MODIFICARE LA COSTITUZIONE PER DARE MAGGIORE AUTONOMIA A TRE REGIONI?

di Gianfranco Viesti | Non è una questione territoriale fra Nord e Sud, è un grande tema politico. Di cui occorre parlare, anche al Nord C’è un grande, sorprendente e preoccupante silenzio al Nord sull’autonomia regionale differenziata, tema su cui il lettore potrà trovare ampia documentazione su questa rivista. Anche in conseguenza di questo silenzio, la questione appare sempre più come uno scontro fra Nord e Sud: una deriva pericolosa e fuorviante. Preoccupa in particolare il recente protagonismo di alcuni presidenti di Regioni del Sud, che si sono autoproclamati “campioni del Sud”: quasi che il confronto fosse di carattere territoriale e interno a segmenti delle classi dirigenti regionali e non, invece, di natura politica e tale da interessare tutti i cittadini. Si può obiettare che il “Nord” si è già espresso: i cittadini lombardi e veneti hanno partecipato ai referendum consultivi del 22 ottobre 2017. Ma è un’obiezione assai debole. A quel referendum la partecipazione in Lombardia fu piuttosto modesta, intorno al 38% (ancora inferiore nelle aree urbane). Di fatto dunque non è dato sapere che opinione abbiano sul tema quasi i due terzi dei Lombardi. Alcuni di essi, come il sindaco di Milano Sala, hanno espresso la propria contrarietà. Diversa la situazione del Veneto, dove quel giorno la maggioranza degli elettori si recò alle urne per esprimere il proprio sì; ma a un quesito assai semplice (“volete voi maggiore autonomia”), che non necessariamente corrisponde alle richieste gigantesche formulate successivamente, a novembre dello stesso anno dal Consiglio Regionale, che vanno dalla regionalizzazione della scuola alla proprietà delle reti ferroviarie. Non pochi veneti sono, in ogni caso, contrari, come ad esempio dimostrano le posizioni da sempre assunte dalla Cgil in regione. Quanto all’Emilia-Romagna, nessuno ha mai chiesto ai cittadini come la pensino. Il sindaco di Bologna Lepore, ma anche gli ex presidenti della Regione Errani e Bersani, o personalità come l’ex sottosegretaria Maria Cecilia Guerra, non hanno nascosto le loro fortissime perplessità. Qui non si discute del principio di differenziazione, ma delle concrete proposte delle tre regioni, che potrebbero a breve concretizzarsi. Nel complesso l’interesse e il dibattito fra posizioni differenti, in particolare nelle tre regioni appena menzionate, sono stati piuttosto modesti; il che non è un bene, proprio perché molte voci contrarie si sono invece levate dal Mezzogiorno. Il silenzio degli uni e il prendere posizione degli altri possono far pensare, come si diceva, che si tratti esclusivamente di una questione fra Nord e Sud. Certo, non si può negare che le richieste finanziarie lombardo-venete siano, nella costante tradizione leghista, mirate a trattenere le maggiori risorse finanziarie possibili, “togliendole” così al resto del Paese, specie alla parte più debole: come plasticamente mostrato dalle posizioni ufficiali della regione Veneto. In effetti è anche una questione territoriale. Ma solo in parte. Leggerla così lascerebbe infatti in primo luogo intendere che l’autonomia differenziata è certamente un vantaggio per i cittadini del Nord. E che quindi le (poche) posizioni contrarie di alcuni di loro nascerebbero sostanzialmente da una generosità solidaristica, contro i propri interessi. Non è così. Le richieste di autonomia differenziata di cui discutiamo portano certamente forti, ulteriori, poteri alle classi dirigenti regionali; possono rafforzare il predominio delle istituzioni regionali su quelle cittadine: non a caso non pochi sindaci sono contrari. Ma è assai discutibile che portino automaticamente vantaggi ai cittadini. Si può pensare questo solo se si accetta la vulgata leghista – priva di riscontri teorici, scientifici e fattuali – secondo cui più sono forti le Regioni, meglio è per i loro cittadini.Le richieste di autonomia differenziata di cui discutiamo portano certamente forti, ulteriori, poteri alle classi dirigenti regionali. Ma è assai discutibile che portino automaticamente vantaggi ai cittadini Pensiamo alla scuola. Perché per le famiglie lombarde sarebbe meglio avere gli insegnanti dei propri figli selezionati da concorsi regionali, con criteri stabiliti dalla Regione e, una volta assunti, essere alle dipendenze dell’Assessore regionale? Perché dovrebbe essere meglio avere programmi definiti (oltre le differenziazioni che già esistono) su base regionale, magari con forti richiami alle antiche tradizioni? Un programma che preveda più Alberto da Giussano e meno Verga è forse preferibile? Pensiamo poi alla sanità. Perché per famiglie lombarde dovrebbe essere meglio una esclusiva competenza regionale fuoriuscendo dal Servizio sanitario nazionale? Per avere, nell’infausto caso di una nuova pandemia, una politica regionale di acquisto dei vaccini; criteri regionali, differenziati, di vaccinazione; criteri diversi per limitarne la diffusione? Per lasciare che il sistema regionale evolva come negli ultimi vent’anni, depauperando l’assistenza sociosanitaria territoriale, invece di far parte di un sistema nazionale che il Pnrr sta orientando verso una rete nazionale di case della salute e ospedali di comunità; e magari avere così, anche in quella malaugurata evenienza, tassi di mortalità particolarmente alti come registrati purtroppo con il Covid? Oppure pensiamo all’energia. Perché, nelle settimane in cui ci si sta rendendo conto degli altissimi costi della mancanza di una politica energetica comunitaria, della scarsa interconnessione delle reti, della drammatica diversità delle scelte nazionali, dovrebbe essere meglio ricondurre al potere di un Assessore regionale il passaggio delle grandi reti energetiche sul territorio o la definizione di criteri per i nuovi impianti? E, in materia di ambiente, in cui si sta drammaticamente cercando di costruire un consenso planetario intorno alla lotta al cambiamento climatico, sarebbe davvero opportuna una maggiore potestà regolamentare regionale su ambiente e rifiuti? E, ancora, perché dovrebbe essere meglio – al di là delle possibili rendite finanziarie regionali di opere pagate dalla fiscalità nazionale – staccare le reti autostradali e ferroviarie dal patrimonio nazionale e affidarne gestione e manutenzione a società regionali? Sarebbe meglio, nel caso che l’autonomia regionale fosse concessa alla Liguria nei termini approvati da quella Giunta regionale l’8.3.2019, pagare tariffe autostradali stabilite da quella stessa Giunta per andare da Milano al mare; e nel caso delle imprese magari pagare tariffe di accesso al porto di Genova, ormai parte del demanio ligure? Non sono esempi forzati: ma possibilità concrete che rivengono dalla lettura, parola per parola, delle bozze di intesa a suo tempo predisposte dall’allora (2019) ministra Erika Stefani insieme alle …

ISTITUZIONE E FASCISMO

Carissimi Compagne e Compagni, Cittadine e Cittadini, il Coordinamento di Socialismo XXI della Toscana, desidera manifestare la propria indignazione in merito alle recenti esternazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa e della Senatrice Isabella Rauti in “celebrazione” dell’anniversario della nascita dell’MSI. Riteniamo che il voler commemorare la nascita del MSI sia di una gravità inaudita, specialmente se il fatto viene esternato dal Presidente del Senato e da una parlamentare, figlia del noto fascista Pino Rauti. Ciò costituisce una offesa alle istituzioni democratiche della nostra Repubblica: è un evidente oltraggio al Parlamento Italiano, alla nostra Carta Costituzionale e al sacrificio di quanti hanno offerto la loro vita e la loro libertà per sconfiggere il nazi-fascismo. E’ un vilipendio alla memoria di nostri compagni. Un solo nome basta per ricordarli tutti: Giacomo Matteotti. Chi era il MSI e da chi era composto è a tutti noto: un covo di pericolosi nostalgici, razzisti e antisemiti. Far passare nel silenzio questo fattaccio significherebbe, a nostro parere, legittimare ulteriormente i rigurgiti fascisti che stanno emergendo nel nostro paese; del resto la cronaca è piena di fatti criminali riconducibili a movimenti di estrema destra, uno per tutti il vigliacco attacco alla sede della CGIL che ci riporta in dietro negli anni quando le camice nere bruciavano le nostre sezioni, la case del popolo, le sedi del sindacato e assaltavano la direzione dell’Avanti! Con queste superficiali concessioni, pare, si stia cercando di cancellare la memoria della Resistenza e di sminuire il valore storico-politico del 25 Aprile. In questo clima, riteniamo che i partiti della opposizione parlamentare debbano presentare delle interrogazioni continue, puntuali per inchiodare alle loro responsabilità La Russa, la Rauti e chiunque adotti i loro comportamenti. E’ altresì necessaria una posizione del Presidente della Repubblica. La storia ci insegna che il Fascismo cerca di inserirsi nelle istituzioni con tutti i mezzi che può utilizzare sia leciti che illeciti. Già le pubbliche autorità tollerano le manifestazioni neo fasciste, una per tutte quella che ogni anno si svolge a Predappio, dove in dispregio di ogni legge costituzionale e ordinaria si fa bella ostentazione di simboli, inni e gesti chiaramente riconducibili all’ideologia fascista, auspicabilmente volta alla ricostituzione del PNF. L’ANPI, le associazioni politiche, i Sindacati, i partiti ed i movimenti democratici, devono mobilitarsi per difendere la nostra libertà e la nostra democrazia. La tolleranza, alla luce della tendenza, non può che costituire una irreversibile connivenza. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IDENTITA’ E DIGNITA’

L’identità dei sardi è vissuta da secoli con dignità, con compattezza etnica e valorizzazione delle tradizioni storiche sia pur in differenze urbane e territoriali. Più sono grandi le città e più sembra ridursi la riconoscibilità dell’identità locale. L’uso della lingua sarda meno diffusa, poco insegnata e utilizzata nei più popolati aggregati urbani rispetto ai piccoli comuni e paesi delle zone interne. Eppure la riproposizione annuale di riti e manifestazioni centenarie sono vissute con una profonda passione nelle grandi e medie città, sentite e vissute con una valenza anche attrattiva e turistica. Pensiamo alle nostre grandi feste distribuite durante l’anno preparate con rispetto e determinazione dalle amministrazioni, da proloco, dalle associazioni, corporazioni di arti e mestieri antichi e moderni. Un’autodeterminazione che ha una possibilità inespressa di valorizzazione e di opportunità per nuovo lavoro con metodi di recupero dei valori dell’identità sarda. Norme regionali, statali ed europee sostengono la valorizzazione della lingua e della cultura sarda, ma il rischio di un possibile indebolimento del sardo parlato e scritto nelle varianti territoriali e storiche, è reale. L’immenso patrimonio di memoria e uso della lingua sarda parlata soprattutto dagli anziani e dai loro figli rischia di perdersi con le nuove generazioni che in famiglia e nei loro ambienti non utilizzano la nostra lingua. Encomiabili e preziose iniziative in alcuni scuole materne e primarie della Sardegna, sono sperimentazioni culturali che dimostrano un’efficacia nell’insegnamento della lingua ai bambini. L’utilizzazione di questo diritto istituzionalmente riconosciuto non è diffusa a sufficienza per evitare la perdita con le prossime generazioni. La lingua sarda è in pericolo ha dichiarato Pier Sandro Pillonca in una trasmissione radiofonica e ha ragione. E’ necessario a questo punto prendere consapevolezza collettiva e costruire una reazione da considerare come una “autodeterminazione progettuale”. Nulla di rivoluzionario. Saranno loro a far evolvere questi valori culturali nelle scuole, nella vita e nella società. Acquisiranno nel tempo una coscienza globale ma nel frattempo saranno difensori e portatori della cultura locale. Come ipotizzare e realizzare questo progetto etnico e umano? Facendo incontrare i bambini con gli anziani nei luoghi in cui vivono, con gli artisti sardi e la loro arte specifica, con gli artigiani in qualsiasi spazio naturale o strutturale adatto a disposizione, con la cultura identitaria regionale e locale nei modi più adatti. Il trasferimento dei vissuti e delle conoscenze dovrà assumere la forma di una favola, di un racconto, di un gioco. Servirà ai bambini per appassionarsi e scoprirsi ma anche agli adulti per scoprirne il loro valore umano e culturale e avere nuovi stimoli artistici ed auto educativi profondi. La presenza delle famiglie e degli insegnanti saranno garanzia di sicurezza e dimostrazione affettiva e di completamento delle scoperte reciproche. In termini sociali e politici i responsabili educatori e istituzionali, scopriranno e capiranno un nuovo spazio d’intervento e un adeguamento delle scelte e delle decisioni ad un valore non completamente considerato sino ad ora. Si potrà partire con una sperimentazione in specifiche località comunali in ambiti provinciali e locali diversi, scelti con intelligenza per poi ampliare la sperimentazione in ogni territorio disponibile. I report di riuscita dovranno essere analizzati e sostenuti in basse ai risultati preventivati e programmati al fine di migliorare gli effetti pratici delle iniziative tenendone conto nelle fasi successive. Nel frattempo la ricerca storica e il lavoro degli studiosi impegnati in un’onesta ricerca ed affermazione della verità storica, avviando un nuovo confronto a tutti i livelli locali ed internazionali, reinterpretando tutti gli elementi a disposizione, compresi quelli giacenti nei depositi provvisori. Questa verità dopo un quinquennio progettuale e di sperimentazione con le istituzioni competenti, sarà a disposizione del mondo della scuola e dell’università per diventare la nuova storiografia ufficiale, base della riscoperta verità culturale da affidare alle nuove generazioni e al mondo della cultura. I risultati della formazione dei bambini diventerà un patrimonio collettivo da esporre in nuovi musei delle “arti dei bambini“, diffusi in pubblicazioni contenenti le migliori opere prodotte. La conservazione delle opere immateriali saranno regolarmente diffuse e valorizzate nelle forme più efficaci per essere cosciute. La rete collegherà i progetti di sperimentazione permettendone l’arricchimento conoscitivo e l’implementazione dei suoi effetti. Gli anziani, veri maestri di vita, dovranno trarre vantaggio dell’esperienza di trasmissione per la lingua sarda e la memoria con un riconoscimento anche finanziario, utile per integrare pensioni Questo progetto sperimentale deve avere una valenza promozionale e diffusa nella sua conoscenza diventare volano di attrazione culturale e metodologia nel coinvolgimento di visitatori stranieri e dei loro bambini. Arrivare a esportare il nostro patrimonio linguistico e storico, potrà accrescere il valore attrattivo della nostra isola e della sua cultura, delle sue genti e del loro habitat mostrato in modo creativo e più approfondito, facendo diventare brevi periodi di permanenza in intensi momenti di confronto umano e di nuova scoperta di una terra visitata con occhi diversi. Il plurilinguismo sardo, italiano e nelle lingue straniere capaci di trasferire significati e comprensioni delle parole e delle didascalie, permetterà alla nostra lingua di diventare di livello internazionale scoprendone il suo valore di una diversità ricca e disponibile. Fondamentale diventa a questo punto la riconversione e bonifica di aree industriali dismesse e decadenti in spazi che possono diventare anche museali tematici ed espositivi del patrimonio artistico e culturale e tra questi, delle opere dei bambini. Modelli di riqualificazione avvenuti in ex aree industriali in tutta l’Europa ne sono conferma di possibilità. Facilitare una nuova mobilità tramite la realizzazione di reti viarie e ferroviarie che permettano minori tempi di percorrenza delle tratte che collegano i vari centri della Sardegna tramite linee ferroviarie sospese nei due sensi da affiancare alle strade statali e provinciali che collegano le città e i piccoli centri anche montani, gli aeroporti e i porti, con una struttura di trasporto pubblico ecosostenibile, veloce e sostitutivo all’obbligatorio uso delle auto garantendo una consistente riduzione della Co2. Anche la ricettività deve essere ripensata con un processo di comproprietà internazionale, con il coinvolgimento dei turisti storici nelle ristrutturazioni e nel beneficio di convivenza per brevi periodi del turismo tutto l’anno. Vivere la Sardegna può diventare il nuovo …

L’INCONTRO BIDEN ZELENSKY

Pare che all’avvertimento di Biden che occorre andare al negoziato con la Russia perché gli USA non entreranno in guerra, Zelensky abbia risposto chiedendo, e Biden abbia accettato, di avere i Patriot e più armi, perché a primavera l’Ucraina riuscirà a rimpossessarsi dei territori perduti. E così altri due miliardi di dollari di armi si incamminano verso il conflitto che con il generale inverno in azione e la promessa di una scadenza in primavera, non potrà non alzare ulteriormente il livello dello scontro. Un generale americano afferma che i militi morti ucraini rispetto ai morti russi sono nel rapporto da 8 a 1; quanti altri morti allora prima della primavera? Ma l’ulteriore massiccio invio di armi verso l’Ucraina non potrebbe configurare uno stato di cobelligeranza di fatto degli USA in cui fosse trascinata conseguentemente la NATO e quindi anche tutti i paesi europei? Ma in questa prospettiva, segnalata dalla Russia, qual è la voce dell’Europa, dell’Italia, degli italiani? Ma ci sono consultazioni da parte degli USA per quelle azioni che necessariamente implicano conseguenze per altri paesi? Già una volta siamo stati trascinati in Iraq sulla base di false attestazioni di presenza di armi di distruzione di massa fatte da Colin Power. In parlamento il Pd insieme a tutta la destra ha votato per l’invio di armi per il 2023. Le conseguenze della decisione del Parlamento, che non corrisponde, stando ai sondaggi, alla volontà degli italiani gravano con cupa incombenza sul nostro paese, anche perché non si può nascondere un conflitto con l’articolo 11 della nostra costituzione. Perché non farne un caso da portare davanti alla corte? Ciò che tranquillizza è la considerazione che la Russia, pur nominandola, non ricorrerà mai alla denuncia  di uno stato di cobelligeranza, perché ciò significherebbe per lei uno scontro diretto con gli USA senza peraltro avere l’appoggio della Cina, che sarebbe per lei catastrofico. Possiamo organizzare marce per la pace, provocare un ricorso alla Corte costituzionale, ma non riusciremo ad ottenere nulla. Siamo costretti ad aspettare la primavera perché il termine fissato da Biden per l’inizio di trattative si concretizzi. Quello che succede nel frattempo, con gli ucraini uccisi nei combattimenti e quelli non al fronte a soffrire meno 20 gradi di temperatura senza elettricità e senza gas, ricada sulla responsabilità di Zelensky. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LAVORO E LIBERTA’

di Giorgio Benvenuto e Marco Cianca | Un manifesto per il riscatto, la dignità, la partecipazione | Che cosa è il lavoro? La risposta può sembrare ovvia, persino banale. E invece definire in modo corretto ed esaustivo questo concetto comporta un impegno sociologico, economico, politico, culturale, esistenziale per onorare il quale non basta appellarsi ai classici. E se ci si riflette bene, entrare in questo campo e delimitarlo è forse il compito principale di una forza che si richiami al socialismo liberale. Perché coniugare bisogni e diritti rappresenta la sfida di fondo nella costruzione di una società basata sulla giustizia e sull’uguaglianza. Si tratta di affrontare di petto questioni come lo sfruttamento, la proprietà privata, la formazione del capitale, la partecipazione alla gestione delle aziende, la questione salariale, i redditi, i profitti, i sistemi fiscali e contributivi, la previdenza, la sanità, la sicurezza, i contratti, il ruolo dei sindacati e delle associazioni datoriali, l’alienazione, i tempi e i modi di produzione, l’uso delle tecnologie, il valore delle merci, i consumi, gli stili di vita, la parità di sesso e di genere, lo studio, il merito, la conoscenza, il senso stesso della vita. La pandemia ha mandato all’aria di botto carte che sembravano ormai acquisite per sempre dopo l’ingloriosa fine del comunismo reale e che invece si sono rivelate truccate. Il virus, nella sua planetaria tragicità, è riuscito, sorta di biblica nemesi, a mostrare ciò che le precedenti crisi economiche e finanziarie, come quella del 2008, avevano fatto intravedere senza però riuscire ad innescare il necessario cambiamento. Ora, il re è davvero nudo. Il tentativo socialdemocratico (ricordate il blairismo?), pietosa mimesi di ben altre utopie, di dare un volto umano al capitalismo, dal 1989 ad oggi ha solo contribuito e fornito un alibi al formarsi di monopoli sovranazionali e di gruppi economici capaci di orientare il destino del mondo a loro uso e consumo. Finti riformisti complici, e servi, di colossali potentati. L’allargamento del mercato è stata una truffa conclamata, un’autostrada dei consumi progettata per asfaltare le conquiste dei lavoratori. La colonizzazione delle persone. La vicenda dei vaccini e il predominio delle grandi aziende sanitarie sono esemplari di questo progressivo imbarbarimento del modello economico. I ricchi sono diventati sempre più ricchi e il numero dei poveri ha avuto un aumento esponenziale. Le statistiche sono inequivocabili. Inutile ricordare numeri che fanno vergognare. E in questo abominio, il lavoro è stato ridotto ad un valore sempre più marginale, quasi una vergogna. Mentre Jeff Bezos accumulava miliardi e la logistica di Amazon sopperiva ai divieti del lockdown, ai dipendenti del megagalattico apparato distributivo, così come ai riders, novelli schiavi legati alla catena alimentare, veniva persino proibito di organizzarsi. Le rivendicazioni di più umani trattamenti normativi ed economici sono state presentate come un attacco inaccettabile ad un meccanismo ritenuto perfetto. Zitto e lavora, al resto pensiamo noi. Salariati, vil razza dannata. Poi è arrivata la guerra. A gennaio di quest’anno, un rapporto Oxfam calcolava che “ogni quattro secondi nel mondo muore una persona per fenomeni connotati da elevati livelli di diseguaglianza come mancanza di lavoro, accesso alle cure, fame, crisi climatica e violenza di genere”. Dopo l’invasione dell’Ucraina, fa orrore pensare a quel che sta succedendo. Sì, il mondo è guasto. Anzi, in agonia. E l’unica cura possibile è rimettere al centro il valore del lavoro, la sua etica, la sua valenza democratica, la sua capacità di fratellanza, la sua forza creatrice, la sua esigenza di giustizia e di libertà. Sia ben chiaro: qui non si tratta certo di ripresentare sotto mentite spoglie il progetto palingenetico, e dittatoriale, affidato alla classe operaia, ma di ridiscutere dal nucleo fondativo, il lavoro, appunto, l’intera organizzazione sociale e civile. Il patto per il lavoro lanciato da Giuseppe Di Vittorio aveva questa ambizione. Libertà dal lavoro o libertà nel lavoro? Il quesito di stampo marxista è in realtà un inutile sofisma perché eliminare il lavoro equivarrebbe ad annullare la stessa attività cerebrale. Infatti, anche il solo pensare, come ha chiarito Hannah Arendt in “Vita Activa”, è una forma di lavoro. L’ozio è la faccia voluttuosa del lusso. Il punto vero, la base di partenza, il fondamento di ogni degna costruzione sociale, è la libertà, nel contempo premessa e obiettivo del corretto agire umano. Il lavoro è libertà, e viceversa. Bruno Trentin, la cui cultura azionista ha sempre prevalso sui successivi innesti legati alla militanza del Pci e che si è sublimata in specie nell’ultima fase della sua elaborazione teorica, insisteva sulla priorità dei diritti. Rileggere “La città del lavoro”, gli errori della sinistra e la sostanzialmente incompresa crisi del fordismo, resta un utile esercizio di riflessione. Così come gli scritti di un altro azionista quale Vittorio Foa conservano una valenza di stimolante fascino, a partire da “La Gerusalemme rimandata”: “La politica non è, come si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sé”. Ecco il legame tra lavoro e autodeterminazione. Il tema della conoscenza, della diffusione dei saperi e della moltiplicazione delle opportunità si conferma pietra angolare di ogni progetto di liberazione e di uguaglianza. Come diceva Bruno Buozzi non basta resistere un minuto più del padrone ma bisogna avere letto almeno un libro più di lui. Un ammonimento che oggi, nell’epoca della digitalizzazione e degli algoritmi, ha un incredibile potenza profetica. Perché la lodevole iniziativa per le 150 ore si è spenta come una falena? Gli operai vogliono imparare a suonare il clavicembalo? chiese durante le trattative con ironico disprezzo un rappresentante della Confindustria, secondo il quale un metalmeccanico con potenzialità musicali doveva restare per sempre legato alla catena di produzione e riporre le sue aspirazioni nel cassetto dei personali desideri inesaudibili. L’ascensore sociale, animato dall’università di massa e dalle battaglie per il diritto allo studio, si è di nuovo bloccato. Anzi, funziona solo in discesa. Il figlio del notaio continua a fare il notaio, il figlio del poveraccio resta un poveraccio. Ed è più probabile che il primo finisca all’inferno piuttosto che il secondo salga in paradiso- Il dominio della …

“LA QUESTIONE SOCIALISTA”

di Paolo Bagnoli – Direttore de La Rivoluzione Democratica | La crisi del socialismo si manifesta in Italia con la sua totale assenza da quando il PSI è stato travolto dal personalismo del suo segretario. Oggi il problema non si pone ripartendo dal giudizio da dare sull’esperienza di Craxi e sull’efficacia della iniziativa giudiziaria che si scatenò contro il Partito non perché le malversazioni non dovessero essere perseguite e punite, ma per le modalità di natura punitiva che, esulando dal giudiziario, avevano una quasi esclusiva valenza politica; per come, intorno a tale iniziativa, si venne componendo tutta un’opinio politico-mediatica tesa a rappresentare il socialismo italiano per quello che non era, finendo per identificare in Craxi addirittura l’intera storia del socialismo italiano che ha rappresentato, pur nella varietà delle sue stagioni, la vera forza della democrazia italiana. Il problema del socialismo in Italia si pone gravato da una questione generale che riguarda il livello internazionale e da quella nazionale. E’ evidente a tutti che lo scioglimento della sinistra quale soggetto politico operato dagli eredi del PCI i quali, essendosi trovato ancora in piedi un pezzo del loro partito potevano – e a un certo punto, con la segreteria di Massimo D’Alema del PDS, sembrava che le cose andassero in questa direzione – rappresentare un polo ricostruttivo della sinistra dopo la fine del PSI e lo scioglimento del PCI. Potevano, cioè, impostare una politica in tale direzione a condizione di riconoscere l’errore del 1921 e, pure, come l’aver perso il treno passato nel 1956, avesse determinato una situazione che aveva oggettivamente impedito al socialismo di divenire quel grande soggetto di trasformazione profonda della realtà italiana quale forza centrale del nostro sistema democratico. Prevalsero altre logiche, altri indirizzi; in Italia i post-comunisti mai accettarono una scelta chiaramente socialista – anche nominalmente – pur facendo parte, grazie al PSI, sia dell’Internazionale Socialista che del Partito del Socialismo Europeo. Il risultato è stata la nascita del PD che non è riuscito a essere di sinistra – cosa impossibile peraltro se non si accettano i presupposti socialisti – né di vero centrosinistra nonostante le roboanti dichiarazioni di rappresentarsi come un partito a vocazione maggioritaria. La ragione è semplice e complessa al contempo, ma considerato che il PD non è mai riuscito a essere veramente un partito e funzionare come tale, ogni scelta si è risolta a una corsa sul posto, sempre più a passo populista, fino alla sconfitta che ha permesso alla destra estranea alla natura costituzionale della Repubblica di avere un governo guidato dagli eredi contemporanei del fascismo italiano. La fine del PSI e l’ostracismo della memoria sulla sua storia – un fenomeno non ancora passato – cui abbiamo assistito per oltre un trentennio non hanno, tuttavia, cancellato la questione socialista dallo scenario del Paese. Non tanto perché la sigla è rimasta in vivo per operazioni di natura strettamente personale e, quindi, con un uso strumentale per fini del tutto diversi da quelli che essa avrebbe comportato, ma in quanto centri di presenza e di resistenza potremmo dire, socialista nel Paese non hanno cessato di essere come pure non sono mancati, nei decenni trascorsi, tentativi che hanno cercato sul piano organizzativo di rimettere in piedi forme di soggettualità proponentesi di portare avanti il discorso per rimettere in piedi un qualcosa che cominciasse a colmare il vuoto verificatosi. Parimenti dobbiamo registrare come tanti centri culturali di ispirazione socialista abbiano meritatamente operato per tenere in vita non solo il ricordo di uomini e cose , ma il significato di una presenza politico-culturale. E, ancora, va registrato, sempre positivamente, come si siano intensificate le iniziative di natura pubblicistica con la riproposizione di testate di notevole valenza storica caratterizzanti la vita del socialismo italiano e pure si è assai cospicuamente intensificata la produzione libraria di storici, di compagni che hanno avuto funzioni dirigenziali nel PSI caratterizzando un mosaico di tessere senza che sia nata una rete che sarebbe stata di grande utilità per cercare di mettere sui binari della storia presente il socialismo italiano. I motivi per cui ciò non è avvenuto sono molteplici. La ragione prima del perché ciò non sia avvenuto è squisitamente politica e pure storica. In primo luogo, perché si trattava di fare seriamente i conti con una lunga storia che, a nostro avviso, hanno un segno largamente positivo; in secondo luogo, ed è il problema sovrastante tutti gli altri, per risolvere la questione socialista, non solo a livello italiano, ciò da cui parte tutto e che motiva le ragioni del socialismo: vale a dire, che il partito che lo esprime ha un senso se si propone di superare il sistema del capitalismo, di operare quella rivoluzione nella libertà che permetta alla democrazia, oggi in ostaggio del mercato e del mercatismo, di liberarsi con cultura libertaristica, di affermarsi e di espandersi per l’affermazione dei diritti e della giustizia sociale. Solo così il socialismo ha un senso; se così non è non si vede perché si ritenga necessario un partito socialista. E’ evidente che ogni forza politica, per essere tale e stare nella lotta politica quale soggetto attivo, abbisogna non di ragioni fideistiche o, peggio ancora, sentimentali, ma di una salda cultura politica; di un’ideologia, cioè, che dal piano delle idee sappia tradursi in azione e organizzazione, elemento di rappresentanza sociale, capacità di interpretare e rappresentare un blocco sociale quale piattaforma di riferimento primario, sapere che la lotta di classe prima che socialista è un’idea liberale se si considera il liberalismo non tanto un dato che riguarda le istituzioni quanto una concezione della civiltà che discende direttamente dall’idea fondante di libertà. E che, pur dentro un quadro dominato da trasformazioni profonde e da fenomeni nuovi che investono tutto il pianeta, la lotta di classe non solo non è un concetto superato, ma esso è ancora lo strumento primario poiché, quelle che una volta si definivano le classi subalterne, oggi sono alla mercé di un capitalismo finanziario mosso dalla prevalente logica dei profitti internazionalmente organizzati; dallo sfruttamento progressivo delle categorie più deboli quale metodo e sistema; …

I BISOGNI OGGETTIVI NON SONO DI DESTRA O SINISTRA. LO SONO LE SOLUZIONI AI BISOGNI

di Mauro Scarpellini – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Reagisco alla lettura dell’articolo di Luca Ricolfi su La Repubblica del 26 novembre 2022, qui pubblicato. Non condivido la sua semplificazione di argomenti di sinistra e di argomenti di destra. Il governo della società esclude che gli argomenti siano divisibili secondo posizioni. Gli argomenti esistono, tutti, ma sono le soluzioni che cambiano secondo i valori di riferimento, le idealità, le sensibilità. Chiarisco meglio e ripeto l’analisi che già riferii alla riunione che Aldo Potenza, Felice Besostri ed io tenemmo a Napoli nel settembre del 2019 con i compagni campani dell’Associazione Socialismo XXI secolo. La mia analisi utilizza lo schema di Abraham Maslow che condivido e utilizzo da decenni, cioè l’analisi dei bisogni della persona e – quindi, collettivamente – della società. Maslow suddivide i bisogni in cinque livelli che sono anche chiamati gerarchia dei bisogni, una conformazione generalmente valida anche se ammette eccezioni e può avere qualche particolarità. Al primo livello dei bisogni umani (e collettivi) sono collocati il mangiare, il bere, il dormire; è detto livello essenziale e comprende i bisogni fisiologici. I bisogni fisiologici sono molto forti, decrescono e scompaiono se in qualche modo soddisfatti. Essi sono i fondamentali. Man mano che sono soddisfatti vengono rimpiazzati da altri che emergono e che diventano predominanti; sono i bisogni protezione. Essi sono il secondo livello, chiamato anche livello della sicurezza. Una possibile definizione di sicurezza è che essa è un bisogno di autoconservazione prospettiva. “Sono in grado di conservare il mio lavoro, i miei beni per vivere domani, la mia salute e la mia incolumità personale ?” Se qualcosa di questa domanda è in pericolo il resto ha poca o punta importanza; ecco, quindi, come diventino predominanti questi bisogni rispetto ai precedenti già comunque appagati. Un cassintegrato, un adulto con lavoro precario, un pensionato con modesta pensione in periodo di alta inflazione, un’anziana che temo lo scippo quando si reca al mercato sono esempi possibili di questa condizione. I bisogni di sicurezza hanno natura sia fisica che emotiva. Ai bisogni di sicurezza seguono il terzo, il quarto e il quinto livello – di cui non scrivo in questa sede – che riguardano rispettivamente i bisogni sociali o di appartenenza, il bisogno di stima e del suo riconoscimento, il bisogno di autorealizzazione. Sintetizzo i primi due bisogni. Il mangiare e il bere hanno avuto una risposta dal reddito di cittadinanza e il movimento politico delle cinque stelle che ha insistito ne ebbe i vantaggi elettorali. I bisogni esistevano, non erano e non sono di destra né di sinistra ma solo qualcuno riuscì a far capire che li aveva capiti. La pensione e la sicurezza fisica minacciata dall’immigrato “clandestino” appartengono al secondo livello di sicurezza. Il movimento politico leghista li enfatizzò e ne ebbe i vantaggi elettorali noti alle elezioni europee. La pensione, il lavoro, l’incolumità fisica non erano e non sono di destra né di sinistra ma solo qualcuno riuscì a far capire che li aveva capiti meglio degli altri. Luca Ricolfi fa una classificazione sbagliata e inquadra gli argomenti dandoli in appannaggio in parte ad una parte politica e in parte ad un’altra parte. Non sono gli argomenti ma le soluzioni che distinguono le sensibilità e le visioni di destra e di sinistra. Per non essere troppo lungo indico solo il delicato argomento dell’immigrazione quale argomento che io ritengo che non sia stato ben gestito dai governi PD e 5stelle. Non ricordo una visione organizzata, ripeto organizzata, in tema di inserimento e qualificazione professionale, insegnamento della lingua italiana e dell’educazione civica secondo le nostre leggi. Poiché la gran parte di immigrati in Italia è di transito verso altri Stati europei la sottovalutazione di questa tematica è stato evidente mentre l’Italia ha bisogno di un inserimento ragionato e organizzato proprio a causa dell’invecchiamento degli italiani. La sinistra non deve sposare temi di stampo conservatore, come scrive Ricolfi. Per lo meno la sinistra alla quale apparteniamo non deve sposarli perché i temi da lui indicati non sono conservatori ma sono reali e da sempre la sinistra alla quale apparteniamo li ha inclusi tra i temi sui quali legiferare; poi – ripeto – le soluzioni differiscono tra destra e sinistra. Un esempio: la legge Martelli sull’immigrazione e la legge Bossi-Fini trattano lo stesso argomento, ma il modo di affrontarlo non è lo stesso. Più recentemente, nel 2017, ho scritto su questo tema (Clima e immigrazione. Morphema editore). Riporto uno stralcio che testimonia che non ci accorgiamo oggi di certi temi. “Sul piano locale, comunale, non ci si può porre l’obiettivo di rifare il mondo ma la questione immigratoria va affrontata per quel che è nella dimensione del territorio comunale. Taluni affermano che la posizione assunta politicamente sull’immigrazione chiarirebbe l’appartenenza di chiunque su posizioni di destra o di sinistra, su posizioni di buonisti o di cattivi o altre definizioni simili. (Si è capito, sin qui, che non considero – e non commento – posizioni politiche razziste perché del tutto non fisiologiche). Non condivido quel modo di attribuire l’appartenenza politica, perché sono semplificazioni che sono il finale di analisi assenti o superficiali o emotive che valutano un aspetto o pochi aspetti del problema rispetto alla molteplicità degli aspetti stessi. Invece è corretto, è di ordine civile, generale, cioè valido per i cittadini,  a prescindere dalle personali scelte elettorali, condividere, confermare e rendere in azione politica e amministrativa nel territorio comunale l’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che afferma: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. L’articolo 3 condensa l’essenziale; l’Amministrazione comunale, per la parte di sua competenza, adempia le sue funzioni pubbliche, con diritti e doveri propri e altrui, sia in termini di solidarietà umana (diritto alla vita) che di sicurezza personale per i residenti e per tutti. Senza eccezioni. E così devono fare tutte le Autorità pubbliche presenti nel territorio. Lo Stato deve fare il suo, attraverso i suoi corpi e le sue politiche di governo. Il Comune deve, per la propria parte, collegare …

PEGGIO DI COSI’ SAREBBE STATO DIFFICILE

di Mauro Scarpellini – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | La Costituzione della nostra Repubblica, in vigore dall’1.1.1948, all’art. 119 stabiliva: <<Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali>>. Questa norma non c’è più, sparita nel 2001 quando furono introdotti il federalismo e l’autonomia differenziata per le Regioni da parte del Parlamento italiano.  La maggioranza parlamentare del tempo era una coalizione di Democratici di sinistra, Margherita, Socialisti democratici italiani, Italia dei Valori – uniti nell’Ulivo – di Comunisti italiani, di Federazione dei Verdi, di Udeur. Il Governo in carica era guidato da Giuliano Amato, indipendente proposto dai DS. Quella maggioranza modificò la Legge Costituzionale n. 3/2001 [riforma Titolo V della Costituzione (artt. 114–132 Cost.)] perché voleva seguire e inseguire la Lega Nord sul federalismo, sull’autonomia; per speranza di recupero elettorale. Le materie che allora la Lega sosteneva invocando anche la secessione dall’Italia. Ora vedremo come sia stato un errore formidabile l’aver fatto quelle modifiche perché la maggiore autonomia di alcune Regioni può influenzare e modificare tanto i principi di parità dei diritti di cittadinanza degli italiani quanto il funzionamento di alcuni fondamentali servizi pubblici nazionali, come la scuola pubblica e la sanità in modo più evidente e grave. Non so quanto ne sappiano i cittadini. Ci sono utilità e disutilità nel maggiore decentramento di funzioni verso le Regioni. Il decentramento può avvicinare il governo locale ai cittadini, favorendo il controllo della spesa da parte dei cittadini stessi, per cui gli amministratori eletti si dovrebbero sentire più attenti e responsabili nelle scelte e nelle decisioni; questo in teoria. Al contrario la distribuzione di competenze può creare diseconomie di scala; può determinare forme di iniquità fra cittadini e incentivare un fenomeno conosciutissimo, quello della mobilità dei cittadini per le prestazioni sanitarie. Conosciamo bene il fenomeno dei pazienti che da determinate Regioni vanno a farsi visitare in altre. I cittadini di Bolzano, Trento e Valle d’Aosta (in misura più contenuta quelli del Friuli Venezia Giulia) hanno un migliore trattamento rispetto agli altri italiani: in quelle Regioni i livelli pro-capite di spesa pubblica corrente ed in conto capitale sono nettamente superiori alla media nazionale. Ciò concorre ad altro tipo di fenomeno, la richiesta di trasferimento di Comuni da una Regione ad un’altra; fenomeno poco conosciuto. Il Comune veneto di Sappada ha ottenuto di passare al Friuli Venezia Giulia nel 2017, per star meglio, proprio perché questa Regione è a statuto speciale e gode di privilegi che non ha la Regione Veneto a statuto ordinario confinante. I Comuni di Cortina d’Ampezzo, Livinallongo del Col di Lana e Colle Santa Lucia iniziarono a chiedere di passare dal Veneto alla Provincia autonoma di Bolzano nel 2007 e due mesi fa – visti i sondaggi elettorali nazionali – hanno rilanciato la richiesta sostenuta peraltro da un referendum consultivo locale favorevole di allora. Quei Comuni hanno già nominato i nuovi rappresentanti nel comitato referendario che sostiene il passaggio alla Provincia autonoma di Bolzano. La riforma costituzionale del 2001 ha ridotto la differenza fra le competenze delle Regioni a statuto speciale e ordinario ma le disparità nelle modalità di finanziamento di queste Regioni sono ancora in atto. La riforma del 2001 prevede che possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario ulteriori competenze in 23 materie elencate all’articolo 117: tre materie perfino fra quelle di esclusiva potestà statale. Indico, per ragioni di tempo, solo alcune materie – cosiddette della potestà legislativa concorrente – per sottolineare l’incongruenza di quel che hanno fatto. Tutela e sicurezza del lavoro : si raggiungeranno condizioni di tutela e di prevenzione da malattie professionali e da infortuni diverse. Istruzione : non so immaginare cosa potrà generare il pluralismo educativo. Previdenza complementare e integrativa : tipici strumenti dello stato sociale diventano strumenti di differenziazione, di vantaggio o svantaggio, di disuguaglianza sociale ed economica. Alla fine del 2018 il processo di richiesta di ulteriori competenze si è aperto in concorrenza tra i Presidenti delle Regioni. Richieste e proposte sono state presentate nel tempo da Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Toscana, Marche e Umbria; mozioni e ordini del giorno sono stati assunti dai Presidenti di Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. Nella legislatura 2018-2022, la delega governativa del Presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte fu attribuita alla Ministra Erika Stefani (vicentina, della Lega Nord). Nell’attuale Governo è attribuita a Roberto Calderoli, senatore della Lega Nord, estensore della legge elettorale che lui definì “porcellum”, bocciata poi dalla Corte Costituzionale. La materia è in mani competenti. La Ministra Stefani preparò le bozze. Il Consiglio dei Ministri del 21.12.2018 – bicolore Movimento 5 stelle e Lega Nord – presieduto dall’Avvocato Giuseppe Conte, annunciò la firme delle Intese da sottoporre successivamente al voto parlamentare per il 15.2.2019. L’iter non si concluse e poi intervenne la crisi di Governo in agosto. Diligentemente ci pensò il Governo presieduto da Paolo Gentiloni a firmare i preaccordi con Lombardia,Veneto ed Emilia Romagna. Ecco i preaccordi. Il 28.2.2018, pochi giorni prima delle elezioni generali del 4 marzo, il Governo Gentiloni, per tramite del Sottosegretario di Stato Gianclaudio Bressa (di Belluno; appartenente all’epoca al gruppo parlamentare del PD) concluse con ciascuna delle tre Regioni una Pre-Intesa. Si ripeté l’insipienza del 2001 a pochi giorni prima delle elezioni, come allora, per inseguire la Lega Nord sul suo terreno, illogico e dannoso. Le tre pre-intese sono simili. Prevedono una durata decennale e la modificabilità solo di comune accordo. Riguardano cinque delle 23 materie: politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali e con l’Unione Europea. Per quanto attiene alle risorse stabiliscono all’articolo 4 che esse andranno determinate da un’apposita Commissione paritetica Stato-Regione, sulla base “di fabbisogni standard, che dovranno essere determinati entro un anno dall’approvazione dell’Intesa e che progressivamente, entro cinque anni, dovranno diventare, in un’ottica di superamento della spesa storica, il termine di riferimento, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturato nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi”. Stabiliscono anche, senza meglio specificare, …

TERZO ARTICOLO SUL SOCIALISMO

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI | Caro Renato, Ti rispondo con piacere al Tuo ultimo commento. Da sempre la traduzione del pensiero e della ideologia socialista in politica, cioè in atti e scelte concrete che in una società pluralista e democratica sono frutto di mediazioni, hanno visto dialettiche anche aspre e persino contrapposizioni all’interno del socialismo organizzato in partiti e sindacati. Non è un problema e non è il nostro caso perché, alla fine, i motivi di consenso sono superiori ai dissensi. Almeno cosi’ mi sembra. Una nuove e più “radicale” fase di riformismo socialista è un obiettivo comune ed era implicito anche nel mio commento al Tuo primo articolo, in particolare per quanto riguarda il ruolo dello Stato e delle Istituzioni pubbliche per ridare alla loro funzione il primato del governo della società per una prospettiva di sviluppo e di avanzamento sociale e civile, compromessa da anni da politiche liberiste proprie dello strapotere dei potentati finanziari e permesse, purtroppo, dalla debolezza della politica e delle forze intermedie. Su ciò non ho visto dissensi , è vero che non avevi parlato come rimedio alla statalizzazione di TUTTE le attività economiche e dei mezzi di produzione, forse l’eccessiva insistenza  data alla  indicazione di una necessità di un ruolo dello Stato  non solo di regolazione ma anche di attore nell’economia ha tratto in inganno il sottoscritto ma anche qualche compagno romano che Ti ha letto in face book. D’altronde anch’io ho parlato di un ritorno alla presenza pubblica in determinati settori non solo con compiti sociali ma anche di interesse strategico-industriale in presenza di una colpevole latitanza dell’impresa privata. Siamo quindi d’accordo che non pensiamo di modificare il carattere di economia mista propria del nostro sistema economico, sulla base dei principi indicati nella Costituzione. SULL’ECONOMIA. Mi sembra che concordiamo in larga parte. Non sono certamente le mie riserve sulla trasformazione in azioni del sostegno finanziario alle imprese per i loro interventi progettuali in ricerca ed innovazione tecnologica a negare la mia condivisione alla Tua proposta più generale. Vorrei spiegarmi meglio rispetto al mio primo commento. Siamo d’accordo che non è certo il metodo Calenda 4.0 “prendi i soldi e scappa” la scelta migliore per marcare il sostegno pubblico per l’incentivazione di questo fattore  fondamentale per lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Lo Stato, deve – a mio pare –  praticare una sua funzione primaria di indicazione e programmazione di linee e di scelte piu’ appropriate per delineare il modello produttivo e le specializzazioni sulle quali vogliamo collocare l’Italia nella divisione internazionale delle produzioni e del lavoro, anche attraverso politiche e pratiche concertative con gli attori sociali. Ciò che avviene in alcune democrazie europee, anche nostre concorrenti sul piano produttivo e come avvenuto anche da noi, in brevi ma fruttuosi fasi della vita nazionale. La ricerca e l’innovazione tecnologica sono fondamentali per la competitività del nostro sistema e richiede una programmazione sistematica continua di idee, di obiettivi, di progetti e di risorse frutto di uno sforzo corale pubblico e privato. Ciò anche per determinare un modello di consumi che non puo’ essere lasciato alla discrezione del libero mercato. Le iniziative del capitale privato (che vanno stimolate anche nell’interesse delle stesse imprese) se rientrano in questo “schema programmatorio” vanno sostenute (come avevo già indicato) con facilitazioni creditizie ed una fiscalità di vantaggio, così come deduzioni e detrazioni fiscali  sono previste per altre finalizzazioni non più importanti di questa per il sistema-Paese. Se sono al di fuori di questo schema programmatorio si pagano i loro programmi in materia. Perché lo Stato dovrebbe intervenire se non ha condiviso la bontà di detti programmi o di finanziarli in cambio di azioni, diventando socio di minoranza di una impresa e quindi corresponsabile di un programma dai dubbi risultati sul quale non ha potuto sviluppare la sua influenza o indirizzo ?? SULLO SFRUTTAMENTO. Mi sembra di aver capito che il Tuo utilizzo di questo termine negativo, fino a parlare di “neo-schiavismo”,  viene praticato non per valutare la gravosità e la pesante condizione di lavoro della generalità delle prestazioni umane (in particolare degli operai) imposta da un capitalismo votato al massimo profitto quanto per definire l’appropriazione incontrollata ed a volte gravida di conseguenze da parte del capitale del lavoro intellettuale destinato a sostituire progressivamente il lavoro materiale o fisico causa la robotizzazione  o l’automazione spinta. Sul discorso della disoccupazione derivante da questi processi, a cominciare dall’introduzione delle Nuove Tecnologie informatiche, ho già chiarito nel mio precedente commento i vari problemi derivanti da affrontare non in termini luddisti ma attraverso  diritti e poteri sindacali in mano ai lavoratori che vanno gestiti ed ampliati, attraverso i confronti previsti dai CCNL e  gli  organismi all’uopo eletti, con capacità di proposte anche alternative a quelle padronali. Insomma con pratiche di co-determinazione (come le chiamano i compagni svedesi) a livello aziendale e di concertazione a livello generale, quest’ultima che il governo D’Alema voleva istituzionalizzare e fu respinta (non so perché, allora ero già al CNEL) dalle OO.SS. e da Confindustria. Rifiutare su questa materia una  legislazione di sostegno a relazioni industriali avanzate, che è una peculiarità del socialismo riformista, è stata per me una occasione sprecata, tanto piu’ in una fase di regresso economico che indeboli’ il potere sindacale dei lavoratori. Sul fatto che il lavoro umano è destinato a scomparire, non essendo un “futurologo” né un filosofo capaci di esercitarsi su una lontanissima prospettiva, guardando ai problemi dell’oggi e del loro perseguimento in negativo se non affrontati radicalmente, non mi sento di seguire questa “profezia” confortato da una recente intervista di un mio illustre concittadino, il Prof. Faggin inventore del microprocessore che ha dato il via alla informatizzazione, il quale ha detto che nessun robot (anche il piu’ sofisticato) non potrà mai sostituire l’uomo perché non ha in sé né produce senzazioni, emozioni, creatività. Ma poi, per restare alla complessa concreta situazione dell’esistente pur in continua evoluzione, ritorno a ribadire che un conto è parlare di grande impresa industriale o finanziaria nelle quali la robotica, le NTI, l’automazione delle varie attività sono diffuse, altro conto sono le migliaia e migliaia di piccole aziende industriali, artigiane, del commercio e dei …

ESTRATTI DA NANCY FRASER “COSA VUOL DIRE SOCIALISMO NEL XXI SECOLO”,

di Stefano Betti – Socialismo XXI Lazio | Considerazioni e soluzioni in una visione eco socialista La“…condizione “non economica” indispensabile per un’economia capitalista è una grande quantità di “doni” e/o contributi a basso costo provenienti dalla natura “non-umana”, che costituiscono l’indispensabile sostrato materiale della produzione capitalista: le materie grezze che vengono trasformate in lavoro, l’energia che fa funzionare le macchine e il cibo che fa funzionare i corpi; quindi: terra coltivabile, aria respirabile, acqua potabile e capacità di smaltimento del carbonio nell’atmosfera terrestre….Il capitale tratta la natura come fonte di doni gratuiti o a costo infimo a cui attingere, che poi non si preoccupa di risanare o rinnovare. Le società capitaliste istituiscono una netta divisione tra esseri umani e natura non-umana,  che cessano così di appartenere allo stesso universo ontologico. Ridotta a un rubinetto e a un bacino da attingere, la natura non-umana viene sfruttata per l’estrattivismo bruto e per la strumentalizzazione. Se questa non è una ingiustizia verso la “natura” (o verso gli animali non umani), lo è per lo meno contro le generazioni esistenti e future di esseri umani cui viene lasciato un pianeta sempre più inabitabile… “La visione ampliata” del capitalismo “rivela anche una tendenza intrinseca alla crisi ecologica dandosi il capitale un gran da fare per cercare di pagare un prezzo nemmeno lontanamente comparabile al vero valore dei contributi che si accaparra dalla natura non-umana. Con il suo impoverimento del suolo e l’inquinamento dei mari, questo sistema inonda i sink biosferici” (depositi di carbone naturale o artificiale che assorbono la CO2 nell’atmosfera)” ed esaurisce la capacità del pianeta di smaltire le emissioni. Servendosi di tutti  i beni disponibili senza farsi carico dei loro costi di risanamento e rinnovo, destabilizza periodicamente l’interazione metabolica tra i componenti umani e non-umani della natura… Dobbiamo invertire le attuali priorità…: dove le società capitaliste subordinano l’imperativo della riproduzione sociale ed ecologica alla produzione di merci, di per sé destinate all’accumulo, i socialisti devono capovolgere l’ordine: trasformare il nutrimento delle persone, la salvaguardia della natura e l’autogoverno democratico in priorità sociali massime, che battano efficienza e  crescita… Il Socialismo può proporre una autentica alternativa al sistema che sta attualmente distruggendo il pianeta e vanificando le nostre possibilità di vivere liberamente, democraticamente e bene. *Nancy Fraser (Baltimora 1947). Teorica critica, filosofa femminista americana è professoressa di Filosofia e pratica alla New School for Social Research di New York. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it