di Teresa Maria Rauzino | Gli Internati Militari Italiani (IMI), dopo l’8 settembre 1943, rifiutarono di collaborare con il regime nazista. I loro nomi su LeBi, la banca dati on-line dei prigionieri catturati nei lager fra il 1943 e il 1945. 650mila deportati non tornarono a casa. Fra questi un pugliese, Mario Turi, tiratore scelto della Regia Marina, i cui resti mortali soltanto nel 1992 furono traslati in Italia, a Peschici, dove era nato. GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI CHE MORIRONO A ZEITHAIN Zeithain è un comune tedesco della Sassonia. Qui, nel Lager denominato Stalag IV B, dove erano già morti migliaia di prigionieri sovietici, giunsero nell’ottobre 1943 dei militari italiani feriti e malati, accompagnati da personale medico. In quello che i tedeschi consideravano un “ospedale militare”, denutrizione, condizioni disumane, mancanza di igiene, assistenza medica insufficiente e lavori forzati facilitarono il diffondersi di epidemie e gravi malattie, soprattutto tubercolosi. Morirono decine di migliaia di prigionieri, tra cui 900 italiani. La loro tragica vicenda ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto dall’Italia con le Forze Alleate. Catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e nell’Italia stessa, caricati su carri bestiame, furono avviati a una destinazione che non conoscevano: i lager del Terzo Reich, sparsi un po’ dovunque in Europa, soprattutto in Germania, Austria e Polonia. Giunti nei lager, dopo un viaggio in condizioni disumane, venivano immatricolati con un numero che sostituiva il nome, inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo. Formalità d’ingresso: la perquisizione personale e del bagaglio, la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali. Ai prigionieri, circa 650mila, veniva chiesto con insistenti pressioni di continuare a combattere a fianco dei tedeschi o con i fascisti della Repubblica di Salò. La maggior parte rifiutò di collaborare, affrontando sofferenze e privazioni. In un primo tempo considerati prigionieri di guerra, i militari internati, il 20 settembre 1943 vennero definiti IMI-Internati Militari Italiani, con un provvedimento arbitrario di Hitler che li sottrasse alle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per destinarli come forza lavoro del Terzo Reich. Per ordine del Führer, e con l’assenso di Mussolini, il 12 agosto 1944 il loro status cambiò e furono trasformati in “lavoratori civili”, formalmente liberi. Complessivamente, nei campi di prigionia persero la vita decine di migliaia di militari, per malattie, fame, stenti, uccisioni. Chi riuscì a sopravvivere fu segnato per sempre. A partire da febbraio del 1945, le prime avvisaglie del crollo imminente della Germania furono di preludio per la loro liberazione che avvenne in momenti differenti, per lo più tra febbraio e i primi di maggio del 1945. Per i sopravvissuti, il rimpatrio in Italia, tuttavia, non fu immediato e si svolse soprattutto nell’estate e nell’autunno 1945, dalla Germania, Francia, Balcani e Russia. Tra i superstiti, tra cui molti erano gravemente ammalati, alcuni morirono lungo la via del rientro e furono sepolti a Praga. Tutti i reduci provenienti dalle diverse regioni del Reich, una volta varcato il confine italiano, vennero dirottati verso Pescantina, nel Veronese, dove fu istituito un centro di accoglienza e di smistamento verso le destinazioni interne al paese. 1 In particolare, il campo di Zeithain fu liberato dall’Armata Rossa il 23 aprile 1945. Dopo la fine della guerra, il territorio del lager e del cimitero italiano fu adibito a zona di esercitazione militare sovietica e rimase per decenni inaccessibile. Nell’Italia del primo dopoguerra la storia degli Internati Militari Italiani venne presto dimenticata. L’oblio è durato a lungo. Grazie all’instancabile opera di ricerca di alcuni reduci di Zeithain, primi fra tutti padre Luca M. Ajroldi (morto nel 1985), ex cappellano del campo che aveva annotato tutti i nominativi e i dati dei deceduti nel suo diario “Zeithain campo di morte” (pubblicato nel 1962 dalla Scuola tipografica Artigianelli di Pavia) e dell’ex tenente colonnello Leopoldo Teglia, attuale presidente dell’Associazione nazionale ex internati di Perugia, nel 1991 fu finalmente possibile localizzare, riesumare e rimpatriare le spoglie di quasi tutti i caduti italiani di Zeithain sepolti nel cimitero militare italiano di Jacobsthal, e in parte nel cimitero di Mühlberg e Neuburxdorf. Tra le urne rimpatriate in Italia nel 1992, c’era quella di Mario Turi, nato il 15-04-1922 a Peschici (Foggia). Specialista di “direzione di tiro” nel reparto comando Navarino della marina militare italiana, fu catturato sul fronte greco in data imprecisata e internato con il numero di matricola 280743 nello Stalag IV B a Zeithain. La data del decesso è il 12-03-1944. Causa ufficiale: malattia. Prima sepoltura: Zeithain-Cimitero militare italiano. Luogo di sepoltura attuale: Peschici-Cimitero comunale. Tutta la comunità di Peschici in una fredda mattinata del 10 febbraio 1992 accolse l’arrivo dell’urna con le spoglie mortali di Mario Turi. L’evento fu immortalato dal cameraman Mimì Martella e postato su YouTube. Una messa in suffragio fu celebrata dal parroco don Giuseppe Clemente in presenza dei parenti del marinaio (la seconda mamma, la sorella Michelina e il fratello Vito), dei fedeli, delle autorità civili e militari e delle rappresentanze della scuola media Libetta. Molto toccanti le riprese del “planctus” delle donne di Peschici vicino alla piccola urna del marinaio morto a Zeithain, l’accompagnamento al cimitero, scandito dalla lettura di alcune pagine del diario di padre Ajroldi e dei pensieri dedicati a Mario dalle donne di casa Turi: “Sei partito un giorno di sole, bello come eri bello tu. I tuoi occhi brillavano e i tuoi capelli biondi splendevano ai raggi solari, il tuo cuore era colmo di amore per i tuoi cari, per la tua patria. Andavi lontano sul mare, quello stesso mare che guardavi dalla tua casa. I tuoi pensieri vagavano oltre l’orizzonte ma un solo nome era scolpito nel tuo cuore: Italia. La tua Patria, che avresti difeso fino all’estremo sacrificio e l’hai fatto, Mario. Come solo gli esseri eletti sanno fare. A Lei hai donato tutti i tuoi sogni, le tue aspirazioni, la tua giovinezza. Felice di poterlo fare e laggiù lontano, in una terra ostile. Chi ti ha confortato? Chi ha posato sui tuoi occhi ormai spenti l’ultimo bacio? …
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