TURATI PRIGIONIERO A PALLANZA FU ELETTO DEPUTATO PER PROTESTA

Documento tratto da Il Verbano 1982 A margine delle commemorazioni ufficiali, abbiamo un saggio di dichiarazioni turatiane su temi ancora oggi di attualità. In tutta Italia si commemora Filippo Turati nel cinquantenario della sua morte. Ognuno, come succede in questi casi, cerca di tirarselo dalla sua parte e di accaparrarne la grande carica ideologica e umana.La commemorazione ufficiale sarà tenuta da Craxi che aveva chiesto per questo addirittura il «Teatro della Scala». Per le opposizioni soprattutto comuniste, la cerimonia si svolgerà a Canzo (Como) paese natale del grande socialista riformista nato il 26 novembre 1857 e morto in esilio a Parigi il 29 marzo 1932. Il «curriculum» politico di Turati fu eccezionale: dal giugno 1895 fu eletto continuativamente alla Camera nel V° Collegio di Milano per nove legislature fino alle elezioni del 24 maggio 1924. È per i fatti del 1898 che Turati ha rapporti con la nostra terra: dal Parlamento passò infatti al carcere giudiziario di Milano e poi al Reclusorio di Pallanza dove rimase per 14 mesi fino all’amnistia del giugno 1899. Durante la prigionia di Pallanza Turati venne dichiarato decaduto dalla Camera il 9 luglio 1898 – ma nelle elezioni del 25 marzo 1899 il detenuto, con una candidatura – protesta, veniva rieletto con 4342 voti contro i 669 del Repubblicano Federci. Furono di quegli anni i contrasti fra socialisti massimalisti capeggiati da Enrico FERRI e i socialisti riformisti seguaci di Turati e di Bissolati. E da allora, per alterne vicende, di cui fa parte anche la scissione di Livorno, le due anime del socialismo, quella rivoluzionaria e quella riformista, sono state la «croce e delizia» della nostra democrazia. Ci pare utile offrire ai nostri lettori, come testo per una commemorazione di Turati da parte di una periferia come quella novarese che del socialismo sperimentò fino in fondo lotte, ideali e delusioni, alcuni brani di una franca e illuminante intervista concessa al «Popolo» (giornale dei «popolari») il 1° luglio 1924. Una intervista storica Abbiamo chiesto all’On. Turati se avesse letto la risposta del direttorio fascista alla dichiarazione delle opposizioni e che cosa pensasse della frase che accenna ad una futura «socialdemocrazia popolare ed unitaria». «Penso» ci ha risposto iI deputato unitario «che il direttorio fascista probabilmente qui vede giusto. Non vi è sventura che non abbia un lato benefico «Le vie di Dio sono molte» come voi direste e come scrisse Manzoni, l’estremo male ha in sé rimedi migliori. Sarebbe ingiusto negare al fascismo questo merito esso ha avvicinato milioni di cuori e di intelligenze che si ignoravano o si credevano nemiche, ha dissigillato milioni di pupille, ha spezzato la durezza delle formule intransigenti e settarie e ha rivelato anche ai più refrattari che, di fronte al ritorno alla barbarie, e sinchè l’educazione politica e morale in Italia – massime nei ceti dirigenti – non sia molto più sviluppata, vi sarà un terreno comune non soltanto di difesa, ma anche di azione costruttiva, fra tutte le energie di redenzione democratica veramente sincere e che siano fedeli a se stesse. É notevole che gli stessi massimalisti, la cui nota differenziale fu sempre l’intransigenza -à tout rompre – sono ora cordialmente con noi. Noi potremo dunque fare del cammino assieme, senza perdere nè le nostre caratteristiche fisionomiche nè le nostre peculiari impronte … digitali. Se, almeno, non avremmo al nostro fianco dei pusilli o dei traditori. Libertà religiosa «Eppure osservammo «non è da nascondere, che negli ambienti cattolici si dubita da parecchi che l’attuale collaborazione difensiva (demoliberale popolare, unitaria , ecc) possa avviarsi a divenire, al momento voluto, «una vera col laborazione di governo». Si dubita cioè dell’atteggiamento che, in tale ipotesi, assumerebbero i socialisti, di fronte ai problemi della politica ecclesiastica e religiosa. Fra gli stessi popolari è viva la preoccupazione di un ritorno a posizioni anticlericali vecchio stile delle masse e dei dirigenti socialisti. Ciò turba sinceramente molte coscienze pure e disinteressate, per le quali la libertà religiosa è una esigenza spirituale predominante. Con quale spirito i socialisti (almeno i dirigenti) crede Ella che si accosterebbero a tali problemi? «Senza propormi» ha risposto l’onorevole Turati «di vendere la pelle di un orso che … non è, ancora catturato mi lasci dire che siffatte preoccupazioni – appunto perché l’orso vagola ancora lungi sulla montagna – mi sembrano perlomeno alquanto … premature. Il socialismo, nella sua espressione media e globale, non è nè «anticlericale vecchio stile» (tengo a ripetere testualmente la sua frase) e le ricordo la nostra separazione netta dai massoni – fra i quali pure si trovano, con parecchia zavorra, tanti spiriti nobili e sinceri – nè tanto meno è antireligioso. Certo, siamo ereticissimi del Dio fatto strumento di regno, del Dio messo in organico come generalissimo della «milizia nazionale». La diffidenza o la avversione verso la Chiesa non esiste nelle file socialiste, se non in quanto la Chiesa, qualunque Chiesa, possa erigersi a barbacane del conservatorismo e della plutocrazia, sul terreno della lotta delle classi, abbandonando e consegnando al nemico, in pura perdita anche sua, le masse popolari. La democrazia cristiana è ben altra cosa, e tutte le forze d’avvenire possono e debbono accostarsi e mutuamente aiutarsi, lasciando le dispute teologiche ai canonisti e la filosofia trascendente ai vari Gentile delle cattedre. «Quando alla libertà religiosa, che è libertà assoluta di pensiero e di azione legale, tutte le libertà sono solidali; e ciascuna difende se stessa difendendo le altre». Culto: scuola, famiglia «Ma vi è l’inciampo dei problemi concreti libertà delle manifestazioni religiose e di culto e delle organizzazioni relative; la libertà di insegnamento (esame di ecc.); la integrità dei vincoli familiari (divorzio, ecc.)», «Francamente mi pare che Ella corra troppo le poste. Se non ci accoppano per riconciliarci definitivamente con la Nazione, potremo ritrovarcia discorrerne ancora. Ma sulla libertà, mi pareva di averle già esaurientemente risposto. E la prima delle libertà è quella dell’insegnamento, nel quale noi ripudiamo ogni coercizione o privilegio statale, e difenderemo “sempre (non negando allo Stato quello che è il suo primo dovere: assicurare per suo conto una larga istruzione …

DA SCHUMPETER A SUSSIDISTAN

1 – Cominciamo da alcune notizie stampa Il Sole 24 ore. Da evidenziare anche che nel 2023 le imprese italiane «hanno continuato a beneficiare di importanti misure a sostegno dell’attività produttiva, ricevendo 23,8 miliardi di euro di contributi alla produzione (-12,1% rispetto al 2022) e 31,4 miliardi di euro di contributi agli investimenti, di cui una componente significativa è relativa al Piano Transizione 4.0». Lo scrive l’Istat in un comunicato sui conti nazionali per settore. Il totale degli aiuti – erogati dall’Italia ma anche dalle istituzioni europee – è di 55,2 miliardi. Lo scorso anno sulle imprese private italiane sono piovuti aiuti e sussidi per oltre 55 miliardi di euro. È circa 7 volte la spesa complessiva annua per il reddito di cittadinanza, accusato da Confindustria di trasformare l’Italia in un “sussidistan” e prontamente abolito dal governo Meloni. L’Istat scrive che nel 2023 le imprese italiane “hanno continuato a beneficiare di importanti misure a sostegno dell’attività produttiva, ricevendo 23,8 miliardi di euro di contributi alla produzione (-12,1% rispetto al 2022) e 31,4 miliardi di euro di contributi agli investimenti, di cui una componente significativa è relativa al Piano Transizione 4.0. Risorse che quindi arrivano sia dall’Italia che dall’Ue. Qualcosa sarà arrivato anche pescando dai soldi delle tasse pagate dalle famiglie. Sempre l’Istat scrive che le imposte correnti pagate dalle famiglie italiane sono aumentate di 24,6 miliardi di euro (+10,7% rispetto al 2022) per la crescita dell’Irpef (+10,2%) e delle ritenute sui redditi da capitale e sul risparmio gestito (+23,0%). “Il saldo degli interventi redistributivi nel 2023 – scrive l’istituto statistico – ha sottratto alle famiglie 118,8 miliardi di euro”, 16,5 in più rispetto al 2022. Per le imprese, le imposte sulla produzione segnano un aumento di 2,2 miliardi di euro (+7,5%).(Il fatto quotidiano). 2 – Quante imposte pagano le imprese Il gettito IRES (Imposta sulle persone giuridiche) nel 2023 è stato di 51.750 milioni di € come risulta dal seguente prospetto pubblicato dal Ministero dell’Economia: Entrate Tributarie 021-2023 (milioni di Euro) A conti fatti, e se ci riferiamo ai soli dati IRES, le imposte pagate dalle imprese sono redistribuite alle imprese che innovano e/o investono, anzi i sussidi distribuiti eccedono il gettito IRES attingendo alle imposte pagate da lavoratori e pensionati. 3 – L’imprenditore schumpeteriano L’ondata ideologica scattata dopo i “gloriosi trenta”, in concomitanza con la cessata convertibilità del dollaro in oro e con la successiva implosione dei regimi comunisti occidentali, ha portato ad esaltare la figura dell’imprenditore schumpeteriano, ovvero dell’imprenditore che supera la competitività marginalistica, che si basa sul risparmio sul costo della mano d’opera ma che invece opera con genialità ed entusiasmo sulle innovazioni tecnologiche, l’invenzione di nuovi prodotti, la scoperta di nuovi mercati, la scientificità della gestione manageriale. Questa ideologia ha comportato la marginalizzazione dell’intervento dello stato nell’economia limitandolo a custode e garante del libero mercato; le privatizzazioni sono dilagate lasciando libere praterie all’iniziativa privata neo-liberista. E’ in questa fase storica che lo stato esternalizza molte delle sue funzioni; i contratti di e-government appaltano le funzioni della pubblica amministrazione a consulenti esterni che nel depauperare le risorse interne della burocrazia, occupano spazi enormi delle competenze dello stato, così come raccontano Mariana Mazzucato e Rosie Collington nel loro libro “Il grande imbroglio”. Schumpeteriano era certo Enrico Mattei, non certo la saga Agnelli-Elkan, che ha usato lo stato in tutti i modi, facendosi per anni il vero decisore del come utilizzare il plusprodotto nazionale, prodotto da tutti e gestito per i propri fini dalla sola famiglia. Per il resto, il nanismo aziendale e il familismo capitalistico sono poi le componenti delle nostre imprese, componenti che privilegiano la produzione basata sul basso costo della mano d’opera piuttosto che l’innovazione tecnologica, scarsamente sensibili all’allargamento della proprietà al di fuori dell’ambito familiare e che hanno falsificato la situazione irenica sopra esposta. Peraltro, quando la presidente Meloni esalta il record nell’occupazione in presenza di un PIL che viene diminuito dall’1,2% all’1% (mentre la Banca d’Italia prevede lo 0,6%) non fa altro che dichiarare che si produce quello che si produceva l’anno precedente con più ore di lavoro, ovvero tradotto in ricerca e sviluppo (R&S) tra i più bassi in Europa, ma dove siamo primi nelle statistiche dei morti sul lavoro. 4 – Interviene lo stato Di fronte ad una situazione preoccupante per i destini del nostro sistema produttivo, i governi in carica hanno disegnato incentivi per spingere le imprese a imboccare una strada schumpeteriana; iniziò il ministro Visco con la dual income tax, provvedimento che detassava gli utili reinvestiti in azienda e non distribuiti ai soci capitalisti; questo provvedimento fu poi adottato con il nuovo nome di ACE (aiuto alla crescita economico) oggi cancellato dal governo Meloni. Ma chi, occorre riconoscerlo, ha centrato il problema più di altri, finalizzando i sussidi alla ricerca di innovazione tecnologica, alla digitalizzazione è stato Carlo Calenda con i bonus 4.0. Corretto individuare nell’innovazione tecnologica la strada per rendere il sistema produttivo nazionale competitivo con il mercato europeo ed estero; corretto collegare l’incentivo ad azioni concrete di perseguimento di risultati finalizzati alla produttività abbandonando le politiche insulse degli incentivi a pioggia. Certo siamo ancora nella logica dell’incentivo, della subordinazione al primato del privato cui si danno incentivi perché solo lui ha le capacità, o si suppone che abbia, per impiegarle nel modo più razionale: è una subordinazione indiscussa, assunta ex ante senza metterla in discussione anche quando i risultati non sembrano essere quelli che ci si attendeva. E’ una di quelle “normalità” (nel senso di norma naturale) che non viene sottoposta ad analisi né tantomeno a critica. Su questo punto due riflessioni: ● Rivoltare logicamente e come obiettivo politico questa “norma” significa contestare che la razionalità economica risieda dell’iniziativa privata, nell’egoismo individuale che sgocciola benessere al resto dell’umanità; significa porre il socialismo come intelligenza collettiva che opera sulla individuazione di obiettivi condivisi e che ne programma l’attuazione nella pari corresponsabilità di tutti gli operatori. Il socialismo non è solo appropriazione del plusvalore sottratto al lavoratore dal capitale; socialismo è scelta razionale dell’impiego del plusprodotto che lo sviluppo della tecnologia potrà, con l’intelligenza artificiale e con i computer quantistici, essere in grado di realizzare nella concreta vita …

“IO VI ACCUSO. GIACOMO MATTEOTTI E NOI”

GIACOMO MATTEOTTI, IL FANTASMA CHE TORMENTAVA MUSSOLINI – DOPO LA MORTE, IL CORPO DEL DEPUTATO SOCIALISTA FU TRAFUGATO, TORTURATO, STRAZIATO: UCCISO IL 10 GIUGNO DEL 1924, FU RITROVATO DUE MESI DOPO IN UN BOSCO A VENTI CHILOMETRI DA ROMA. ARRIVÒ AL CIMITERO DI FRATTA POLESINE SOLO 4 ANNI PIU’ TARDI. I FASCISTI TEMEVANO CHE LA TOMBA POTESSE FINIRE ALL’ESTERO, E DIVENTASSE META DI PELLEGRINAGGIO – LA TARGA CENSURATA FINO AL 2011, LE LETTERE D’AMORE ALLA MOGLIE VELIA E LE MEMORIE DI PAESE: IL LIBRO-INCHIESTA DEL GIORNALISTA CONCETTO VECCHIO, “IO VI ACCUSO” – di Concetto Vecchio | Prologo Novembre. Il treno mi lascia a Rovigo. Comincio questo viaggio da un corpo. Voglio raggiungere Fratta Polesine. La tomba di Giacomo Matteotti. Campi di grano gelati, pioppi spogli, strade vuote. Ho bisogno di un segno tangibile, qualcosa di concreto a cui aggrapparmi. Mi serve un’immagine. Devo vedere. Le cose si capiscono solo andando sui posti. Matteotti. Il nome di una via o di una piazza, di tante vie e di tante piazze, nessun politico del Novecento ne ha così tante. Ripescato per impreziosire i discorsi, bandiera da sventolare, fumisteria retorica, per il resto è come rimosso dall’immaginario collettivo. Anch’io so quattro cose. Un parlamentare socialista che tra i primi si è opposto al fascismo è stato ucciso cent’anni fa e da allora la sua memoria risulta schiacciata alla sua morte violenta. Dev’esserci dell’altro. Quest’avventura sarà felice scoperta. Non conosco la sua voce. Ignoro la gestualità, gli slanci di amore e di odio di cui si nutrì, un uomo è soprattutto il fuoco delle sue passioni. Non esistono né video né audio, nessuno che è in vita può avere ormai ricordi diretti, restano però i suoi discorsi, ne pronunciò centosei in parlamento, e l’unico film, sul delitto, risale al 1973. Regia di Florestano Vancini, parecchio didascalico, con i rumori da film western a sottolinearne i picchi più drammatici, Franco Nero nei panni di Matteotti e Mario Adorf in quelli di Mussolini. Che fine ha fatto Nero? Googlo. Ha ottantadue anni. Un sole malato filtra tra i rimasugli di nebbia mattutina. Malinconia padana. Mi piace immaginare che Matteotti, scendendo alla stazione di ritorno da Roma, percorresse questa stessa strada secondaria, in macchina, in bicicletta, qualche volta con il calesse. Nelle campagne, durante la bella stagione, poteva scorgere i contadini curvi che lo salutavano con calore. Venerato dagli ultimi, vilipeso dai potenti, incompreso talvolta dai compagni di partito, la sua vita sfocia nel cavalleresco, con tinte da romanzo nero. È sempre stato in fuga da qualcosa, credo anche da se stesso. «Un volontario della morte», lo definì Piero Gobetti. Non so come abbia fatto a barcamenarsi in quel mare di ostilità. Mi chiedo se valga la pena aver preso il Frecciarossa da Roma di primo mattino per arrivare fin quassù. Sul lato della strada scorre un canale, il Pestrina. Uccelli neri volteggiano sull’orizzonte lattiginoso. Tra un po’ sarà inverno fitto, i campi saranno pietrificati. Non incontro anima viva. Allora cosa mi ha spinto a venire? Potrei rispondere che sono venuto per Matteotti, nel tentativo di capire perché un martire del Novecento sia stato dimenticato. Ma so bene che è vero solo in parte. Un libro è sempre una ricerca, di sé anzitutto. E anche questo non fa eccezione. Sto cercando un segno e allo stesso tempo intendo lasciarlo. Il centro abitato di Villamarzana spezza la monotonia della strada dritta. Matteotti vi è stato anche sindaco. Una scolaresca delle elementari si è radunata in piazza, per un po’ mi soffermo a osservare i bambini ascoltare la spiegazione delle maestre. Il 15 ottobre 1944 i fascisti uccisero quarantatré cittadini. Si erano ribellati anche in nome di Matteotti, la cui figura volgeva già nel mito. Sulla facciata del municipio una lapide lo ricorda, una delle tante che punteggiano il territorio e che nessuno legge. Poi, sul rettilineo, in mezzo alla campagna, si schiude il cimitero di Fratta Polesine. Sono arrivato. Percorro il vialetto costeggiato di croci e lapidi, alla cui fine, in posizione centrale, si erge una grande cappella intonacata di un grigio chiaro: FAMIGLIA MATTEOTTI c’è scritto in alto. Sono l’unico visitatore questa mattina. Giacomo Matteotti riposa nella solitudine autunnale. Trovo aperta la porta. La bara è collocata al centro di un piccolo spazio. Un sarcofago di marmo nero con la scritta del nome in caratteri di bronzo. Venne donato dagli operai di Bruxelles, che lo avevano incontrato poco prima del delitto nel corso di una riunione dell’Internazionale socialista. Ora qualcuno l’ha coperto con le bandiere dell’Italia e dell’Europa. E proprio i vessilli, nel contrasto con lo scuro della bara, rendono il luogo come colorato, come allegro.  Ne sono abbagliato. Mi fermo sulla soglia per non calpestare i garofani sistemati ai piedi del sarcofago, raccolgo da terra i biglietti lasciati tempo fa da alcuni visitatori. «Caro Giacomo», c’è scritto su una busta.Come se fosse un amico ancora in vita. Una coppia di insegnanti, Giovanna e Gianfranco, ha vergato queste righe: «Onorevole Matteotti, in questi giorni difficili veniamo a onorare la sua tomba, non mancando mai di onorare la sua memoria, e la sua idea di dignità e altissimo senso civico nelle nostre classi». Quindi qualcuno viene a fargli visita di tanto in tanto. Le bandiere, i fiori, i biglietti, il sole che illumina potente l’interno, fanno di questo mausoleo un luogo vivificato da un caldo spirito.  Uao, penso. È proprio ciò di cui avevo bisogno. La cappella contiene le salme della moglie, Velia Titta, e della madre, Isabella Garzarolo, del padre Gerolamo, dei fratelli Silvio e Matteo, dei figli Giancarlo, Matteo, Isabella, che non ebbero quasi ricordi del padre, tanto erano piccoli quando morì, e che avevano venti, diciassette e sedici anni quando, dopo un’operazione, se ne andò anche la madre. Era il 1938, l’anno della promulgazione delle leggi razziali. Chi si è occupato di loro? Devo scoprirlo. Matteotti giace qui dall’11 ottobre 1928. Vi giunse dopo peripezie, traslochi, trafugamenti, trattato come un appestato. Ucciso il 10 giugno 1924 sul lungotevere a Roma il suo corpo era …

CONCORDATO PREVENTIVO BIENNALE

L’evasione fiscale esercitata da alcune imprese era, in gran parte, attuata tramite la sovrafatturazione delle fatture dei fornitori o meglio ancora dichiarando fatture passive inesistenti; con tali mezzi si aumentano fittiziamente i costi e si riducono quindi i profitti d’impresa da assoggettare a tassazione. Certo le imprese emittenti fatture sovrafatturate si trovavano ad avere più ricavi e quindi più profitti e conseguentemente più tasse. Ma erano pure tante le imprese fantasma che scomparivano dopo soli pochi anni dalla costituzione alimentando il “magazzino” di imposte e tasse non riscuotibili da parte dell’Agenzia delle Entrate (AdE). Ricordo che l’attuale magazzino di imposte dichiarate o accertate non più incassabili per incapacità della pubblica amministrazione di esercitare la riscossione ammonta a 1.200 miliardi di €, quasi metà del debito pubblico. Ricordo anche che il governo, poche settimane fa, ha emesso un decreto delegato che cancella quei crediti non incassabili dopo 5 anni di tentata riscossione. Il governo ha anche aumentato a 120 rate mensili il pagamento delle imposte non pagate. Il fisco “amico” del governo Meloni vuole aiutare chi vuol pagare ma si trova in difficoltà. Ma chi vuol pagare, una volta fatta la dichiarazione dei redditi, mette da parte i soldi dovuti e non se li spende per poi trovarsi in difficoltà alla scadenza. Peraltro, recentemente, la cassazione ha stabilito, con provvedimento 7707/2024, che la mancanza di liquidità non è causa di forza maggiore, che giustificherebbe il non pagamento delle tasse, ma spesso risultato di mala, se non programmata, gestione. Ma il governo Renzi a suo tempo ha messo in atto un provvedimento, suggerito da Vincenzo Visco, che è risultato uno degli strumenti più efficaci per combattere lo strumento delle fatturazioni fittizie. Questo strumento si chiama “fatturazione elettronica” e funzione, grosso modo, come segue. Mentre prima la fatturazione era una relazione tra impresa fornitrice e impresa cliente non pre-controllata per cui erano possibili le fatturazioni fittizie, oggi interviene l’AdE che riconosce la fattura passiva dell’impresa cliente solo se la stessa fattura è dichiarata e registrata dalla impresa fornitrice. Il processo di fatturazione è allora pre-controllato dall’AdE che può altresì predisporre le dichiarazioni precompilate Iva delle imprese. Con l’introduzione del concordato preventivo biennale si reintroduce il pericolo che rientri il fenomeno delle sovrafatturazioni o delle fatturazioni per operazioni inesistenti. Infatti, predeterminando il reddito imponibile per il prossimo biennio, una impresa che aderisce a questa possibilità, potrà emettere a suo piacere fatture sovrafatturate o per operazioni inesistenti al fine di fornire ad un’impresa, con cui si sono presi accordi evasivi, costi fasulli con cui abbassare l’imponibile e le imposte. Alla fine del biennio, con risultati molto più positivi di quelli sulla base dei quali il concordato preventivo era stato definito, l’impresa non aderirà più, qualora le fosse proposto, a quel regime concordatario. Un altro effetto fiscale, derivante dalla tentata evasione fiscale, si riscontra nella differenza tra magazzino contabile e magazzino reale. Se infatti un imprenditore vende “in nero” fa uscire fisicamente le merci dal suo magazzino, ma contabilmente non registra nessuno scarico, per cui le quantità reali e quelle contabili non corrispondono. Ecco che allora il fisco “amico” di questo governo emette un decreto che permette al costo di un 15% (naturalmente del costo e non certo del ricavo occultato) di sistemare le differenze tra reale e contabile, senza far scattare le verifiche accertatrici. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TRASFORMISMO, PERSONALIZZAZIONE, DEMOCRAZIA RECITATIVA

di Franco Astengo | I fatti di Bari, legati alla “questione morale”, colpiscono al cuore l’ipotesi di una nuova alleanza democratica capace di opporsi alla pericolosa ventata di destra in atto nel nostro Paese e sul piano europeo che nella nostra fattispecie punta a demolire la Costituzione e la forma di governo repubblicana. Ancora una volta è necessaria una riflessione di fondo che investa l’analisi delle cause profonde di questi fenomeni purtroppo emergenti. Proviamo ad elencare alcune possibili elementi di dibattito: 1) La trasformazione della “forma – partito” da quella “ad integrazione di massa” via via verso il “catch all party”, il “partito azienda” fino al “partito personale” in un quadro di mutamento del concetto stesso di democrazia passata da “rappresentativa” a “del pubblico” contrabbandando una formula deviata di “democrazia diretta” che avrebbe dovuto essere esercitata quasi esclusivamente attraverso il web (su questo punto però stiamo registrando rilevanti passi all’indietro). In questa situazione il PD appare incapace di porre un filtro e sicuramente non appare sufficiente il radical-movimentismo della segreteria Schlein eccessivamente votata – è il caso di dirlo – all’esercizio della “democrazia recitativa”; 2) E’ stata del tutto sottovalutata la costante diminuzione nella partecipazione elettorale frutto diretto di una profonda crisi nel rapporto tra vita civile e vita politica. Questo elemento è quello che consente facili infiltrazioni di gruppi organizzati che fanno della proiezione istituzionale dell’agire politico il luogo del tornaconto di clan dediti ad affari e all’esclusiva detenzione del potere. Una crisi causata da fattori molto complessi primo fra tutti quello di aver introiettato a suo tempo il concetto di “fine della storia” con relativa adozione del “pensiero Unico” proclamando la “fine delle ideologie” a vantaggio della ventata qualunquista; 3) I costanti tentativi di spostare l’asse di riferimento iscritto nella Costituzione della “centralità del Parlamento” e delle altre assemblee elettive verso una “governabilità” ottenuta attraverso vere e proprie forzature di restringimento dell’agibilità della rappresentanza politica. La riflessione in questo senso deve comprendere, oltre ai diversi meccanismi della formula elettorale, anche quelli dell’elezione diretta (in particolare dei presidenti di Regione) posta in rapporto al fattore di personalizzazione della politica e del già citato esercizio della “democrazia recitativa” (elementi che allentano di molto i filtri invitando oggettivamente i candidati a imbarcare nelle loro fila quanti si pongano ” a disposizione” senza provvedere a valutazioni di merito ma soltanto perché disponibili a offrire pacchetti di voti). 4) Sicuramente non hanno aiutato a considerare come valore la moralità della vita pubblica operazioni trasformistiche di rilevanti dimensioni quali il mutamento di finalità e di denominazione della Lega passata dalla posizione separatista a quella nazionalista con vocazione sovranista e la mutazione (che in altri tempi sarebbe stata definita “genetica”) del M5S passato tranquillamente dall’antipolitica al ministerialismo al pretendere l’egemonia di un ipotetico polo progressista. Ancora una volta debbono essere considerati, almeno dal nostro punto di vista, anche gli effetti concreti di una “vocazione maggioritaria” esercitata, in particolare nelle situazioni locali, esclusivamente dal punto di vista della detenzione del potere magari fortemente venata di dimensioni populiste. 5) Naturalmente non si può dimenticare che il trasformismo è stata componente vitale del sistema politico italiano ancora in precedenza all’Unità d’Italia se prendiamo come riferimento il connubio Cavour – Rattazzi nel parlamento subalpino. Le ragioni che si sono tentate di esporre in questo testo risalgono ai fattori emersi nel post “Repubblica dei Partiti” (da Pietro Scoppola) che hanno reso del tutto inedita la situazione attuale. Uno stato di cose in atto ben meritevole di grande attenzione proprio nel momento in cui in fondo al tunnel della scarsa partecipazione e della proposta di sottolineatura istituzionale del personalismo potrebbe esserci l’ipotesi di una “democratura” autoritaria (una sorta di salazarismo di ritorno con il mantenimento di una sorta pluralismo di facciata, appunto esercitato nel solco di quella “democrazia recitativa” di cui appaiono maestri nell’esercizio diversi presidenti di Regione camuffati da “governatori”). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

I SOCIALISTI E L’ECONOMIA

I dati positivi riportati da Nomisma per il 2023 relativamente all’economia italiana dovrebbero tuttavia approfondire quanto dell’aumento del PIL sia dovuto al superbonus che sta portando oneri al bilancio statale per oltre 200 miliardi di € e dovrebbe anche considerare che se l’occupazione aumenta in modo superiore all’aumento del PIL, allora non si può che concludere che l’incremento dell’occupazione, non generando PIL, è il risultato di una decrescente produttività, indice questo deludente da trent’anni a questa parte. Più orientati alle future prospettive della nostra economia sono gli articoli seguenti apparsi sul numero di febbraio di Limes: ● Fabrizio Maronta – All’Italia serve l’industria, all’industria serve lo Stato; ● Giovanni La Torre – Il declino ce lo siamo scelto; ● Alessandro Aresu – Usciamo dal giorno della marmotta. Indicherò alcuni indici, comparativi con quelli della Francia e della Germania, che dovrebbero farci pensare anche ai fini di un programma politico per i socialisti, non solo, ma soprattutto italiani. INDICI ITALIA GERMANIA FRANCIA Fatto 100 il PIL del 2007, il PIL nel 2023 è 95,6 116,7 117,6 Non abbiamo ancora recuperato il crollo del 2008       Aumento della produttività dal 2000 al 2023 1% 21% 22% In venti anni nessun progresso tecnologico       Una delle cause il nanismo       Imprese non finanziarie  (000) 3.640 2.845 3.084 Imprese fino a 9 dipendenti (000) 3.449 2.098 2.923 % sul totale 94,7% 73,7% 94,7% Imprese con più di 249 dipendenti (000) 3,647 10,780 4,897 % sul totale 0,10% 0,38% 0,15% Valore aggiunto grandi imprese 36,50% 55,80% 53,10% Valore aggiunto piccole imprese 25,20% 17,80% 13,50% %uale dipendenti grandi imprese 24,20% 43,00% 48,30% %uale dipendenti piccole imprese 42,50% 18,90% 23,10% Nanismo vuol dire non investire in R&S       % PIL in R&S 1,35% 3,02% 2,19% Altri indici       Pressione fiscale 42,90% 42,10% 48,00% Costo orario in € 29,1 39,5 40,8 Ore lavorate 1.694 1.341 1.511 Frontiera tecnologica       Numero aziende semiconduttori 4 1 358 Vendite in € (000) 1.063 15.251.126 597.000 %uale 0,0035% 38,0000% 2,0000%         L’analisi degli indici sopra riportati ci dà una idea del nostro paese come un paese in inesorabile declino, “un paese” come scrive Maronta che “viene da trent’anni di delocalizzazioni, dismissione della grande industria buttata a mare con l’acqua sporca di un Iri degradato a mangiatoia partitica, accaparramento di impianti e infrastrutture già pubblici da parte di capitalisti senza capitali desiderosi di rendite e refrattari all’investimento”; un paese che crede ancora che “competere con la Cina facendo i cinesi – o fingendo di essere ancora l’Italia povera e speranzosa degli anni 50 – sia una strada saggia o anche solo furba”; un paese dove la grande assente, da anni, è la politica industriale, lasciata ad una libera competizione di imprenditori mediocri. Per quanto tempo potrà resistere la struttura industriale italiana stante il divario tecnologico tra noi e gli altri paesi, divario che tra l’altro, si prospetta in ulteriore espansione. Come scriveva Alessandro Pansa su Limes una decina di anni fa, il nostro paese “ha sviluppato – forse non del tutto inconsapevolmente, ma di sicuro molto attivamente – un processo di deindustrializzazione e disinvestimento, ostacolando ripetutamente la creazione di grandi imprese in settori strategici”, le cause di ciò vanno ricercate nella mancanza di una adeguata politica industriale, nel familismo del capitalismo nostrano ritroso a cedere il controllo delle loro creature, nella difficoltà ad agganciare lo sviluppo tecnologico. Sempre secondo Pansa l’Italia “non è riuscita ad internalizzare la microelettronica nei prodotti e nei servizi offerti dalle sue imprese. Dagli anni novanta in poi, mentre i concorrenti investivano nell’elettronica, l’ammontare di tecnologia contenuta nei prodotti italiani ha cominciato a calare. Questo paradigma ormai l’abbiamo perso e non possiamo fare nulla per ricuperarlo”. Basta andare a rileggere le pagine di Mariana Mazzucato sull’indispensabile ruolo dello stato nell’innovazione tecnologica, un ruolo ineludibile se si vuole restare in corsa nella competizione produttiva dei nostri tempi, ruolo che consiste nella scelta di obiettivi strategici futuri realizzabili, nella programmazione dei passi necessari al raggiungimento di quegli obiettivi, nella capacità di unire nello sforzo nazionale imprenditori, capitali privati e forze sindacali coinvolti, ciascuno con le sue responsabilità, nel perseguimento di un obiettivo condiviso. Ecco che allora, a mio parere, è sterile per un partito socialista porsi come obiettivo politico la redistribuzione del prodotto cercando di costruire un welfare state basato su un sistema produttivo declinante, mentre dovrebbe porsi come obiettivo primario il tema del sistema produttivo, una politica industriale che nella razionalità programmatoria sia in grado di assorbire e sviluppare il massimo di innovazione tecnologica, sviluppare in modo sistematico la formazione e la professionalizzazione degli operatori residenti e immigrati (benvenuti grazie al declino della nostra natalità), trattenere le intelligenze che oggi fuggono all’estero. Le battaglie per il salario minimo, per l’abbassamento della pressione fiscale, il perseguire una competitività basata sul basso coto della mano d’opera, sono battaglie di retroguardia; ben altro dovrebbe essere l’obiettivo dei socialisti italiani ed europei in un mondo che vede il riposizionamento internazionale dei poli politici e dei paesi loro aderenti. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GOVERNO, COSTITUZIONE, P2

di Franco Astengo | Numero degli alunni stranieri per classe, test attitudinali per i magistrati: due temi di grande attualità che dimostrano la grande difficoltà della destra a muoversi entro i confini stabiliti dalla Costituzione Repubblicana. Difficoltà rese ancora più evidenti dai due progetti di vera e propria revisione costituzionale: premierato e autonomia costituzionale. Questo elemento viene fatto notare in una intervista pubblicata oggi dall’ex-procuratore della Repubblica di Torino Spataro che, consigliando all’ANM di scioperare in difesa della Costituzione, esegue anche un richiamo al documento sulla “Rinascita Nazionale” stilato dalla loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli nel 1975. Vale la pena tornare allora sull’analisi di quell’antico documento anche perché così potrebbe risultare possibile analizzare meglio il processo in corso di tentativo della destra di portare avanti un processo di “rivoluzione passiva”. Un processo di “rivoluzione passiva” portato avanti per creare l’humus culturale favorevole per arrivare a conseguire il risultato di uscire dalla democrazia repubblicana allo scopo di installare quella sorta di “democrazia illiberale” che rappresenta sul piano istituzionale il vero obiettivo della destra italiana fin dai tempi della fase di vera e propria egemonia esercitata dal populismo personalisticamente spettacolarizzato portato avanti da Forza Italia e da Silvio Berlusconi. Ovviamente i tratti liberali e autoritari di allora si sono naturalmente accentuati con lo spostamento a destra realizzato attraverso l’affermazione di Fratelli d’Italia e la formazione del governo Meloni. Però andando per ordine: Scomporre e ricomporre in una sintesi più avanzata, di vera e propria “rottura” nel rapporto tra società e politica: questo il senso del Documento sulla “Rinascita Nazionale” redatto da Licio Gelli per conto della Loggia P2 nel 1975, raccogliendo quegli spunti teorici cui ho appena fatto cenno. Quel documento, sulla “Rinascita Nazionale” apparentemente ricolmo d’indicazioni pragmatiche (molte delle quali, via, via, attuatesi con grande precisione) rimane, a mio giudizio, la pietra miliare al riguardo del progettarsi e dell’attuarsi dell’avventura della destra in Italia. Il PCI aveva, inizialmente, intuito la portata del pericolo che veniva dal raccogliersi attorno alle istanze della P2 dell’insieme della destra e del “perbenismo italiota”: il convegno di Arezzo, organizzato appunto dal CRS, nel 1982 con le relazioni di Stefano Rodotà e Giuseppe D’Alema (padre) riuscirono a porre la questione in termini dai quali si sarebbe potuti partire per porre il tema dell’alternativa sul giusto terreno della “qualità della democrazia”. La scelta finale, però, fu diversa: quell’idea proprio del “paese normale”, della necessità di superare la doppiezza e di porsi nell’ottica di una “fertile accettazione” dell’egemonia capitalistica. PDS, DS, PD, nel frattempo erano rimasti fermi all’idea della “governabilità” non vedendo l’enorme deficit democratico che si stava accumulando, muovendosi nell’ambito dello scimmiottamento pedissequo della “spettacolarizzazione” di una politica sempre più priva di contenuti, fino a concedere spazio ad altri soggetti che si stanno muovendo sul terreno di Le Bon del dialogo diretto tra il Capo e le Masse. Nascono da questo tipo di analisi le letture di errori che , in apparenza, abbiamo giudicato clamorosi, come quelli riguardanti la mancata legge sul conflitto d’interessi o il varo della Bicamerale nel 1997 ma, soprattutto è risultata errata l’idea del “bipolarismo temperato”, e in questo, della vocazione maggioritaria, concedendo alla destra il vantaggio della formula elettorale, tema del tutto trascurato: errori che non erano tali, se sono riuscito a inquadrare bene il tema, ma frutto di un effettivo fondamento teorico che poi ebbe nel referendum del 2016 il suo punto di realizzazione più alto: senza che respinta l’ipotesi renziana dal voto popolare se ne traessero le dirette conseguenze politiche anche da parte di quanti avevano osteggiato al meglio l’ipotesi portando avanti proprio il progetto della difesa costituzionale. Nel frattempo la crisi finanziaria internazionale divideva la destra italiana in due tronconi: quella populista e quella tecnocratica, uscita dalle costole di Trilateral e Billdeberg. Entrambe però, interne, a quella logica decostruttivista-autoritaria che, come abbiamo visto. ispirava l’ancora cogente documento della Loggia P2: tronconi della destra apparentemente riunificati nell’attuale progetto di governo fondato proprio sulla proposta di deformazione costituzionale- Se l’aggressività del progetto autoritario (neo-salazarista, continuo a definirlo) finirà con il prevalere in quel momento, forse ci troveremo di fronte ad un vero e proprio disvelamento proprio nel senso di un accentramento del potere e uno svillaneggiamento della funzione costituzionale non solo delle assemblee elettive ma dello stesso soggetto -cardine del nostro ordinamento: la Presidenza della Repubblica come diretta emanazione di un voto parlamentare. Tutto questo a futura memoria allo scopo di fornire un contributo a far comprendere l’assoluta decisività del confronto che ci attende a partire dal probabile referendum sul cosiddetto “premierato”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PRATO, PER IL CENTENARIO DEL DELITTO MATTEOTTI

COMUNICATO STAMPA L’Associazione Socialismo XXI, l’Associazione Communia e l’ANPI Provincia di Prato, hanno organizzato l’iniziativa per il centenario del delitto di Giacomo Matteotti, con la partecipazione di Angela Riviello dell’ANPI provinciale, Luigi Ferro Presidente Nazionale di Socialismo XXI, Giorgio Benvenuto già segretario nazionale UIL e Valdo Spini storico del socialismo, coordinatore dell’incontro Brunello Gabellini direttore di Paese Sera della Toscana, hanno portato il saluto il Sindaco di Prato Matteo Biffoni e la vice presidente della Provincia di Prato Federica Palanghi. Con una buona partecipazione dei presenti, Brunello Gabellini coordinatore, ha dato la parola alla Presidente dell’ANPI Angela Riviello e a Luigi Ferro Presidente di Socialismo XXI, che si sono soffermati sulla storiografia di Matteotti e sull’attualità del pensiero matteottiano, a Giorgio Benvenuto che ha evidenziato di Giacomo Matteotti la storia come sindacalista e politico e una vita fatta di travagli, per poi arrivare alla sua eliminazione fisica, a Valdo Spini storico del socialismo, la quale ha narrato quanto Giacomo Matteotti, fin dal 1921 si sia opposto al fascismo e che l’intervento fatto alla Camera dei Deputati, rispetto alle violenze durante la campagna elettorale del 1924 e sancito con l’omicidio di Matteotti il 10 giugno del 1924 dal mandante Mussolini Presidente del Governo. In conclusione Valdo Spini, ha evidenziato un presaggio fatto da Giacomo Matteotti ad un compagno, dove ha detto di preparare un intervento per il suo funerale e comunque possono uccidermi, ma le idee del socialismo riformista non moriranno con me. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PERCHE’ RICORDARE GIACOMO MATTEOTTI

Giacomo Matteotti è stato tre cose: un politico, un giornalista, un antifascista. Una vita spesa per la politica, per l’economia, e per il socialismo riformista. Aveva compreso con formidabile intuito  il pericolo che le orde fasciste rappresentavano per la democrazia italiana. Il fascismo era una ideologia, una cultura non effimera che all’epoca molti minimizzarono, con colpevole superficialità. La cultura del totalitarismo, dell’uomo solo al comando, di un mondo senza teste, andava combattuta. A qualunque costo. Matteotti era un uomo coraggioso, come lo defini’ Gobetti. Prima di essere sequestrato ed assassinato dai fascisti guidati da Dumini il 10 giugno 1924, in Parlamento aveva attaccato a muso duro Mussolini e il fascismo, accusandoli di avere creato in Italia un clima di odio e di violenza contro gli oppositori e le menti illuminate. Matteotti, piu’ volte aggredito dai fascisti, sapeva perfettamente che la sua vita era in pericolo perchè le sue idee di liberta’ e di democrazia, confliggevano con la cultura fascista. Ne squassavano le fondamenta. Dopo il suo intervento, durissimo, Matteotti, rivolgendosi ad un compagno socialista disse: “io il mio doscorso l’ho fatto. Ora a voi preparare  il discorso funebre per me”. Sapeva che doveva morire, ma non ha mai smesso di lottare contro quel regime per affermare i suoi principi ed era pronto l’11 giugno del 1924, ad accusare in Parlamento di corruzione il fascismo per lo scandalo petrolifero Sinclair che coinvolgeva il fratello di Mussolini, Arnaldo. Qui risede la grandezza dell’uomo. Matteotti faveva paura al fascismo da vivo, ma anche da morto. La famiglia del grande statista socialista fu spiata ed intercettata dall’OVRA, almeno fino alla morte della moglie dopo un delicato intervento chirurgico non riuscito. E Mussolini disse:” sono un uomo fortunato. I miei oppositori in un modo o nell’altro muoiono sempre”. Un processo farsa, con condanne per omicidio preterintenzionale, non volontario con l’aggravante della premeditazione si badi, mai espiate grazie ad un condono. Dumini, per comprarne il silenzio, veniva sistematicamente sovvenzionato dal regime e dallo stesso Mussolini, il quale in Parlamento si assunse per il delitto una responsabilità politica, morale, ma non anche penale. A cento anni dalla sua morte, è giusto ancora ricordare la figura di Giacomo Matteotti? La risposta è affermativa. Matteotti è un martire della liberta’. Con la sua morte nasce la cultura antifascista in Italia, ma  la sua morte segna anche il ricongiungimento tra morale e politica. Per lo statista socialista non vi puo’ essere politica senza morale. La morale guida l’agire dell’uomo politico. La sua nobile concenzione della politica lo condusse allo scontro frontale col regime fascista ed alla sua barbara uccisione. Matteotti sapeva che aveva imboccato una via pericolosa, ma è andato avanti fino all’estremo sacrificio. Ciò insegna che la libertà e la democrazia vanno difesi quotidianamente perchè il nemico è dietro l’angolo, in agguato. Pronto a colpire. Senza paura. Con coraggio. Oggi, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, la democrazia è sotto attacco come non mai prima. In Italia, questo governo con proposte di riforma dell’architettura costituzionale del nostro Paese (autonomia differenziata e presidenzialismo) apre le porte all’autocrazia. Attacca frontalmente il parlamentarismo che strenuamente Matteotti difese fino alla fine dei suoi giorni. Con la proposta di elezione diretta del presidente del consiglio, caso unico nelle democrazie occidentali, si consegna tutto il potere nelle mani di una sola persona. Riforme che offendono i nostri diritti e minacciano i principi fondamentali della nostra Repubblica. Mobilitiamoci perchè cio’ non avvenga , come a suo tempo fece Matteotti, e sosteniamo sempre coloro che in ogni parte del mondo lottano e muoiono per la liberta’, la tutela dei diritti e per la democrazia. Il mio pensiero va a Mandela, alle donne iraniane, a San Suiky in Birmania, e a tutte le donne e gli uomini di liberta’. Come Giacomo Matteotti. Per questo va ricordato. Per la sua grandezza, per il suo coraggio, per la contemporaneità del suo pensiero. Per l’esempio dimostrato. Per il timore che ancora incute a qualcuno. Una lezione di vita e di idee ancora utili. “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLI STATI UNITI D’EUROPA TRA VESTITO DELLA DOMENICA, INTELLIGENZA ARTIFICIALE E RITORNO AL PENSIERO CRITICO

di Vito Fiorino – www.politicamentecorretto.com | Intervista a Daniele Delbene tra i promotori del Manifesto sugli Stati Uniti d’Europa, condiviso da oltre 15.000 giovani sui social, auspicano un cambio di rotta nel dibattito pubblico. Delbene: “Bisogna rimettere al centro il coraggio del pensiero critico, per leggere i cambiamenti con lenti nuove”. Daniele Delbene, già presidente della Costituente Nazionale PSE, è tra I promotori del Manifesto sugli Stati Uniti d’Europa, condiviso da migliaia di giovani sui social, (consultabile sul sito www.xglu.it). Il Vecchio Continente fatica a ritagliarsi un ruolo da protagonista come interlocutore credibile, in grado di favorire una soluzione diplomatica, tra Gaza e il fronte russo ucraino, sullo sfondo aleggia lo spettro di un conflitto globale. In che modo il sogno degli Stati Uniti d’Europa potrebbe imprimere un’inversione di rotta? “Il fatto è che purtroppo l’Europa politica non esiste, negli ultimi decenni si è costruita l’Europa della finanza e dei tecnocrati che nulla ha a che vedere con il grande e lungimirante sogno degli Stati Uniti d’Europa a cui fai riferimento. Per confondere un poco le acque si sono fatti provvedimenti puramente ideologici, talvolta insensati, ma quando serviva non c’è stata come avvenuto per la pandemia e per gli attuali conflitti. C’è bisogno di rimettere completamente in discussione il modello attuale e porre le basi per la costruzione di uno completamente nuovo.” Secondo il vostro manifesto l’Europa dovrebbe ripartire da una nuova prospettiva sui diritti sociali. Auspicate quindi non solo un rafforzamento della rappresentanza politica degli stati membri e delle loro comunità locali, riprendendo un percorso federale e costituzionale aggiornato, interrotto bruscamente anni fa, ma anche un nuovo modello economico. E’ una prospettiva realistica? “Non è solo una prospettiva realistica ma indispensabile non solo per i popoli europei ma il futuro dell’intera umanità. I diritti sociali non sono un qualcosa che ne dovrebbe fare parte ma il fondamento su cui costruire e per cui costruire un nuovo modello europeo.” Spiegati meglio. “La costruzione degli Stati Uniti d’Europa e in prospettiva degli Stati Uniti del Mondo deve essere finalizzata a garantire a tutti gli uomini la vera libertà. E quando parlo di vera libertà intendo la possibilità per tutti gli uomini di potersi realizzare nelle proprie aspettative in base alle proprie capacità, al proprio impegno e ai propri meriti senza dimenticare che deve essere aiutato nel poterlo realizzare soprattutto chi, pur volendo, non ne avrebbe le possibilità. E qui bisogna fare chiarezza, sgombrare il campo e spiegare ai cittadini che la maggior parte di coloro che parla di libertà li imbroglia perchè quella libertà prospettata è solo per pochi.” Perchè per pochi? “Chi parla di libertà spesso insegue e propone l’affermazione di diritti civili che solo apparentemente sono nell’interesse di tutti. Ma chi è più attento e consapevole ha il dovere di spiegare che quei diritti civili senza diritti sociali ed emancipazione economica resterebbero i diritti dei soli pochi che avrebbero le risorse per poterli fare attuare e far rispettare e quindi un privilegio di pochi a scapito della stragrande maggioranza. Come dico sempre, negli Stati Uniti d’America tutti hanno il diritto a curarsi, ma di fatto si curano realmente solo i pochi che hanno le risorse per poterlo fare e questo vale su tutti i fronti in primis sulla giustizia. Chi può permettersi un buon avvocato vince sempre mentre chi non può si vedrà sempre calpestato nei suoi diritti. Per ritornare alla tua domanda sì, c’è bisogno di rafforzare la rappresentanza politica ed aggiungo democratica degli stati membri e delle loro comunità regionali e locali. L’Europa non può essere oggi semplicemente il superamento degli stati nazionali, ma la sintesi e il compromesso dei loro interessi, per un interesse più grande e collettivo che riguarda i popoli europei e l’intera umanità. Per questo bisogna ragionare su un assetto federale innovativo che però non si limiti ad una fredda ingegneria costituzionale, o alle radici identitarie comuni. Cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale in questo contesto? “Il cambiamento non va visto con timore, con la vecchia rivoluzione industriale ad esempio nacquero i sindacati, il socialismo democratico, la coscienza di classe, grandi idee che aiutarono a stemperare l’impatto violento della rivoluzione tecnologica e che portarono grandi conquiste. L’intelligenza artificiale e il progresso in generale se governati da Istituzioni democratiche, fondate sui valori di giustizia sociale e libertà, possono rappresentare il realizzarsi di una società migliore per tutti gli uomini, ad esempio consentendo loro di lavorare meno a parità di salario. Al contrario potrebbe rivelarsi un elemento di involuzione delle loro conquiste socio-economiche.” In vista delle elezioni europee avete dichiarato che non sono sufficienti semplici cartelli elettorali con un generico richiamo agli Stati Uniti d’Europa, ad uso e consumo del momento, ma un nuovo inizio. Cosa intendete. “Se la maggior parte degli europei sentono distanti le attuali Istituzioni europee significa che c’è necessità di un segnale tangibile di discontinuità rispetto agli anni passati.” Come? “Per prima cosa, mi chiedo se chi ha rappresentato l’Europa in primis sedendo nel parlamento europeo non è stato in grado di dare credibilità negli anni passati come si può essere credili riproponendo gli stessi uomini? Quando una squadra non è in grado di vincere e di essere credibile si cambia. Invece leggendo i giornali ci imbattiamo in parlamentari uscenti che alla domanda si se ricandideranno dichiarano: dipenderà dalle condizioni che tradotto significa se sono nelle prime posizioni delle liste forse sì diversamente no. Ma dopo cinque, dieci anni di parlamento europeo c’è bisogno di essere i primi della lista per avere il coraggio di ripresentarsi? Evidentemente sono uomini o donne che sanno di non essere credibili o di aver deluso le aspettative. Se avessero fatto bene, non avrebbero bisogno del primo posto in lista perché il loro lavoro come parlamentari uscenti gli dovrebbe garantire comunque di diventare primi nelle preferenze. Gli Stati Uniti d’Europa che tornano di moda, ma solo come slogan superficiale da puro marketing elettorale, ad ogni consultazione europea, non devono essere il vestito della domenica cucito attorno al vuoto di elaborazione diffuso.” Chi potrebbero essere gli interlocutori …