COSTANTE MASUTTI

Nacque a Prata di Pordenone il 5 maggio 1890 da Giuseppe e Maria Polesel, in una famiglia di operai edili (aveva sei fratelli e due sorelle). Dopo aver frequentato i primi due anni delle scuole elementari, fu avviato al lavoro a soli nove anni di età, presso la fornace di Rivarotta di Pasiano. A quindici anni emigrò a San Gallo in Svizzera dove, subito dopo l’apprendistato, riuscì a farsi assumere nel 1906, come precoce operaio professionale. La sua adesione al socialismo avvenne negli anni successivi, quando poté pagare la quota al sindacato di mestiere dei gessatori e pittori. Prima della guerra si trasferì a Pordenone, sposando Teresa Gaudenzio. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Angelo (a Pordenone nel 1915), Nella (nel 1918, durante la profuganza dopo Caporetto), Gisella (a Pordenone nel 1921, poco dopo la fuga del padre) ed Otello (a Parigi nel 1924). Nel dopoguerra M. diventò il segretario della Lega degli edili di Pordenone, aderente alla Federazione impiegati operai edili (FIOE): era la più forte organizzazione della Camera del lavoro del Friuli. Fu protagonista di numerose agitazioni degli edili disoccupati, della creazione di cooperative di lavoro e della realizzazione di lavori arbitrari, gli “scioperi a rovescio”. Professavano idee socialiste anche i fratelli Giovanni (nato nel 1887), Antonio (1888), Olivo (1896) e Vittorio (1902). Tutti furono operai migranti: Giovanni a Torino come operaio Fiat e facchino d’albergo (portando con sé la madre), Olivo pure a Torino in una fonderia Fiat, mentre Vittorio emigrò in Belgio nel 1923 ed Antonio in Argentina nel 1922; la sorella Angela (1894) era invece suora presso un convento di Gorizia. Nell’ottobre 1920 M. fu eletto al consiglio comunale nelle file della maggioranza socialista. Aderente alla scissione comunista, M. partecipò alle “barricate di Torre” del maggio 1921. L’8 giugno successivo, nel corso di una imboscata tesagli dai fascisti a Prata, M. uccise il capo degli squadristi, Arturo Salvato, e fu quindi costretto a darsi alla clandestinità. M. fu dapprima incaricato dalla FIOE di dirigere il sindacato in Sudtirolo e Trentino; una volta scoperto, espatriò insieme con Pietro Sartor. Dopo un periodo passato in Svizzera ed in Belgio, nel 1922 si trasferì in Francia con la famiglia, alternando l’attività di impresario edile, svolta sotto falso nome, a quella di organizzatore della categoria per il Parti communiste français (PCF). Scoperto e costretto nuovamente all’espatrio dieci anni dopo, si trasferì nuovamente con la famiglia in Unione Sovietica, dove fu impegnato come lavoratore specializzato in importanti lavori edili, ricevendo anche pubblici riconoscimenti come “stakhanovista”. Qui il cognome dei Masutti divenne “Garatti”. Nel 1933 la figlia Nella conobbe e sposò un giovane comunista torinese, Emilio Guarnaschelli, ucciso in seguito alle repressioni staliniane (grazie all’impegno di Nella Masutti, il carteggio di Guarnaschelli diventò più tardi la prima testimonianza di ampio respiro sulle vittime italiane delle repressioni staliniane). M. iniziò a quel punto un difficile percorso per non cadere anch’egli vittima delle “grandi purghe”, riuscendo infine a ritornare in Francia nel 1937. Qui diventò un riferimento per la dissidenza trozkista, ritornando a tessere i contatti con gli antichi compagni socialisti in esilio. Nell’immediato secondo dopoguerra, M. ritornò a Pordenone, guidando la riorganizzazione del Partito socialista italiano fino al 1949. Nel 1948 fu anche candidato al Senato per il Fronte popolare nel collegio di Pordenone. Nel 1949 ritornò a Parigi, dove divenne segretario della sezione e successivamente della federazione del PSI, dedicandosi al lavoro di assistenza agli emigranti italiani. Morì a Parigi il 12 ottobre 1960. Fonte: www.dizionariobiograficodeifriulani.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

OGGI INSORGEVA GENOVA: NON DIMENTICARE MAI

di Franco Astengo | Il 30 Giugno 1960 Genova scendeva in piazza e in piazza della Vittoria “u brichettu” Sandro Pertini spiegò che era necessario respingere il tentativo fascista di svolgere il proprio congresso nella città medaglia d’oro della Resistenza: seguirono giorni di grande tensione e mobilitazione popolare in tutto il Paese, con una forte repressione poliziesca: vi furono 5 morti a Reggio Emilia, a Roma i carabinieri a cavallo caricarono i partecipanti a una manifestazione antifascista a Porta San Paolo ferendo deputati comunisti e socialisti, vi furono altri morti a Palermo e a Catania. Alla fine di quei giorni convulsi la democrazia vinse e il governo Tambroni fondato sull’alleanza tra democristiani e fascisti fu costretto alle dimissioni e si aprì, per il nostro Paese, una pagina nuova. Oggi nel momento in cui all’interno del partito di maggioranza relativa come ha lucidamente denunciato Liliana Segre si elevano inni al fascismo e si fa professione di antisemitismo non dobbiamo dimenticare quegli episodi . Siamo davanti al frutto di vent’anni di sistemi elettorali fondati sul “maggioritario”, della distruzione dei partiti politici e dei corpi intermedi, dello svilimento di ruolo del Parlamento, di una feroce gestione del ciclo da parte del neo-capitalismo globalizzato in un vero e proprio delirio di finanziarizzazione, in conclusione del quale le condizioni materiali di vita dei ceti popolari, il complesso dei diritti sociali, il mondo del lavoro hanno subito colpi durissimi. Mentre ormai la politica è fatta di costruzione del consenso in precedenza all’espressione di contenuti, al punto da assomigliare molto a come si muoveva la macchina della propaganda del ventennio e si pensa di costruire il “Partito Unico della Nazione” si sta realizzando, attraverso le riforme costituzionali una vera e propria svolta. A partire dalla raccolta di firme per il referendum sull’autonomia differenziata serve subito la messa in campo di una forte opposizione sociale e politica, non può – sotto questo aspetto – essere perso altro tempo: la sinistra di alternativa e di opposizione deve ritrovare subito una propria identità e una propria autonoma capacità d’iniziativa: l’esempio del Luglio ’60 allora non dovrà essere, in questa occasione, un semplice richiamo al passato ma un modello cui richiamarsi. Occorre creare le condizioni per una forte tensione sociale cui collegare una altrettanto decisa prospettiva politica. Occorre un’opposizione consapevole del fatto che, anche adesso, prima di tutto è in gioco la democrazia. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA COSTRUZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA NEL FRIULI OCCIDENTALE DALLA FINE DICIANNOVESIMO SECOLO ALLA DITTATURA FASCISTA

di Gigi Bettoli | La costruzione del Partito Socialista nel Friuli Occidentale dalla fine del diciannovesimo secolo alla dittatura fascista. La pianura. La pedemontana fra Livenza e Cellina. Scarica la tesi di laurea (poi edita con gli indispensabili indici dei nomi e dei luoghi dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione con il titolo “Una terra amara”) che realizza – mutilata per ragioni spazio-temporali della parte relativa a gran parte delle Prealpi Carniche, tutt’ora incompleta – il primo studio “complessivo”  sulla fase della storia del movimento operaio del Friuli occidentale, compresa tra la la costituzione delle prime organizzazioni socialiste e l’avvento del fascismo. La storia dell’area più sviluppata del Friuli, vista attraverso la vita amministrativa locale ed i dibattiti politici del socialismo friulano: Parte prima: dalla crisi di fine secolo alla Grande Guerra: LIBRO1 Parte seconda: nel vortice della guerra mondiale: LIBRO2 Pubblicato su: www.storiastoriepn.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’ECCIDIO DI MARZAGAGLIA (1° LUGLIO 1920)

Nella Foto la Masseria di Cesare Soria, a Marzagaglia di Ermando Ottani | Nel suo Uomini e caporali Alessandro Leogrande (2008), giovane scrittore pugliese collaboratore de “Il Corriere del Mezzogiorno”, individua un chiaro legame storico e un’attinenza politico-sociale tra lo sfruttamento dei braccianti pugliesi ai tempi dell’eccidio di Marzagaglia1 (1° luglio 1920) e le condizioni disumane dei “nuovi schiavi”, provenienti dall’Africa o dall’Europa dell’Est, che devono ancora oggi subire l’arrogante arbitrio dei “nuovi caporali” (sempre più spesso, della loro stessa nazionalità). Nel 2010 si è celebrato il 90° anniversario della strage di Marzagaglia ed è significativo che questa ricorrenza sia caduta in un periodo segnato da una crisi economico-sociale globale, di rilevante portata soprattutto per l’Occidente. D’altra parte, se dobbiamo riconoscere una certa correlazione nelle pratiche dello sfruttamento tra passato e presente, dobbiamo anche distinguere la natura, le cause strutturali e gli effetti politico-sociali della profonda crisi, che attanagliò tutta l’Europa nel primo dopoguerra, da quelli della crisi odierna. Questi due scenari di crisi, che pure hanno storicamente qualche importante elemento in comune, divergono sostanzialmente ad un’analisi più attenta delle cause e, soprattutto, delle ripercussioni a livello economico-sociale. La crisi che investì l’Europa intera nel corso del cosiddetto “biennio rosso” fu, certamente, più virulenta e rovinosa di quella odierna e costituì un passaggio epocale che travolse sia le potenze uscite sconfitte dalla Grande guerra sia quelle che invece riuscirono a prevalere militarmente. Miseria, fame, disoccupazione e inflazione rappresentarono, soprattutto in Italia, i presupposti sociali di una crisi politica dello Stato e di legittimazione della vecchia classe dirigente liberale, già responsabile della disastrosa partecipazione al conflitto e delle sue nefaste conseguenze, incapace dopo di mantenere le “promesse della trincea”. Proprio nel biennio 1919-1920, la parola d’ordine della “terra ai contadini”, unitamente all’entrata in vigore del Decreto Visocchi-Falcioni2, declina in un ambiguo e pericoloso impasse applicativo. I dati della crisi diventano, poi, ancora più gravi per il Mezzogiorno che vive in condizioni di arretratezza economica e sociale più marcate rispetto a quelle del resto del Paese. In tale contesto, a parte il tributo di sangue3 che i braccianti e i contadini poveri pugliesi dovranno purtroppo versare direttamente “per Trento e Trieste”, tutti gli indicatori sociali della crisi post-bellica manifestano in Puglia impressionanti impennate, che fotografano la desolante realtà di miseria e disperazione delle masse popolari nelle campagne e nei centri rurali della regione. Ad esempio, a Gioia del Colle, il comune nel cui agro si trova la contrada di Marzagaglia, il tasso di mortalità infantile nel 1920 è di 149 bambini deceduti (di età compresa fra 1 giorno e 12 mesi) su mille nati vivi. Per rendersi conto della drammatica portata di questo dato, basta raffrontarlo a quello odierno di molti paesi africani, dove si è registrato il maggior numero di decessi di bambini al mondo. Ebbene, il tasso di mortalità infantile di Gioia del Colle nel 1920 supera di gran lunga quello che è stato registrato, a partire dal 20094, in molti paesi del continente africano, fra cui il Sudan, la Liberia, la Somalia, il Mali e il Ruanda. In effetti, la prima guerra mondiale come “guerra totale e di massa” aveva coinvolto ed inquadrato militarmente i contadini pugliesi, spingendoli per certi versi a sviluppare e a radicalizzare la loro maturazione politica in un impegno sempre più militante nelle organizzazioni socialiste e in quelle sindacali (in particolare, in quelle di base, come le leghe proletarie ex-combattenti e le leghe dei contadini). In questo quadro, alla nuova coscienza di classe e civile si aggiungono due elementi amplificanti di matrice e segno opposti, ma convergenti: da un lato, le speranze di concreto miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, suscitate nelle masse contadine pugliesi dalla promessa governativa di distribuire la terra ai contadini poveri ex-combattenti dopo la vittoria finale e, dall’altro, l’impulso esaltante che il successo della Rivoluzione d’ottobre nella Russia zarista ancora esercitava sulle classi subalterne nell’Europa Occidentale. A ciò si aggiunga anche il fatto che la piccola-media borghesia, che aveva fornito le risorse umane per costituire e sostenere i ranghi degli ufficiali e dei sottoufficiali nella Grande guerra, non è più disponibile “a tollerare lo strapotere economico dei ricchi proprietari e a subire passivamente le conseguenze della crisi economica del dopoguerra, caratterizzata da inflazione, aumento del costo dei generi di prima necessità e disoccupazione”. Anche nella realtà pugliese “tutte queste tensioni si riversarono nella vita politica, provocando la crisi della classe dirigente liberale e dello Stato in cui essa si era identificata” (Antonacci 1999, 52). D’altro canto, in Puglia più che altrove, è ormai evidente il divario tra sistema di potere, da una parte, e processi di cambiamento, nuova stratificazione e livello della conflittualità nella società civile, dall’altra. La classe dirigente pugliese, politicamente corrotta e irrigidita dal sistema delle clientele e dal ricorso alla violenza dei “mazzieri”, si rivela ad un certo momento incapace, sia nell’ordinaria amministrazione, sia in termini progettuali, di attrarre il consenso degli strati politicamente più attivi e dinamici della società e, allo stesso tempo, di riconoscere la fondatezza e la praticabilità di alcune rivendicazioni popolari. Conseguentemente, la nuova e radicale domanda di partecipazione diretta alla gestione del potere da parte delle masse popolari pugliesi troverà, soprattutto, espressione nelle nuove organizzazioni di base, da un lato, e nel partito socialista e nelle organizzazioni di classe, dall’altro. L’adesione di migliaia di braccianti, di piccoli coltivatori e coloni, di artigiani e falegnami, di muratori e spaccapietre, di mugnai e pastai, di elettricisti e ferrovieri, ecc. registra un notevole sviluppo, tra il 1919 e il 1920, sia per quanto riguarda le rispettive leghe, le camere del lavoro, le cooperative di consumo e l’Associazione nazionale dei combattenti5 (Anc), sia per quanto riguarda le organizzazioni del Psi o ad esso affiliate6. A fronte dei processi di diffusione e di rafforzamento del movimento proletario, il fondamento della struttura socio-economica dominante in terra di Bari rimane sempre e comunque il latifondo e la grande proprietà terriera, che vuole resistere a qualunque costo alla spinta delle lotte popolari e contadine. Nonostante la stragrande maggioranza …

PER UNA RIFONDAZIONE SOCIALISTA

di *Giovanni Princigalli | Sono rimasto molto dispiaciuto per il risultato del PSI alle recenti elezioni europee. Però mi chiedo: perché allearsi con Renzi e i radicali? Cosa c’entra Renzi con la tradizione del socialismo italiano e quello internazionale? Renzi aveva portato il PD su posizioni centriste e liberiste. Guadagna milioni per fare il consulente per dittatori e multinazionali e afferma che in Arabia Saudita c’è un nuovo Rinascimento. Ci si allea con lui per non allearsi con il PD? Il PD non è il mio partito, ma Elly Schlein è forse la sola leader socialdemocratica che c’è in Italia. Ha spostato il PD più a sinistra (anche se non quanto vorrei). L’altra possibilità era un’alleanza con SI e VERDI. Non so però se questi fossero stati d’accordo. È certo che Fratoianni con SI ha una forte visibilità personale.  In un grande partito di sinistra sarebbe il numero due se non il numero tre. Ma con questo non voglio dire che egli non desideri sciogliere il suo partito in uno più grande per motivi d’interesse personale. Perché è anche vero, che non c’è in vista un forte, allettante e affasciante progetto di partito unitario, per cui vale la pena sacrificare e mescolare la propria particolarità e spazio. Ma vedo che il piccolissimo PSI di oggi pur di rivendicare la specificità del suo nome glorioso, si chiude in una riserva indiana rifiutando l’annosa questione della fusione o convergenza con gli ex PCI. Posso anche capirlo, perché il PCI ha sempre avuto ambizioni egemoniche e attitudini paternaliste, arroganti e di superiorità verso il PSI. Ma il PCI e Craxi non ci sono più. Poi, quando leggo che il PSI di oggi con orgoglio si richiama a Filippo Turati e Carlo Rosselli, mi viene un po’ da ridere (scusate), perché Turati era si riformista ma marxista (amico di Engels) e Rosselli era si un riformista non marxista, ma il suo pensiero, oggi, sarebbe più a sinistra di S.I. Anche i socialisti che andarono con Forza Italia dicevano d’ispirarsi a Turati e Rosselli.  Francamente… un po’ di onestà intellettuale e amore per la storia per favore. Chiaramente le colpe per l’assenza di un grande partito socialista (che oggi dovrebbe chiamarsi anche ecologista) sono da attribuire anche ai PDS-DS che si sciolsero nel PD.  Così facendo avvilirono gli sforzi e disillusero le speranze di De Martino, Ruffolo, Spini e Rodotà. Quindi certo è colpa (grossa) anche degli ex comunisti che non hanno avuto l’intelligenza, la sensibilità e il coraggio di usare il termine “socialista”, dimostrando un certo pregiudizio verso questa storia. Ma anche i socialisti di oggi non riescono a togliersi dalla testa il loro anti-comunismo sviscerato (o meglio, peggio ancora, l’anti PCI di Berlinguer). Il PD ha fatto male a non richiamarsi alla tradizione socialista. Il PSI però commette un errore più grande, perché si ritiene l’unico depositario della tradizione socialista; il socialismo italiano puro ed esclusivo, ma nei fatti è più a destra non solo di Lula, ma anche dell’americana Alexandria Ocasio Cortez. Se gli ex comunisti, trasformandosi genericamente in democratici, hanno dimostrato quasi di vergognarsi delle loro origini e della tradizione marxista, i socialisti hanno una difficoltà simile, quella di non assumere in modo cosciente e profondo il significato della parola socialismo.  Ci consola, parzialmente, sapere che è questo il problema anche del glorioso SPD tedesco. Esso non solo (il che è comprensibile e normale) è lontano dalla socialdemocrazia marxista se per riformista di Bernstein o Lassalle, ma lo è anche con il partito non marxista che fu di Willy Brandt. Il PSI che si allea con Renzi, non ha alcuna piattaforma anti-capitalista, no certo nel senso dogmatico o bolscevico. Penso piuttosto alla critica al capitalismo, se per pur con obbiettivi, contesti e valutazioni diverse di Salvador Allende, Olof Palme, Bernie Sanders. Mi spiace dirlo, ma ancora una volta il PSI di oggi, ma non da oggi, ma da decenni, ha rotto i ponti con le idee dei padri fondatori, anche se afferma che non sia così, ma in verità è così. Se ci si allea con Renzi, e prima ancora si governa con Berlusconi, i fascisti e i leghisti (guardate Cicchitto, che non so perché è il direttore di Civiltà socialista), se si stila un manifesto di valori come quello che è leggibile sul sito del PSI, non puoi avere in testa e nel cuore Turati, Rosselli, De Martino, Lombardi.  A me sembra che sia piuttosto un partito di tipo blairiano. Il PSI di oggi è nostalgico (lo sono pure io), ma verso cosa? Verso il PSI di Craxi, ovvero quello che Formica (che pur è da sempre moderato ed anti-comunista) aveva definito una corte di nani e ballerine? Pensiamo anche all’amarezza di Lombardi che disse: «Non c’è più ragione per militare in questo partito». Pensiamo a De Martino, che parlò di mutazione genetica. Allora che nostalgia è? Quella per il 15% di consensi raggiunto da Craxi? Sono convinto che costui vada riscoperto e riletto, ma fu anche quel leader “socialista” che si precipita in Parlamento per portarlo a rivotare un provvedimento a difesa dei privilegi e degli interessi (particolari e capitalistici) di uno uomo solo, ossia di Berlusconi. Sono d’accordo sul fatto che Mani Pulite nascondeva tanta arroganza, ostilità, pregiudizio e anti-politica. Ci furono eccessi, errori ed abusi, oltre che egocentrismo, divismo, protagonismo di alcuni magistrati, il delirio di essere il giustiziere del popolo, come fu in gran parte l’attitudine di Antonio Di Pietro. Eppure, non eravamo nella URSS di Stalin o nell’Italia di Mussolini, in cui il dittatore dettava, ordinava, al magistrato quale dissidente pericoloso di turno punire e quali le pene da sentenziare.  La corruzione c’era, lo disse 10 anni prima Lombardi:  «Ci sono più socialisti in prigione oggi che ai tempi del fascismo».  Ho consultato dei documenti del PSI barese degli anni 50 e 60. Sono riportate le entrate che erano fatte di sottoscrizioni, lotterie, tornei di calcio balilla, feste dell’Avanti, porzioni generose tratte dagli stipendi di deputati e senatori. I funzionari erano pagati quanto un …

UN 2 GIUGNO DI LOTTA

di Franco Astengo | La celebrazione del 2 giugno 2024, festa della Repubblica, assumerà tratti inediti nella storia d’Italia: definitivamente dissolto l’antico “arco costituzionale” sotto il cui ombrello ci poteva comunque ritrovare mai è stato così violento l’assalto alle fondamenta del dettato della nostra Carta Fondamentale. Ormai è svelata la posta in gioco di questa fase (che potremmo considerare più storica che politica): riscrivere la Costituzione e mandare in archivio il suo punto di vera scaturigine, la Resistenza. E’ stato giustamente scritto che il progetto del centro-destra di oggi è molto più invasivo di quello elaborato nel 2016 dal PD(R) e che fu respinto dalla maggioranza dell’elettorato, e da altri tentativi precedenti (riforma del centro destra anch’essa respinta dal voto popolare nel 2006; progetto della commissione bicamerale del 1997), senza contare le riforme già attuate in maniera negativa (titolo V, pareggio di bilancio, riduzione del numero dei parlamentari). Adesso però siamo a un vero e proprio salto di qualità: un progetto eversivo che poggia su TRE gambe: premierato, autonomia differenziata, riforma (punitiva) della magistratura. In realtà, nel caso della magistratura, siamo ben oltre l’attacco alla Costituzione Repubblicana perchè si sta toccando la messa in discussione della stessa divisione dei poteri sancita dalla rivoluzione del 1789. Un attacco alla democrazia che si sviluppa in un quadro generale davvero inquietante. Una situazione dominata dalla suprema incertezza tra la pace e la guerra: dilemma che la nostra Costituzione intende sciogliere con un Articolo 11 già fin troppe volte violato nella sua sostanza. Abbiamo visto come sia in corso un attacco diretto a categorie come quella della Magistratura (ipotizzandone, come già avvenuto in passato, una sostanziale riduzione di autonomia dall’esecutivo) e dell’informazione (con un evidente arretramento nella liberà d’espressione come testimoniato anche dalle classificazioni internazionali in materia). Si sta esercitando direttamente una forma di repressione poliziesca verso i soggetti più facilmente attaccabili come gli studenti. Questi elementi evidenziano uno stato di cose che non può che essere contrastato se non prendendo atto fino in fondo della sua gravità e pericolosità, esprimendo così un pieno convincimento alternativo fuori da qualsivoglia tentativo di compromissione, in ispecie sul piano costituzionale e delle stesse forme istituzionali che derivano direttamente dall’applicazione della nostra Carta Fondamentale, prima fra tutte la forma di governo parlamentare. Il tutto racchiuso dentro un cerchio ideale rappresentato dal riemergere della “questione morale” che si esprime in varie forme ben oltre la forma classica della corruzione politica come sembrerebbe indicare la vicenda ligure. La celebrazione del 2 Giugno dovrà essere allora impostata come momento di richiamo alla necessità, prima di tutto, di espressione di un sentimento: come è stato scritto “di qualcosa di cui non si può non parlare, di cui non si può tacere” partendo dalla risposta alla tragedia fascista da cui nacque la nostra identità repubblicana. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NE’ IDEOLOGIZZARE NE’ MITIZZARE PER SOLIDIFICARE I PROCESSI DI PACE

di Giuseppe Scanni | Siamo in guerra oppure no? Conosciamo quasi esattamente il numero dei morti, tanti, siamo informati delle strazianti violenze, dei catastrofici bombardamenti, degli scontri tribali ed etnici e di quelli di Stati contro Stati, delle fazioni di un popolo contro uno Stato; non sono restati nascosti a lungo gli Stati che appoggiano fazioni combattenti o che finanziano ed addestrano milizie etniche armate contro altri Stati ed alleanze militari. Ma di che guerra parliamo? Ci sono ancora gli strumenti necessari per placare i conflitti e firmare trattati di pace? È un problema da studiare perché, come questi due anni appena trascorsi ci hanno reso evidente, la guerra tradizionalmente intesa nel XX secolo si è trasformata e si sono logorate le categorie nelle quali venivano collocate dalle varie discipline le cause che originavano le guerre, le loro legittimità sulle quali si edificava la Pace attraverso il Diritto nell’ambito delle organizzazioni internazionali. Tutti siamo chiamati a dare risposte concrete ai problemi presenti, tenendo conto degli strumenti che la realtà oggettiva mette a nostra disposizione, senza ignorare quanto si sia trasformato il mondo e di conseguenza come siano divenuti obsoleti alcuni sistemi chepure furono efficaci in un passato non molto lontano. Non c’è più una linea che delimiti la distinzione della guerra fra Stati e guerre civili, tra guerre di liberazione nazionale e guerre al terrorismo, perché lo scontro armato asimmetrico tra attori militari e politici di diversa natura hanno, nei fatti, trasformato il diritto internazionale e modificato il concetto di guerre limitate in guerre totali; dove il senso di totali non è unicamente collegato all’uso distruttivo e totale dell’arma atomica o di armi altamente sofisticate e spietatamente mortali, ma alla partecipazione nei conflitti di eserciti professionalizzati e di un eterogeneo esercito di “popolo”, che a sua volta non è il popolo tradizionalmente inteso, ma un complesso gruppo di civili, anche di diverse nazionalità, riunito sotto una o più bandiere politiche, ideologiche, religiose. Finito, con la Guerra Fredda (1945-1991), il confronto NATO- Patto di Varsavia, assieme ai rispettivi alleati esterni, si è conclusa anche la stagione della guerra intermedia a sua volta limitata dalla linea rossa marcata dalla deterrenza nucleare. Il limite definito alla guerra generale è oggi paradossalmente messo in discussione da nuovi e vecchi archetipi retorici che narrano e esaltano virtù taumaturgiche degli Stati “nazionali”, che invece sono stati oggetto di una profonda modificazione dei loro poteri; oppure inveiscono contro imperialismi espansionistici e guerrafondai, integrando a volte tradizionali logiche di “potenza” con proclami identitari, chiamando spesso in causa le migrazioni economiche. Altri ancora, in nome di un generico neo luddismo accusano – senza offrire soluzioni alternative – l’era digitale di abbassare livelli di qualità della vita per alcuni, di accelerare il processo di crescita per pochi altri. C’è anche chi giustifica eventi bellici o violenze di massa, dittature con la “tradizione” e con un imperativo reli- gioso. L’Occidente, oggi, esecra la guerra e nello stesso tempo la esorcizza non volendo riconoscere che dopo ottant’anni è finita la pace che ci ha accompagnato attraverso scontri, anche drammatici e sanguinosi, ma lontani dalle proprie case. Tanto lontani che la Difesa e gli impegni tipici di una grande potenza, fino a ieri unipolare, sono divenuti una spesa maldigerita per gli Stati Uniti; per altri paesi, specialmente europei, un’occasione di disputa ideologica, una opportunità di divergere e discordare tra religioni ed all’interno delle stesse; un quotidiano intrattenimento televisivo e social. In questi tempi di “guerre”, in bilico tra la definizione di conflitti locali o regionali, si rafforza l’ansia che l’imponderabile faccia scivolare l’umanità in un rischioso conflitto mondiale e molto si discute sul significato della pace, sui costi umani ed economici che comportano le guerre, e si fanno strada pericolose proposte di intendere pace come “non guerra”, elucubrando che sia utile e possibile considerare la “non ostilità” armata un sufficiente sistema securitario per le democrazie occidentali, che sono descritte come sempre più deboli. Molti studiosi di scienza politica internazionale dubitano, invece, che il temporaneo (e per quanto?) blocco delle ostilità non accresca le crisi, se il blocco non è considerato consapevolmente dalle parti come fine ma in quanto condizione necessaria per l’apertura di trattative garantite da chi è internazionalmente riconosciuto capace di tutelarle nel loro sviluppo e, anche con la forza, nelle conclusioni raggiunte. Le diverse teorie sul bellum iustum che si sono straformate più volte, dall’affermazione del positivismo giuridico nel XIX secolo sino ai giorni nostri, hanno tolto agli Stati il diritto di intraprendere guerre. Oggi le successive Dichiarazioni di principi adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e di cooperazione tra gli Stati; la Dichiarazione del 1974, inserita nella Risoluzione 3314 dello stesso anno sulla definizione di “aggressione”; la Dichiarazione del 1987, contenuta nella Risoluzione 42/22 sul rafforzamento del principio di non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali, hanno stabilito la norma imperativa del diritto internazionale (Ius cogens) che un attacco armato contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di un altro Stato è una “aggressione” e costituisce un crimine contro la Pace. Al crimine cui seguisse un ricorso alla guerra, cioè quando fosse inapplicabile il Diritto – come accaduto in questi anni con l’aggressione russa a causa dell’opposizione del diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU – vengono posti dei paletti, comunque applicabili, che regolano i conflitti (Ius in bello) attraverso le Convenzioni dell’Aja, di Ginevra ( 1949) e i suoi protocolli addizionali( 1977), ancora una Convenzione del- l’Aja (1954), di New York (1981) e di Parigi sulla interdizione delle armi chimiche, e quella di Ottawa ( 1997) sul divieto alla produzione ed uso di mine antiuomo. La Corte Internazionale di Giustizia nella sua sentenza del 1986 sulle attività militari del Nicaragua e contro il Nicaragua ha definitivamente sancito che le Dichiarazioni e Risoluzioni dell’ONU sono parte integrante del Diritto internazionale generale e che precedenti intendimenti della stessa Carta del- l’ONU sulle forme in cui si poteva concretizzare il diritto di autotutela degli …

ELEZIONI EUROPEE: MANCANO FORMAZIONI POLITICHE ALL’ALTEZZA, MA E’ IMPORTANTE VOTARE. CON IL NUOVO ANNO UNA GRANDE FORZA SOCIALDEMOCRATICA

Intervista del giornalista Vito Fiorino a Daniele Delbene | Daniele Delbene, già presidente della Costituente nazionale Pse ed esponente del Tavolo Nazionale di Concertazione del socialismo italiano. Nei mesi scorsi avete lanciato un manifesto sugli Stati Uniti d’Europa incentrato su un nuovo modello di giustizia sociale. Manifesto che peraltro, oltre ad essere stato sottoscritto da oltre 700 uomini e donne consapevoli ed impegnati sul territorio, ha riscosso un grande successo e migliaia di interazioni tra i giovani sui social. Il vostro appello sembra non sia stato colto dalle forze politiche. Nella campagna elettorale in corso, il dibattito sul tema si è limitato a qualche slogan superficiale ad uso e consumo del marketing politico. “Abbiamo lanciato un Manifesto per una nuova visione del mondo e del futuro. Le forze politiche e la maggior parte delle attuali classi dirigenti, al contrario, non sanno guardare o non vogliono guardare oltre la prossima legge di bilancio. La grande condivisione del Manifesto da parte dei giovanissimi dimostra che non è vero che questi ultimi sono distanti dalla politica e dalla voglia di contribuire a costruire il loro futuro, bensì che l’attuale sistema fa di tutto per tenerli distanti dalla partecipazione. Ancora oggi, parte della politica, dell’economia e della finanza sono in mano a classi dirigenti formatesi 50-60 anni fa. Come farebbero a mantenere il controllo se vi fosse una forte partecipazione dei giovani che non conoscono e che non saprebbero come gestire?” Cosa non ha funzionato? “Più che cosa non ha funzionato direi che purtroppo la maggior parte dei leader politici sono da una parte fagocitati dal vecchio sistema che come dicevo stenta a lasciare spazio, come dovrebbe essere, alle nuove generazioni, e dall’altra sono evidentemente privi di capacità di visione. I leader non sono quelli che ricoprono incarichi ricevuti per ragioni varie, tecnicismi o perchè funzionali al disegno di qualche elite, ma quelli in grado di coinvolgere facendo sognare in particolar modo le nuove generazioni. I leader sono quelli che hanno la capacità di immaginare ed anticipare il futuro, proponendo quindi la strada migliore per costruirvi la società ed il modello auspicati. Di fronte alle elezioni che ritengo tra le più importanti al mondo, non sentiamo altro che richiami al passato fascismo e comunismo, o discussioni su temi nazionali o ancora peggio di basso livello. Ad esempio, chi è antifascista oggi non ha neppure bisogno di proclamarsi tale, perchè è nel suo modo di essere, di porsi, di opporsi e di partecipare che dimostra quello che è e contrasta ciò che non deve essere. Diversamente, soprattutto i giovani (e non solo) non comprendono e cambiano canale”. La campagna elettorale non è andata oltre le questioni di politica interna o le polemiche sulle candidature dei leader di partito che anche se eletti non sceglieranno il seggio europeo. Grande assente la giustizia sociale. “Quando trovi come capolista candidati come la Salis e Vannacci, ti rendi conto del livello raggiunto dalla politica. Non è un giudizio sulle persone in sè (che non conosco), ma sull’approccio di strumentalizzazione scelto dalle forze politiche. Se la sinistra è quella che candida come capolista una persona “sconosciuta” non per le proprie idee ma solo perchè, a torto o a ragione, è in carcere, è evidente che la sinistra non esiste più o comunque che si tratta di un’area ben distante dalla cultura politica essenza del nostro manifesto. Se a questo aggiungiamo le candidature dei leaders, che se eletti non andranno al Parlamento Europeo, ci rendiamo conto del perchè stanno crescendo esponenzialmente l’astensione e il disinteresse. La politica e i politici con la “P” maiuscola sono i grandi assenti, e si cerca di sopperire alla mancanza di idee e proposte con la personalizzazione e la sola immagine”. I risultati di queste elezioni saranno comunque un test sugli equilibri dentro e fuori i partiti. “Certamente e sarebbe naturale se questo fosse un test sulle proposte, sulle idee, sulle finalità e sulla condivisione dell’azione dei partiti. Ma purtroppo, per come si sono costruite le liste e per come si sta svolgendo la campagna elettorale, il vero obbiettivo nella maggior parte dei casi è solo ed esclusivamente quello di prendere voti per pesare di più o per salvaguardare la propria leadership. Altro che Europa e futuro del mondo”. Perché avete deciso di non dare indicazioni di voto? “Le indicazioni di voto le danno le forze politiche organizzate o i singoli, mentre i promotori di un manifesto trovano una convergenza elettorale solo se vi è una formazione che faccia propri in modo credibile gli auspici proposti. E purtroppo ad oggi non ci sono formazioni che assolvano a questo ruolo. Ovviamente si tratta di elezioni troppo importanti per non partecipare al voto e quindi l’appello è quello di recarsi alle urne, votando con coscienza per quelle formazioni e quei candidati che più di altri dimostrino e abbiamo dimostrato di avere davvero a cuore il futuro dell’Europa e del mondo. L’invito è a scegliere chi esprime buon senso, uso della ragione, valori forti, ma senza pregiudizi e posizioni puramente dogmatiche. Come abbiamo scritto nel nostro manifesto XGLU.IT, forze politiche e uomini animati dal senso di giustizia sociale, libertà e umanesimo socialista”. Ci sarà spazio dopo questa competizione elettorale per rilanciare il confronto sui punti del vostro manifesto? “Assolutamente sì. Dopo il 9 giugno si dovrà prendere atto, purtroppo, della grande astensione, soprattutto dei giovani, e non si potrà fare a meno di guardare alla costruzione di un nuovo modello sociale. Questo porrà la necessità di andare oltre le attuali formazioni politiche. Guardando al nostro Paese, si apriranno delle incolmabili crepe nella compagine di governo, che avrà vita breve. Le forze sociali, sindacati in primis, saranno tra i primi a sollecitare il superamento o la rivisitazione delle formazioni politiche esistenti, non più all’altezza delle grandi sfide che ci attendono. E’ giunto il tempo, di costruire una grande formazione politica, che ispirandosi appunto ai valori di giustizia sociale e libertà, ed animata da un forte e consapevole umanesimo socialista, si candidi a governare il presente nell’ambito di un progetto …

FASCISMO E PIAZZA DELLA LOGGIA

di Franco Astengo | Ricordare, a 50 anni di distanza, l’attentato di Piazza della Loggia deve rappresentare un impegno di grande importanza nell’attualità. Lo scopo di mantenere la memoria deve essere quello di combattere sempre e comunque il revanscismo fascista. Il revanscismo fascista è tornato come forza di governo con comportamenti, atteggiamenti, linguaggio davvero di altri tempi che molti si erano illusi non ritornassero più. Invece ci troviamo di fronte davvero ad una mala pianta che dobbiamo combattere oggi come allora, come avvenne negli anni’70 quando lo stragismo rappresentò una pericolosissima presenza costante nelle vicende italiane: a partire dalla prima strage, quella fondamentale di vera e propria “svolta” rappresentata, il 12 dicembre 1969, dagli ordigni esplosi nella Banca dell’Agricoltura a Milano. All’epoca era l’Italia che cercava una via faticosa e complessa di crescita della democrazia nell’attuazione ancora non compiuta della Costituzione Repubblicana: Costituzione poi messa in discussione varie volte nel corso degli anni e che oggi è nel mirino della destra che punta a modificare la forma di governo per assecondare le proprie pulsioni di visione personalistico – autoritario. Il 12 maggio di quello stesso anno 1974 il voto popolare aveva sancito il diritto al divorzio: una legge di civiltà verso la quale si erano scatenati i corifei del clerico – fascismo poi pesantemente sconfitti nelle urne. Le stragi dovevano servire a fermare quel processo di avanzamento popolare e, in verità, alcuni di quegli scopi reconditi furono raggiunti: tanto è vero che in epigrafe di questo testo abbiamo già scritto del presentarsi, oggi, di forme di vero e proprio revanscismo fascista. Torniamo però al ricordo di quella tragica giornata: L’orologio segnava le 10:12 del 28 maggio 1974 quando un’esplosione scuoteva Brescia. Una bomba era esplosa in pieno centro città, precisamente a piazza della Loggia mentre era in svolgimento una manifestazione sindacale contro il terrorismo fascista. Il terrorismo neofascista in quel momento colpiva ancora una volta in Italia. La bomba era stata nascosta in un cestino dei rifiuti e fu fatta esplodere al passaggio del corteo. Otto le persone che persero la vita: tra di loro due operai, cinque insegnati e un pensionato che nella sua vita era stato anche partigiano. Il processo per quanto riguardò quella strage fu molto lungo anche a causa di alcuni depistaggi come di consueto in casi del genere. Al termine delle indagini, fu accertato che l’attentato era stato opera del gruppo neofascista dell’Ordine Nuovo. La condanna definitiva all’ergastolo per Tramonte e Maggi è stata emessa nel 2015. Ricordando la tragedia di Piazza della Loggia vale la pena rammentare come proprio negli stessi giorni del maggio 1974 Savona iniziasse a sperimentare il peso degli attentati fascisti che proseguirono nel tempo fino ai primi mesi del 1975: attentati contrastati con grande efficacia da una mobilitazione di vigilanza popolare che rimane come esempio di coraggio civico e di una stagione di grande partecipazione popolare. Per non dimenticare mai e per combattere sempre il fascismo in qualsiasi veste esso cerchi di mascherarsi. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CINQUANT’ANNI FA: IL “18 APRILE ROVESCIATO”

di Franco Astengo | E’ la più grande vittoria contro la DC e la destra dalla fine della guerra: 59% no, 41% sì. Vuol dire che l’Italia è cambiata per la forza ideale delle lotte di questi anni. Fanfani ne esce a pezzi. Noi lo avevamo detto. Ora lo dicono le masse e chiamano la sinistra unita a proporre al paese un nuovo orizzonte. E l’editoriale di Pintor titolò “Un 18 aprile rovesciato”. 13 Maggio 1974, un lunedì, si chiudono le urne aperte il giorno precedente 12 Maggio: l’Italia ha votato per il primo referendum abrogativo nella storia repubblicana. Si tratta di decidere se conservare o meno la legge sul divorzio introdotta nel 1971 grazie all’iniziativa di due parlamentari laici, il socialista Fortuna e il liberale Baslini e approvata dal parlamento con una maggioranza comprendente tutti i partiti dal gruppo del Manifesto al PLI, contrari soltanto DC e MSI. La legge sul divorzio, lungamente attesa e segno evidente dell’avvio di un processo di modernizzazione nei costumi, era stata messa in discussione dall’iniziativa di gruppi cattolici oltranzisti che avevano raccolto le firme proprio per arrivare alla consultazione elettorale. Ricostruendo così, con esattezza quella vicenda, si comincia a sfatare un mito: quello del referendum voluto dai radicali, che sicuramente rappresentarono un piccolo gruppo molto vivace a difesa della legge, ma che non ne furono i promotori, non disponendo all’epoca neppure di una rappresentanza parlamentare. Il risultato di quella consultazione con il 69% di sì alla conservazione della legge dimostrò, peraltro, come il cosiddetto “paese reale” si collocasse ben oltre nella modernità della sua cultura e dei suoi costumi rispetto al quadro istituzionale: erano state forti, ad esempio le incertezze del gruppo dirigente del PCI ad accettare lo scontro referendario voluto dai cattolici, anzi si può dire che le elezioni anticipate svoltesi per la prima volta nel 1972 fossero state determinate anche dalla volontà dello stesso partito comunista di prendere tempo, per arrivare a una mediazione su questo argomento del divorzio che appariva come scottante per di più in un’epoca dove stava maturando, la strategia berlingueriana del “compromesso storico”. Fu la segreteria democristiana, retta da Fanfani, a volere lo scontro diretto nella convinzione di riuscire a mobilitare la parte più oscura e conservatrice del Paese, quella che nel 1948 aveva dato alla DC la più grande vittoria della sua storia, anche grazie ai Comitati Civici di Gedda, alle Madonne Pellegrini di Pio XII, al grido dall’allarme sul “pericolo rosso”. ● Fanfani, però si trovò a fianco soltanto il MSI di Almirante e non comprese per tempo le grandi trasformazioni verificatesi nella vita culturale e sociale del Paese, in seguito alla fase del “miracolo economico” e poi della ventata del’68, rivelatasi alla fine più importante su questo terreno del costume e dei diritti civili che non su quello più propriamente politico. Si trattò di una grande vittoria, la prima, di uno schieramento progressista nato più dal basso, nella realtà sociale che non dai vertici dei partiti: ma quelli erano tempi in cui i vertici dei partiti sapevano catalizzare e aggregare il consenso, e il risultato, sul piano politico, fu sicuramente quello di uno spostamento a sinistra che determinò anche, 12 mesi dopo, il risultato delle amministrative del 15 giugno 1975. Si stavano rompendo le barriere e si stava, finalmente, secolarizzando la società italiana: un balzo in avanti dal punto di vista della vita quotidiana, della libertà di pensiero e di comportamento cui diedero un forte contributo anche i cosiddetti “cattolici del dissenso”, la CISL dell’unità sindacale, le ACLI della scelta socialista di Vallombrosa. Un processo di secolarizzazione della società cui non corrispose, però, la proposta di un’alternativa maggioritaria da parte della politica, dello schieramento di sinistra: la linea del compromesso storico, l’esplosione del terrorismo, la crisi economica derivante dallo “shock” petrolifero dell’inverno ’73-’74, le difficoltà d’aggregazione di una nuova sinistra, la retrocessione dal progetto di unità sindacale furono i fattori principali per i quali quella grande spinta venne meno e si arrivò, due anni dopo, alla triste soluzione del monocolore democristiano di Andreotti, con l’astensione di PCI e PSI: seguì, poi, il rapimento Moro e così il processo di secolarizzazione del paese prese più la strada del documento di Rinascita Nazionale di Gelli (1975) che quella dell’alternativa di governo da parte delle sinistre. Eppure quella del 13 Maggio 1974 fu una grande vittoria della morale laica e della politica progressista, e come tale va ricordata. Come riportato in epigrafe: Il Manifesto, nel suo “sommarione” caratteristico dell’epoca aveva titolato: E’ la più grande vittoria contro la DC e la destra dalla fine della guerra: 59% no, 41% sì. Vuol dire che l’Italia è cambiata per la forza ideale delle lotte di questi anni. Fanfani ne esce a pezzi. Noi lo avevamo detto. Ora lo dicono le masse e chiamano la sinistra unita a proporre al paese un nuovo orizzonte. E l’editoriale di Pintor titolò “Un 18 aprile rovesciato”. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it