 10 anni prima Lombardi:  «Ci sono più socialisti in prigione oggi che ai tempi del fascismo».  Ho consultato dei documenti del PSI barese degli anni 50 e 60. Sono riportate le entrate che erano fatte di sottoscrizioni, lotterie, tornei di calcio balilla, feste dell’Avanti, porzioni generose tratte dagli stipendi di deputati e senatori. I funzionari erano pagati quanto un …

GLOBALIZZAZIONE

Scrive Aldo Potenza in un suo recente intervento: “La globalizzazione che ha permesso alle imprese di indebolire la classe operaia con la minaccia, più volte attuata, del trasferimento all’estero delle attività produttive”. Questa affermazione, che trova riscontro nel reale, specialmente nel nostro paese, pecca, a mio modo di vedere, nell’individuare il punto critico, l’errore, il motivo principe del fenomeno. Aldo indica nel “colpevole” la globalizzazione, io, invece, sposterei il mio bersaglio sulla immaturità e scarsa capacità imprenditoriale (penso naturalmente all’imprenditore schumpeteriano) del nostro capitalismo. La globalizzazione conosce varie fasi; da quella arcaica, tradottasi in un colonialismo imperialistico, a quella del periodo dei due blocchi mondiali USA e URSS, per sfociare poi ad una gestione unica egemonizzata, dalla fine della guerra fredda, dagli USA; al declino di questa egemonia e quindi alla fase attuale in cui gli equilibri internazionali sono in decisa ridefinizione. Da un punto di vista economico la globalizzazione comporta un incremento degli scambi economici allargando la partecipazione di questi scambi a tutti i paesi, in particolare a quelli in via di sviluppo e a quelli sotto sviluppati; ricordo i risultati politici della gestione di questa fase dal GATT all’OMC culminati con l’ingresso della Cina nel WTO. Un vecchio detto di Bastiat recita che dove circolano le merci non circolano i soldati, e se guardiamo nel mondo dal dopoguerra a oggi, il mondo (purtroppo non tutto) ha conosciuto un periodo di tre generazioni dove i cittadini non hanno conosciuto la guerra ed i suoi terrori. Certo in questa redistribuzione a livello mondiale della produzione è indubbio che le differenze di tenori di vita, meglio la differenza dei salari comporta quanto scrive Aldo, ma è indubbio che la perdita di competitività del nostro paese dipende dalla scelta fatta dalle nostre imprese a non ricercare nell’aumento di produttività l’arma per vincere la concorrenza, ma a ricercare invece di puntare sui bassi salari, scelta inconcepibile visto il livello salariale dei paesi nuovi apparsi sul mercato mondiale e considerato il fatto che, dopo l’adesione all’euro, abbiamo perso lo strumento della svalutazione della lira. Aggiungo che oltre alla perdita di posti di lavoro dovuti alle delocalizzazioni, osserviamo in Italia il fatto preoccupante per cui i fondi che investiamo nell’istruzione con soldi provenienti dalle nostri imposte, producono intelligenze e competenze che regaliamo ai paesi verso i quali, attratti dagli alti salari, fuggono i nostri laureati. E’ dovuto intervenire il ministro Calenda per cercare di spostare le scelte produttive verso una maggior produttività REGALANDO detassazioni e/o bonus a fondo perduto a chi investisse in innovazione tecnologica: in poche parole si regalano i soldi dei contribuenti (lavoratori e pensionati) a chi non è capace di fare il suo mestiere invogliandolo con i bonus a fare ciò che ci si aspetterebbe che un imprenditore facesse. Quei soldi sono stati regalati con una modalità virtuosa nel senso che non sono regali a pioggia senza un corrispettivo comportamento auspicato, ma solo a fronte di effettiva aumentata capacità produttiva tecnologica, ma quei soldi, essendo dei contribuenti, potevano a mio parere essere dati, come succede nella norma, come PARTECIPAZIONI di un fondo che entrasse nella gestione dell’impresa agevolata. La scelta di competere con i bassi salari pone il nostro sistema produttivo in seria difficoltà in un periodo in cui le innovazioni tecnologiche si impongono come il fattore decisivo nel presente e nel prossimo futuro. Penso ai computer quantistici e soprattutto all’intelligenza artificiale (I.A) che stanno rivoluzionando il modo di produzione, con la conseguente rivoluzione sui rapporti tra le classi sociali. La miopia della nostra classe imprenditoriale si traduce in una critica alla tanto decantata iniziativa privata. Il cui massimo esempio è rappresentato dalla Fiat, per anni campione indiscusso, vezzeggiato e foraggiato (si pensi alla rete autostradale) che è scomparsa dal nostro paese lasciando un deserto sterile. Parlavo di intelligenza artificiale, ebbene attualmente gli investimenti in I.A. sono di 130 miliardi di dollari, ebbene 100 miliardi sono investiti in USA e Cina e solo i restanti 30 sono investiti dal resto del mondo. Ciò ci deve far capire qual è la strada da imboccare. E con ciò intendo una iniziativa europea che costruisca il CERN dell’I.A.; su questa strada mi pare ci inviti Draghi che nel suo rapporto sulla competitività europea indica come necessario un investimento di 500 miliardi di € all’anno per prospettare un futuro europeo in presenza dei concorrenti USA e Cina. Certo che la globalizzazione cui guardiamo e che purtroppo si sta polarizzando (vedi la nascita dei BRICS) non guarda né alla globalizzazione delle multinazionali statunitensi né a quella del modello cinese; deve tendere cioè ad un modello più solidale, comprensivo, ibridizzante. Ma questo è un discorso troppo enorme da essere neppur abbozzato in questa sede.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

QUELLO DI MATTEOTTI CHE FINE HA FATTO?

(Photo by Stefano Montesi – Corbis/Corbis via Getty Images) COMUNICATO STAMPA Poste Italiane ha emesso un francobollo dedicato a Italo Foschi che tra l’altro si era congratulato con gli assassini di Giacomo Matteotti. La Segreteria provinciale dell’Anpi di Ferrara propone di condividere il seguente Comunicato Stampa grazie! «Poste Italiane ha emesso un francobollo dedicato a Italo Foschi, militante fascista, organizzatore dello squadrismo a Roma, fedele a Mussolini fino alla Repubblica di Salò, quando l’Italia subiva gli eccidi delle brigate nere e delle SS nazisti, noto anche per essersi congratulato con Amerigo Dumini, scrivendogli che era un eroe per l’assassinio di Giacomo Matteotti, uomo libero coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee. Mentre pertanto in questi giorni ricordiamo l’assassinio di Giacomo Matteotti ad opera delle squadre fasciste, Il governo del nostro Paese omaggia negli stessi giorni, con un francobollo, chi ha condiviso quel brutale assassinio. Condanniamo questo grave vergognosa provocazione. Questo francobollo è un’offesa alla memoria di Matteotti, e di tutti gli antifascisti che hanno dato la vita per la libertà e la democrazia per il nostro Paese, chiediamo pertanto che venga bloccata subito la distribuzione». SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VISCO: NAZIONALISMO ECONOMICO IN EUROPA FA MALE A TUTTI

Pubblicato su: NENS Nuova Economia Nuova Società Visco: nazionalismo economico in Europa fa male a tutti e rende impossibile competizione con Usa e Cina, nuovo patto di stabilità occasione mancata. Le sfide che dovranno affrontare l’economia europea nei prossimi anni sono molto impegnative, e da questo punto di vista l’accordo raggiunto sul patto di stabilità non può certo essere considerato un successo, né ci si può consolare dicendo che esso è (lievemente) migliore dell’accordo preesistente. La proposta iniziale della Commissione era invece molto impegnativa, innovativa ed interessante in quanto ipotizzava un accordo tra la Commissione stessa e ogni singolo Stato, su proposta di ciascuno di essi, e che tenesse conto della reale situazione economica e finanziaria di ognuno. In questo modo da un lato si “internalizzava” il vincolo esterno in quanto i singoli Paesi diventavano protagonisti diretti dei loro stessi programmi di politica fiscale, e quindi maggiormente coinvolti nella loro realizzazione concreta, e dall’altro, almeno in teoria, la Commissione poteva mettere in essere una politica di bilancio europeo coerente con le esigenze macroeconomiche della zona euro, senza costringerla in regole uguali per tutti, ed evitando interventi pro-ciclici e deflazionistici. Un surrogato – imperfetto, ma comunque utile e positivo – di una politica fiscale comune. Tale approccio avrebbe comportato obiettivi e comportamenti differenziati tra i diversi Paesi: alcuni – come l’Italia e gli altri Paesi più indebitati, si dovrebbero orientare a maggiore prudenza e alla graduale riduzione del debito, altri invece avrebbero dovuto realizzare politiche più espansive, in modo da portare benefici all’intera Unione sia in termini di stabilità che di crescita. Questa proposta non ha retto ai timori e ai pregiudizi dei cosiddetti “frugali”, ed è quindi stata sostanzialmente svuotata con la reintroduzione di parametri uguali per tutti secondo un approccio “one size fits all” non solo priva di logica, ma già sperimentata senza successo negli anni passati. In sostanza si riafferma una propensione ad una gestione deflazionistica dell’economia europea orientata all’austerità di principio a causa di pregiudizi e sospetti in buona misura non fondati su elementi di realtà, e di sfiducia nella capacità della Commissione di riuscire a far rispettare gli impegni assunti dai governi. Questo atteggiamento è per altro simmetrico a quello di segno opposto di altri Paesi impegnati esclusivamente nella ricerca di “margini di flessibilità” per i propri governi. In altre parole, sia i “frugali” che i “prodighi” hanno seguito logiche ristrette e nazionaliste e quindi autolesioniste, in un gioco a somma negativa sia per l’Europa sia per i singoli Stati. Si tratta di un atteggiamento difficilmente comprensibile, soprattutto da parte della Germania, che negli ultimi anni ha visto dissolversi l’intero modello di sviluppo (?) verso cui aveva indirizzato la propria economia dopo l’introduzione dell’euro, e basato su una sorta di marco svalutato, l’euro (moneta forte e stabile, ma che riflette il peso non solo dell’economia tedesca, ma anche quello delle altre economie – meno forti – dell’Unione), la deflazione interna grazie al piano Hartz sul mercato del lavoro voluto da Schroder, e all’austerità, con conseguente contenimento del costo del lavoro, imposta agli altri Paesi dell’Unione, la delocalizzazione della produzione delle componenti dell’industria tedesca nei Paesi dell’allargamento dove i costi erano più bassi, l’ energia a basso prezzo derivante dagli accordi con la Russia e dai relativi gasdotti (North Stream), gli accordi commerciali con la Cina.Tutto ciò che era consentito di non peggiorare la competitività di prezzo, e promuovere un’impressionante crescita delle esportazioni, e di realizzare surplus annui della bilancia dei pagamenti che, partendo da una situazione di pareggio nel 2000, ha superato negli anni recenti il 70% del Pil tedesco, privando l’economia tedesca ed europea di una maggiore domanda interna che avrebbe consentito politiche espansive e sarebbe risultata estremamente utile per tutti (a partire dalle fatiscenti infrastrutture tedesche). Nel complesso, una strategia perdente e autolesionista, ma per lo meno coerente e rispettosa delle indicazioni dell’ordoliberismo, e che tuttavia ora appare, e risulta, impraticabile. Come di conseguenza la zona euro ha avuto una crescita media nettamente inferiore a quella degli Stati Uniti (1,2%, rispetto all’1,9%, e all’1,4 della Comunità europea), e ora si trova in seria difficoltà; ma soprattutto problematiche si presentano la situazione economica della Germania, rimasta privata di una strategia, e le sue prospettive. Era quindi il momento di cambiare strategia, e riconoscere che il nazionalismo economico in Europa fa male a tutti i Paesi e rende impossibile competere alla pari con Usa, Cina, ecc.  Sarebbe stato necessario un nuovo patto di stabilità più flessibile (ipotesi appena tramontata), il completamento dell’unione bancaria con l’introduzione della assicurazione sui depositi, la creazione di un mercato unico dei capitali europei, in grado di contribuire al cofinanziamento da parte dei privati degli enormi investimenti necessari per la transizione digitale, energetica e la difesa comune dell’Europa, sostanziose emissioni di debito comune per realizzare questi progetti, una politica industriale europea con accordi e fusioni transfrontaliere per non perdere ulteriore terreno nella competizione internazionale. Queste erano, e sono, le sfide che l’Europa dovrà affrontare nei prossimi anni, e che con l’assetto istituzionale esistente non sarà in grado di promuovere. Ci aspettano quindi anni difficili, di crisi e stagnazione che la possibile affermazione delle forze politiche nazionaliste ed euroscettiche renderebbe ancora più problematici, con seri rischi di regressione economica, e di ulteriore perdita di rilevanza internazionale. Sono questi problemi che dovrebbero essere al centro della prossima campagna elettorale per il Parlamento europeo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

UN 2 GIUGNO DI LOTTA

di Franco Astengo | La celebrazione del 2 giugno 2024, festa della Repubblica, assumerà tratti inediti nella storia d’Italia: definitivamente dissolto l’antico “arco costituzionale” sotto il cui ombrello ci poteva comunque ritrovare mai è stato così violento l’assalto alle fondamenta del dettato della nostra Carta Fondamentale. Ormai è svelata la posta in gioco di questa fase (che potremmo considerare più storica che politica): riscrivere la Costituzione e mandare in archivio il suo punto di vera scaturigine, la Resistenza. E’ stato giustamente scritto che il progetto del centro-destra di oggi è molto più invasivo di quello elaborato nel 2016 dal PD(R) e che fu respinto dalla maggioranza dell’elettorato, e da altri tentativi precedenti (riforma del centro destra anch’essa respinta dal voto popolare nel 2006; progetto della commissione bicamerale del 1997), senza contare le riforme già attuate in maniera negativa (titolo V, pareggio di bilancio, riduzione del numero dei parlamentari). Adesso però siamo a un vero e proprio salto di qualità: un progetto eversivo che poggia su TRE gambe: premierato, autonomia differenziata, riforma (punitiva) della magistratura. In realtà, nel caso della magistratura, siamo ben oltre l’attacco alla Costituzione Repubblicana perchè si sta toccando la messa in discussione della stessa divisione dei poteri sancita dalla rivoluzione del 1789. Un attacco alla democrazia che si sviluppa in un quadro generale davvero inquietante. Una situazione dominata dalla suprema incertezza tra la pace e la guerra: dilemma che la nostra Costituzione intende sciogliere con un Articolo 11 già fin troppe volte violato nella sua sostanza. Abbiamo visto come sia in corso un attacco diretto a categorie come quella della Magistratura (ipotizzandone, come già avvenuto in passato, una sostanziale riduzione di autonomia dall’esecutivo) e dell’informazione (con un evidente arretramento nella liberà d’espressione come testimoniato anche dalle classificazioni internazionali in materia). Si sta esercitando direttamente una forma di repressione poliziesca verso i soggetti più facilmente attaccabili come gli studenti. Questi elementi evidenziano uno stato di cose che non può che essere contrastato se non prendendo atto fino in fondo della sua gravità e pericolosità, esprimendo così un pieno convincimento alternativo fuori da qualsivoglia tentativo di compromissione, in ispecie sul piano costituzionale e delle stesse forme istituzionali che derivano direttamente dall’applicazione della nostra Carta Fondamentale, prima fra tutte la forma di governo parlamentare. Il tutto racchiuso dentro un cerchio ideale rappresentato dal riemergere della “questione morale” che si esprime in varie forme ben oltre la forma classica della corruzione politica come sembrerebbe indicare la vicenda ligure. La celebrazione del 2 Giugno dovrà essere allora impostata come momento di richiamo alla necessità, prima di tutto, di espressione di un sentimento: come è stato scritto “di qualcosa di cui non si può non parlare, di cui non si può tacere” partendo dalla risposta alla tragedia fascista da cui nacque la nostra identità repubblicana. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CENTO ANNI DALL’ASSASSINIO DEL DEPUTATO SOCIALISTA GIACOMO MATTEOTTI

COMUNICATO STAMPA Sabato 15 giugno alle ore 17.00 presso l‘Auditorium del Palazzo Bliblioteca della cittadina di Palagiano (TA) l’Associazione Socialismo XXI organizza un convegno storico-politico in occasione del 100° anniversario dell’assassinio per mano fascista del Socialista On. Giacomo Matteotti. Il saluto in apertura del Responsabile Comunicazione di Socialismo XXI Vincenzo Lorè. Interverranno Salvatore Mattia Coordinatore Provincia di Taranto di Socialismo XXI, il Prof. Riccardo Pagano Presidente ANPI della Provincia Jonica, Aldo Potenza già Presidente nazionale Socialismo XXI, Luigi Ferro neo Presidente nazionale Socialismo XXI, Valdo Spini storico del socialismo e il Presidente della Fondazione Bruno Buozzi Giorgio Benvenuto già Segretario nazionale UIL. Modera Carmen Nardelli Coordinatrice del Circolo G. Matteotti di Palagiano (TA). Giacomo Matteotti, antifascista italiano e segretario del Partito Socialista Unitario, fu rapito ad opera di una squadra fascista per volontà di Benito Mussolini, a causa delle sue denunce sui brogli elettorali attuati dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e delle sue indagini sulla corruzione del governo. Matteotti, nel giorno del suo omicidio (10 giugno 1924) avrebbe dovuto presentare un nuovo discorso alla Camera dei Deputati – dopo quello sui brogli del 30 maggio – in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti lo scandalo finanziario con coinvolgimento anche di Arnaldo Mussolini, fratello del duce. “Matteotti è stato un raro esempio di capacità organizzative, competenza, coraggio e rettitudine. La sua lezione politica, i suoi valori, il suo stile antiretorico e sobrio hanno ancora molto da insegnarci. Per questo la ricorrenza del centenario della sua morte rappresenta per tutti noi una grande occasione di crescita collettiva. LE AUTORITA‘ E LA CITTADINANZA SONO INVITATE A PARTECIPARE Vincenzo Lorè – Responsabile Comunicazione Socialismo XXI Carmen Nardelli – Coordinatrice del Circolo G. Matteotti di Palagiano (TA) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NE’ IDEOLOGIZZARE NE’ MITIZZARE PER SOLIDIFICARE I PROCESSI DI PACE

di Giuseppe Scanni | Siamo in guerra oppure no? Conosciamo quasi esattamente il numero dei morti, tanti, siamo informati delle strazianti violenze, dei catastrofici bombardamenti, degli scontri tribali ed etnici e di quelli di Stati contro Stati, delle fazioni di un popolo contro uno Stato; non sono restati nascosti a lungo gli Stati che appoggiano fazioni combattenti o che finanziano ed addestrano milizie etniche armate contro altri Stati ed alleanze militari. Ma di che guerra parliamo? Ci sono ancora gli strumenti necessari per placare i conflitti e firmare trattati di pace? È un problema da studiare perché, come questi due anni appena trascorsi ci hanno reso evidente, la guerra tradizionalmente intesa nel XX secolo si è trasformata e si sono logorate le categorie nelle quali venivano collocate dalle varie discipline le cause che originavano le guerre, le loro legittimità sulle quali si edificava la Pace attraverso il Diritto nell’ambito delle organizzazioni internazionali. Tutti siamo chiamati a dare risposte concrete ai problemi presenti, tenendo conto degli strumenti che la realtà oggettiva mette a nostra disposizione, senza ignorare quanto si sia trasformato il mondo e di conseguenza come siano divenuti obsoleti alcuni sistemi chepure furono efficaci in un passato non molto lontano. Non c’è più una linea che delimiti la distinzione della guerra fra Stati e guerre civili, tra guerre di liberazione nazionale e guerre al terrorismo, perché lo scontro armato asimmetrico tra attori militari e politici di diversa natura hanno, nei fatti, trasformato il diritto internazionale e modificato il concetto di guerre limitate in guerre totali; dove il senso di totali non è unicamente collegato all’uso distruttivo e totale dell’arma atomica o di armi altamente sofisticate e spietatamente mortali, ma alla partecipazione nei conflitti di eserciti professionalizzati e di un eterogeneo esercito di “popolo”, che a sua volta non è il popolo tradizionalmente inteso, ma un complesso gruppo di civili, anche di diverse nazionalità, riunito sotto una o più bandiere politiche, ideologiche, religiose. Finito, con la Guerra Fredda (1945-1991), il confronto NATO- Patto di Varsavia, assieme ai rispettivi alleati esterni, si è conclusa anche la stagione della guerra intermedia a sua volta limitata dalla linea rossa marcata dalla deterrenza nucleare. Il limite definito alla guerra generale è oggi paradossalmente messo in discussione da nuovi e vecchi archetipi retorici che narrano e esaltano virtù taumaturgiche degli Stati “nazionali”, che invece sono stati oggetto di una profonda modificazione dei loro poteri; oppure inveiscono contro imperialismi espansionistici e guerrafondai, integrando a volte tradizionali logiche di “potenza” con proclami identitari, chiamando spesso in causa le migrazioni economiche. Altri ancora, in nome di un generico neo luddismo accusano – senza offrire soluzioni alternative – l’era digitale di abbassare livelli di qualità della vita per alcuni, di accelerare il processo di crescita per pochi altri. C’è anche chi giustifica eventi bellici o violenze di massa, dittature con la “tradizione” e con un imperativo reli- gioso. L’Occidente, oggi, esecra la guerra e nello stesso tempo la esorcizza non volendo riconoscere che dopo ottant’anni è finita la pace che ci ha accompagnato attraverso scontri, anche drammatici e sanguinosi, ma lontani dalle proprie case. Tanto lontani che la Difesa e gli impegni tipici di una grande potenza, fino a ieri unipolare, sono divenuti una spesa maldigerita per gli Stati Uniti; per altri paesi, specialmente europei, un’occasione di disputa ideologica, una opportunità di divergere e discordare tra religioni ed all’interno delle stesse; un quotidiano intrattenimento televisivo e social. In questi tempi di “guerre”, in bilico tra la definizione di conflitti locali o regionali, si rafforza l’ansia che l’imponderabile faccia scivolare l’umanità in un rischioso conflitto mondiale e molto si discute sul significato della pace, sui costi umani ed economici che comportano le guerre, e si fanno strada pericolose proposte di intendere pace come “non guerra”, elucubrando che sia utile e possibile considerare la “non ostilità” armata un sufficiente sistema securitario per le democrazie occidentali, che sono descritte come sempre più deboli. Molti studiosi di scienza politica internazionale dubitano, invece, che il temporaneo (e per quanto?) blocco delle ostilità non accresca le crisi, se il blocco non è considerato consapevolmente dalle parti come fine ma in quanto condizione necessaria per l’apertura di trattative garantite da chi è internazionalmente riconosciuto capace di tutelarle nel loro sviluppo e, anche con la forza, nelle conclusioni raggiunte. Le diverse teorie sul bellum iustum che si sono straformate più volte, dall’affermazione del positivismo giuridico nel XIX secolo sino ai giorni nostri, hanno tolto agli Stati il diritto di intraprendere guerre. Oggi le successive Dichiarazioni di principi adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e di cooperazione tra gli Stati; la Dichiarazione del 1974, inserita nella Risoluzione 3314 dello stesso anno sulla definizione di “aggressione”; la Dichiarazione del 1987, contenuta nella Risoluzione 42/22 sul rafforzamento del principio di non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali, hanno stabilito la norma imperativa del diritto internazionale (Ius cogens) che un attacco armato contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di un altro Stato è una “aggressione” e costituisce un crimine contro la Pace. Al crimine cui seguisse un ricorso alla guerra, cioè quando fosse inapplicabile il Diritto – come accaduto in questi anni con l’aggressione russa a causa dell’opposizione del diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU – vengono posti dei paletti, comunque applicabili, che regolano i conflitti (Ius in bello) attraverso le Convenzioni dell’Aja, di Ginevra ( 1949) e i suoi protocolli addizionali( 1977), ancora una Convenzione del- l’Aja (1954), di New York (1981) e di Parigi sulla interdizione delle armi chimiche, e quella di Ottawa ( 1997) sul divieto alla produzione ed uso di mine antiuomo. La Corte Internazionale di Giustizia nella sua sentenza del 1986 sulle attività militari del Nicaragua e contro il Nicaragua ha definitivamente sancito che le Dichiarazioni e Risoluzioni dell’ONU sono parte integrante del Diritto internazionale generale e che precedenti intendimenti della stessa Carta del- l’ONU sulle forme in cui si poteva concretizzare il diritto di autotutela degli …

INSIEME PER COSTRUIRE UN NUOVO SOCIALISMO IN ITALIA

Costruire un nuovo edificio è una operazione solo apparentemente semplice. Occorrono autorizzazioni e i mezzi necessari per raggiungere il risultato finale. Cio’ vale anche in politica quando si vuole costruire un nuovo soggetto politico In questo caso occorrono buon senso e tanta responsabilita’, due requisiti indefettibili, ma che sovente mancano nel dibattito politico. Il ginepraio di parole e il parolaio improduttivo e sterile, non concorrono alla costruzione di qualcosa di nuovo nella politica italiana, anzi minano ab origine il processo costituente in assenza di quei requisiti indefettibili capaci di unire tutti intorno ad una idea. Ad un progetto. Eppure, i primi socialisti nel 1892 fecero prevalere l’idea di un mondo giusto e libero alle divisioni interne, che non mancavano di certo, per senso di responsabilità verso una classe operaia italiana priva di rappresentanza, di opportunità e di diritti. Ciò che animava il dibattito interno era la via o il metodo, insomma la strada da seguire per rappresentare le fasce sociali più deboli, gli oppressi, gli ultimi, ma tutti erano convinti che solo insieme, in un grande partito, sarebbe stato possibile traguardare l’obiettivo. Nacque il 14 agosto 1892 il PS dei lavoratori italiani, che nel corso della sua storia travagliata ha subito diverse fratture (Livorno, Barberini. etc.), ma l’idea di stare insieme prevalse sempre in larga misura, tanto da consentire poi al PSI (nato nel 1894) di mantenere un largo consenso sociale per rappresentare le classi deboli e per avviare con le riforme la trasformazione della società italiana. A volte bisognerebbe riscoprire ed imparare dal passato per costruire il futuro. I personalismi, le divisioni, spesso strumentali, in politica non producono effetti, ma rimangono causa e soltanto causa del problema senza possibilitaà di una risposta risolutiva. In Italia tanti cespuglietti di orientamento o di ispirazione socialista sembrano vagare in un tunnel senza via di uscita quando invece la soluzione è alla portata di tutti, se prevalessero buon senso e responsabilità, che i padri fondatori del socialismo in Italia ebbero la capacità di fare un passo indietro appartiene all’individuo che intende dare una risposta politica concreta ai bisogni dei cittadini in questo momento disorientati. Ciò spiega, ma solo in parte l’astensionismo, unico partito di massa in Italia. Di certo, non contribuiscono alla soluzione dei problemi la miriade di cespuglietti alla ricerca della bussola che sovente tendono con giustificazioni non politiche a dividersi in altrettanti gruppetti o, peggio, in piccoli comitati elettorali, alimentando cosi’ la già variegata galassia socialista e la confusione che regna oramai sovrana all’interno di essa. Sempre guardando al passato, ma questa volta in Francia, nel 1971 i socialisti francesi si resero conto che occorreva cambiare passo. Il congresso di Epinay segna la rinascita del Partito socialista. Il Congresso dell’Unita’ puntò a costruire una formazione unitaria. Furono presentate ben diciassette mozioni, ma il dibattito si concentrerà solo su cinque di esse che avevano come finalità, in sintesi, quella di costruire un Partito Socialista forte, autonomo, di sinistra. Un partito unico. Al termine dei lavori Francois Mitterrand che proveniva dal mondo radicale fu eletto segretario. L’esperienza italiana prima e quella francese poi, dovrebbero rappresentare per coloro che si professano costruttori del futuro del socialismo in Italia un faro, una guida. Ed invece, assistiamo nella quotidianità ad un dibattito vuoto, dettato da premesse errate, da personalismi nauseanti, e da un dibattito privo di contenuti politici . Socialismo XXI da anni persegue l’obiettivo di costruire, tutti INSIEME, un nuovo soggetto politico di ispirazione o di orientamento socialista in Italia. Mutuando l’esperienza francese, il 21 gennaio 2023 a Roma si è costituito il Tavolo Nazionale di Concertazione col precipuo scopo di raggiungere con chi ci sta l’obiettivo finale e di dare agli italiani una prospettiva socialista che manca da circa trent’anni. Una casa comune, unica, dove socialisti e soggetti di diversa provenienza culturale possono trovare le giuste alchimie, le naturali convergenze e pari opportunità di pensiero. In tal guisa si supererebbe quella galassia socialista composta da piccoli gruppi insignificanti sul piano politico per costruire INSIEME un partito socialista in Italia, nuovo, forte, autonomo. Il METODO Epinay è questo. Non altro. Dove ciascuno nella piena autonomia conservando la propria identità e senza alcun imprimatur concorre nella costruzione di qualcosa di straordinario a sinistra. Come in Italia nel 1892. Come in Francia nel 1971. Questo significa semplicemente che dobbiamo insieme perseguire la medesima direzione superando sigle e simboli, e vecchi rancori, che rappresentano un freno al processo costituente e allo sviluppo futuro del socialismo in Italia. Buon senso e responsabilità verso gli italiani, quei requisiti indefettibili senza i quali non è possibile costruire la nuova casa del socialismo in Italia, con solide basi valoriali: Giustizia sociale, diritti, lavoro, lotta al precariato e alle disuguaglianze sociali, tutela della democrazia e delle libertà individuali, difesa dell’ ambiente. Un nuovo soggetto politico che racchiuda insomma in un’unica prospettiva lavoro, giustizia sociale, ambiente, ed in grado di rappresentare quei cittadini delusi che guardano al futuro con occhi carichi di incertezza, soprattutto per le nuove generazioni, che pretendono lavoro e condizioni di vita dignitose, attualmente prede del malessere sociale. L’ arduo compito che ci aspetta è questo, ma dobbiamo avere la capacità e l’ intelligenza di comprendere che solo tutti insieme possiamo farcela. Il Tavolo di Concertazione ha questa finalità: unire, non dividere. E con questa finalità proseguirà i suoi lavori fino al raggiungimento dell’obiettivo con chi ci sta, ovviamente, e che tutti auspichiamo di conseguire. I lavori del Tavolo riprenderanno dopo la pausa estiva con la stessa determinazione di sempre che da parte nostra non mancherà mai. “Su fratelli,su compagne, su, venite in ditta schiera, sulla libera bandiera splende il sole dell’ avvenire”. F.Turati. “Violenta o pacifica la rivoluzione è prima della rottura”. F.Mitterrand. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VERSO IL VOTO

Generalmente, quando devo andare a votare, le mie scelte sono guidate da questioni economiche, essendo questo il campo in cui ritengo di avere una certa competenza. La questione economica è rilevante sia a livello europeo che a livello nazionale: ● per quel che riguarda il primo livello, l’Europa non riesce a trovare una sua personalità nello scenario internazionale caratterizzato dal declino della globalizzazione, basata sull’incesto USA-Cina (la Cina fornisce beni a bassi prezzi agli spendaccioni statunitensi e con i dollari incassati aumenta le sue riserve moderando l’effetto inflattivo del debito USA ma rischiando minusvalenze in caso di svalutazione del dollaro), per avviarsi verso un multilateralismo in cui dominano la declinante egemonia statunitense, e la crescente attrattività cinese. Declinante egemonia statunitense che si constata nella fine dei suoi interventi militari che hanno caratterizzato il periodo successivo al crollo dell’unione sovietica, interventi non più vincenti ma conclusi in disimpegni non sempre onorevoli. Crescente attrattività cinese, paese che da cinquanta anni non conosce conflitti militari, e che con l’avvio di un processo di de-dollarizzazione sta costruendo un’area egemonica alternativa a quella statunitense. ● per quello che riguarda la situazione nazionale azzardo una previsione. Nell’autunno il governo Meloni avrà superato, anche se di poco, la durata media dei governi succedutisi nel passato, e si troverà di fronte ad una problematica economica che si dimostrerà incapace di risolvere, lasciando spazio per un nuovo governo tecnico (Cottarelli?) chiamato, in un clima di solidarietà nazionale, ad affrontare il tema del deficit e del debito, argomenti che solo un governo non interessato alla ricerca di voti, può affrontare, così come fecero Dini, Monti ed infine Draghi. Stavolta, invece, ci sono questioni più rilevanti che impongono di essere affrontate nel momento in cui si entra in cabina elettorale. In primis la questione della pace. Su questa questione mi è guida l’articolo 11 della nostra Costituzione che, con il suo ripudio della guerra, pone la via diplomatica come strada maestra nella soluzione dei conflitti internazionali. Via che i nostri governanti hanno ignorato alla grande e che continuano ad ignorare. Ne sia dimostrazione l’indicare come soluzione della situazione in medio oriente la formula “due popoli, due stati” e non riconoscere ufficialmente lo stato palestinese (in attesa di vedere quel che faranno gli USA). La via della ricerca di una soluzione diplomatica è, al contrario, continuamente percorsa dal papa, da Erdogan e dal governo cinese. La recente uscita di Stontelberg, che richiede di annullare il divieto all’Ucraina di utilizzare le armi fornite dall’occidente per fini offensivi, persegue una linea politica che ha ancora come obiettivo la vittoria militare dell’Ucraina, linea dettata dal pentagono, linea cui l’Europa non sa contrapporre una valida alternativa. E’ quindi il fine di spingere l’Europa a costruire una valida proposta di trattativa finalizzata alla fine del conflitto in Ucraina che guiderà la mia scelta di voto nelle prossime elezioni. E’ ovvio che lo scontro militare è determinante nel determinare la forza contrattuale delle parti che siedono ad un auspicabile tavolo della pace; è ovvio che la fallita controffensiva di primavera lanciata da Kiev ha diminuito di molto la forza contrattuale dell’Ucraina e che, nonostante i 60 miliardi stanziati dagli USA, la drammatica carenza di uomini renderà ancor più debole questa forza, più debole di quando, penso al documento di Istanbul, si poteva trattare nell’aprile del 2022, documento, quello di Istanbul, che falsifica le affermazioni secondo cui Putin non è disponibile ad un trattato di pace. Il problema che mi si pone è chi votare perché una logica di pace possa prevalere al di là delle titubanze che vedo nello schieramento di sinistra. I candidati sono il movimento di Santoro, i 5stelle, l’alleanza verdi-sinistra; tra questi temo che il voto a Santoro sia destinato ad essere un voto sprecato, quello ai 5stelle mi rende dubbioso di poter condividere altre scelte per me inaccettabili. Il mio orientamento cadrebbe dunque su Avs. Ma a tal punto mi nasce una domanda; ai fini della pace è più utile un voto in più a verdi e sinistra (che ha una posizione definita nel merito) o è più efficace rafforzare la logica pacifista all’interno di una posizione vacillante del partito democratico? Mi spiego; un voto in più ad Avs non modificherebbe l’equilibrio tra le forze sulla materia “pace”, mentre un voto che rafforzi le posizioni pacifiste all’interno del Pd potrebbe modificare sostanzialmente il quadro politico. E’ sulla base di questa logica che penso di votare Marco Tarquinio, una voce importante che all’interno del Pd potrebbe determinarne una posizione più convinta (penso ad esempio al silenzio della Schlein dopo le farneticazioni di Stontelberg) anche come concime per il campo largo.      SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ELEZIONI EUROPEE: MANCANO FORMAZIONI POLITICHE ALL’ALTEZZA, MA E’ IMPORTANTE VOTARE. CON IL NUOVO ANNO UNA GRANDE FORZA SOCIALDEMOCRATICA

Intervista del giornalista Vito Fiorino a Daniele Delbene | Daniele Delbene, già presidente della Costituente nazionale Pse ed esponente del Tavolo Nazionale di Concertazione del socialismo italiano. Nei mesi scorsi avete lanciato un manifesto sugli Stati Uniti d’Europa incentrato su un nuovo modello di giustizia sociale. Manifesto che peraltro, oltre ad essere stato sottoscritto da oltre 700 uomini e donne consapevoli ed impegnati sul territorio, ha riscosso un grande successo e migliaia di interazioni tra i giovani sui social. Il vostro appello sembra non sia stato colto dalle forze politiche. Nella campagna elettorale in corso, il dibattito sul tema si è limitato a qualche slogan superficiale ad uso e consumo del marketing politico. “Abbiamo lanciato un Manifesto per una nuova visione del mondo e del futuro. Le forze politiche e la maggior parte delle attuali classi dirigenti, al contrario, non sanno guardare o non vogliono guardare oltre la prossima legge di bilancio. La grande condivisione del Manifesto da parte dei giovanissimi dimostra che non è vero che questi ultimi sono distanti dalla politica e dalla voglia di contribuire a costruire il loro futuro, bensì che l’attuale sistema fa di tutto per tenerli distanti dalla partecipazione. Ancora oggi, parte della politica, dell’economia e della finanza sono in mano a classi dirigenti formatesi 50-60 anni fa. Come farebbero a mantenere il controllo se vi fosse una forte partecipazione dei giovani che non conoscono e che non saprebbero come gestire?” Cosa non ha funzionato? “Più che cosa non ha funzionato direi che purtroppo la maggior parte dei leader politici sono da una parte fagocitati dal vecchio sistema che come dicevo stenta a lasciare spazio, come dovrebbe essere, alle nuove generazioni, e dall’altra sono evidentemente privi di capacità di visione. I leader non sono quelli che ricoprono incarichi ricevuti per ragioni varie, tecnicismi o perchè funzionali al disegno di qualche elite, ma quelli in grado di coinvolgere facendo sognare in particolar modo le nuove generazioni. I leader sono quelli che hanno la capacità di immaginare ed anticipare il futuro, proponendo quindi la strada migliore per costruirvi la società ed il modello auspicati. Di fronte alle elezioni che ritengo tra le più importanti al mondo, non sentiamo altro che richiami al passato fascismo e comunismo, o discussioni su temi nazionali o ancora peggio di basso livello. Ad esempio, chi è antifascista oggi non ha neppure bisogno di proclamarsi tale, perchè è nel suo modo di essere, di porsi, di opporsi e di partecipare che dimostra quello che è e contrasta ciò che non deve essere. Diversamente, soprattutto i giovani (e non solo) non comprendono e cambiano canale”. La campagna elettorale non è andata oltre le questioni di politica interna o le polemiche sulle candidature dei leader di partito che anche se eletti non sceglieranno il seggio europeo. Grande assente la giustizia sociale. “Quando trovi come capolista candidati come la Salis e Vannacci, ti rendi conto del livello raggiunto dalla politica. Non è un giudizio sulle persone in sè (che non conosco), ma sull’approccio di strumentalizzazione scelto dalle forze politiche. Se la sinistra è quella che candida come capolista una persona “sconosciuta” non per le proprie idee ma solo perchè, a torto o a ragione, è in carcere, è evidente che la sinistra non esiste più o comunque che si tratta di un’area ben distante dalla cultura politica essenza del nostro manifesto. Se a questo aggiungiamo le candidature dei leaders, che se eletti non andranno al Parlamento Europeo, ci rendiamo conto del perchè stanno crescendo esponenzialmente l’astensione e il disinteresse. La politica e i politici con la “P” maiuscola sono i grandi assenti, e si cerca di sopperire alla mancanza di idee e proposte con la personalizzazione e la sola immagine”. I risultati di queste elezioni saranno comunque un test sugli equilibri dentro e fuori i partiti. “Certamente e sarebbe naturale se questo fosse un test sulle proposte, sulle idee, sulle finalità e sulla condivisione dell’azione dei partiti. Ma purtroppo, per come si sono costruite le liste e per come si sta svolgendo la campagna elettorale, il vero obbiettivo nella maggior parte dei casi è solo ed esclusivamente quello di prendere voti per pesare di più o per salvaguardare la propria leadership. Altro che Europa e futuro del mondo”. Perché avete deciso di non dare indicazioni di voto? “Le indicazioni di voto le danno le forze politiche organizzate o i singoli, mentre i promotori di un manifesto trovano una convergenza elettorale solo se vi è una formazione che faccia propri in modo credibile gli auspici proposti. E purtroppo ad oggi non ci sono formazioni che assolvano a questo ruolo. Ovviamente si tratta di elezioni troppo importanti per non partecipare al voto e quindi l’appello è quello di recarsi alle urne, votando con coscienza per quelle formazioni e quei candidati che più di altri dimostrino e abbiamo dimostrato di avere davvero a cuore il futuro dell’Europa e del mondo. L’invito è a scegliere chi esprime buon senso, uso della ragione, valori forti, ma senza pregiudizi e posizioni puramente dogmatiche. Come abbiamo scritto nel nostro manifesto XGLU.IT, forze politiche e uomini animati dal senso di giustizia sociale, libertà e umanesimo socialista”. Ci sarà spazio dopo questa competizione elettorale per rilanciare il confronto sui punti del vostro manifesto? “Assolutamente sì. Dopo il 9 giugno si dovrà prendere atto, purtroppo, della grande astensione, soprattutto dei giovani, e non si potrà fare a meno di guardare alla costruzione di un nuovo modello sociale. Questo porrà la necessità di andare oltre le attuali formazioni politiche. Guardando al nostro Paese, si apriranno delle incolmabili crepe nella compagine di governo, che avrà vita breve. Le forze sociali, sindacati in primis, saranno tra i primi a sollecitare il superamento o la rivisitazione delle formazioni politiche esistenti, non più all’altezza delle grandi sfide che ci attendono. E’ giunto il tempo, di costruire una grande formazione politica, che ispirandosi appunto ai valori di giustizia sociale e libertà, ed animata da un forte e consapevole umanesimo socialista, si candidi a governare il presente nell’ambito di un progetto …